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Autore: Cruel Heart    07/01/2014    2 recensioni
Caro Sk8er Boi_83,
ci siamo scambiati e-mails per…quanto?
Settimane? Mesi?
Beh, sinceramente… non m’importa molto.
Sei entrato nella mia vita, così come io sono entrata nella tua.
Hai scoperto un lato del mio carattere di cui neanche io ero a conoscenza, e mi hai fatto riscoprire le piccole ma fondamentali cose che il destino ci riserva.
Siamo stati fino ad ore inimmaginabili a parlare delle nostre vite, dei nostri problemi, di quello che vorremmo fare da grandi.
Ma sai qual è la cosa più buffa?
È che… non so neanche quale sia il tuo vero nome, non so come sia il tuo viso, di che colori siano i tuoi capelli, i tuoi occhi.
Dicono che i segreti, soprattutto quelli più inconfessabili, non debbano mai essere rivelati alle persone estranee. Ma so che tu non lo sei, per me.
Quindi, il mio segreto è questo: credo… credo… credo proprio di essermi innamorata di uno Sk8er.
[Fan Fiction ispirata al film “Cinderella Story”]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Fire and blades – Fuoco e lamette

 

Pov Avril

 

“Gabriel, stai scherzando, spero!” Perché doveva farmi sempre questi scherzi al telefono di prima mattina?

“No, Avril, sono serio. Mio padre mi ha davvero sequestrato la macchina, e per la quarta volta di fila, per giunta! Ma questa volta non è affatto colpa mia, sappilo.”

“Sentiamo, quale altro danno avresti combinato? Fiancata scheggiata? Specchietto rotto? Oh, non dirmi che sei andato di nuovo a sbattere contro qualcosa, ti prego…”

“Senti, non è colpa mia, ok? È stato un incidente! E poi, quell’albero mi ha provocato e non ci ho potuto fare niente.”

“Sei andato a sbattere contro un albero? Sul serio?” gli chiesi, incastrando il telefono tra l’incavo della spalla e l’orecchio. Stavo tirando fuori alcune cianfrusaglie dai vari cartoni, ma una fotografia bloccata sul fondo non voleva proprio saperne di uscire.

“Sì. Non ci vedo niente di male, comunque.” Rispose piccato. “Può capitare a tutti.”

“Gabriel, gli alberi non si asfaltano. Si evitano.”

“Ah-ah, bella battuta. Se ci fossi stata tu al mio posto sarebbe stato tutto diverso.” Brontolò.

 “Ah, beh, grazie per l’augurio.”

“No, no, non intendevo…”

“Lo so cosa intendevi, non preoccuparti. Ehm… Puoi aspettare solo un secondo?”

“Sì, certo.”

Poggiai il telefono sul letto e mi girai verso il cartone, spazientita. La mia pazienza era giunta al limite e quella dannata foto doveva venir fuori. Sentii le mie dita fare presa sul vetro duro, liscio e ghiacciato della cornice, e tirai con tutta la forza che avevo.

Parecchi tentativi e una decina di bestemmie dopo, riuscii ad estrarre la fotografia, non prima di averla fatta cadere e di aver fatto un’ulteriore bestemmia per essermi tagliata leggermente la mano con la cornice in vetro.

La girai, per vedere quale immagine contenesse, e non potei fare a meno di sorridere. Dopotutto, lo sforzo era valso a qualcosa.

Si trattava di una foto di me da bambina e di mio padre, forse una delle poche fotografie che avessi mai fatto insieme a lui. Avevo un buffo capellino di baseball sulla testa e facevo il segno della vittoria alla fotocamera, mentre mio padre mi reggeva, sorridente anche lui.

Lucidai la superficie della cornice con la manica della felpa, per togliere quel po’ di polvere che si era depositata sopra, e la appoggiai vicino ai miei altri ricordi d’infanzia, sulla mensola bianca di fronte al letto.

A proposito del letto…

Presi di corsa il cellulare dalla coperta su cui l’avevo poggiato, e sperai che Gabriel non avesse riattaccato.

“Gabriel?”

“Ehi. Avevo incominciato a pensare che fossi morta.”

“Beh, grazie per l’augurio parte seconda.”

“Cazzo, scusami, lo sai che non intendevo quello che tu pensi io intendevo…”

Soffocai a malapena una risata. “Sì, tranquillo. Quindi, vediamo se ho capito bene. Nonostante ci fossimo messi d’accordo che dovevamo andare a scuola insieme con la tua macchina, mi hai appena telefonato per dirmi che mi dai buca e che dobbiamo andarci con la mia, di macchina, perché un albero ti ha provocato e tu ci sei andato a sbattere accidentalmente contro, giusto?”

“Ma è stato davvero un incidente, non sto tentando di giustificarmi…”

“Gabriel.” Lo fermai, prima che si facesse prendere dal panico e incominciasse a divagare. “Giusto?” Ripetei.

“Sì, giusto.” Sospirò.

“Bene.” Guardai l’orologio. “Tra cinque minuti sono da te, tranquillo.”

“Ok, grazie mille.” Disse, e chiusi la chiamata con uno sbuffo.

Afferrai velocemente il giubbotto dalla spalliera della sedia, presi le chiavi nella tasca destra e andai altrettanto velocemente verso la porta, per uscire.

Appoggiai la mano sulla superficie fredda della maniglia dorata ma, prima di abbassarla completamente, mi girai.

Come se ci fosse stata una specie di calamita, alzai lo sguardo verso la foto con mio padre, e incominciai a parlarci, senza un vero motivo preciso. “Senti, non guardarmi così, ok? Lo so che, dopo tutta la fatica che ha fatto ieri per aiutarmi, andarlo a prendere con la mia macchina è il minimo che possa fare, però, accidenti…poteva almeno avvisarmi prima, no?”

Restai in silenzio a fissare il sorriso immobile di mio padre, quasi mi aspettassi una risposta. La scena sarebbe stata quasi comica, se non fosse stato per il ritardo.

“E va bene, ma ne riparliamo quando torno.” Dissi, girandomi di nuovo e uscendo dall’appartamento.

Andai vicino all’ascensore e schiacciai il bottone rosso, sperando che fosse libero e che qualcuno non avesse prenotato prima di me.

Fortunatamente, nell’ascensore non c’era nessuno e potei scendere in fretta al piano terra, pronta per andare a prendere Gabriel.

Parlare da soli è il primo sintomo della pazzia, pensai. Chissà che non sia un segno.

 

Pov Evan

“Aaaaah!” Mi svegliai di soprassalto, spalancando gli occhi e cercando di far fermare i battiti impazziti del mio cuore.

Un rumore assordante di vetri rotti mi aveva strappato al sonno, e questo poteva dire soltanto una cosa: sarebbe stata una giornata di merda.

Infatti, mi giravano sempre le palle se non riuscivo a svegliarmi da solo o, peggio, se a svegliarmi era un rumore particolarmente fastidioso.

Sbuffai pesantemente, sentendomi la testa girare.

Già, pensai, proprio una giornata di merda.

Ancora con la canottiera addosso, mi preparai un caffè, con estrema lentezza, per rendere l’impatto con la realtà meno traumatico.

Poi, all’improvviso, lo squillo acuto del mio cellulare mi fece sobbalzare. Di nuovo.

Lessi il numero sullo schermo, e mi sorpresi di vederlo scritto proprio lì.

“Mamma…” Uno sbadiglio improvviso mi fece interrompere la frase per tre secondi “…perché mi stai chiamando?”

“Come perché? Sei già pronto?”

“Ma certo che…” Altro sbadiglio “…Sono pronto. Perché non dovrei esserlo?”

“Oh, va bene, era giusto per sapere. Beh, io vado a lezione, visto che sono le otto. Buona scuola.” Disse, e chiuse la comunicazione.

“Sì, sì, buona lezione.” Blaterai alla linea chiusa, ancora assonnato.

Presi la tazza di caffè e trangugiai la bevanda bollente in un sorso, scottandomi la lingua. “Ahi!”

Forse per la scottatura, o forse perché il mio cervello aveva finalmente deciso di mettersi in moto, mi resi improvvisamente conto di quello che aveva detto mia madre.

Erano. Le. Otto.

E io stavo ancora in canottiera e boxer!

Posai la tazza di caffè da qualche parte, non mi resi neanche bene dove, e mi vestii con gli stessi vestiti di ieri, non avendo il tempo di trovarne dei nuovi.

Mi infilai alla bene e meglio i calzini, le scarpe e i jeans, cercando di chiudere la zip mentre sbattevo la porta di casa e picchiettavo furiosamente contro il bottone rosso dell’ascensore.

Cazzo, era già occupato!

Scesi più in fretta che potei gli scalini, stando attento a dove mettessi i piedi e pregando di non fratturarmi una gamba, mentre provavo a infilarmi la maglietta.

Sono nella merda, sono nella merda, sono nella merda!, continuavo a sussurrare, furioso con quel rumore di vetri rotti che non mi aveva svegliato in tempo e con chiunque avesse occupato l’ascensore.

Mi misi a correre disperatamente, e pregai con tutte le mie forze di riuscire ad arrivare a scuola in meno di cinque minuti… almeno vivo.

 

Pov Avril

 

Il tragitto dalla casa di Gabriel a scuola fu breve, come al solito.

Nel corridoio, mentre cercavo di non pensare al bruciore per il piccolo taglio alla mano, stava blaterando ancora qualcosa a proposito delle foglie secche che erano andate a finire dentro i suoi capelli la sera del suo accidentale incidente, come l’aveva definito lui, e io mi limitavo ad annuire o a scuotere la testa, a seconda dei casi.

Non gli prestavo molta attenzione, ma a lui sembrava non importare più di tanto.

Mi salutò quando raggiungemmo gli armadietti per andare ad assistere alla lezione del professor Conwell, di scienze della comunicazione.

Io lo salutai con un cenno, pensando che finisse lì. Invece, sorprendendo forse anche se stesso, mi si avvicinò e mi abbracciò stretta a lui.

Delle volte, avevo la sensazione che non fossi mai abbastanza, per lui.

Appena si staccò, mi sorrise stentatamente e mi salutò con un imbarazzatissimo “ci vediamo dopo.”

Lo vidi allontanarsi, e così aprii il mio armadietto, per prendere tutto l’occorrente per affrontare quell’altra giornata scolastica.

Mentre ero con la testa completamente china sui libri che dovevo portare con me, sentii un rumore, che mi fece sobbalzare, vicinissimo a me. Credevo si trattasse di uno sportello di un armadietto che andava a sbattere contro il metallo.

Alzai la testa, per vedere chi o cosa fosse la causa di quel rumore, e…lo vidi.

Aveva la canotta fuori dai jeans, i capelli tutti disordinati e un’inequivocabile espressione di nervosismo sul viso.

Un piccolo desiderio di vendetta si impossessò di me.

Presi i libri dall’armadietto, lo richiusi e sorrisi sadica. “Passata una bella notte di fuoco, Taubenfeld?”

Al sentire la mia voce, le sue spalle si irrigidirono e i suoi occhi si spalancarono.

Spostò lo sguardo su di me e tutta la sua tensione si sciolse in un sorriso. Il problema, però, era che sembrava più sadico del mio. “Tu, invece, ti sei data al taglio di lametta, Lavigne?” e fece un cenno del capo, indicando il piccolo taglio ancora rosso sulla mano.

Brutto stronzo, figlio di…

Lo superai ed andai dritta in aula.

L’ultima cosa che quel verme si meritava era di avere la soddisfazione di ricevere una mia risposta.

***

Salve a tutti.

Allora, ho da dirvi due cosucce.

La prima: ancora una volta, scusatemi per il ritardo con cui sto aggiornando. Ho cercato di fare il prima possibile, e non so se sia venuto fuori un capitolo leggibile.

La seconda è che… se vi siete chiesti (ma dubito) che fine abbia fatto la fanfiction “Remember Me”, devo dirvi che l’ho cancellata.

Alcune cose e alcune persone mi hanno fatto capire che non ce la facevo, e quindi ho preferito concentrarmi solo su questa.

Bene, ho finito.

Al prossimo capitolo ^-^

Cruel Heart.

   
 
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