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Autore: BlueSkied    07/01/2014    1 recensioni
La notte dell'Epifania del 1537 Alessandro de'Medici, detestato duca di Firenze viene assassinato dall'amico e congiunto Lorenzaccio de'Medici.
Tocca allora a Cosimo de'Medici, figlio del capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere ed erede del ramo popolare della famiglia, prendere il potere.
Tra raffinato mecenatismo artistico, nuove politiche e disgrazie familiari, condurrà la Toscana verso il Granducato, con la cauta inesorabilità del suo motto.
Note: mi sto documentando il più possibile, per rendere la storia verosimile, ma qualcosa potrebbe sfuggirmi, anche perché spesso le fonti si contraddicono.
Per finalità di trama, alcuni passaggi potrebbero essere violenti.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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19.


La cornacchia gracchiò stridula, quando l'uomo la colpì per cacciarla via dai resti di un congiurato. Un Ridolfi, o forse lo stesso Pucci, chissà.
Il servo del palazzo del Bargello osservò cupamente lo sgraziato uccello levarsi in volo, poi sputò dalla finestra e proseguì il suo macabro lavoro, sciogliendo dalla corda quello che fino a qualche settimana prima era stato il corpo di un cristiano, proprio come il suo. Il compare afferrò il cadavere per gli stracci che lo coprivano e insieme lo tirarono dentro, insieme agli altri.
- Guarda tu questo! - esclamò il tizio della cornacchia, mentre avvolgeva il morto in un lenzuolo - Bella fine ha fatto, un giorno alla tavola del duca, il giorno dopo a farsi prendere a beccate negli occhi. Umpf! - sbuffò, tra i denti mancanti.
Il compare scoppiò in una risata asmatica, si segnò per scaramanzia e replicò:
- Se il duca hai cercato di mandarlo a gambe per aria, amico, è l'unica fine che puoi fare -
- Amen - ribatté l'altro, andando a recuperare l'ultimo corpo. Mentre li ammucchiavano tutti su una portantina improvvisata, osservò:
- Se vuoi sapere la mia, compare, sparare al duca da una finestra è l'idea più fessa che sia venuta in mente mai a questo giovanotto qua-
- In special modo perché adesso dorme con questi altri pendagli da forca - ribatté l'amico, ma il primo scosse il capo:
- No, compare, stai dietro al mio ragionamento - Tirò su con il naso e cominciò a gesticolare, per spiegarsi meglio: - Se, Dio non voglia, ci fosse riuscito, adesso ci cascherebbe fra capo e collo un altro duca, magari peggio di questo -
Il compare fece spallucce:
- Almeno questo non è peggio di quello che c'era prima - convenne. Ci pensò un attimo e aggiunse:
- Certo, ci storce le tasche a forza di tirarne via quattrini e Dio ce ne scampi dalle Stinche, ma fame non ne ha fatta mai patire nemmeno all'ultimo disgraziato, e le donne possono girare per la strada in pace - elencò.
- Appunto - insistette il primo - Pensa solo se questo bischero qui avesse davvero ammazzato il duca - e lanciò un'occhiataccia al sacco di cadaveri, come a rimproverare il capo della congiura, Pandolfo Pucci:
- Un padrone severo è meglio di un padrone cattivo - concluse, segnandosi a sua volta. Il compare annuì con vigore:
- E anche meglio di nessun padrone, se lo vuoi sapere -
- Amen - ripeté il primo, issando sulle spalle il triste carico e cominciando a scendere le scale.

Il corteo ducale era già nelle vicinanze di Siena, ben lontano dal ricordo di quella minaccia. Anche se Cosimo de' Medici, da una parte, aveva subìto più una cocente delusione che un reale pericolo da tutta la faccenda. Pandolfo Pucci era un giovane irrequieto, poco raccomandabile sotto molti aspetti, ma la sua famiglia aveva sempre sostenuto il partito mediceo, e lui, in fondo, sembrava un ragazzo onesto. Era amico di Francesco, aveva persino affascinato la duchessa con la sua ironia. Ma il duca di Firenze non era noto per la sua propensione al perdono. Non aveva infierito sulle famiglie dei congiurati, ma non aveva avuto nemmeno esitazione nel condannare i colpevoli. Era spiacevole rendersi conto per l'ennesima volta di non potersi fidare quasi di nessuno.
Mentre cavalcavano, partecipò a malapena alla conversazione fra i suoi segretari, assorbito dalle sue riflessioni, quando qualcuno sfrecciò accanto a Francesco, che gli era a fianco, rubandogli il berretto. Il duca riconobbe la risata di Giovanni e il suo sospetto fu confermato dal grido della moglie:
- Juan!
Il ragazzo lanciò il maltolto al fratello, con un ghigno, e corse in testa al corteo, prontamente inseguito da Garzia, che cercava di imitarlo in tutto quel che faceva, sperando sempre di farlo meglio. Francesco non si unì al gioco, ma si limitò a ricomporsi, sia del copricapo sia della solita espressione ombrosa. Cosimo immaginò che i loro pensieri non fossero molto diversi, Pandolfo gli era stato vicino, ma tra lui e il suo primogenito era difficile allacciare una conversazione che non sfociasse in una lite.
Abbastanza sorprendentemente, fu Francesco a iniziare a parlare:
- Anche mio fratello si prende gioco di me - mormorò, più rivolto a sé stesso che al padre.
- La prossima volta vagli dietro e tiragli una manata, non importa se è cardinale - suggerì questi, ma il ragazzo si accigliò ancora di più:
- Penso di non poterlo fare con qualunque suddito ribelle, padre - replicò.
- No, quelli devi spiccargli la testa dal collo o appenderli per la gola - ribatté il duca.
I loro sguardi s'incrociarono per un attimo, distanti come sempre. La risolutezza di uno si scontrava immancabilmente con i dubbi dell'altro.
- Non voglio fare come voi, non voglio passare la vita con una cotta di maglia sotto la camicia e un pugnale negli stivali - esclamò Francesco.
- Dovrai - fu la replica, nuda e cruda - Se non accetti questo, tutto quello che comporta il governo, non potrai mai prendere il mio posto - lo ammonì severamente il padre, ma il giovane scosse la testa:
- è troppo per me. Guardarmi da tutti, temere persino la mia ombra. Non sarò mai come voi -
Il duca si spazientì, ma s'impose di non perdere la calma:
- No di certo, se anche il minimo compito che ti affido tu lo lasci svolgere ad altri. No - lo interruppe, prima che potesse ribattere - Abbiamo già discusso a sufficienza della faccenda delle grazie, non torniamoci su. Quello che voglio dirti, è che governare significa essere soli la maggior parte del tempo. Puoi ascoltare consigli, puoi chiedere consigli, ma gli unici a cui devi rendere conto, alla fine, sono il Signore Iddio e te stesso. Tendi la mano all'amico, ma non lasciargli il braccio. Ama la tua famiglia, ma non lasciare che moglie e figli ti trattengano per le ginocchia. Sorridi, misura le parole, sii magnanimo, ma non farti prendere per fesso, figliolo mio. A te spetta il ducato, dopo di me, non è una cosa che puoi cambiare. Così come Giovanni non può dare via il suo cappello cardinalizio, o Garzia sfuggire al mestiere delle armi. Io ho fatto quel che dovevo e finché Dio me lo concederà, lo farò. Ma poi toccherà a voi -
Francesco rimase a lungo in silenzio, a riflettere sul discorso paterno, poi quest'ultimo riprese:
- Ascoltami, da tempo hai desiderio di andare in Spagna, alla corte di Filippo. Io e tua madre abbiamo deciso di farti partire. Ho bisogno che tu mi cresca un po' Francesco, che perda queste tue paure da bambino. Non giovano né a te né a nessuno. Dimentichiamo la storia delle grazie e confido di poter avere più fiducia in te, quando tornerai -
Nel frattempo, avevano raggiunto Siena. La città era stata sontuosamente decorata con apparati fittizi e opere celebrative, per festeggiare la presa di possesso del duca di Firenze e Siena.
Mentre il corteo scorreva fra ali di sudditi esultanti, sotto arcate cariche di insegne e scritte inneggianti alla pace, alla grazia e all'abbondanza, Cosimo tornò a rivolgersi al figlio:
- L'ultimo uomo qui darebbe ogni cosa in suo possesso per vedermi morto. Guarda, io sorrido e do la mia graziosa benevolenza, loro mi vogliono odiare, ma amano lo splendore, le belle livree, l'avvenenza delle dame. Il potere è un alambicco, Francesco: un fragile contenitore di morte. Impara a maneggiarlo -

Non troppo diversa, ma meno ipocrita, fu la visita a Roma. Per giorni e giorni nella Città Eterna erano circolati questo e quel pettegolezzo su quel duca di Toscana di cui tanto si era sentito parlare. La Curia lo conosceva bene, per i sottili maneggi che aveva organizzato per far salire al trono di Pietro quel Medici finto, il Medici milanese Pio IV, che nulla aveva a che fare con la famiglia fiorentina, ma da quando era Papa sì.
Per questo accolse il duca con tanta benevolenza e ricoprì lui e i suoi familiari di onoreficienze e favori. Tanto che, sul sempre sincero Pasquino, nei giorni della visita apparve la scritta: " Cosmus Medices Pontifex Maximus".
Isabella lo raccontò al padre, mentre insieme sedevano nei giardini del Vaticano, e gli strappò una risata:
- L'ultima volta che sono stato a Roma ero un bimbo, a mendicare con mia madre i favori di un papa che mi era cugino - osservò il duca, con una punta di amara ironia. La figlia lo osservò a lungo, poi disse:
- Adesso è lui a favorirti spontaneamente. è un bell'elevarsi -
Egli annuì, poi la studiò a sua volta:
- Mi pare di vederti ben colorita. Le frequenti assenze di Paolo non ti turbano, vedo -
Lei fece un gesto di sufficienza:
- Oh, Bracciano è una tristezza, con o senza di lui, quindi mi rallegro come posso - replicò, facendo scintillare con grazia i costosi anelli che portava.
- Direi di sì - assentì Cosimo, con un mezzo sorriso. Gli piaceva la spregiudicatezza della figliola, almeno finché non si fosse macchiata di scandalo. Ma era troppo intelligente per commettere legerezze del genere.
Mentre osservavano il tramonto, gli scuri occhi liquidi di lei si appannarono appena:
- Lucrezia mi scrive, babbo - riferì, ogni allegria scomparsa dal tono della voce.
Egli annuì, gravemente:
- Scrive anche a me -
- Tu non pensi che possa essere incinta, vero? - chiese Isabella, con una punta di debole speranza, subito spenta dallo scuotere del capo di lui:
- No, figliola. Di bambini ne ho avuti tanti, e nessuno dà quei sintomi che lei descrive. Le ho mandato il mio dottore, ma non so a che servirà - spiegò, seriamente.
Isabella rimase in silenzio, e suo padre proseguì:
- Non dire nulla a tua madre, a meno che la malattia non s'aggravi. Lasciala alla fede, alla gioia per Giovanni. Ho paura che avremo a patire ancora -


Note:

La congiura di Pandolfo Pucci fu organizzata da questo nobile fiorentino, assai vicino a Cosimo, che per rancore a causa di una vecchia accusa per sodomia, aveva radunato certi avversari del duca e progettato di sparargli mentre passava per la strada per andare a messa. Il piano fu scoperto e i colpevoli ondannati a morte. Tra via de'Pucci e via dei Servi a Firenze si può ancora vedere la finestra del palazzo murata, da dove il sicario avrebbe dovuto sparare.

Ora, Giovanni fu fatto cardinale nel gennaio 1560, ma a quel che ho letto, la cosa si estese su più fasi (fu nominato prima, poi ufficializzato in seguito, e ancora dopo gli venne consegnato il cappello cardinalizio). La parte di storia narrata nel capitolo si deve intendere nell'autunno di quell'anno, quando è documentata una visita della famiglia ducale a Roma, per una di queste fasi.

Spero di non dovervi spiegare per cosa sta "Bischero" e spero che l'accenno popolaresco non sia spiacevole.

La faccenda delle grazie di cui si parla, riferita a Francesco de'Medici, è in soldoni questa: Cosimo aveva affidato al figlio il compito di esaminare le richieste di grazia che gli pervenivano e accettarle o meno, ma in cità si diffuse la voce che queste grazie si potevano comprare. Chiaramente, per la reputazione sua e del figlio, Cosimo gli ritirò l'incarico e gli fece una lavata di capo unica
  
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