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Autore: marguerite_murcielago    12/01/2014    2 recensioni
Giro del mondo.
Grecia_Lui avvicinò le labbra e mi sussurrò all’orecchio: – S'agapó̱ , Athi̱ná mou.
Impressi a fuoco quelle parole che non conoscevo, e che tradussi più tardi, insieme alla guida. Ti amo, mia Atena. In seguito, lui negò di averle pronunciate, e non seppe tradurle.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Polonia

 

(cliccami!)

 

Il mio nome è Ryszard Ostrowski, figlio di Nadzieja Ostrowska e padre ignoto. Queste sono le mie memorie - ti prego di non gettarle senza leggere - non limitarti a scorgere un mio inquieto segreto: la pena che ho provato nel rivivere i miei ricordi mi ha lasciato prostrato, il mio spirito è colpito a morte. Il mio tempo è ormai scaduto e i nascondigli preclusi, da qui alla fine della Terra, ma spero che questa sofferenza non sia stata vana.
Prego che queste mie parole non fuggano dalla carta o non sarà esistito un uomo di nome Ryszard Ostrowski che ha visto la śmierć camminare sulla pelle del mondo come una livida stella.

                      

Nelle notti invernali i lupi scendevano dai boschi e si avventuravano fin nei cortili, ululando sotto le finestre. Spesso i genitori sbarravano gli scuri, affinché i bambini non cedessero alla tentazione di aprirli. Kazimierz, il figlio più piccino del fornaio, era riuscito a far cedere il catenaccio, e al mattino la madre aveva trovato la stanza vuota, la finestra aperta e, fuori, la neve macchiata di rosso e una camiciola sbrindellata.
Io non avevo un padre che facesse lavori di falegnameria, ma la mia stanza era al primo piano e non fui mai tentato di uscire in quelle ore.
Una notte, quando avevo dodici anni, mi svegliai senza sapere perché; mezzo intontito, passai qualche minuto a fissare il soffitto, poi sentii gli ululati: pareva che i lupi stessero morendo - quando avevo quattro anni i cacciatori portarono in paese un lupo catturato in una tagliola. Ululava alla stessa maniera.
Corsi ad aprire la finestra e nella luce grigia delle notti nevose vidi i lupi fuggire verso la foresta. Non avevo mai visto i lupi fuggire davanti a nulla; rimasi a guardare, meravigliato, senza curarmi del freddo intenso.
Vidi le schiene irsute degli animali scartare attorno a un punto bianco, li udii guaire.
Quella macchia di chiarore si avvicinò al villaggio e io mi strofinai gli occhi, incredulo.
I vecchi ci insegnavano a riconoscere la śmierć, anche se probabilmente nessuno l’aveva mai vista davvero - o era vissuto abbastanza a lungo da parlarne - perciò la riconobbi, e fui preso dal terrore. Pensavo che avrei dovuto allontanarmi dalla finestra, ma non riuscivo a muovermi: prima fui paralizzato dalla paura, poi dall’amore.
In mano aveva una luce verde, che le si spargeva sul petto e sul viso come una cascata al contrario. Bianco di neve, di luna, di foschia e cristalli ghiacciati, disegnata con linee di nuvola, passo di spettro. Come se fosse stata partorita dalla terra innevata.
Lei, la śmierć, infiammò da subito la mia immaginazione. Ora la pelle mi si ricopre di un sudore gelido nel pensarci, ma allora mi sentii pazzo di lei. Corsi al letto, indossai gli abiti più pesanti che avessi e uscii di casa.
Ci incontrammo davanti alla casa del vecchio Jakub: lei reggeva alta la sua fiammella - che, come mi resi conto avvicinandomi, si produceva da un ramoscello di agrifoglio - e mi guardò con gli occhi pallidi, grigioblu. - Vai via, bambino - disse con una specie di mormorio sommesso.
Io sussultai come se mi avesse punto con uno spillo, tremando dalla testa ai piedi. La śmierć entrò nella casa buia; vidi il bagliore verde spettrale attraverso le fessure delle finestre. Aspettai finché non sentii le ossa gelate, ma lei non uscì.

La vecchia Krystyna gridava come un’ossessa in mezzo alla piazza; fui svegliato dai suoi lamenti. In un primo momento pensai che i lupi avessero divorato suo figlio, ma mentre la mente mi si schiariva ricordai che era ormai grande e che i lupi erano fuggiti.
Seppi che gridava per colpa della śmierć.
- Me l’ha portato via! Ieri sera ha mangiato, pan Jakub, con appetito come un giovane di vent’anni e stanotte la śmierć maledetta è entrata nel nostro letto! - e si strappava i capelli grigi con le mani mentre quattro uomini portavano fuori suo marito con i piedi in avanti.                             

                                                      

Accadde di sera, mentre il crepuscolo estivo si insinuava nella cucina.
- Voglio sposarla, nemmeno i suoi genitori si oppongono!
- Rifletti, Ryszard, ha una dote così modesta che potrei eguagliarla in un solo giorno di lavoro! - gridò mia madre, il viso rosso e lucido di sudore, e si asciugò la fronte con il grembiule. Attesi, ma quando lo abbassò vidi l’inflessibilità nei suoi occhi azzurri. - Tu non la sposerai - sillabò a voce molto più bassa e strinse le labbra, come se non volesse aggiungere nulla.

Vorrei che tu morissi, pensai con le braccia che mi tremavano contro i fianchi.
Senza pronunciare una sola parola - sapevo benissimo che non avrebbe sortito alcun effetto - uscii e presi la strada che scendeva verso il mare, incurante della procella e dei richiami ansiosi di mia madre. Mi sentivo male, avevo un sapore acre in bocca e il mio passo era insolitamente molle.
- Wanessa! - urlai.
Venticinque anni, una costa battuta dal vento, il mare nero e la tempesta verde sopra le nostre teste. Lei si voltò a guardarmi da lontano, i capelli le si alzavano sulle spalle come se qualcuno li stesse respirando. Una nuvola di vapore. - Ciao, Ryszard! - la sentii gridare per superare l’ululato del vento.
Era bella, caldamente bella, con quella sfumatura di fuoco nei capelli bruni. Sapevo che l’avrei sposata e mi faceva girare la testa il pensiero di potermi tuffare in lei e cercare il suo fuoco nascosto.
Quando fummo vicini le presi entrambe le mani e me le portai alle labbra, baciandole la punta delle dita. Lei rise.
 - Ryszard, che cosa ti prende oggi?
Mi immobilizzai con la testa china, vedevo i miei capelli biondi e sottili dondolarmi davanti agli occhi. - Dirò a mia madre che voglio sposarti - risposi con durezza; Wanessa mi si accostò, mi sfiorò il braccio con il seno, appena velato dall’abito. - Io ti amo, Wanessa Sobolewska - le dissi, solenne.
I tuoni coprirono le parole della donna che amavo, ma lessi dalle sue labbra che anche lei mi amava. Tornai a casa con le mani affondate nelle tasche e il cuore che smaniava per uscirmi dal petto e prendere il posto della tempesta; mai avevo provato una felicità del genere... e mai più l’ho provata, da quella notte fatale.
Tutti sapevano che amavo mia madre - la rispettavano per avermi cresciuto dopo la morte di mio padre - nessuno mi raccontò mai come fosse morto, né come si chiamasse. Nadzieja Ostrowska fece del suo meglio per proteggermi e crescermi al meglio: non ho alcun dubbio che così sarebbe stato, se non fossi stato messo al mondo con un occhio dannato.
Mia madre era nel cortiletto, il vestito che ondeggiava come uno straccio: aveva cominciato a piovere, sferzate di acqua fredda sul suo corpo esile, ma quando la chiamai non si mosse. Solo dopo il mio secondo richiamo alzò la testa, fissandomi distratta.
- Vieni dentro! Piove, non vedi? - le dissi dalla porta della cucina.
Lei si scostò una ciocca bagnata dalla fronte, scuotendo la testa come se stesse cercando di svegliarsi da un brutto sogno, quindi si appoggiò ad una betulla sottile. Colsi, sorpreso, la regalità della sua mano... dico sorpreso perché non avevo mai pensato a mia madre come a una donna di intensa grazia.
Pensai di serbare quel complimento e riferirglielo non appena fosse stata al coperto. Un gesto rapido attrasse il mio sguardo - simile a una coltellata, o a un’altra azione di quel tipo violento. La śmierć che tredici anni prima mi era parsa timida neve ora era del bianco sfolgorante delle saette. Spalancai la bocca e gridai, continuando anche dopo che i timpani mi si furono rotti con uno schiocco terribile e non fui più in grado di udirmi, finché qualcuno accorse e mi portò via.
Intravidi in un pezzo di vetro la mia faccia stravolta, gli occhi spiritati e il sangue che mi colava dalle orecchie, prima di essere ottenebrati dalla febbre. Fui in bilico tra la vita e la morte per due settimane.
Da allora la śmierć non mi abbandonò più.            

 

Wanessa morì di parto.
Ero accanto a lei quando il sangue le ruscellò tra le gambe, costringendola a buttare indietro la gola sussultante. Le stringevo la mano livida e sudata, la levatrice infilò senza paura le mani in quello schifo e mormorò una preghiera. - Deve spingere, signora. Si liberi del fardello.
- Ce la stai facendo, amore mio - le sussurrai - manca poco.
Venne fuori un bambino lungo due spanne, con un faccino viola e grinzoso e un ciuffo di capelli neri. La levatrice lo lavò e lo avvolse nelle fasce con i gesti frettolosi di chi ha una grande esperienza; Wanessa era orribilmente pallida, accasciata tra le lenzuola zuppe di sudore. Le scostai i capelli dalla fronte, sorridendole, anche se lei mi rivolse un’occhiata palpitante e angosciata. Mosse le labbra, ma non ne uscì alcun suono - così mi chinai e la pregai di stare tranquilla e riposare.
La levatrice le spinse degli stracci tra le gambe, aggrondata, si fece il segno della croce e ripeté la preghiera accorata di poco prima. Fingendo che nulla di preoccupante stesse accadendo, tornai a parlare a Wanessa in tono caldo, fiducioso.
Guardai la levatrice con la coda dell’occhio: ora se ne stava ritta in fondo al letto, le mani insanguinate poggiate in grembo, su un grembiule già sporco; mi chiesi perché mi stesse guardando con un’espressione infinitamente triste, ma non osai pronunciare la domanda ad alta voce.
- Esci - le ordinai, duro. Per un attimo la stretta delle dita di Wanessa si fece convulsa.
- Ryszard, è un bambino? Un maschio? - ansimò, gli occhi febbricitanti. Non lo avevo notato, ma sentivo che era un maschio e glielo dissi. Lei fece un sorriso tremulo e bellissimo, che mi si incise dentro e affondò come una lama. - Ho le gambe che vanno a fuoco, puoi togliermi la coperta? - domandò innocentemente.
Ma non aveva le gambe coperte: era il calore insano del sangue.
Quella volta sapevo che sarebbe giunta e quando, alzando lo sguardo, la vidi dall’altra parte del letto non ne fui sconvolto. Addolorato, raggelato, ma non sorpreso. La śmierć aveva il ventre rotondo e il seno gonfio di latte come una donna incinta, il viso morbido.
- Ci incontriamo ancora - disse lei, con una nota ironica che mi terrorizzò.
- Non portarmela via - mormorai, ma la śmierć scosse la testa; allungò il braccio e sfiorò Wanessa con il suo rametto sempreverde... e in un istante finì tutto.

 

La mia vita fu una fuga infinita: foreste, brughiere, città, fiumi che superai in una corsa continua, guardandomi sempre alle spalle, sentendola giungere in ogni posto che toccassi. Feci crescere il bambino alla levatrice, chiedendole solo di dargli nome Szymon - il nome che Wanessa voleva per lui - perché avevo troppa paura che la śmierć si prendesse anche lui, sapendolo sempre accanto a me.
Vidi morire uomini, donne, bambini e di notte ero ossessionato da incubi da cui mi svegliavo in un bagno di sudore: sognavo di donne bianche, mia madre, Wanessa e la śmierć che mi seguivano come spettri lungo strade senza luna. Non c’era rimedio, né nella religione, né nelle sollecitazioni della carne.
Negli inverni infiniti del Nord ripensavo al nostro primo incontro, riesumavo un desiderio ormai stinto e ridotto in cenere e mi chiedevo come avessi potuto trovarla bella
C’erano i suoi occhi grigioblu, smodatamente affascinanti, negli stagni che si aprivano in mezzo ai campi innevati. La mia peregrinazione assunse i tratti di una rotta, una corsa angosciosa fino alla fine del mondo dalle porte della città di Warszawa, laddove la śmierć mi indicò con il suo ramo spettrale e mi disse: - Presto sarò da te.
Non sarei diventato vecchio, dunque. Quel pensiero mi spinse a nascondermi in questa vecchia chiesa, con una candela sola, a ripercorrere la mia vita maledetta: questo sforzo mi ha accorciato la vita, e so che se vi fosse uno specchio in questo luogo dimenticato dal mondo vi troverei un uomo abbruttito e invecchiato dalla paura.
Forse, se non avessi insistito per scrivere queste memorie sarei vissuto ancora, ma mai avrei dimenticato che la śmierć era prossima a prendermi. Ora, lascerò questo folio dove tu, Lettore, potrai trovarlo e farne tesoro.  
La mia vita è finita, lontana da me da molto tempo a questa parte.

   
 
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