Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Timcampi    06/01/2014    2 recensioni
"Rico Brzenska, quindici anni d'età di cui gli ultimi otto trascorsi in una solitudine troppo nera per una bambina, contemplava il vuoto con occhi spenti, le braccia piegate in un rigido e impettito saluto militare e i piedi fastidiosamente infilati in quegli stivali troppo grandi.
Di tanto in tanto, mentre il capo istruttore inventariava il branco di ragazzini macilenti schierati come pedoni in divisa su una scacchiera polverosa, la ragazzina lasciava correre pigramente lo sguardo sui suoi compagni, i membri del settantasettesimo Corpo di Addestramento Reclute.
«QUAL È IL TUO NOME, RAGAZZO?!» brontolò il capo istruttore, puntando i piedi di fronte al suo ennesimo bersaglio: un ragazzo sull'attenti all'estrema sinistra dello schieramento, smilzo e acerbo, con un paio di spessi occhiali in bilico sulla punta del naso un po' aquilino e gli angoli della bocca sottile ricurvi nello sfontato accenno d'un sorriso eccitato. Poteva avere forse diciotto o diciannove anni.
Rico aggrottò la fronte e, senza neppure accorgersene, si ritrovò ad allungare il collo verso la sua direzione.
Il ragazzo sbattè ripetutamente le ciglia, si sistemò gli occhiali in cima al naso e sbattè nuovamente le ciglia.
E poi scoppiò a ridere."
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Hanji Zoe, Rico Brzenska, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Giocatori

 

Aveva il fiato corto.

Si passò una mano tra i capelli, ravviando le ciocche sfuggite alla treccia; avrebbe fatto bene a tagliarli, si disse, mentre si tergeva il sudore dalla fronte e allungava il passo. C'era una netta distanza tra lei e il compagno alle sue spalle, ma era pronta a fare di più: il periodo d'addestramento volgeva ormai al termine, e alti punteggi avrebbero determinato la possibilità di rientrare tra i primi dieci classificati e di ambire, così, a un posto sicuro all'interno della Polizia Militare, come aveva sempre desiderato.

La temperatura era insopportabilmente alta, e correre per quei sentieri scoscesi e accidentati con indosso il pesante carico dell'attrezzatura per il movimento tridimensionale era faticoso perfino per fisici allenati come il suo.

Aveva la gola riarsa, le labbra salate, la camicia incollata al corpo; ogni centimetro del suo volto, della divisa e degli stivali era ricoperto d'un sottile e fastidioso strato di polvere terrosa.

Non doveva mancare molto al punto d'arrivo, si disse, stringendo i pugni e cercando di guadagnare terreno.

Non avrebbe mai permesso a nessuno di soffiarle via il destino che aveva scelto.

 

Contemplava la finestra con aria assorta, il viso tra me mani e i gomiti puntellati sul tavolo.

L'immagine che ricambiava il suo sguardo dal vetro era ormai quella di una donna, un'immagine di cui desiderava essere orgogliosa. Eppure, osservando quei suoi occhi di ghiaccio, quel broncio che non scompariva mai, non riusciva a non pensare che non sarebbe mai cambiata davvero.

Salutò mentalmente il campo che, l'indomani, avrebbe calpestato per l'ultima volta.

Il suo posto in mensa era sempre lo stesso, lontano dal prepotente e fastidioso vociare dei suoi compagni d'armi; si domandò se le sarebbero mancate le grida, le risate, le risse, le chiacchiere concitate.

A volte, comunque, per quanto tentasse di sfuggirgli, era il chiasso ad andare da lei.

E il chiasso aveva un nome.

Riprese a concentrarsi sulla sua zuppa, giocherellando distrattamente con uno sfilaccio di carne che vi galleggiava dentro, prima di infilzarlo e di portarlo alla bocca.

«Tutta sola anche l'ultima sera, eh, Rico?»

Sollevò lo sguardo.

Il volto sereno e sorridente di Ian era a pochi passi da lei. Il ragazzo sostava tra i tavoli con la propria scodella fumante tra le mani e uno speranzoso languore negli occhi.

Ecco, lui invece non era cambiato granchè: s'era limitato a diventare più spigoloso, ma i suoi modi troppo gentili erano rimasti invariati, arrivando fin quasi a far breccia nella spessa parete di diffidenza che Rico era solita erigere attorno a sé.

«Con quale Rico ce l'hai?»

Uno sgraziato grugnito, una ciotola e delle posate che atterrarono forse con troppa violenza sul tavolo, un viso orribilmente familiare.

Ed eccolo, il chiasso, mentre prendeva posto di fronte a lei.

«Questa qui è in compagnia» aggiunse Zoe, sfoderando un ghigno compiaciuto all'indirizzo del ragazzo.

«Perfetto tempismo, quattr'occhi» mormorò il ragazzo accomodandosi alla sinistra di Rico, cosa che strappò a Zoe un sommesso ringhio di disapprovazione. Rico, però, sembrava del tutto disinteressata alla compagnia di entrambi: osservava il proprio riflesso guardarla pigramente dal vetro, riflesso al quale, un attimo dopo, si affiancò quello dell'altra.

«Che hai da pensare tanto, musona?» mugolò Zoe.

Anche lei era cambiata, in quei tre anni: era diventata più forte, più ossuta, più coriacea, tanto vigorosa che, al fianco di Rico, pareva davvero un uomo. In cuor suo, però, nulla era mutato della sua inestinguibile allegria, della sua assurda voglia di mettersi sempre in gioco, dei suoi desideri.

L'indomani le loro strade si sarebbero divise e, per qualche motivo che Rico proprio non voleva cercare d'indovinare, quel pensiero non le piaceva.

Ian si massaggiò la nuca, gettando la testa all'indietro e osservando un punto indistinto del soffitto.

«È l'ultima sera che passiamo qui, ma mi sembra quasi che tutti quanti si stiano sforzando di non pensarci, di comportarsi normalmente. Ho come l'impressione che nessuno voglia realmente andarsene» osservò, con un malinconico sorriso a curvargli le labbra sottili.

Rico si morse l'interno della guancia.

«Non è mica una tragedia, Dietrich. Parli come se non dovessimo rivederci mai più» rise Zoe, ingurgitando rumorosamente la sua zuppa sorbendola direttamente dalla scodella.

«Allora vedi di rimanere viva abbastanza da restare in circolazione, Hanji» ribattè il ragazzo. «Non vogliamo vederla strapparsi i capelli, non è vero?» aggiunse, scompigliando con affetto la folta chioma cinerina di Rico, che si rincantucciò in un angolo, il viso tra le mani e la fronte corrucciata.

Ian sarebbe entrato nella Guardia Stazionaria, era quel che aveva sempre avuto in mente di fare sin da quando aveva messo piede nel campo d'addestramento per la prima volta; in quanto a Zoe, invece, lei era irremovibile.

«Restare in vita è un suo problema» borbottò Rico, osservandola da sopra le lenti degli occhiali. C'era una lunga lista di cose che avrebbe voluto dire: a proposito della sua ormai consolidata abitudine ad avere accanto a sé quella prorompente e fastidiosa presenza ogni giorno, a proposito del suo timore di non rivederla più, dei suoi dubbi sul suo voler prendere parte alla guerra suicida dell'Armata Ricognitiva.

Le balenò in mente perfino il pensiero di abbaiarle addosso che non aveva alcun interesse a rivederla, una volta finito tutto, anche soltanto per pungerla nel profondo e spronarla a restare viva più che poteva.

Ma non disse nulla di tutto ciò.

Era ben coscia che Zoe, per quanto amasse darsi arie da sciocca, sapeva il contenuto della sua testa forse anche meglio di lei...

«A proposito di capelli...» ...e sapeva anche quando era giunto il momento di cambiare argomento. «Li hai tagliati» Aveva un'espressione triste sul volto, l'espressione d'un bambino privato del suo giocattolo preferito. E, in effetti, in parte era così che aveva sempre considerato la lunga e luminosa chioma di Rico.

Le sarebbero mancati, quei capelli, insieme a tutto il resto di lei. Ve n'era rimasto poco più che quel che le sembrava naturale definire inappropriatamente “moncherino”: nessuno avrebbe più giocato con quei capelli.

Si domandò se avrebbe lasciato che ricrescessero, se avrebbe lasciato che qualcun altro li facesse propri, li annodasse, si addormentasse tirandoli un po' troppo prepotentemente a sé, e quel pensiero le fece quasi girare la testa. Le diede fastidio.

Era peggio che se l'avessero privata dei suoi occhiali.

D'istinto, quasi senza pensarci, si ritrovò a far correre le dita in circolo sull'orlo del bicchiere di Rico, prima in un senso e poi nell'altro, catturando lo sguardo della compagna. C'era qualcosa, in quel gesto, di terribilmente familiare: qualcosa che risvegliava ricordi sepolti sul fondo della sua memoria.

«Certo che è un vero peccato doverci separare» sospirò Ian, interrompendo il filo dei pensieri di entrambe. «Non c'è dubbio che riuscirai ad avere un punteggio altissimo, ma quasi mi dispiace che tu debba finire in quel postaccio, circondata da gente infida come quella. Insomma, lo sappiamo tutti come girano le cose, nella Polizia Militare»

«Gente infida, l'hai detto. È per questo che Rico saprà distinguersi, non è così?»

La faccia da schiaffi di Zoe rendeva i suoi complimenti quasi fastidiosi. La preferiva quando sembrava s'impegnasse per farle saltare i nervi.

S'alzò di colpo in piedi, scossa da un forte capogiro.

«Me ne vado a dormire» decretò a mezza voce.

«Quelli li lasci?» fece Ian, additando il ciò che restava della sua cena, una mela e una pagnotta intonsa. Annuì: non aveva molta fame.

 

Non le erano mai piaciuti gli addii. Non che ne avesse visti molti, comunque.

Ripiegò con cura le sue poche cose per poi disfare nuovamente tutto e ricominciare da zero.

«Sembra quasi che tu non abbia poi molta fretta di andartene»

Non l'aveva neppure sentita entrare.

La osservava con un fianco posato sullo stipite della porta, le braccia incrociate sul petto e la pallida ombra d'un sorriso.

«Che io lo voglia o no, domani ce ne andremo» replicò, gettando le cinghie dell'attrezzatura sopra la testata del letto e cominciando a cambiarsi per la notte, per la sua ultima notte all'interno dell'area di addestramento.

«E tu lo vuoi?»

«Certo che lo voglio» rispose, e non era una menzogna.

Era a un passo da ciò che aveva sempre desiderato, tanto vicina che avrebbe potuto godere dei frutti del proprio sudore soltanto tendendo una mano. Avrebbe avuto la vita che, fin da bambina, s'era concessa il lusso di sognare.

Zoe si sfilò gli stivali e li abbandonò sulla soglia, prima di sprofondare sul giaciglio di Rico.

Ogni volta che Rico realizzava quanto indulgente era diventata nei suoi confronti, finiva per domandarsi come quell'uragano dal sorriso ebete fosse stato capace di conquistare a tal punto i suoi favori, ma s'affrettava a scacciare quei pensieri prima che questi la portassero a rimproverare se stessa per la propria incapacità di tenerlo a bada e di porre una linea di confine tra la propria esistenza e la sua.

In quel momento, però, quel pensiero ne portò con sé un altro: ancora poche ore, e il divario tra le loro vite sarebbe stato troppo ampio perchè fosse necessaria la presenza d'un confine.

«Lo voglio anch'io» sorrise Zoe, intrecciando le dita dietro la nuca. «Ma tutto ha i suoi pro e i suoi contro»

Rico le sfilò gli occhiali dal viso e li posò sul comodino, accanto ai propri.

«Non sei neppure capace di fare una semplice medicazione, né di ricucire un bottone. Non sai neanche prepararti da mangiare. Sei un disastro. Una sciocchezza e potresti rischiare una cancrena»

«Allora starò attenta a non ferirmi» asserì Zoe, sollevando un braccio e posando una mano sui suoi capelli. «Ma vale anche per te: fa' attenzione»

«Io non andrò là fuori, Zoe»

Zoe si lasciò sfuggire un verso simile a una risata. Le carezzò il capo.

Avrebbe trovato un buon momento per domandarle di lasciarli crescere nuovamente, un giorno; giurò a se stessa che le sarebbe stata accanto tanto spesso da non accorgersi che stavano tornando lunghi, se non quando l'avesse vista legarli in una treccia per la prima volta, dopo tanto tempo, come aveva fatto ogni giorno durante quel periodo.

«I titani non sono soltanto là fuori, Rico» sussurrò.

Se era stata lei ad attrarla a sé, l'aveva fatto senza pensarci: un istante più tardi, però, la testa di Rico era sul suo seno, il corpo della ragazza raggomitolato contro il proprio fianco.

Non ebbero neppure bisogno di guardarsi negli occhi, per sapere che cosa vi fosse dentro di essi, dietro le lacrime che li bagnavano.

«La candela?» domandò Zoe, in un fil di voce, picchiettando sulla spalla della compagna, che le rispose strofinando il volto contro il suo petto.

«Lasciala bruciare. Non c'è più bisogno di fare economia»

Quando il buio calò anche sull'ultima stanza del dormitorio, le trovò prigioniere d'un dormiveglia popolato di fiamme e di mostri, di voci e di fantasmi talmente spaventosi che non trascorse molto prima che entrambe decidessero, come se si fossero accordate, di non cercare più di prender sonno, per quella notte.

 

L'alba arrivò.

E, con essa, anche la fine.

Indossarono le divise senza una singola parola e senza un singolo sguardo, sistemandosi a vicenda le cinghie, i capelli, il collo della giacca.

Sembrava quasi di poter udire i loro cuori picchiare come cavalli al trotto sotto le due spade che s'incrociavano su di essa, su quello stemma che presto non ci sarebbe stato più.

Pareva quasi che, schierati in quel campo per l'ultima volta, non ci fossero gli stessi giovani che lo sguardo di Rico aveva inventariato al suo arrivo: ora, su quella terra arida che non era mutata affatto, c'erano i volti determinati degli uomini e delle donne che erano rimasti, corpi scattanti e membra vigorose, muscoli e cicatrici.

«SONO ORGOGLIOSO DI VOI, TOPASTRI»

Lui, così come quel campo, non era cambiato per niente.

Condendo ognuno di essi d'una suspence sicuramente non necessaria, scandì i nomi di quanti avrebbero potuto servire il re.

Non provò nulla nel sentir pronunciare i nomi di Ian Dietrich e di Zoe Hanji rispettivamente al quarto e al decimo posto.

Il suo nome, quello di Rico Brzenska, non era presente nell'elenco. 










*PLIN PLON*
Ed eccoci qui, finalmente, al settimo capitolo di questa storia. Domando perdono per il tempo impiegato, sul serio; disonore su di me, disonore sulla mia mucca e disonore sul mio jeanvallo, ecco.
Spero almeno che questo capitolo valga l'attesa, e che sarete gentili e amorevoli verso questa poveraccia e verso la sua storia come siete sempre stati finora: grazie, grazie di cuore per il vostro supporto, per l'amore che mettete nello starmi accanto e per... be', anche per aver atteso pazientemente ogni aggiornamento. Spero continuerete a farlo fino alla fine. Sono felice di poter scrivere per voi, sono felice finchè riesco a farvi emozionare e provare quel che provo io mentre la scrivo.
Un abbraccio, un caldo abbraccio a tutti voi.

 

Timcampi

   
 
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