Innanzitutto
mi scuso per il ritardo mostruoso. Giusto adesso che devo postare gli
ultimi
capitoli, Internet è partito! Quindi ora devo aggiornare dal
pc di mio padre
(che mi concede di usarlo solo per le emergenze, umpf…). Mi
scuso soprattutto
con le ragazze le cui fic stanno tra i miei preferiti: mi
rifarò con i commenti
non appena il mio computer sarà tornato dalla clinica XD
Intanto ringrazio chi
ha commentato, sia le mie affezionate che le new entry (non
è mai troppo
tardi!), e vi prego di perdonarmi se l’ultimo capitolo, il
prossimo, tarderà ad
arrivare. Ebbene sì, questo è il penultimo
–e sono già abbastanza immagonata di
mio-, anche se, per vedere svelati tutti gli arcani, dovrete aspettare
il
prossimo. Ok, mi sono già dilungata troppo: vi lascio alla
lettura, nella
speranza di non deludervi e di trovare i vostri commenti –non
sapete quanto mi
mancheranno! Baci
Capitolo
19
Il suo
pensiero volò a lei ancora una volta.
Ora sì, ora sarebbe stata felice.
E anche lui.
Lo meritavano. E, per una volta, fu certo di aver fatto la scelta
giusta. Anche a costo di non assistere al momento che aveva aspettato
per mesi
come se lo riguardasse davvero.
comunque mi resterà qualcosa di te
forse attimi ma… eterni”
…
Haylie
aprì lentamente gli occhi, ma li richiuse subito dopo a
causa
della sgradevole sensazione che le suscitò il suo tornare in
stato cosciente.
Si passò una mano sul viso. Quanto aveva dormito? Ore,
sicuramente.
Forse anche di più…
Ritentò di aprire gli occhi, ma, quando lo fece, credette di
avere avuto
un’altra allucinazione. Non poteva esserci veramente Bill
seduto accanto
al suo letto.
- S-sei tu…? – biascicò. Fu solo la
sorpresa di vederlo ad impedirle di
badare al flebile tono della sua voce.
Quando lui le si avvicinò, non vide che una strana macchia
deforme.
Forse stava sognando.
- Haylie! Oh, Haylie, stai bene? – Anche lui aveva una voce
strana,
rauca. Sì, c’erano tutti i presupposti
perché quella fosse una dimensione
parallela, e non la realtà. Haylie corrugò le
sopracciglia.
- Bill… - riuscì solo a rantolare. – Da
quanto… da quanto sono qui? –
- Un po’ – lo sentì rispondere. Subito
dopo, le sembrò che deglutisse. –
Come ti senti? –
Haylie richiuse gli occhi. Si sentiva come se un trapano le avesse
bucato il cervello da parte a parte.
- Non dovresti… neanche… chiedermelo –
Cercò di pescare qualcosa nella
propria mente, qualcosa che le dicesse perché si trovava
lì, perché si sentiva
così estenuata. Un momento dopo, delle immagini affiorarono,
accompagnate da
pochi, indistinti suoni. Ma bastarono a riportarle tutto in mente.
– Bill… la
nostra bambina… - mormorò, socchiudendo gli
occhi. Questa volta riuscì a
vederlo chiaramente. Riuscì a vederlo mentre la sua
espressione cambiava di
colpo, mentre si mordeva le labbra e distoglieva lo sguardo. Qualcosa
non
quadrava.
Cercò di tirarsi a sedere. – La bambina, Bill.
Dov’è? – insistette,
senza curarsi di nascondere lo sforzo. Il ragazzo non fece altro che
accompagnarla con la testa sul cuscino e dirle:
- Stai giù, Haylie. Per favore –
Tutto ciò non aveva senso. Di certo, non si sarebbe mai
aspettata di
trovare Bill accanto a sé, e adesso…
cos’era quella faccia, cos’era quella
voce, cos’erano quei modi?
- Bill… -
- Ti prego – Bill le rivolse uno sguardo strano, che doveva
aver già
visto. Supplichevole, forse?
- Dimmi dov’è! – sbottò lei
con quel poco di voce che aveva. Lui deglutì
e non rispose. – Bill, ti prego
– lo implorò Haylie, aggrappandosi alla
sua maglietta.
Bill prese le sue mani e le allontanò dalle proprie spalle,
per poi
stringerle tra le dita. Haylie le sentì fredde come non
erano mai state, e
quasi rabbrividì nello stesso istante in cui vide le labbra
di Bill tremare
appena.
- Non c’è – lo sentì
sussurrare mentre la sua mano le accarezzava
lentamente un braccio, ma non riuscì a dare un senso a
quelle parole.
- C-che vuol dire? – Anche quella volta Bill non rispose
subito,
sembrava che la supplicasse di non farlo rispondere, di risparmiargli
qualcosa.
Ma lei non era disposta a questo. – Bill
–
Lui chinò la testa e si coprì il viso con una
mano, ma Haylie lesse in
quel gesto la risposta che non avrebbe mai voluto sentire.
No…
- N-non ce l’ha fatta… E’...
è nata morta –
Un vuoto. Un enorme, infinito buco nero la stava risucchiando,
togliendole la vista, l’udito, tutto. Quella voce non era che
un lontano
ronzio, quelle parole non racchiudevano la verità, no, non
poteva essere…
Quella stanza dalle pareti bianche non era altro che
l’Inferno, e quel
grido, quel grido che sentiva crescere dentro di sé, era il
Diavolo, era la
voce che le ricordava, e le avrebbe sempre ricordato i suoi
peccati…
- No - L’unica reazione che riuscì ad avere fu
quella di scuotere
lentamente la testa.
Semplicemente, non era possibile…
E allora perché Bill le accarezzava i capelli e le teneva
una mano e
aveva gli occhi lucidi? Non aveva senso… - Haylie,
io… -
- No, non è vero – La sua voce non era che un
lievissimo sussurro, ma la
sua affermazione risultò tanto carica di convinzione che
Bill non poté fare a
meno di guardarla sentendo una sensazione molto simile al timore.
Allungò una
mano, incerto, e le sfiorò il viso.
- Haylie, è… è terribile,
ma… ma è vero… – Non sapeva
in che altro modo
dirlo. Qualsiasi espressione gli sarebbe sembrata inappropriata. Haylie
gli
schiaffeggiò via la mano, un’espressione di rabbia
cieca dipinta in volto.
- Non è vero! –
urlò, la voce ancora roca. – Non ti credo, non
è
vero… io… n-non… No!
– gemette poi, coprendosi il viso con le mani e
cominciando a piangere, come se quella verità
l’avesse colpita solo in
quell’istante. Aveva impiegato più del necessario
per assemblarla, e adesso
sembrava dieci volte più dolorosa di quanto avrebbe dovuto
essere.
Non trovò nessun sollievo nell’abbraccio di Bill,
e continuò a
singhiozzare inconsolabilmente.
- Tesoro… - mormorò lui, stringendola forte e
cercando di calmarla.
- Perché? Perché?!
– gemette Haylie, aggrappandosi alle sue
spalle fino a fargli male. Quasi prendendosela con lui, lui che non
aveva fatto
niente, lui che invece era stato ferito, lui che non avrebbe dovuto
essere lì,
non dopo quel che lei gli aveva fatto.
- Non lo so, piccola. Non lo so – sussurrò lui con
la voce spezzata,
cullandola piano. Lei continuò a piangere, i singulti
soffocati sul petto di
Bill.
- E tu… perché sei qui? –
singhiozzò, con tono quasi accusatorio. –
N-non dovresti neanche… esserci… Non per
me… Non dopo… tutto… - Erano frasi
senza senso, se ascoltate dal di fuori, ma racchiudevano tutto il
dolore, tutta
la rabbia accumulata in quei mesi, quello struggimento che ora faceva
più male
di quanto Haylie si sarebbe aspettata.
- E invece sì, Haylie – Bill la strinse
più forte, e provò uno strano
sollievo quando sentì i pugni di lei chiudersi attorno a due
lembi della sua
maglia. – Sono qui. Stai tranquilla –
- Non posso… non posso! – singhiozzò
Haylie. Quelle parole avrebbero dovuto
consolarla, e invece non fecero che aumentare il suo sconforto. Si era
lasciata
sfuggire la situazione di mano ed ecco il risultato. Una vita
sacrificata per
un capriccio, e non una vita qualsiasi. E ora perché Bill
faceva così? Perché
non la mandava al diavolo una volta per tutte? Come poteva essere
lì,
abbracciarla, consolarla…? – Tu non devi essere
qui… non devi essere con me… Ti
ho fatto… troppo male, Bill… -
Lui scosse la testa, accarezzandole i capelli. – Sssh. Non
hai fatto
nulla, piccola. Non hai fatto nulla –
E ne era persino convinto…
Haylie sentì un’ondata di rabbia. Non voleva
niente che non meritasse, e
la presenza di Bill rientrava nell’elenco. Anzi, era al primo
posto.
- Perché dici così? – gemette,
un’evidente nota di sofferenza nella voce.
Stava male abbastanza, non voleva altri sensi di colpa… -
Non è vero… non è
vero… -
Bill la prese per le spalle, allontanandola un po’ da
sé. Haylie notò
che aveva ancora gli occhi lucidi, ma il suo sguardo era deciso,
convinto. –
Basta così, Haylie. Stiamo tutti abbastanza male. Ne
riparleremo dopo, ok? –
Lei tremò appena nel guardarlo, e si asciugò gli
occhi con il dorso
della mano.
- Ne parleremo… vero? –
Bill sorrise. Era un sorriso stanco, malinconico, ma sincero. Sincero
come lui era sempre stato. Le sfiorò il viso con una
carezza. – Sì, parleremo
di tutto. Ma adesso riposati. Per favore –
Lei tirò su col naso e, istintivamente, gli strinse una mano.
- Non andartene – lo supplicò, la voce ancora
vibrante. Lui annuì,
sorridendo ancora, e la accompagnò con la testa sul cuscino.
Posò un bacio
sulla sua fronte.
- Sono qui con te – mormorò a fior di labbra.
Haylie chiuse gli occhi, rasserenata da quella consapevolezza. Era
inutile chiedersi ancora perché lui fosse lì, era
inutile rimuginare. Non
doveva fare altro che credergli, affidarsi a lui… e
ascoltarlo, quando sarebbe
arrivato il momento.
Glielo doveva.
…
Sprofondare in un sonno perenne, ecco cosa avrebbe voluto. Morire? No,
forse quello no. Ma lasciarsi andare, chiudere gli occhi e farsi
cullare,
questo sì. Non per spiare il mondo dall’esterno,
non per guardare senza essere
guardata lei stessa. Anzi, non voleva saperne più
niente…
Si costrinse ad aprire gli occhi. Non doveva essere passato molto
tempo:
dalla finestra semi aperta filtrava un sottile fascio di luce non tanto
intensa
quanto quella che aveva lasciato scivolando nel sonno. Forse era
passato un
giorno, o due. Per quel che la riguardava, poteva anche essere
trascorsa una
settimana, lei non sentiva nessun cambiamento.
Una macchia indistinta si mosse accanto alla finestra e
tutt’a un tratto
la stanza si riempì della luce pomeridiana. Haylie
sbatté le palpebre, ma prima
che potesse mettere a fuoco la figura, questa parlò.
- Haylie…! –
Le bastò per capire che Bill era ancora lì.
Chissà se, mentre lei
dormiva, si era allontanato o le era rimasto accanto.
L’unica cosa che sentì quando il ragazzo
tornò a sedersi accanto al
letto fu l’improvviso bisogno di rimanere desta. La sua
vicinanza contribuì ad
allontanare almeno un po’ il desiderio del sonno perenne.
- …sei già sveglia? –
Voleva anche mettersi a sedere, star lì ferma e ben dritta
di fronte a
lui, le aveva promesso che avrebbero parlato… ma si rese
conto che era ancora
presto per raccogliere le forze necessarie e si limitò a
chiamarlo fievolmente
per nome. – Bill… -
Le parve che un angolo della sua bocca si alzasse.
- Come stai? –
Il suo tono era basso, delicato, e in quel momento Haylie non avrebbe
potuto desiderare di sentire altro. Non aveva bisogno di confusione o
di
rumore.
Avrebbe voluto che qualcuno le cantasse una ninna-nanna per farle
dormire sonni tranquilli, per una volta…
Questo pensiero le riportò in mente il motivo per cui non
avrebbe potuto
rispondere positivamente alla domanda di Bill. Tirò un
profondo respiro,
voltando la testa verso di lui. Nel suo sguardo riuscì solo
a leggere il
pentimento per averle posto quella domanda.
- Uno schifo – rispose sinceramente, a voce ancora
più bassa. Sembrava
che avesse urlato per tre ore consecutive, dal bruciore che e aveva
attanagliato la gola.
Deglutì. Non voleva riportare in mente quel pensiero.
Cercò qualche
parola da mettere insieme pur di non parlare di quello.
– Quanto ho
dormito? – sussurrò, lasciandosi sfuggire un
piccolo colpo di tosse.
- Meno di due ore – Bill non sembrava arrabbiato,
solo… imbarazzato,
ecco. – Ma dopo che… beh… che sei
arrivata qui, non hai aperto gli occhi per un
giorno intero. Ti hanno riempita di sedativi. Ero…
preoccupato da morire –
ammise, con una nota di angoscia negli occhi.
Nonostante le forze ridotte al minimo le impedissero persino di provare
emozioni troppo forti, Haylie sentì un’improvvisa
ondata di tenerezza per lui.
Miracolosamente, riuscì a trovare le energie per tirarsi un
po’ su, con le
spalle sui cuscini.
- Non avresti dovuto – mormorò, chinando la testa.
Bill le prese una
mano e sospirò sorridendo.
- Non dire sciocchezze. Non aspettavo altro che tu ti svegliassi
–
Lei alzò lo sguardo verso di lui, non potendo nascondere un
certo
timore.
- Bill, perché sei qui? – si sentì
chiedergli. – Come fai a… parlarmi
così dopo… dopo tutto…? –
Lui sospirò pesantemente e il sorriso scomparve dalle sue
labbra.
- Haylie, sono successe tante cose. Io ho detto la mia, ma…
ma non ho
ascoltato quello che avevi da dire. Non siamo stati in pochi a
sbagliare – Si
costrinse a mettere su un sorriso, ma ebbe l’impressione di
non risultare molto
convincente. – Anch’io ti devo le mie scuse.
Forse… forse quel giorno, in
camera, non avrei fatto la scena madre se non… insomma, se
non ci fosse stato
anche lui –
Haylie trasalì quando gli sentì pronunciare quel
“lui”. Se avesse
chiamato suo fratello per nome, forse il tutto sarebbe risultato meno
pesante.
- Bill, voi… vi siete visti, avete parlato… vero?
–
La sua domanda risultò simile ad un’accorata
richiesta, una ricerca di
conferme, una supplica, quasi. Ma quando Bill sollevò lo
sguardo fino a
incrociare il suo, sentì le sue speranze disintegrarsi di
colpo.
- No – La sua risposta secca e lapidaria fu come un colpo di
frusta. –
Non mi andava di vederlo, ma pare che anche lui fosse dello stesso
avviso –
Lei sbatté le palpebre, incerta. - Che vuoi dire?
–
Bill la guardò in silenzio per qualche istante prima di
voltarsi e
cercare qualcosa nella tasca posteriore dei suoi jeans. Ne estrasse una
busta
da lettere piegata in quattro, aperta. La spiegò senza
guardarla, e Haylie notò
che all’esterno non vi era scritto nulla, né il
mittente né il destinatario,
sebbene non le riuscisse troppo difficile immaginare da parte di chi
fosse. –
E’ così che Gustav me l’ha
data… - Prese un profondo respiro. –
Tom… -
pronunciò lentamente, a voce più bassa, come se
gli costasse un enorme sforzo,
- non si è più fatto vedere dopo che ti hanno
portata qui. Ha lasciato questa a
Gustav – La fissò per pochi attimi, poi
sollevò nuovamente lo sguardo. – Io non
l’ho letta, e… non so se ho intenzione di farlo
–
La mise lentamente in mano ad Haylie, che lo guardò senza
capire.
- Perché no…? – Lui non rispose, si
limitò ad incrociare le braccia sul
petto. – Bill, perché con me
vuoi scusarti e lui non vuoi neanche
vederlo? –
- Aprila tu – disse seccamente Bill, glissando sulla domanda.
–
Sicuramente è per te –
- Se non la leggi anche tu, puoi buttarla nel cestino –
replicò
fermamente Haylie. Per un attimo, fu come se tutto ruotasse attorno a
quella
lettera, come se esistessero solo lei e Bill, come se
quell’avvenimento
drammatico per cui si trovava ancora in ospedale non fosse mai
esistito. La sua
voce tornò a un tono più basso: - Ti prego.
Voglio che anche tu la legga – Si
bloccò per qualche istante. - …tanto non ho
niente da nasconderti –
Bill la guardò in silenzio per pochi attimi prima di annuire
sospirando.
– Va bene –
Fu con mani tremanti che la ragazza tirò fuori dalla busta
un foglio
ricoperto da una grafia piccola e irregolare.
Ragazzi,
non ho
idea di come dovrei cominciare questa lettera, quindi…
comincio e basta. Non
escludo la possibilità di riempirla dei miei deliri, ma
proverò a scrivere
qualcosa di sensato.
Sento
innanzitutto il bisogno di scusarmi con entrambi. Non ho niente da
offrirvi
oltre alle mie scuse, e spero davvero che le accetterete, ma non
pretendo che
voi mi perdoniate. Sarebbe davvero troppo. Ho fatto molti errori e
poche scelte
sensate, ma penso che, se i miei ultimi capricci da bambino
irresponsabile
hanno superato ogni aspettativa, per una volta sarò anche
certo di aver preso
la decisione giusta.
Prima di
tutte, quella di intestare questa lettera a tutti e due. Non al
fratello che ho
tradito, non alla ragazza che ho amato nel modo sbagliato, ma alla
coppia che
formano e che non dovrà sfaldarsi mai. So che siete entrambi
troppo puliti,
troppo onesti per portarvi rancore. Quello che lo meriterebbe sono io,
ma… beh,
decidete voi cosa pensare di me.
Ma io
preferisco facilitarvi questo compito. Come dire…? Parto, me
ne vado per un
po’, cambio aria. Ora starete scuotendo la testa, alzando gli
occhi al cielo e
pensando che cambierò idea in tre giorni perché
non so neanche badare a me
stesso. Forse avete ragione, ma prima o poi dovrò imparare,
no? , e allora
questo è il momento più adatto per farlo. E ora
devo rivolgermi singolarmente a
ognuno di voi.
Bill,
non ti provare a mettere in giro voci del tipo “i Tokio Hotel
si sono presi una
pausa”, perché tanto lo verrò a sapere.
Tu sei i Tokio Hotel, tu sei la voce, tu sei la
musica. Trovati un altro
chitarrista, oppure fate a meno di me per un po’, ma manda
avanti il gruppo.
Tornerò, non ti credere. E’ che… non so
quando. Per allora spero che tu sarai
lì ad accogliermi… ma forse chiedo troppo.
Haylie:
e tu, non provare a colpevolizzarti. E’ vero, forse avresti
potuto renderti più
forte, ma… chi può dirlo? E’ inutile
stare a cercare un responsabile. In te c’è
una nuova vita, e questo deve bastarti. Adesso ce ne sono due che devi
portare
avanti assieme alla tua: quella di Bill e quella della bambina che
nascerà. Io
avei voluto esserci, Haylie, ma… beh, semplicemente non mi
sembra giusto. E’ il
vostro momento, siete voi che dovete festeggiarlo.
Ti ho
amata, Haylie, e ti amo ancora, ma forse non nel modo che credevamo. Ti
amo
come persona, come amica, come la ragazza che farà felice
mio fratello.
Perdonami Haylie, ma sono sicuro che capirai cosa voglio dire e ti
accorgerai
di pensarla come me. Ti ci vorrà meno tempo di quanto
immagini, credimi. E poi…
amare è gioia, no? E allora devo aver sicuramente sbagliato
qualcosa, perché la
tua gioia non è con me.
Non ho
il diritto di togliere alle persone più importanti della mia
vita ciò che per loro
è importante.
Amatevi,
ragazzi. Magari non scordatevi completamente di me, provate a
considerarmi come
il piccolo impiccio che ha messo alla prova il vostro amore. Ora che
sarò
lontano avrete tutto il tempo di spiegarvi e di parlare.
Sì,
parlare. Davvero, è l’unica cosa che dovete fare,
perché il resto… beh, il
resto ce l’avete già.
Un
abbraccio
Tom
“Dimentica
tutti quei giorni, perché l’amore è
fisico,
gli addio e i ritorni, era una storia che viveva in bilico
un sentimento così forte che spesso passa il limite
non vuoi lasciarlo andare
perché in fondo sai che non ti lascerà.
Dimentica il dolore e forse l’amore ti ripagherà
Dimentica, tu fallo per me
che ancora non so dimenticare te”
(Raf,
“Dimentica”)