Caged Animal
I've been left alone
Spinse la schiena contro alla parete
con un gemito, i palmi delle mani premuri contro gli occhi color
metallo, nella speranza di arginare le lacrime che cadevano senza
sosta, insinuandosi nel bordo delle maniche, scorrendo lungo la pelle
fino ad infrangersi contro il tessuto scuro della giacca.
Freddo.
Il muro era freddo, il pavimento era freddo, il misero lettino della
cella era freddo. Le coperte troppo strette e dure per accoglierlo,
quella specie di materasso mal copiato troppo falso e tetro.
Quanta gente c'era stata, su quel letto? Quanta gente aveva pianto,
come lui, in quello stesso angolo di muro?
Taka non c'era. Nemmeno
un'ombra scura delle sue ali si affacciava alla finestra bloccata
dalle sbarre. Nemmeno una sua piuma marrone, screziata da mille
tonalità, era caduta dentro a quelle pareti, rallegrandolo almeno un
po'.
Solo.
Simon era irrimediabilmente solo. Aveva tentato un
approccio con una guardia, sì, ma era stato freddamente ignorato.
Forse lo prendevano per pazzo? Gli uomini delle celle accanto
ridevano quando lo sentivano chiamare qualcuno in cerca di aiuto. Era
giunta qualche frase, da loro. Ma non si poteva certo definire
amichevole.
“Cresci, ragazzino. Qui dentro possono capitare due
cose. O muori, o muori. Puoi crepare sul serio, oppure crepa la tua
anima, il tuo essere. E sai che succede, quando esci?
Succede che
tu sei morto dentro a quella cella, e il tuo corpo diventa un involucro di emozioni che non ti appartengono.”
Il terrore che gli avevano suscitato
quelle parole derivava proprio dalla loro verità. Lo sapeva, il
giovane Blackquill lo sapeva benissimo.Sapeva quanto fossero vere. Eppure qualcosa, dentro di
lui, nel profondo del suo cuore tremante, sperava ancora che
arrivasse qualcuno, che l'avrebbe salvato proprio come un
miracolo.
Mosse appena il viso contro al palmo ruvido delle mani,
un singhiozzo che gli sfuggì dalle labbra. Stava già cambiando. La
sua anima aveva già iniziato a corrodersi, consumata da tutte quelle
lacrime, che continuavano a cadere senza sosta. Emozioni. Quelle
gocce erano fatte di puro dolore, di puro terrore.
Qualcuno
l'avrebbe salvato da quelle quattro mura severe e dolorose, da quelle
pareti laceranti che lo stavano dilaniando da dentro. Qualcuno
l'avrebbe fatto. Vero?
Colpevole,
innocente, incriminato, potenziale assassino. Non sapeva più nemmeno
lui qual'era il suo vero ruolo in tutta quell'immensa questione che
l'aveva inghiottito come un fiume in piena.
Azioni, conseguenze,
realtà e incubi si confondevano assieme alle lacrime, diventando
nebbiosi e disordinati, il filo logico che li legava completamente
spezzato. Cosa aveva fatto, per quale motivo? Perchè era lì, perchè
era accusato?
Troppe cose nella sua mente non trovavano una
risposta. Troppi pensieri si accavallavano, spingendo per la
supremazia. E Simon non seppe dire se era più vicina la disperazione
o la follia, quando riaprì gli occhi aspettandosi di aver avuto solo
un brutto sogno. Le stesse pareti scure, la stessa cella grigia e
morta. Anche lui sarebbe diventato parte di quell'ambiente. Anche lui
sarebbe morto proprio come ogni cosa lì dentro.
Dalle labbra gli
uscì un nuovo singhiozzo, un lamento che chiedeva aiuto, e che
sapeva bene, sarebbe stato ignorato ancora una volta. Fuori era
notte, la luce della luna rischiarava in maniera spettrale ogni cosa
all'interno della stanza. Più di tutto era illuminata la porta, la
sua consistenza metallica che brillava alla luce pallida del
satellite. Salvezza e maledizione, quell'uscio mischiava i due poli
teoricamente opposti. La luce su quelle piccole colonnine d'acciaio
era quasi invitante. Chiedeva di essere toccata. Chiedeva di provare
a fuggire.
Ma allo stesso modo, aveva lo stesso effetto del fuoco.
Subdola e crudele, come una fiamma intoccabile che ricorda la propria
presenza silenziosa ed immutabile. Toccala, bruciati, non riuscirai
comunque a spegnere l'incendio. Sembrava urlarlo a pieni polmoni. E
il corvino lo sapeva, quanto inutile sarebbe stato provare a
forzarla. Preferiva non ricordare, l'angustia di quella stanza, la
reclusione più totale cui era sottoposto. Preferiva non confermare, di essere dentro ad una gabbia.
Lasciò scivolare
la schiena lungo alla parete, fino a che non sentì la spalla
sbattere con leggerezza contro al pavimento, la testa poggiata contro
le piastrelle fredde e terribili. Anche lui sarebbe diventato come
gli altri uomini lì? Anche lui avrebbe seguito la regola che vigeva
in quella prigione?
"Gli animali messi in gabbia diventano
feroci."
Anche lui, come loro, sarebbe diventato feroce, senza più
una traccia del suo carattere dolce e solare?
Spostò lo sguardo
stanco sulle proprie mani, le manette che parvero bruciare contro
alla pelle, tanto gli sembravano strette. E fissando il bagnato
lasciato dalle proprie lacrime, illuminato pallidamente dal chiarore
del solitario satellite bianco, Simon Blackquill si accorse per la
prima volta di non essere nulla di più.
Un animale messo in
gabbia.