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Autore: indiceindaco    10/01/2014    5 recensioni
Quando cala il sipario, ed il pubblico abbandona le poltroncine in velluto rosso, ed il brusio della gente si fa fioco, sempre più fioco, cosa succede dietro le quinte? Ad ormai quattro anni dall'uscita dell'ultimo libro, dall'ultima pagina voltata con emozione, aspettativa, malinconia, da quell'ultima frase che ha commosso tutti, nel bene e nel male. Il sipario è calato, il teatro è già stato ripulito, eppure no, non è finita qui.
Harry, Ron ed Hermione, ancora insieme si trovano ad affrontare la vita, quella vera, quella oltre le quinte di scena. E tanti cambiamenti si prospettano all'orizzonte. Scelte da prendere, scelte da rimandare, scelte in cui perdersi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Draco/Harry, Remus/Sirius, Ron/Hermione
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
Capitoli:
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XVII. Un uragano in un bicchiere
 
“Confusion never stops,
Closing walls and ticking clocks.
[…]
Am I a part of the cure?
Or am I part of the disease?”
Clocks,
Coldplay.
 
 
Harry guardò la pendola che rintoccava la mezzanotte, lì nel suo salotto. Cercò di non badarci tentando senza successo di seguire il monologo di Neville sulle numerose qualità del Bubotubero.
-Sto cercando di usare il pus di un giovanissimo esemplare per ricavarne un unguento che…
L’appassionato discorso di Neville non arrivava però alle orecchie di Harry, che stava per l’ennesima volta inseguendo i propri pensieri.
Il litigio con Hermione, lo aveva infastidito. Avrebbe dovuto provare dispiacere, sentirsi in colpa, immaginò. Ma proprio non gli riusciva, e si era anzi insinuato in lui quel fastidio sonnolento, per l’ostinazione dell’amica nel cercare risposte che Harry avrebbe preferito non porsi.
D’altra parte non aveva smesso di pensare alle parole della Parkinson, che senza un perché sembrava avergli regalato un ritratto dettagliato di Malfoy e di quel suo caratteraccio.
E come sempre, costante sgradita della sua mente, Malfoy.
Quell’impossibile lunatico arrogante. Ad Harry prudevano le mani nel riportare agli occhi quel suo modo di fare, eccessivamente distaccato ad ogni costo, superiore, sprezzante. Eppure non dimenticava come riuscisse a cambiare completamente, quando in torno non erano presenti altri spettatori. Sembrava che Malfoy si ostinasse a mantenere le distanze fra loro, sottolineando questa sua necessita anche a parole, per poi far tutto l’opposto. Harry se lo vedeva ronzare intorno continuamente, ma non credeva fosse intenzionale, così come era consapevole di comportarsi alla stessa maniera. Certo, lui non aveva bisogno di indossare nessuna maschera, e si era sforzato di essere sincero con lui. Non sapeva bene da quando il detestare cordialmente Malfoy si fosse trasformato in un andarsi tacitamente a genio. Forse era aver scorto qualcosa d’inaspettato in lui, che sembrava essere così bravo a sorprenderlo. Come quella volta che era piombato a casa di Harry per insegnargli a preparare l’antidoto, o come quando lo aveva invitato a pranzo, o persino quando erano rientrati quella sera dal Gatto Nero, passeggiando come amici di vecchia data. Malfoy gli riservava sempre le sue battutine acide, ma non c’era traccia del colossale stronzo che Harry aveva avuto il dispiacere di conoscere, non in quelle occasioni. Proprio non sapeva spiegarselo. Malfoy era senza dubbio in lotta con se stesso: da una parte sembrava voler istaurare un rapporto con lui, dall’altra dava l’impressione di desiderare tutto il contrario. Di certo la coerenza non era tra le sue prerogative. Il fatto che ci fosse di mezzo proprio lui, Harry Potter, non doveva avergli facilitato le cose. Ma pur di annichilire quel groviglio di confusione nella sua testa, Harry, sarebbe stato ben di sposto a mettere una pietra sopra al passato ed anche ai recenti avvenimenti. Non se ne parlava neanche, si disse, con Malfoy non funzionava così. Un’ammissione del genere avrebbe potuto farlo risentire ancora di più.
Harry si massaggiò la nuca, annuendo a Neville, ma non avendo la minima idea di ciò che stesse dicendo.
E in ultimo, ma non meno importante, stava pensando il padrone di casa, c’era una questione ancora più ingarbugliata. Cercò di affrontarla alla lontana, analizzando se stesso e l’atteggiamento dell’altro.
La sensazione di toccare Malfoy era stata per lui disorientante, per non dire sconvolgente. Harry aveva sentito una certa familiarità, accompagnata dall’imbarazzata intimità di un gesto più che semplice. Quante volte gli era capitato di stringere il braccio a Ron? Quante volte aveva toccato Hermione?
Cosa poteva esserci di diverso?
La sensazione s’insinuò prepotentemente in lui. Era stato un fulmine a ciel sereno, una scossa elettrica, un’iniezione di adrenalina e l’inciampo di qualsiasi forma di ragionamento logico. Non aveva mai provato niente di simile, niente che fosse riuscito a turbarlo così in profondità. E non era rabbia, non era paura, non era neppure temerarietà. Per quanto si sforzasse, Harry, un nome a quello spillo caldo nello stomaco, non sapeva darlo.
Si era sentito talmente dissestato da quell’attimo di lucida e piacevole impressione che il contatto aveva generato, da non riuscire a dargli un nome. Poteva solo accostare quella a situazione ad una sensazione che aveva generato in lui la stessa emozione intensamente disconnessa dal mondo che lo circondava. Era il ricordo del vento che gli sussurrava sulla pelle, mentre volava sulla sua scopa. Era l’ebrezza di trovarsi a metri da terra, libero di vagare. Erano i polmoni pieni di aria rarefatta. Ed era l’entusiasmo di sfrecciare a tutta velocità, che scompigliando ancora di più quei suoi capelli impossibili, riscriveva l’ordine dei suoi organi interni e che gli cacciava il cuore sulle labbra e la mente sotto le suole.
-Harry, amico. Hermione non si sente molto bene…- la voce di Ron lo raggiunse, titubante.
-Io credo che…Insomma, il fatto è che ha bevuto troppo, è meglio se l’accompagno a casa.
Harry si riscosse dai propri pensieri, guardando l’espressione preoccupata del suo migliore amico, che adesso affiancava Neville.
Hermione ubriaca, fantastico, si disse Harry. Adesso il senso di colpa iniziava a punzecchiarlo, repentino.
-Cavolo Ron…- disse, con un sincero dispiacere nella voce :- Posso fare, non so, qualcosa…?
Ron gli sorrise timidamente e mettendogli una mano sulla spalla disse:
-Non preoccuparti, Harry. È la mia ragazza, ci penso io…
Le parole di Ron gli lasciarono intendere quanto fosse poco utile il suo aiuto in quel momento, dato che Hermione si trovava in quelle condizioni proprio a causa sua. Harry maledì quel suo essere stato così superficiale ed insensibile verso Hermione.
-Potresti, ehm…accompagnarci alla porta, che ne dici?
Era evidente che Ron non sapeva bene come comportarsi, mentre dissimulava la sua apprensione.
Harry si limitò ad annuire e facendo un cenno a Neville, che per tutto il tempo li aveva guardati con aria grave, seguì Ron fino alla base delle scale.
Lì, i capelli scompigliati e l’ombra del trucco sbavato, Hermione si appoggiava a Dean e Seamus, proferendo scuse biascicate e sconnesse.
-Va tutto bene, Hermione! Seamus si è trovato in condizioni peggiori di queste, sai? Lui è irlandese, potrai ben immaginare,- stava dicendo Dean reggendo la ragazza per un braccio, mentre Seamus se la rideva gaio, -Guarda Herm! Arrivano Ron ed Harry!
-Mandatelo via! Non voglio neanche guardarlo in faccia!- esplose Hermione, trattenendo un singhiozzo.
-Ehi, dì un po’ Ron…sei stato precipitoso, eh?- scherzò Seamus, allusivo, ma fraintendendo completamente .
Ron arrossì violentemente, prima di passare un braccio intorno alla vita di Hermione.
-Seamus, sarà meglio dare una mano al vecchio Ron-Ron, eh?- rincarò Dean, passandosi un braccio della ragazza sulle spalle, mentre Seamus continuava a ridere, probabilmente ubriaco quanto Hermione.
-G-grazie ragazzi…- balbettava Ron.
Harry, nel frattempo, guardava colpevole la sua migliore amica, incapace di proferir parola. Ad un cenno di Ron si decise a muoversi ed ad accompagnarli verso la porta.
Una volta lì salutò Seamus e Dean sforzandosi di fare un sorriso, e mentre Hermione sembrava stesse per liberarsi di tutto l’alcool ingerito, Ron velocemente spinse tutti fuori, liquidando Harry con un:
-Ci vediamo presto, eh, scusami Harry ma…
Harry si limitò ad annuire, afflitto, ma leggendo sulle labbra dell’amico un sorriso accomodante.
Quando chiuse la porta, vi si abbandonò contro, e si disse ad alta voce:
-Potter, sei un’idiota.
La sua voce gli ricordò tremendamente quella di qualcun altro.
 
***
“How was I so blind to miss you clumbling inside?
Is it too late how to fix you? […]
‘Cause there’ll be no sun on sunday
No reason for words to rhyme.”
Sun on Sunday,
James Blunt
 
Le sembrava di essere ferma allo stesso punto, nonostante stesse correndo via dalla calca della Sala Grande. I piedi scalzi, i capelli scarmigliati, il corsetto e il tulle della gonna in disordine, ma quella sensazione di bruciore all’altezza del cuore che non la lasciava. Le pareva di correre e di non riuscire a raggiungere gli enormi battenti che l’avrebbero salvata da tutto quello.
Ginny tirò il fiato solo quando riuscì ad abbandonarsi contro il legno antico e spesso della porta. Si accorse solo in quel momento di aver lasciato le scarpe all’interno, e le mancò la forza d’immergersi di nuovo in quell’atmosfera che tanto l’aveva allontanata da se stessa.
Incolpò prima quell’aria frizzante e leggera tipica delle feste, poi la musica che da ritmata era inspiegabilmente passata a qualcosa di intimo, infine ebbe il coraggio di dare la colpa a se stessa.
E qualcosa sembrò spezzarsi dentro di lei, riconoscendo il riflesso della lenta disfatta: in nessun altro posto avrebbe trovato il colpevole, se non allo specchio.
Sentì le lacrime bussare dietro agli occhi, ma non si permise di aprire. Corse ancora, trattenendo il fiato, come a punirsi, fino alle scale.
Mai prima di allora queste ultime sembravano essere state talmente placide e imperturbabili, mai prima di allora le avevano permesso di arrivare esattamente dove stava andando, non senza averla costretta in vicoli ciechi, mai le avevano consentito di andare dritto, senza guardarsi indietro, senza fermarsi.
Così Ginny non si accorse della ragazza, che preoccupata, la stava seguendo, proprio fino alla loro sala comune.
Di sotto, tutto continuava a scorrere impassibile: la musica continuava a suonare, gli studenti a ballare, ridere, divertirsi. E mentre il giovane Corvonero del settimo anno, smarrito, cercava le scarpe della ragazza che poco prima ballava con lui, tutto il resto del mondo continuava a ruotare.
Il novello principe di una Cenerentola, a suo dire, più che volubile, si ritrovò senza accorgersene affiancato da una sua compagna di casa, e non poté far a meno di inorridire. Lunatica Lovegood dava proprio l’impressione d’esser decisa a parlare con lui.
-Ginny non fa sempre così, sai? È tanto dolce e simpatica.
Robert provò a non guardarla come venisse da un altro pianeta, ci provò sul serio, ma quei suoi orecchini arancioni vorticanti erano un vero e proprio attentato.
-Io so cos’ha. Non ha ancora capito.- stava asserendo la ragazza con fare saputo.
-Capito cosa, scusa?- chiese il ragazzo, educatamente.
-Che siamo liberi, adesso. Ognuno di noi lo è. Non c’è più la guerra. Non ci sono più piani da seguire.- disse enigmatica Luna.
Robert strabuzzò gli occhi e inarcò un sopracciglio, il ché fece sentire in obbligo la ragazza, che disse con naturalezza:
-Io l’ho capito subito, sai? Non ci vuole poi molto…basta averle parlato una volta.- poi Luna fece una pausa e abbozzò un sorriso,–Ginevra Weasley crede di vivere in una favola. Ma l’eroe, adesso è una persona come tutti noi. Mentre lei è rimasta la principessa di sempre, e vuole vivere un sogno.
Qualcosa di quel discorso continuava nettamente a sfuggire al brillante Corvonero, che cominciò ad indispettirsi.
-Luna, guarda…non so di cosa tu stia parlando…- provò a dire, ma la frase che la ragazza, con un’alzata di spalle, disse subito dopo, lo colpì in faccia, con la stessa forza di uno schiantesimo.
-Harry si è svegliato. Lei dorme ancora.
Harry, pensò Robert, Harry Potter.
 
***
“You may be lost in more ways than one
But I have a feeling that it's more fun
Than knowing exactly where you are”
 
Keep On Walking,
Passenger.
 
Quando tornò in salotto, Harry scoprì piacevolmente come anche gli ultimi ospiti si stessero congedando, e dopo i saluti di rito e una pacca sulla spalla da parte di Jay che sorridendo gli disse:
-Domani si ricomincia, eh!
Fece per l’ennesima volta da spola tra il salone e l’ingresso, dove richiusa la porta, si permise di tirare un sospiro di sollievo.
Contrariamente a qualsiasi previsione pareva essere sopravvissuto anche a quella, certo non senza danni, mentre raccattava bicchieri e piatti sporchi e vuoti, non poté far a meno di sentirsi un po’ come loro.
La sua insensibilità aveva ferito Hermione, portandola a eccedere e a sentirsi male. E non aveva neppure tentato di trovare le parole per rassicurarla, per dirle che no, non voleva allontanarsi da loro, o che loro si allontanassero. Le parole di Hermione erano ancora più plausibili adesso che le riportava alla mente. Era stato un’idiota, vuoto insensibile e sporco bugiardo. Non era riuscito ad ammettere, con se stesso e con i suoi migliori amici, la verità: aveva eretto un muro, di modo che loro non l’oltrepassassero. Ma il perché, quello sfuggiva pure a lui.
Eppure, invece di rincorrere Ron ed Hermione e dirgli che gli dispiaceva, stava lì a far lievitare piatti e bicchieri, e stoffa per radunarli e portarli in cucina. Sistemare quel campo di battaglia lo avrebbe calmato, lo avrebbe rilassato. Ricomporre i pezzi, ritornare all’inizio, far sparire le macchie, scrostare i residui di cibo e lucidare i fondi dei bicchieri, quello gli avrebbe dato una parvenza di stabilità. Avrebbe continuato a prendersi in giro, certo, ma era sempre meglio di sentirsi incapaci di andare fino in fondo, e di trovare risposte a domande che non sembravano neppure essere state poste.
Cosa era successo? Perché aveva allontanato Ron ed Herm?
Cosa ne era di Ginny e delle lettere che avevano promesso di scriversi? Neppure lei, dopo quella strilettera, gli aveva più scritto.
E poi, le parole della Parkinson e quel modo di fare, amichevole, di Zabini, cosa significavano?
Troppe domande, punti interrogativi, nella sua mente, che desiderava più di ogni altra cosa dei punti fermi.
E Malfoy, dannatissimo Malfoy. Perché i duelli rancorosi, l’odio palese aveva dovuto evaporare e lasciare posto a quella piattezza della superficie, e cosa ribolliva sotto a quest’ultima?
Da quando il toccare Malfoy era per lui sinonimo di confusione e turbamento profondo, e perché?
Impilare i bicchieri e i piatti, l’uno dentro l’altro, meccanicamente, con la bacchetta e lo sguardo perso nel vuoto, quello poteva farlo. Trovare risposte no, avrebbe significato infrangere le stoviglie, strappare la stoffa, sporcare il pavimento. Ed Harry non lo avrebbe sopportato, non in quel momento, non mentre si sentiva soffocare dalla frustrazione e dalla costrizione alla staticità. Da qualsiasi punto la guardasse, si trovava sempre immobile, incapace di compiere qualsiasi passo, che fosse avanti, che fosse indietro.
Allora facendo vibrare la bacchetta a mezz’aria e seguito da un tintinnare di porcellana, vetro ed argento si diresse in cucina, ancora turbato da quella sgradevole sensazione.
Una morsa gli chiuse lo stomaco, la gola e il cuore, quando si ritrovò di fronte ad un paio d’occhi d’argento, con un’espressione di vetro, su della pelle di porcellana.
Tutto andò in pezzi.
-E tu che ci fai ancora qui?
 
***
“I came home
Like a stone
And I fell heavy into your arms.
These days of dust,
Which we've known,
Will blow away with this new sun”
 
Nothing is written,
Mumford&Sons.
 
-Eccoci, qui!- disse Ron dolcemente, richiudendo la porta dell’appartamento dietro di sé.
Hermione, con un sospiro si sfilò le scarpe e si lasciò cadere sul divano color crema, poi si distese scompostamente, mugugnando.
-T-ti senti meglio?- chiese Ron guardandola apprensivo.
La sua ragazza aveva i capelli scarmigliati, le guance arrossate, una mano abbandonata sullo stomaco ed un braccio a coprirsi gli occhi.
Il suo bel vestito blu era tutto stropicciato e nel gettarsi senza riguardo sul divano, le era risalito fino a metà coscia, e anche qualche bottoncino era scappato alla propria asola.
Ron deglutì rumorosamente e distolse lo sguardo, prima di poter aver il tempo arrossire.
-Mi gira un po’ la testa…ma credo sia normale. Basterà prendere una pozione anti-sbornia, vedrai…- disse la ragazza, dopo dieci minuti buoni, con la bocca impastata e un tono sommesso.
Ron con un incantesimo d’appello richiamò a sé una coperta e la pozione. Poi coprì Hermione amorevolmente, sorridendo, e lasciò la boccetta sul tavolino in noce accanto al divano.
L’appartamento della sua ragazza era raccolto ed accogliente, ovunque erano sparsi quadri di pittori babbani e tappeti dai colori decisi che contrastavano con il tenue candore delle pareti. Ron ricordò con calore quando, solo qualche mese prima, lui ed Harry avevano aiutato Hermione con il trasloco. La giovane apprendista medimago pensava fosse necessario “uscire dal nido” ed iniziare ad essere più indipendente. I genitori, conoscendo la figlia, avevano accolto la decisone come il segno del grande senso di responsabilità che permeava quella che per loro sarebbe sempre rimasta la loro bambina.
A quel ricordo, Ron, si rattristò un poco, pensando a quanto le cose fossero ormai cambiate. Hermione sembrò leggergli nella mente, perché, non senza qualche tentennamento, riuscì a dire:
-Pensi anche tu che Harry si sia allontanato.
Non era una domanda, si accorse subito dopo Ron. Hermione affermava con certezza ciò che diceva, era sempre stata così. Se ci fosse stato qualcosa di cui era anche solo incerta, subito lavorava sodo per rimediare, piuttosto che dirlo senza averne fondamento. Sì, Ron lo aveva pensato, ma aveva relegato quell’impressione ad un momento passeggero. Forse, pensò, non lo era.
-Credo che sia anche colpa nostra…- aveva bisbigliato debolmente la ragazza, come temesse di dirlo. Ron si accoccolò ai piedi del divano e le carezzò dolcemente la fronte, supponendo che fosse l’alcool a parlare e deciso a lasciarla fare.
-Io e te…da quando, insomma, beh…da quando stiamo insieme, lo abbiamo escluso. Deve essersi sentito ferito…Io…- ma la sua voce venne spezzata da un singhiozzo.
Ron trasalì. Hermione ubriaca era già un bel problema. Hermione sbronza e in lacrime era un’altra storia. Ron si ritrovò accucciato lì, una mano sulla sua guancia, a raccogliere una goccia salata e senza riflettere la prese tra le braccia e la strinse, incapace di far qualsiasi cosa che non fosse abbracciarla e farle sentire che era lì per lei.
-Io ti amo tanto Ronald.- sussurrò la ragazza sul suo cuore.
-Ma voglio bene ad Harry e… sento che lo stiamo perdendo…
Ron la strinse più forte e dandole un bacio sulla fronte arrivò a dire soltanto:
-Sistemeremo tutto. Vedrai…tornerà tutto a posto.
 
***
“Amore un corno.
I panni s'asciugano soli,
E sto freddo non viene da fori,
Io ce l'ho dentro.
[…]
Solo me chiedo perché
Sto così bene co’ te.
Io che non ho paura,
Nella notte scura,
A’ fa’ risse, guerre, scommesse,
mille schifezze.
Tremo, tremo forte
Fra le tue carezze.”
 
Statte zitta,
Mannarino.
 
-E tu che ci fai ancora qui?
La voce di Theodore lo colpì alle spalle, mentre guardava dove solo poche ore prima c’era il baule di Blaise.
Alzando lo sguardo incontrò il suo, come sempre inflessibile, imperscrutabile.
-Pensavo tornassi a casa per Natale.- proseguì quella sua voce atona e profonda.
Come sempre un brivido gli corse lungo la colonna vertebrale e abbassando lo sguardo sussurrò:
-Preferisco non tornare.
La voce di Draco era incolore, incolore come quelle sue notti, passate fuori dal letto, chissà dove. Theodore non glielo chiese mai, sapeva di non dover chiedere con lui. Sapeva che Draco gli avrebbe dato ciò che poteva. Si avvicinò con cautela, e gli poggiò una mano sulla spalla.
Non servirono parole, Theo immaginava ciò che l’altro non osava dirgli. Anche la sua pelle era stata deturpata, nello stesso identico punto, quell’estate. Ma mentre Nott aveva accolto di buon grado quel segno che lo identificava come la nuda proprietà di un essere terrificante, Draco era stato costretto. Dal caso, dagli sbagli dei padri che come sempre ricadono sui figli, da quell’insidioso combinarsi di eventi.
-E tu?- aveva chiesto subito dopo Malfoy, voltandosi verso di lui.
-Preferisco rimanere.
Theodore aveva poggiato le labbra su quelle di Draco, in una carezza ormai familiare.
Draco si sforzò di fare un sorriso, ma ne scaturì una smorfia di stanchezza.
-Devo tornare a…lavorare.- aveva sussurrato su quelle labbra che abbandonavano la loro piega marmorea solo per lui.
-Certo…
Theodore non chiedeva, prendeva ciò che Draco era disposto a dargli. E dava ciò che l’altro era disposto ad accogliere. C’era quel tacito accordo, tra loro. La prima regola era stata quella di non pretendere, poi di non domandare.
E Malfoy amava quel rapporto: niente complicazioni, niente frenesie. Theodore sapeva essere quello di cui aveva bisogno: non ostentava ciò che provava, non lasciava trapelare la sua preoccupazione da quegli occhi intensi e magnetici. Non come Blaise, che si lamentava delle sue occhiaie. Non come Pansy, che guardandogli il piatto scuoteva la testa.
Theodore restava lì, al suo fianco, in silenzio. Ed in silenzio lo spogliava, lo amava e gli faceva dimenticare dove fosse. Tutto in lui era ombra, desiderio e silenzio.
E mentre Draco si tormentava le labbra e si torceva le mani, mentre sulla sua scrivania si accumulavano tomi della sezione proibita della biblioteca, Theo continuava a star in silenzio. Ed osservandolo otteneva più risposte che con degli interrogativi.
Riusciva a leggergli dentro, e ciò che Draco non si spiegava era come non ne avesse paura.
Ignorava che il baratro nel cuore di Theodore fosse più profondo e viscoso del suo, impregnato di vendetta e di rabbia.
E se Draco si avvicinava lentamente verso il baratro, Theodore invece era seduto sul ciglio dello stesso abisso, da sempre.
 
***
“There's a lot I've not forgotten,

But I let go of other things.

If I tried they'd probably be

Hard to find.


 
They can all

Just kiss off into the air.
 


Don't know why we had to lose

The ones who took so little space.

They're still waiting for the ease

To cover what we can't erase.


 
I'm not holding out for you,

I'm still watching for the signs.

If I tried you'd probably be

Hard to find.”
Hard To Find,
The National.
 
Il Mayfair era silenzioso a quell’ora della notte, come lo era a qualsiasi ora, d’altronde. Sulla Bond Street, tra edifici eleganti e club esclusivi, due figure camminavano nella notte, avvolte da lunghi mantelli scuri. Non avrebbero destato la curiosità di nessun passante, poiché ad Halloween tutto era concesso, sebbene fosse già scoccata la mezzanotte. Solo i loro sussurri sembravano però fargli compagnia, per le strade deserte. Svoltarono a sinistra, per ritrovarsi finalmente in Grosvenor Square.
-Mi chiedo perché ti ostini a voler camminare, dato che potremmo smaterializzarci tranquillamente.
-Camminare mi aiuta a pensare.- rispose Blaise, tenendo sottobraccio Pansy, -E poi siamo quasi arrivati…vedi?
Al numero 25 si bloccarono, il ragazzo bisbigliò qualcosa avvolgendo un braccio intorno alle spalle della ragazza, e poi svanirono nel nulla.
Una volta all’interno, Pansy sbuffò sonoramente:
-Pensare. Che gran brutto modo di sprecare il proprio tempo!
Blaise sorrise scuotendo il capo, mentre sfilatole il soprabito, la fece accomodare con un gesto cortese della mano.
Non era la prima volta che Pansy metteva piede nell’appartamento, ma i modi galanti di Blaise gli intimavano quell’atteggiamento formale.
-E sentiamo un po’…a che pensavi, mmh?- disse la ragazza, dalla cucina, dove sembrava star armeggiando con la credenza.
Blaise si tolse la giacca e la poggiò con cura sullo schienale della sedia, mentre faceva scorrere le dita fra i suoi capelli scuri.
Non ebbe il tempo di rispondere, perché Pansy con due calici in una mano ed una bottiglia d’idromele nell’altra, lo raggiunse in sala da pranzo dicendo:
-Scommetto che si tratta di Draco.
Blaise le scostò la sedia con un cenno affermativo, e infine entrambi sederono al grande tavolo rotondo.
-Di chi altri potrebbe mai trattarsi?- rispose Blaise, facendo un profondo respiro, –Non ti nascondo che sono stato molto preoccupato per lui. Come ti avevo detto la partenza di Narcissa, Lucius ad Azkaban e questa storia di far l’Auror per ridurgli la pena…insomma, credo che Draco si debba sentire, per così dire, smarrito. Per quanto ne so, il Manor è abbandonato a se stesso, e sembra che il padrone di casa non sia in una condizione migliore…
Pansy lo ascoltava assorta, annuendo di tanto in tanto, mentre riempiva i calici, facendone tintinnare i bordi, a contatto con il collo della bottiglia.
-E poi, dal nulla, viene fuori Potter. Il salvatore per eccellenza, eh!- disse con una punta di sarcasmo.
Blaise annuì, le labbra contratte e la mano stretta attorno al calice.
-Trovo che Potter sia la sua valvola di sfogo. Ma non escludo che Draco stia, in quel suo modo particolare, soppesando la situazione…
La voce di Blaise era misurata, melodiosa e supponente, e nell’appartamento silenzioso, pareva rimbalzare sulle pareti ed esserne assorbita, come se queste fossero avide delle sue parole.
Pansy passò una mano sul legno scuro, come accarezzandolo, formulando una risposta coerente.
-Più di una volta, al mio accennare ad un rapporto tra lui e Potter, s’è messo sulla difensiva. Non ho fatto allusioni esplicite, ma sembra che la sola eventualità lo spaventi a morte.- continuò pacatamente Blaise, –E liquida il discorso sempre con la stessa frase.
Pansy alzò un sopracciglio, come se avesse già inteso, eppure non parlò ancora, certa che l’amico avesse bisogno di dar voce alle sue preoccupazioni.
-Potter non è Theo.
La ragazza con un cenno del capo alzò il bicchiere, in un brindisi silenzioso, e bevve, invitando Blaise a fare lo stesso.
-Ovvio che Potter non è Theo!- disse dopo quelli che parvero secoli.– Potter è un Grifondoro. Che dico! È il portabandiera dei Grifondoro! E da grifone che si rispetti, è ovvio che sia di tutt’altra pasta.
Blaise la guardò sorpreso, di una sorpresa divertita.
-Oh, non guardarmi così! Hai capito cosa intendo!- disse Pansy burbera, continuando il suo discorso, –Per Draco, Theo era facile, semplice, come un libro che hai già letto e sai come va a finire. Credo fosse confortante, per certi versi. Sai loro erano così…Erano simili, e si capivano, sapevano come prendersi a vicenda. Sapevano cosa volevano, perché erano quasi l’uno il riflesso dell’altro. Ma un rapporto del genere non può che deteriorarsi. “Si sono attratti fatalmente, per distruggersi a vicenda”, sono parole tue, tesoro.
Blaise osservava la ragazza in religioso silenzio, non un muscolo si muoveva nella sua espressione, i suoi occhi, soltanto, erano sporadicamente rapiti dai movimenti ampi delle mani abilmente laccate, e dal tintinnare dei braccialetti ai suoi polsi.
-Mentre Potter…beh, Potter è l’incognita, la sfida, il lanciarsi verso l’ignoto, la puntata più assurda che tu abbia mai fatto in vita tua, è una scommessa che sai di perdere, ma giochi lo stesso…che non si sa mai. Potter è travolgente, è tempesta, pronto a incasinarti la vita. È uno che ti mette sottosopra, perché così è lui: scombussolato. E Draco ne ha paura, paura di essere contaminato. Ma ne è anche irrimediabilmente attratto, soprattutto perché quell’idiota non si rende conto di ciò che è.- disse Pansy tutto d’un fiato, stupendo anche se stessa.
Blaise bevve di nuovo, certo che ci fosse dell’altro, che non si fece attendere:
-Da quel che ho potuto vedere, è come se Draco tentasse in tutti i modi di mostrare a Potter cio che è. E Potter, invece, vorrebbe che lui si accorgesse di ciò che non è mai stato, che Draco gettasse una volta e per tutte la maschera. Insomma è…complicato. Un vero casino.
Pansy fece spallucce dopo il lungo monologo e indossò uno dei suoi migliori sorrisi innocenti, prima di annaffiarlo d’idromele.
Blaise la guardò colpito, stupito e disorientato da tutte quelle parole. Si trovava assolutamente d’accordo, con tutto ciò che la sua migliore amica aveva appena detto, e persino del modo in cui l’aveva detto. Era inspiegabilmente riuscita a dare voce ai suoi pensieri. Poi decise di sdrammatizzare un po’, alleggerendo l’atmosfera, e disse divertito:
-E lei, signorina Parkinson, ha capito tutto questo in una sera, eh? Mi perdonerà se le chiedo come ha fatto!
Pansy fece tintinnare il bicchiere contro quello di Blaise, poi sfoderò uno dei suoi tattici occhiolini e disse, tutta soddisfatta:
-Tesoro, è il mio mestiere! Sono o no un’ottima giornalista?
 
***
“Tu che m'ascolti insegnami
un alfabeto che sia
differente da quello
della mia vigliaccheria”
Cantico dei drogati,
Fabrizio De André.
 
-E tu che ci fai ancora qui?
Quelle parole e quel tono ebbero uno sgradevole effetto su di lui.
Cosa ci facesse lì, che domanda idiota. Sperava che un baratro squarciasse la terra e che lui ne fosse risucchiato, o magari sperava che un fulmine, contro ogni logica, superasse la finestra di fronte a lui e lo colpisse in fronte…chissà, magari anche lui avrebbe così ottenuto una buffa cicatrice.
Draco aveva alzato lo sguardo, nel momento stesso in cui Potter aveva varcato la soglia della cucina, incontrando inevitabilmente quello dell’ex grifone, che con il volto traboccante di stupore lo aveva fissato come se vedesse un fantasma.
Si era rintanato in cucina, subito dopo la conversazione sostenuta con Blaise, perché aveva bisogno di riflettere, ma non aveva fatto altro che inseguire ombre e riflessi fuggiaschi. Si ostinava a fuggire da se stesso, senza allontanarsi d’un passo.
Non si era accorto del tempo che scorreva, lì nella sua bolla densa di frasi in sospeso e domande mal poste, in quel deserto che gli chiedeva tutto senza donare mai un attimo per placare la sete.
Sete di chiarezza, sete di certezze. Tra le sue mani sono parole a mezz’aria, gesti abbozzati, espressioni sfumate. Si era seduto al tavolo, aveva poggiato il pugno chiuso alla fronte e non sapeva da quanto aveva preso a stringerlo così forte da farsi sbiancar le nocche, da infilzarsi le unghie sul palmo. Più di ogni altra cosa Draco odiava sentirsi in trappola, incastrato in emozioni che non sapeva affrontare, a metà strada su binari paralleli, tra ciò che doveva e ciò che avrebbe desiderato. Doveva essere freddo, misurato, meticoloso, nel delimitare il perimetro entro il quale a Potter era precluso l’ingresso. Avrebbe desiderato smettere di tracciare confini, poter respirare, senza preoccuparsi degli agguati di Potter.
Potter che sgualciva la sua vita, Potter che scavava con lo sguardo, Potter che all’improvviso lo toccava e a proprio piacimento scatenava tempeste di primavera. Così era a metà, era mai stato altrove? Non sapeva nemmeno quello.
Potter che non era Theo. Ma non era neanche Potter, non quello che Draco aveva imparato a detestare, a disprezzare, ad invidiare persino. Qualcosa, da qualche parte, sembrava suggerirgli che esisteva una barriera, oltre la quale Potter cessava di essere Potter, ed era un altro da sé, una persona che non a tutti era dato di vedere. Forse Harry, solo Harry. Con quel suo nome pieno, che poteva essere un energico sussurro o un fragile uragano. Avevano indossato maschere, talmente a lungo, da non riconoscere più il confine tra trucco e genuina espressione.
Potter non era Theo. Più se lo ripeteva, più debole diventava la voce nella sua testa, più netta la differenza. La verità era che Draco, da sempre, era un grandissimo codardo. Era più forte di lui, rimaneva paralizzato, inerte, incapace di divincolarsi. Avrebbe preferito un tono glaciale, che non ammetteva repliche, come quello di Theo. Avrebbe preferito che Potter gli urlasse contro, a quello avrebbe saputo reagire, quello era il Potter che conosceva e che sapeva gestire. Ma il suo tono era irrequieto, brillava di una luce particolare, e di stupore. Era un tono imprevedibile, indomito, non vacillava neppure per un istante.
Gli mancavano le parole, gli mancavano i pensieri, gli manca persino il senso di gravità che lo facesse sentire ancorato a terra e non in balìa di correnti senza nome, né vento.
Poi Potter si mosse e con un colpo di bacchetta lasciò ricadere le stoviglie nel lavello, un sussurro e quelli cominciarono a lavarsi da soli. Non aveva smesso di guardarlo, non aveva abbassato lo sguardo neppure per un istante. E ogni secondo che passava pesava sul petto di Draco, comprimendogli i polmoni, facendolo sentire braccato.
Poi quando il silenzio fu talmente denso da imprimersi sulla loro pelle, finalmente, Potter parlò di nuovo.
–Senti, io non so quale sia il tuo problema. E non dovrei interessarmene, perché come hai detto tu, non dobbiamo conoscerci per forza…
Ancora quella voce ferma e vigorosa, potente, mentre gli occhi erano vibranti lanterne incerte e le labbra tremule pieghe d’insicurezza.
–Però è evidente che qualcosa non va. E io non ho idea di cosa sia…quindi se tu lo sai, per favore, sarebbe corretto dirmelo.
Draco, avvolto nel suo mutismo, continuò a guardarlo, cercando di trovare una coerenza tra quel suo tono deciso e l’incertezza negli occhi dell’altro. Potter pensò di dover dire qualcos’altro, perché aprì la bocca, ma la richiuse subito dopo. Lo fissò a lungo, studiando quella sua espressione vuota, cercando di indovinare cosa potesse passare per la testa di Draco, ma era sempre più smarrito e la disperazione era lampante in quegli occhi di primavera.
Anche Potter doveva sentirsi come lui, frustrato per i dubbi, a disagio per quella inspiegabile situazione.
Non seppe da dove venissero quelle parole, né dove volessero andare, quando disse:
-Io non lo so.
Potter, dietro alle sue lenti, abbassò le palpebre, concedendosi un respiro profondo. Era evidente il suo disagio, sebbene non ne fosse consapevole, come non doveva essersi accorto del rossore che si arrampicava alle sue guance.
A Draco venne da sorridere, nel pensare a quanto fosse assurdo, che al mondo ci fosse ancora qualcuno capace di arrossire ad un pensiero.
Prima che la primavera tornasse, Potter disse:
-Ho bisogno di sapere.
Lo disse ad occhi chiusi, la testa bassa, come se se ne vergognasse. Quel suo modo di fare lo spiazzava, nella sua genuinità, nella sua semplice e diretta armonia. Un momento prima Potter gli faceva credere di essere pronto a scatenare l’inferno e poi invece deponeva le armi, e scopriva il fianco, pronto a lasciarsi ferire, senza remore.
Fu il turno di Draco di abbassare lo sguardo e di sussurrare:
-Anche io.
Potter fissò il proprio sguardo in quello di Draco, sorpreso dall’ammissione, dalla sincerità in quella voce argentea. Quel dialogo era surreale, sconclusionato, privo di qualsiasi significato. Erano entrambi smarriti sullo stesso sentiero e non se n’erano accorti? Draco non avrebbe saputo dirlo.
Così Potter si gettò a capofitto, sedendosi di fronte a lui, e senza troppi preamboli, esordì:
-Bene…cosa è stato?
Di certo pensare prima di parlare non sembrava essere di fondamentale importanza per lui. Draco si ritrasse impercettibilmente, tirandosi indietro, colto in contro piede da quella domanda repentina. Potter era visibilmente in imbarazzo, ma tutto di lui lasciava trasparire la necessità di sapere. Nelle sue mani poggiate al tavolo, che si muovevano seguendo ritmi nervosi, Draco poteva leggere l’impazienza di Potter, e nei suoi occhi fluidi si leggeva invece quello smarrimento e quell’imbarazzo che anche Draco sentiva dentro di sé in quel momento.
-Cosa?- disse semplicemente.
Potter sembrò irritarsi, e si morse il labbro inferiore prima di controllarsi e dire:
-Cosa è stata quella scena di fronte ai tuoi amici? Cosa è stato…quello che c’è stato prima? Cosa sta succedendo, adesso? Io…non ti seguo, Malfoy.
Neanche Draco si seguiva, per la verità, ma questo non lo disse, perché lui pensava prima di parlare, e ponderava a lungo le sue risposte.
-Stiamo avendo una discussione civile…
Di nuovo l’irrequietezza di Potter, che si mosse sulla sedia, e si sporse sul tavolo.
-Una discussione su…cosa?!- disse imperioso.
E rieccolo lì, catapultato su un campo minato dalle domande di Potter, con un disperato bisogno di fuggire, mentre si faceva strada in lui la netta consapevolezza che bastasse un semplicissimo passo per esplodere. La sua unica risposta, ancora una volta, era il silenzio, e l’abbassare lo sguardo, incapace di sostenere quello limpido di Potter.
-Perché sei rimasto, Malfoy?
Quella era una domanda semplice, a quella avrebbe potuto rispondere, e lo fece:
-Perché ho bisogno di sapere, te l’ho detto.
Potter contrasse le labbra, in una smorfia di fastidio, mentre Draco lasciava scorrere il proprio sguardo sul suo viso.
-Se non mi aiuti, però, non arriviamo da nessuna parte…- disse lui, trattenendosi dall’eccedere all’ira, e con evidente sforzo.
Avrebbe preferito che esplodesse di rabbia, che gli sputasse addosso tutta la sua cattiveria. Almeno così non sarebbero arrivati a delle risposte che Draco non sapeva dare.
Potter emise un altro respiro, flebile di rassegnazione e tremulo d’imbarazzo malcelato.
-Ok, ti dico come la penso, mmh? Penso che…Merlino, perché dev’essere così difficile?- Potter si passò una mano sul viso, trattenendola un po’ più a lungo sulle labbra, cosa che non sfuggì allo sguardo attento di Malfoy. A Draco sembrava di star osservando un animale in gabbia, lui si sentiva solo in una placida cattività, e il limite era talmente sottile eppure nettamente diverso.
-Credo che non pensi la metà delle cose che mi hai detto fin ora. Penso che tu sia troppo orgoglioso per ammettere che la mia compagnia non ti disturba poi tanto, non come credevi. Penso che moriresti pur di ammettere una cosa simile. Penso sia così, perché anche io, insomma, voglio dire che…Penso che io stia cercando di istaurare un rapporto con te. Ma tu non me lo permetti. E non so perché.- disse Potter tutto d’un fiato e senza una singola pausa continuò, come un’alluvione: – Penso che tu mi voglia tenere a debita distanza, per non doverti scoprire, per non doverti rivelare. Ma non ci riesci. Come non ci riesco neanche io. Penso che siamo confusi e che non sappiamo bene dove stiamo andando. E penso anche che dobbiamo ripartire da zero, se vogliamo trovare un equilibrio.
Draco venne travolto da tutte quelle parole, incapace di contenerle tutte, disorientato dal fiume in piena. Non una frase sembrava stonare, e si chiedeva da quando Potter fosse in grado di cogliere tutti quegli aspetti.
-E poi…penso che ci sia qualcos’altro. Che non so spiegare…quando ti ho toccato, per sbaglio, o quando succede che sia tu a toccarmi per sbaglio…I-io…- la voce di Potter tremò, quando nel sentire quelle parole Draco trafisse il suo sguardo, smarrito e sorpreso insieme. Avrebbe voluto alzarsi, alzarsi e scappare, le ginocchia ebbero un fremito. Sperò con tutto il cuore che Potter non stesse davvero affrontando quell’argomento, quell’incidente imbarazzante.
Draco aveva sentito abbondantemente parlare del coraggio Grifondoro, spesso aveva ritenuto fosse da imbecilli. La temerarietà di Potter, in quegli occhi improvvisamente decisi e assoluti, gli sembrò inquietantemente folle.
-I-io mi sento come se…- aveva continuato Potter, la voce incerta in quegli occhi che saettavano, –Come se fosse giusto, naturale…familiare. Come se fosse una cosa che faccio da sempre. Eppure allo stesso tempo è come…un brivido. Mi ricorda…è come andare sulla scopa, ma senza nessun boccino da prendere prima dell’avversario, solo andare sulla scopa.
Draco deglutì, e con un movimento brusco appoggiò la schiena alla sedia, allontanandosi dal tavolo. Intontito da quelle parole riuscì a ripetere solo:
-Nessun boccino da prendere.
Una breccia fece capolino sul suo petto, lì dove immaginava dovesse esserci un cuore, desiderò infilarsi le dita in gola per vedere se davvero ci fosse quel maledetto cuore che adesso batteva furioso, o se fosse solo la sua immaginazione.
-Come se fossimo…nella stessa squadra. Non uno contro l’altro, ma uno con l’altro.- aveva detto Potter annuendo, sempre più convinto delle sue parole.
E mentre Draco sentiva un sudore freddo prendergli la nuca e il panico impadronirsi della sua gola, prima che potesse accorgersene, dalle sue labbra rotolò fuori una frase piccola piccola, talmente piccola da poter sparire subito dopo:
-Come se fossimo…amici?
Potter alzò le sopracciglia, sorpreso e alla fine, come se l’avesse trattenuto da tempo, sorrise:
-Sì, più o meno. Che ne dici? Sei d’accordo?
-Sì, più o meno.
Ma Draco non sorrise, quel rumore dentro al petto non voleva saperne di affievolirsi.
 
***
“Chiaro di luna scendi
 In fondo al mare
E arriva dove il vento non può arrivare.
E trova le parole per calmare,
Quest'acqua che si mescola col sale,
Quest'onda sulla riva della ciglia”
Le Lacrime di Nemo,
Francesco De Gregori.
 
Ellis sapeva che ci sono momenti in cui non bisogna far rumore. Ellis sapeva riconoscere quei momenti, sedersi sul letto di Ginny ed in silenzio passarle una mano sui capelli, lieve. I singhiozzi soffocati dalla stoffa rossa erano l’unica compagnia concessa alle due ragazze, al sicuro del buio della loro stanza.
Ellis sapeva essere paziente e docile, quando occorreva.
La tormentava vedere l’amica in quelle condizioni, e sentirsi impotente, sapere di non poter fare nulla per farla sentire meglio, per alleviare quel suo pianto sincopato.
Parlò solo quando sentì il pianto di Ginny scemare, stremato.
-Va tutto bene Gin.
I singhiozzi ebbero di nuovo la meglio, rompendo la voce attutita contro il cuscino, che disse:
-Niente. Niente va bene.
Di nuovo la mano di Ellis elargì tenerezza ai capelli di fuoco.
Di nuovo cercò di cullarla.
-Non è nulla, Ginny. Non è successo nulla.
La ragazza affondò ancora di più la testa sul cuscino, stringendo forte le lenzuola nel suo piccolo pugno, come se cercasse disperatamente qualcosa a cui aggrapparsi.
-Ho lasciato che mi baciasse.- disse dopo un tempo che parve infinito, la voce fioca e spezzata dalle lacrime, –Per un attimo è stato come se Harry…non esistesse.
Ellis strinse forte la sua spalla, cercando di esserle di conforto, un solido appiglio mentre Ginny annegava nella sua disperazione.
-Come ho potuto, Ellis? Come è successo?
La ragazza sospirò, certa che la risposta alla domanda di Ginny, avrebbe fatto ancora più male, ma non potendo esimersi dal formulare quelle parole:
-Non è colpa tua. Sono settimane che Harry non ti risponde. Sei tu che hai smesso di esistere, per lui, Gin. Ma questo non significa che non puoi continuare ad esistere per te stessa…
Ginny riprese a piangere, disperata e silenziosa.
Quella notte si addormentò con rivoli d’acqua salata secchi fra le lentiggini delle sue guance.
Ellis sarebbe rimasta lì, accanto a lei, per tutto il tempo che fosse stato necessario.
 
***
“So come to me,
Come to me now,
Lay your arms around me.
This is why…
This is why we fight.”
This is Why We Fight,
The Decemberists.
 
Potter gli aveva sorriso ed aveva richiamato a sé due bicchieri e quello che era ormai diventato l’abituale Incendiario. Draco lo guardò dubbioso, così Potter disse prontamente:
-Bisogna brindare, a questa tregua, no?
Draco scosse la testa, allibito, e si ritrovò a sorridere come per riflesso.
Mentre Potter riempiva i bicchieri, Draco si ritrovò ipnotizzato dai movimenti delle sue mani, e quando gli porse il suo, evitò con cautela di toccarle.
Potter lo guardò smarrito per un attimo, come non si fosse aspettato quel freddo distacco, come se sperasse di sfiorarlo, ma fu solo un’ombra perché poi scrollò le spalle e con disarmante semplicità disse:
-Amici?
Draco strinse tra le mani il vetro colorato dal liquido ambrato e lo alzò in silenzio.
Quella sua esitazione, quel suo essersi ritratto, mossero qualcosa in fondo al sereno buon umore di Potter che, incupendosi disse:
-Cosa c’è che non va, adesso?
Draco alzò lo sguardo, confuso da quell’ennesima uscita. Eppure avrebbe dovuto smettere di sorprendersi già da un pezzo.
Potter aveva fatto scorrere il suo sguardo, con estrema lentezza, dagli occhi di Draco alle sue labbra, distogliendolo subito, imbarazzato, ma non si capiva bene da cosa.
-Amici. Credi davvero possa funzionare?- aveva detto Draco, per il gusto di riavere quegli occhi nei suoi, quegli occhi che si erano illuminati di nuovo.
-Continueremo a mandarci a quel paese, a prenderci in giro e magari a darcele di santa ragione. Ma è diverso da una guerra aperta, senza vincitori né vinti, no?- aveva detto, in un lampo di razionalità Potter.
Draco continuava a non spiegarsi quella sua cieca fiducia.
-E poi…per essere i migliori, dobbiamo essere migliori insieme, non uno migliore dell’altro!- aveva detto Potter, inciampando sulle proprie parole.
Draco aveva alzato le spalle, come a dire che gli stava bene. E Potter s’era stampato in faccia un altro sorriso, come se fosse…felice.
A Draco salì un calore alle guance, e desiderando che l’altro non notasse il suo rossore, disse alzando il bicchiere:
-Insieme, allora.

 
 
 
 
Note:
Buonsalve, viandanti!
Capitolo denso, eh…corposo, direi! Il 17 è un numero al quale sono legato, nel bene e nel male. Scritto in numeri romani, 17, sarebbe come ho riportato in apertura: XVII, il cui anagramma è VIXI. Quei simpaticoni dei romani usavano porre sui sarcofagi funerari proprio quest’anagramma, che significa “ho vissuto”, ergo sono deceduto. Ecco perché si dice che il 17 sia sfortunato. Ma dato che ritengo che aver vissuto sia una fortuna, più che il contrario, da augurare a tutti, ho voluto rendere omaggio a questo numerino un po’ bistrattato.
Beh direi che non è il caso di divulgarmi oltre.
Il capitolo dice già tutto da solo…un urgano, in un bicchiere ;)
A presto,
Indice. 
  
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