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Autore: alliejwatson    07/01/2014    0 recensioni
Sono passati quattro lunghi anni da quando Caroline “Carrie” Warman ha abbandonato la sua famiglia ed è scappata a Los Angeles. Carrie appartiene a una delle famiglie di lupi mannari più importanti della Scozia, ma si sente inadatta a quella vita e vuole in tutti modi cancellare quella parte di sé ed essere normale come tutti i ragazzi della sua età: diplomarsi, avere degli amici e vivere una vita che non abbia nulla a che fare con la licantropia.
In Scozia, oltre che la famiglia, ha lasciato anche Matthew, l’unico ragazzo che sembra veramente interessato a lei e che la ama come nessun altro, ma lei sembra voler rinnegare i suoi sentimenti per lui.
Un sera però al college dove si trova Carrie, si presenta la sua vecchia fiamma, Matthew, che le dice di dover tornare a casa: sua padre l'ha convocata. Sembra che un pericolo sia in agguato nell'oscurità, e che ha già fatto delle vittime.
Ora Carrie è obbligata a tornare in Scozia e scoprire cosa sta succedendo.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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SEGNI NELL’OSCURITA’








3. L’Arrivo
 
Non mi resi neanche conto che gli Stranieri mi avevano tirata fuori dall’auto. Cercavo solo di vedere come stava Mat.
«Allora, Piccina» mi chiamò uno degli Stranieri, probabilmente il capo «ora che siamo soli, ci possiamo divertire, non è vero?».
Capii subito a cosa mirava, quel sudicio Straniero. Voleva soltanto divertirsi. Le femmine, come ho già detto, erano poche nei branchi, e quindi capitava molto spesso trovarsi in difficoltà con dei lupi mannari simili.
Ringhiai.
Non è il momento, pensai.
Non avevo né tempo, né voglia di scocciatori.
Oltrepassai con lo sguardo l’alta figura che mi copriva la visuale e guardai oltre, sperando di vedere ciò che stavano facendo a Mat: vidi  il suo corpo inerme trascinato da due Stranieri che cercavano di caricarlo nel bagagliaio di una macchina.
«Non toccatelo!» gridai.
«Ah, sì?» fece il capo della banda «E sennò cosa ci fai?» rise alitandomi addosso.
Il suo alito sapeva di vomito e whisky. Era ubriaco fradicio.
«Su ragazzi» intimò agli altri voltandosi, «Sbrigatevi a portalo via. Mi voglio divertire con la Picc-», ma venne interrotto da un mio calcio.
Nel momento in cui si era girato, ero riuscita a liberare una gamba dalla corda che mi avvolgeva i piedi.
«Piccina a chi, stronzo?» gli gridai in viso.
Il calcio era stato proprio sui suoi gioiellini e gemette a lungo, per poi cadere a terra sfinito.
Gli altri membri del suo gruppo avevano assistito alla scena e presto mi trovai addosso tre di loro.
Mi misi in posizione di attacco.
Anche se non mi trasformai, ero comunque in grado di proteggermi poiché quando ero bambina mio padre mi iscrisse un corso di karate.
Uno dei tre prese un’altra corda e cercò di legarmi nuovamente, ma senza successo, perché venne scaraventato addosso al tetto dell’auto.
Un altro decise di trasformarsi e con questo fu più dura, ma alla fine misi al tappeto anche lui.
L’ultimo, che aveva messo Mat nel bagagliaio, non riuscii a batterlo. Era forte. Troppo forte. Era forte quasi quanto Matthew.
 Gemetti, quando mi prese il braccio e me lo avvolse dietro alla schiena. Ero in trappola. Adesso era lui ad avere il controllo della sitazione.
«Lasciami!» urlai.
«Ora la Piccina ha male» rise sguaiatamente lui.
Mi leccò l’orecchio e io gli sputai addosso rabbiosa.
«Non toccarmi, bastardo!» ringhiai furente.
Lo Straniero si incazzò e mi sbatté sul cofano della macchina. Mi salì sopra e prese a leccarmi.
«Lasciami!» urlai, ma era inutile. Continuava senza sosta.
Persi le speranze quando sentii la mia zip dei jeans scendere.
Ma subito dopo quel rumore il bagagliaio si ruppe e ne uscì fuori Mat, più che incazzato.
Lo Straniero si accorse di avere Mat alle spalle quando ormai gli respirava addosso, quindi non seppe difendersi, sennò molto probabilmente sarebbe stato in grado di rimettere Matthew al tappeto.
«Hai sentito che ha detto?» urlò livido di rabbia,Mat «Lasciala stare!»
Lo Straniero lo guardò e cerco di scappare, invano però, perché Mat lo uccise a sangue.
Quando aveva fatto fuori tutti, venne verso di me e mi aiutò ad alzarmi.
Ero sotto shock. Non mi era mai capitato che qualcuno cercasse di violentarmi. Questa era la prima volta.
Delle lacrime mi scesero lungo le guance, ma vennero raccolte da Mat, che mi stava a fianco.
«Stai bene?» mi chiese.
Annuii e quando incontrai i suoi occhi mi buttai addosso a lui, piangendo.
«Tranquilla» mi intimò, «E’ tutto finito».
Mi feci coccolare dal calore del suo corpo.
Quando mi tranquillizzai mi fece caprie che dovevamo andare. Eravamo già in ritardo: avrebbe preso una sgridata da mio padre per colpa mia.
«Andiamo» disse lui, alzandosi.
Annuii e salii in macchina.
Ingranò la prima e partì.
Quando entrammo in autostrada cominciai a parlare: «Scusa»
Mat si voltò sorpreso verso di me. «Perché ti scusi?»
«Per colpa mia ci siamo fermati, troppo. E per colpa mia quegli Stranieri ci hanno attaccati. E’ per quello che mi scuso. Mi scuso anche perché quattro anni fa ti ho lasciato senza dirti niente. Mi scuso per esistere, ecco!» gridai con le lacrime agli occhi, ancora sotto shock.
Mat mi tappò la bocca. «Non devi scusarti di niente. Sei bella e molti se ne accorgono e per prima la colpa è mia, che non ho ascoltato il tuo sesto senso. Scusami anche perchè non sono riuscito a proteggerti».
«Ma…» replicai, ma venni interrotta.
«E per quanto riguarda tuo padre… Me la caverò».
Gli sorrisi, riconoscente.
«Grazie»
 
***
 
Per arrivare all’aeroporto di Los Angeles non ci mettemmo molto, ma siccome io ero molto stanca, rallentai ancora di più il viaggio.
Dormii a lungo in aereo, e sapevo che Mat avrebbe fatto la guardia tutta la notte. In fondo ero la Principessa della Nuova Stirpe, quindi ero preziosa per la mia famiglia. Ed era anche per questo che mio padre mi voleva vicino a lui.
La mattina seguente quando mi svegliai, mi trovai appoggiata a Mat, il quale dormiva profondamente.
Lo studiai e vidi la sua pelle chiara e i suo bellissimi capelli castani che brillavano al sole. Notai anche il suo naso perfetto e i denti aguzzi, ma bianchi.
«Perché mi stai fissando?» domandò Mat, aprendo l’occhio destro.
Arrossii violentemente, spostando immediatamente lo sguardo da un’altra parte.
«Carrie, perché mi fissavi?» chiese con la voce ancora impastata dal sonno.
«Sai Mat, ho notato che hai delle rughe. Si vede che sei invecchiato» mormorai.
Sorrise studiandomi con attenzione ogni particolare del volto. «Carrie, mi mancavano le tue stupide battutine».
Risi.
«Signori e signore, tra pochi minuti l’aereo atterrerà all’aeroporto di Edimburgo» annunciò la voce meccanica.
«Allacciamoci la cintura» affermò Mat.
Mi allacciai la cintura stringendola più che potevo: non amavo gli aerei.
L’aereo atterrò in orario a Edimburgo e trovammo Albert fuori dall’aeroporto.
Non feci i salti di gioia, né gli corsi incontro ridendo: ci limitammo entrambi a un “ciao”.
Con Albert i rapporti non erano mai stati dei migliori. Quando ero bambina lo odiavo proprio e lo chiamavo Cuore di Pietra. Non lo avevo mai visto né sorridere, né piangere. Era sempre con il muso duro e gli occhi inespressivi.
«Papà ci sta aspettando» ci disse soltanto.
Mat ed io salimmo in macchina, con Albert alla guida.
Ci mettemmo circa un’ora e mezza per arrivare alla nostra villa fuori città, anche se prima di essere una villa era stato un castello.
Quando arrivammo sorrisi. Per la prima volta mi sentivo a casa.
Ma veramente a casa.
Scesi dalla macchina e mi investì quel profumo famigliare: quell’odore di fiori, misto al profumo di una crostata.
Scesi dall’auto e dovetti frenare la mia voglia di correre verso la porta.
Finalmente a casa.
Vidi mia madre uscire dalla porta principale e mettersi una mano in fronte, per ripararsi gli occhi dal sole. Non appena mi riconobbe, aprì le braccia ed io le corsi incontro.
Erano anni che non la vedevo, ma in sua presenza mi sentivo ancora una bambina di dieci anni. Era come se mia madre in quel momento fosse tutto il mio mondo.
Negli anni era invecchiata: si notavano un po’ di capelli grigi sparsi qua e là nella folta chioma e nuove rughe che le solcavano il viso. Era invecchiata abbastanza in quattro anni.
«Mi sei mancata, piccola mia» mi sussurrò all’orecchio destro, tenendomi stretta contro il suo petto.
«Anche tu mamma. Mi sei mancata, molto» ammisi con le lacrime agli occhi per la felicità.
Dopo qualche secondo di pace, ecco spuntare da dietro le fragili spalle di mia madre, mio fratello Tom. Appena mi vide spalancò le braccia e mi spettinò tutti i capelli.
«E’ arrivata la nostra Attaccabrighe» rise.
«Dai,» sogghignò mia madre, «così la spettini tutta!»
«Vabbè,» disse mio fratello «tanto non è mica pettinata!»
Sorrisi.
Mia madre, Marion, ci fece accomodare in casa e ci preparò una tazza di the, tipicamente inglese.
«Allora, Mat» cominciò mia mamma «perché avete fatto così tanto tardi?»
Raggelai.
Se Mat avesse detto che eravamo stati attaccati da degli Stranieri probabilmente avrebbe perso il suo posto nelle grazie di mio padre e poiché era stata principalmente colpa mia, dovevo immediatamente trovare una soluzione.
«Bhè, vede signora Warman-» cominciò, ma venne interrotto dal rumore della mia tazzina che andò in mille pezzi.
L’avevo fatto apposta a farla cadere, per evitare che Mat raccontasse tutto.
«Oh, cielo!» esclamò mia madre «Carrie, sei appena arrivata e fai già dei danni?».
Così si alzò e andò in cucina, accompagnata da mio fratello. Prese una spugnetta e poi si voltò per tornare in soggiorno, ma proprio in quell’istante mi avvinghiai addosso a Matthew, premendo le mie labbra contro le sue.
In quel momento non riuscivo a pensare, così mi arresi al primo impulso: almeno lo avrebbe zittito per qualche minuto.
Mat all’inizio fu sorpreso, ma poi ricambiò il bacio con intensità. All’inizio fu a mala pena un bacio, ma poi crebbe diventando intenso e profondo. Diciamo che non l’avrei mai ammesso, ma quel bacio mi piacque.
Quando ci staccammo per riprendere fiato lo fissai a lungo negli occhi, come in trance, e non mi sfiorò neanche l’idea di spostare la mia mano dalla sua guancia, morbida e ispida allo stesso tempo.
In quegli anni che erano passati Mat era rimasto lo stesso. Soprattutto dentro. Lo spavaldo fuori, ma dentro era dolce.
«Mamma!» gridò Tom che vide svenire mia madre.
«Oh cielo!» esclamai correndo verso di lei, «Mamma, tutto bene?»
Le nostre voci vennero sentite da mio padre che si trovava nel suo studio e corse immediatamente verso di noi.
«Marion!» la chiamò, ma niente. Era proprio svenuta. «Che è successo?» chiese guardandosi intorno.
Prima posò lo sguardo su Tom, che guardò Mat, il quale fissò me. Così lo sguardo gelido di mio padre si posò, infine, su di me.
Traditori, pensai.
«Ehm» bofonchiai.
Mio padre, Martin, capì che in quel istante era successo qualcosa di insolito, e così gridò: «Carrie, nel mio ufficio!».
Quando ero bambina ero la preferita di mio padre, poiché ero l’unica femmina e anche più piccola dei miei fratelli. Amavo stare nel suo ufficio, nel quale ci dormivo notte e giorno. Ricordo ancora quella sua grande poltrona di pelle nera. Era lì che dormivo, accompagnata dalle sue parole di storie avvincenti.
Però in quel momento non percepivo più quella sensazione di piacere, anzi, mi metteva quasi timore.
Quando entrai mi sedetti nella sedia, accanto alla scrivania di mio padre e notai che sopra di quest’ultima c’era una mia foto. Sorridevo. Ero distesa in un prato di fiori.
In quel momento ebbi un flashback: ero piccola, avevo circa sei anni, e mio padre mi portava sempre sopra quella collina, vicino casa nostra. Mi portava tutti i giorni lì. Con il sole, ma anche con la pioggia o la neve. Lì era stato seppellito Peter il Grande.
Magari a voi quel nome non dice niente, ma per la storia dei Licantropi fu molto importante. Fu colui che ci liberò dai Succhia Sangue, dai vampiri.
I vampiri - chiamati così dagli esseri umani – sono uno dei nostri peggiori nemici. Sono brutali e cattivi, ma anche molto intelligenti. Non esistono i vampiri “vegetariani”, come qualche mito racconta. Esistono solo quelli che ti staccano la carne a morsi. Quelli che uccidono bambini innocenti e trasformano i genitori dei figli per farli uccidere da loro stessi. Nella mia vita non ne avevo mai incontrato uno perché si tengono molto lontani dalle nostre terre, poichè faccio parte di una delle famiglie più potenti del mondo, anche se a volte capita che un Inesperto – cioè un vampiro trasformato da poco – si avvicini al nostro territorio, però a volte capita quale scontro in cui vampiri e licantropi si sfidino. Sono rari, ma sono capitati nella nostra storia.
Ricordo che una volta mio padre mi disse che per noi licantropi è facile uccidere un vampiro, mentre per loro è molto più difficile, però se quest’ultimo attacca con un branco un licantropo solitario, è facile che questi riescano ad ucciderlo.
Questo Peter il Grande ne sterminò moltissimi e viene addirittura venerato come un Dio.
«Allora, perché l’hai baciato?» chiese mio padre sedendosi sulla sedia con fare tranquillo.
Un pregio di mio padre è che non ha peli sulla lingua ed è sincero e diretto, anche se a volte la sua schiettezza mette in soggezione ed imbarazzo molte persone. Ovviamente, tranne me, che rispondo a tono.
«Perché mi piace» risposi semplicemente, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
«Ma se eri scappata da lui!» esclamò freddo lui, incominciando a innervosirsi.
«Le persone possono cambiare. Tutto può cambiare, giusto?» mormorai, con un sorrisetto trionfante sulle labbra. Avevo lasciato mio padre senza parole. Non capitava spesso, e quando accadeva per mano mia amavo quella sensazione di vittoria che si instaurava in me.
«Bhè,» disse lui per cambiare discorso «come va con lo studio?»
«Perché lo vuoi sapere? Avevi detto che non mi avresti più chiesto niente»
«Le persone possono cambiare. Tutto può cambiare, giusto?» sorrise lui con un’espressione di vittoria sul volto.
Digrignai i denti.
Odiavo non avere l’ultima parola.
Mi concentrai sul vaso che stava accanto a mio padre. Conteneva dei fiori: tulipani, mi parse. Erano profumati e perfetti sopra quel vecchio mobile.
«Allora?» domandò lui «Che cosa è successo veramente?»
Cercai nuovamente uno scusante, ma capii che mio padre mi avrebbe di certo scoperta.
«Durante il tragitto per arrivare all'aeroporto c'è stato un imprevisto» confessai.
«Su questo non c'era il minimo dubbio. Ma cosa è successo?»
Non volevo dire la verità. Non volevo che Mat pagasse per una mia colpa, così mi feci coraggio e dissi: «Ma papà, insomma! Non ti facevo così babbeo!» esclamai «Lo puoi capire!»
«Capire che cosa?» domandò sempre più livido di rabbia ad ogni parola che dicevo.
Cosa mi invento?
«Mat ed io ci siamo fermati in albergo» mormorai automaticamente senza pensare a ciò che dicevo e alle conseguenze che poi avrebbe portato.
«A fare?» mi incalzò lui, chiese incuriosito.
«Ma che cavolo, papà!» urlai. «Non capisci che siamo andati a letto insieme?», mi morsi la lingua. L’avevo detta grossa stavolta. Non so perché, ma non volevo a tutti i costi che Mat se ne andasse. Gli volevo bene, anche se la maggior parte del tempo non lo dimostravo.
Mio padre rimase a bocca aperta inizialmente, dopo poco però sorrise vittorioso.
«Quindi non avrai obbiezioni se vi presento alla famiglia come i futuri sposi, giusto??» chiese.
Raggelai.
Futuri sposi?
Non volevo sposarmi, volevo avere la mia indipendenza, la mia vita e infatti quando sentii quelle parole uscire dalla bocca di mio padre, dentro di me presi a gridare più forte che potevo, anche se dissi con finto entusiasmo: «Certo».
Fantastico. Sposata.
Non mi ci vedevo con un anello al dito e tutta vestita di bianco.
Però non avevo scelta.
Rimasi incantata per un po' sul vaso di tulipani, ne presi uno e lo portai sotto il naso.
«Va benissimo, per me» ripetei, più per accertare me che lui.
Chiusi gli occhi e per un attimo riuscii a vedermi con un abito bianco da sposa addosso. Nella mia testa avevo il vestito da sposa più bello di tutti i tempi e camminavo verso l'altare con le scarpe bianche con il tacco che mi facevano male, ma non me ne importava perché ero felice ed emozionata. Davanti a me c'era Mat, più bello che mai dentro il suo smoking nero e mi sorrideva, tutto felice. Eravamo felici.
Guardavo gli invitati e sorridevo a Mat, che aveva accanto Sarah.
A quella vista mi fermai.
Sarah era morta. Era un cadavere. Non ci sarebbe stata al mio matrimonio, come me al suo. Avrei voluto non essermi mai arrabbiata con lei. Vorrei essere andata al suo matrimonio e averle tirato il riso sull'abito mentre usciva dalla chiesa.
Tornai alla realtà toccata da una mano morbida e sicura.
Aprii gli occhi e mi accorsi di essermi addormentata sulla poltrona nera.
Ma quand'è che mi sono addormentata?, pensai.
Misi a fuoco la stanza e notai due occhi verdi sorridenti che mi guardavano.
«Mat?» mormorai con voce roca.
«Shh» mi intimò dolcemente lui mentre con gesti dolci e lenti mi accarezzava la testa.
«Che succede?» domandai cercando di alzarmi dalla poltrona, ma Mat me lo impedì e mi rifece mettere stesa.
«Ti sei addormentata dopo il discorso con tuo padre» disse.
«Con mio padre?» e finite quelle parole mi tornò tutto in mente. «Il discorso!» mormorai sbattendo una mano sulla mia fronte.
«Mi ha detto che ci sposeremo e che, questa volta la decisione l'hai presa tu» disse mentre la confusione prendeva forma sul suo viso.
Annuii per confermare ciò che aveva appena detto.
«Perchè Carrie?» domandò, «Perchè?»
«Perchè non voglio che tu venga licenziato e mandato via»
«Non voglio che tu mi sposi solo per questo!» gridò rosso in volto, «Voglio la tua felicità, non un tuo sacrificio. Mi licenzierà tuo padre? Non importa. Me ne dovrò andare dal paese? Non importa se tu sarai felice»
«Ma io sono più felice quando ci sei tu»
Silenzio.
«Tu non sai quello che stai facendo» mi sgridò confuso e arrabbiato allo stesso tempo. «Sai che significa stare con un compagno per tutta la vita? Tu stai sacrificando la tua vita per me ed io non voglio in nessuno modo che tu lo faccia. Se non sarai tu a dirlo a tuo padre, lo farò io».
Mi feci piccola accanto a lui. «Non voglio che tu te ne vada» ammisi tristemente.
«Smettila, Carrie!» si staccò da me bruscamente, sempre più frustrato.
«Dillo a tuo padre che non mi vuoi» gridò, alzando sempre più la voce.
Mi alzai dal divano come lui, cercando di farlo ragionare e di fargli capire che era la cosa giusta da fare.
Adesso, per la prima volta avevo paura; paura che lui se ne andasse lasciandomi in quella casa; paura che lui venisse ucciso dal gruppo di lupi mannari che avevano ucciso Sarah; paura di non rivederlo.
«Ti prego, smettila» sussurrai con voce da pianto.
«No» disse freddo, «Carrie voglio che tu sia felice. So che in realtà non provi niente per me. Forse un po' di affetto fraterno, ma nulla di più»
«Non è vero!» esclamai con le lacrime agli occhi.
«Invece sì, quindi domani mattina lo dirai a tuo padre, capito?»
Alla fine annuii, sconfitta.
«Lo farò» dissi.
«Promettilo» sibilò.
«Promesso»
Così incazzato nero, uscì dallo studio – che fortunatamente aveva i muri insonorizzati - e scomparve nel buio.
Stanca e arrabbiata tornai, dopo tanto tempo, in camera mia. Mi buttai sul letto frustrata e scoppiai in lacrime, cercando di non farmi sentire da i miei famigliari che avevano le camere poco più in là della mia.



NOTE DELL'AUTORE:

Mi dispiace tanto per il ritardo ragazzi. Scusate davvero, è che mi sono goduta per bene le vacanze e poi sono stata dalla nonna, ma lì il capitolo non si apriva, così ho potuto pubblicarlo solo ora. Bhè, meglio ora che mai, giusto?
Comunque vi ringrazio davvero per il supporto che mi state dando: sono commossa. Siete pochi che mi seguono, ma buoni.

Grazie davvero. :33
Vi ricordo di mettere 'mi piace' alla mia pagina Facebook dedicata a questo romanzo, per avere più informazioni riguardo ai personaggi, foto, ma anche le date delle prossime pubblicazioni! Seguitela, non ve ne pentirete :)
   
 
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