Storia scritta per il concorso “Speciale” di Writers
Arena, in cui gli unici parametri da rispettare erano il rating
(obbligatoriamente verde) e la lunghezza, non superiore alle 2500 parole. E’
sostanzialmente una storia di fantasia, quasi una specie di sogno, che parte da
una domanda. Cosa succederebbe se ci fosse un bambino tanto bravo a nascondino
da...? Ecco, la fine di questa domanda la scoprirete
da voi.
Odore di pane caldo
di Gan_HOPE326
- …novantasei,
novantasette…
Bravi ce n’erano tanti; ma Michele
era il migliore.
- …novantotto,
novantanove…
A nascondino, intendo. Non che fosse particolarmente ingegnoso nell’escogitare i
nascondigli: era la sua capacità di scovare gli altri che aveva qualcosa di
soprannaturale. I suoi amici lo sapevano, perciò erano corsi poco
volentieri a imboscarsi malamente in qualche anfratto
vicino o tra le erbe e gli sterpi, certi che sarebbero stati scoperti nel giro
di qualche secondo, se andava bene.
- …
e cento. Sto arrivando!
Michele si scostò dall’albero e
guardò dietro di sé, nella vasta pianura assolata. Posti dove
nascondersi ce n’erano pochi, e sempre gli stessi. Troppo facile. Gianni
si era inerpicato su quel vecchio ulivo mezzo seccato, ad esempio, solo e
desolato in mezzo all’erba alta. Luca, accucciato nella
carcassa arrugginita di una lavatrice abbandonata. Carmelo? Ah, sì, eccolo: sdraiato al suolo, che strisciava come un soldato
dei film di guerra. Michele sorrise, prese fiato
e si preparò a gridare a gran voce i nascondigli di tutti; poi si interruppe,
sentendo che qualcosa non tornava. C’era qualcun altro, ne era
sicuro. Ma questo qui si nascondeva molto, molto bene.
Niente rumore. Nessun movimento. Impercettibile, sembrava; però Michele in
qualche modo si era accorto di lui. Mentre camminava, piano, verso i ruderi
scalcinati di un vecchio edificio, forse un granaio, il bambino si chiese chi fosse quel quarto giocatore che si era unito alla loro
partita. O non era magari Gianni, che si era nascosto
meglio del solito, e tra le fronde dell’ulivo c’era solo un passerotto spaurito
che lo aveva tratto in inganno? No, impossibile. Allora un altro bambino? Uno
scherzo organizzato dai suoi amici?
Oppure un adulto?
All’improvviso, a meno di tre metri
dalla risposta alle sue domande, Michele si accorse di avere paura, una paura tremenda. Cominciò a
immaginarsi tutte le possibilità più orribili. Un bandito venuto a rapirlo. A
derubarlo. Peggio: ad ucciderlo.
- Vieni
fuori! – disse ad alta voce, chiaramente, anche se con un leggero tremolio.
Nessuna risposta e nessun movimento. Michele sospettò quasi di essersi
sbagliato.
- Vieni
fuori! – ripeté – Tana per te!
Da dietro un muro mezzo crollato
spuntò fuori una testa coronata di capelli biondi. Poco a poco, prudentemente,
uscì un giovanotto sui vent’anni. Indossava
una larga tuta bianca sportiva, aveva un aspetto sano ma non atletico,
occhi azzurri e un’aria stralunata. Sorpresa.
- Come
mi hai trovato? – balbettò. Sembrava preda di un terribile imbarazzo.
- Sono
bravo! – rise Michele, rasserenato.
Il ragazzo venne avanti, sempre
incerto. Camminava con incredibile prudenza. Quanto a Michele, continuava a
ridere. Lo trovava buffo e per niente minaccioso.
- Che fai, tasti il terreno?
- Non
si sa mai. Non si sa mai.
Si fissarono dritto negli occhi.
Certo, pensò Michele, sospetto era sospetto. Fin troppo. Ma
non sembrava, insomma, non poteva essere cattivo. Dava allegria, invece.
Standogli accanto, si aveva come l’impressione che emanasse un odore – o
piuttosto: che suscitasse il ricordo di un odore – un odore
felice, come di, ecco, come di pane.
Pane caldo alla mattina.
- Accidenti.
– disse il ragazzo, guardandosi preoccupato intorno – Non
dovevi trovarmi. Nessuno dovrebbe trovare quelli come me.
- E’
solo un gioco. – fece Michele, dubbioso.
- Non
dovevi vedermi, oh, non dovevi. Ora
chissà che mi faranno. Lo sapranno tutti, e scoppierà un putiferio e…
oh, mi daranno una punizione di sicuro!
D’improvviso, lo sconosciuto si
rannicchiò e scoppiò a piangere. Piangeva come un bambino piccolo. Nemmeno Michele lo faceva più, non in quel modo, da tanto
tempo. Era davvero strano per lui vedere un adulto che si comportava così.
- Dai.
– gli disse, poggiandogli una mano sulla schiena – Vedrai che si sistema tutto.
Singhiozzando, il giovanotto scosse
la testa. Michele restò interdetto. Non sapeva che fare in casi del genere. Poi
ebbe un’idea.
- Ascolta!
– fece – Non lo dico a nessuno che ti ho visto, d’accordo?
A nessuno nessuno. Per tutta
la vita. Sarà il mio segreto.
L’altro alzò gli occhi azzurri, che
ancora luccicavano di lacrime, e guardò il bambino con infinita gratitudine.
Sul suo bel volto tornò un pallido sorriso.
- Libero
per me!
Il grido di Carmelo richiamò
bruscamente Michele alla realtà. Si era distratto, e ora i suoi amici non
potevano credere di avere la possibilità di riuscire finalmente a batterlo e
mettere fine al suo mito. Uno a uno stavano sbucando
come funghi dai loro nascondigli. Si voltò verso il campo, poi di nuovo verso
lo sconosciuto, per rivolgergli un ultimo frettoloso saluto.
Il ragazzo era scomparso, scappato
via chissà dove.
Non c’era tempo per pensare a lui.
Carmelo era già salvo, e anche Luca si avvicinava pericolosamente alla “casa”.
Gridando una parolaccia, una di quelle che non si devono dire, Michele corse a
perdifiato verso il gruppetto, deciso a non cedere il suo primato, o quantomeno
a vendere cara la pelle.
Il sole era già basso
mentre Michele si dirigeva verso casa, esausto e un po’ stizzito per via
degli irritanti sfottò che lo avevano perseguitato per l’intera giornata dopo
la sua vergognosa sconfitta. Sembrava che non aspettassero altro, quei
cosiddetti amici, che l’occasione di prendersi una rivincita per tutte quelle
volte in cui li aveva snidati senza pietà. Altro che amici! Iene, erano.
La strada verso casa passava per la
statale. Un largo stradone d’asfalto nero e caldo per il sole
cocente d’estate. Michele camminava ai margini della carreggiata,
ma ogni tanto si addentrava verso il centro delle corsie: tanto lì non
passava quasi mai nessuno, da quando avevano costruito l’autostrada. Era tutto
perso a rimuginare su quello che gli era successo. Un po’ a pensare allo strano
tipo che aveva sorpreso a spiarlo di nascosto: ma chi glielo diceva
che invece non fosse davvero un malintenzionato, a ben pensarci? Molto bravo a
recitare, certo. Forse avrebbe dovuto dirlo, almeno alla mamma. E un po’, ovviamente, a meditare rivincite e vendette. Non
la passavano mica liscia, Gianni e gli altri! Ah, no,
questo era sicuro. Non avrebbero avuto un’altra occasione di vantarsi. D’ora in
poi li avrebbe trovati sempre, si fossero nascosti
pure sulla Luna. Pure sulla Luna.
Il camion ruggì improvviso e il
clacson gridò stridulo nel crepuscolo. Michele, assorto nei suoi pensieri,
nemmeno l’aveva sentito arrivare. E ora era a meno di dieci metri da lui, e
filava velocissimo, e non si sarebbe più potuto
fermare.
“Sono morto” pensò il bambino con
sorprendente lucidità.
Il mostro rombante passò. Il terreno
tremò scosso dal suo peso; il puzzo di gasolio incombusto e di gas di scarico
restò nell’aria, come un alito fetido.
Ma Michele, incolume, nemmeno lui
sapeva come, seduto sull’erba a un paio di metri dalla
strada, sentiva soprattutto un altro odore. Un odore buono.
Di pane caldo.
Non sapeva cosa fosse successo.
All’ultimo momento era stato spinto, sollevato da terra, spostato, salvato da
qualcuno. Qualcuno c’era; Michele ne era sicuro,
perché lo avvertiva, proprio come era successo qualche ora prima, nei campi.
Stavolta, però, quel qualcuno era nascosto proprio bene. Non gli riusciva di localizzarlo in nessun modo.
- Sei
tu? – chiese.
Lo sconosciuto, poco lontano eppure
perfettamente invisibile agli occhi del bambino, si guardò bene dal rispondere.
Aspettò pazientemente, sperando che Michele si annoiasse presto di dargli la
caccia. Gli avevano raccontato che i bambini erano spesso volubili.
E infatti,
pochi minuti dopo, quello era già corso via. Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo. Non avrebbe
sopportato di essere scoperto di nuovo, era già abbastanza
depresso. Il suo primo giorno era andato tanto male che peggio di così…
- Davvero,
mi sa che fare il Custode non è un lavoro per me. – disse, per poi svanire con
un battito di ali bianche.