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Autore: funklou    12/01/2014    34 recensioni
Al Norwest Christian College le cose vanno così: o sei popolare, o non sei nessuno.
Ma c'è anche chi, oltre ad essere popolare, è anche misterioso, quasi pericoloso. E nessuno sta vicino al pericolo.
Tutti sapevano quello che Luke Hemmings e i suoi amici avevano fatto.
Ricordatevi solo una cosa: le scommesse e i segreti hanno conseguenze.
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Dal secondo capitolo:
"A me, invece, non sembri un tipo così pericoloso. Forse strano" affermò Avril, senza distogliere l'attenzione dal suo libro.
"Due." Si guardò intorno, in cerca di un banco libero.
"Due?"
"Due."
"Cosa significa?" Alzò lo sguardo e lo guardò confusa.
"Sinceramente? Nulla. Quando non so cosa rispondere, o quando non voglio rispondere, dico due." Scrollò le spalle, come se fosse la cosa più ovvia e si allontanò.
"Questo conferma la mia teoria, Hemmings."
Doped!Luke
Scene di droga esplicite. Se ne siete sensibili, non aprite.
Il trailer di Two: http://www.youtube.com/watch?v=NE35nheHyZY
Genere: Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum, Hood, Luke, Hemmings, Michael, Cliffors, Nuovo, personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Black.

Avril guardò prima Ashton, poi Luke. 
Rimase esattamente lì, sull'uscio della porta. 
Luke stava passando davanti all'entrata, distante forse tre metri. Si fermò. Si portò le mani in viso, a mo' di preghiera, ricoprendo naso e bocca. Aveva le pupille spalancate. Cominciò a retrocedere lentamente, andando a sbattere contro il mobile del salotto. 
Calum, invece, era inerme. 
Sembrava che il mondo si fosse fermato. 
Avril non capiva, ma aveva quello stupido organo che batteva fortissimo. Si girò verso Ashton, e lo vide con la bocca semiaperta e lo sguardo che poteva sembrare terrorizzato e allo stesso tempo sorpreso. 
Allora capì. Era lui. 
Le si mozzò il fiato. Fece un passo all'indietro, come a volersi distanziare da lui. Voleva parlare, ma non ci riusciva. Riguardò Luke, e lo vide seduto a terra, con una mano sul petto, e una sul pavimento, come se si stesse reggendo solo con quella. Fissava il pavimento. Iniziò a respirare sonoramente, e lo fece fino a che non deglutì. 
Avril voleva avvicinarsi, ma ne era troppo spaventata. Fece scorrere lo sguardo tra il biondo e Calum, e quest'ultimo era nella stessa identica posizione di prima.
Poi Luke si alzò, senza dire una parola, e andò in cucina, che era collegata al salotto. Lo potevano vedere tutti. Aprì l'anta dell'armadietto con una ferocia inaudita, ed essa sbatté contro al muro. Prese un bicchiere, ed Avril temette che si infrangesse nella sua mano. Lo sbatté sul tavolo, fortissimo. Prese la bottiglia e rovesciò l'acqua all'interno fino a che non traboccasse. La bevve tutta in pochi sorsi, poi lanciò a terra il bicchiere, lasciando che tutti i pezzi di vetro si espandessero per il pavimento. 

Luke's pov
Pezzi di vetro ovunque, identici a quelli del suo cuore. Vedeva queste lame di ghiaccio cadere sulle piastrelle, quelle che fino a pochi secondi fa ricoprivano il suo cuore ghiacciato, quelle che facevano da scudo, poiché lo ricoprivano. 
Spalancò gli occhi, vide sul pavimento due anni vissuti inciampando su un qualcosa che non era mai successa. 
"Oh mio dio." 
Questo fu tutto quello che Avril disse. Solo questo, prima che Luke desse un pugno alla porta della cucina, sulla quale si formò un solco.
Avril si portò una mano sulla bocca.
Qualcosa dentro di lui stava bruciando. 
Poi vide Calum sedersi a terra, con le ginocchia piegate e la testa bassa. Tra le mani stringeva dei ciuffi di capelli. 
"Io..." disse Ashton. Ma poi si fermò, deglutì e non finì la frase.
Quella voce quasi non la sentì. Ritornò in salotto, col fuoco che procedeva a carbonizzare ogni suo organo. Un rumore echeggiò per la casa: aveva dato un calcio al divano. Non aveva sentito dolore, perché quello al suo interno lo annullava.
Avril assomigliava ad una piccola foglia tremante. In quel momento, aveva paura di Luke e lui non riuscì a fermarsi. 
Si vide passare per quelle iridi azzurre gli anni che aveva vissuto, cercando di non annegare tra le mancanze, mantenendosi a galla solo grazie a Michael e a Calum. Ne era uscito sfinito, ed ora, in una mattina di marzo, una bufera gli si era riversata contro. 
Stava dando di matto. 
Aveva gli occhi pieni di lacrime e le mani tremanti. Era fuori di sé. 
Poi emise un verso, forse di sfogo, forse di rabbia. Andò vicino al muro, ci poggiò la fronte e le mani, che erano chiuse a pugni. 
Piangeva. 
Restò così. Cercava di pensare e non riusciva: un tornado di pensieri gli stava sbattendo ferocemente nella testa, facendogli venire un mal di testa tremendo.
Dopo un po', cominciò a battere quei pugni sul muro, come a volersi liberare del mostro che gli si era insinuato dentro. Voleva spaccare quelle pareti. Voleva far del male a qualcuno. Voleva urlare. 
Vide con la coda dell'occhio Ashton avanzare in casa. "Posso spiegare, Luke." 
Parlò a bassa voce ma, a causa del silenzio che regnava in quella casa, si era udito benissimo.
Luke emise un gemito, al sentire quella voce. Faceva male. Faceva conficcare lame nel petto. Il fuoco bruciava tantissimo, ora. Gli prudevano le mani, sentiva di non essere la stessa persona. 
Questo non poteva essere vero. Chiudeva ed apriva gli occhi, ma quella sagoma era ancora lì. Tutto intorno a lui girava.
Smise di tirare pugni. Si girò e gli puntò di nuovo gli occhi addosso. Stettero a guardarsi per minuti, mentre Calum non si smuoveva nemmeno di un centimetro dal pavimento. 
Quel verde. 
Sperò che prendesse fuoco anche Ashton, insieme a lui. Solo per fargli sentire che cosa si provasse ad essere, anche per un solo secondo, Luke Hemmings.
"Non mi devi spiegare proprio un cazzo." affermò, mettendoci così tanta freddezza. Sentiva il battito rallentare, e poi si accorse di star trattenendo il respiro. 
"E' un fottuto scherzo?" chiese ironicamente. "Cosa diavolo è tutto questo?" 
Aveva paura di se stesso, paura di ciò che stava vedendo, di dov'era. Era scioccato. Il dolore, che aveva provato vedendolo allontanarsi con l'ambulanza, era ritornato. Lo sentiva insidiarsi dentro di lui, scorrergli nelle vene e bruciare. E, non appena iniziò con grandi falcate a dirigersi verso Ashton, Avril si spostò velocemente, andando verso Calum, ma senza distogliere gli occhi dai due. Aveva il terrore negli occhi e Luke l'aveva visto. Ma non poteva fermarsi. 
Un tornado non lo si può fermare.
Ma un tornado di fuoco?
Fece quello che le mani gli fecero fare. Tirò indietro il braccio, giusto per caricare più forza, e un pugno raggiunse il viso del ragazzo che sperava fosse solo una sua immaginazione.
Si sentì un verso smorzato provenire da Avril, poi solo il silenzio. 
Guardò la sua mano e no, non era solo una stupida allucinazione. C'era sangue, sulle sue dita. Ed Ashton era caduto a terra, tenendosi una mano sul setto nasale. 
Luke aveva voglia di distruggere. Voleva mostrargli una piccola parte della sofferenza che aveva patito per lui, in quei due anni. Ma un pugno non ripaga il grigio. Un pugno non ripaga le lacrime, l'eroina, l'apatia, gli sguardo vuoti, i cuori spenti. 
Gli saltò quasi addosso, spingendogli la schiena contro le piastrelle fredde. Gli sganciò un altro pugno, forse più forte del primo. Non lo sentiva, non lo capiva: il fuoco annullava tutto. 
Nel frattempo, piangeva. Piangeva come non faceva dal 16 aprile. 
Ashton cercò di ribellarsi, tentando di alzarsi, ma Luke strinse forte la sua maglia e lo strattonò.
"Dimmi cosa cazzo sta succedendo!" irruppe urlando, sentendo in bocca il sapore salato delle lacrime. 
"Calmati, Luke! Se continui lo ammazzi!" intervenne Avril. 
Luke fece come se nessuno avesse parlato. Il suo palmo si schiantò contro la guancia di Ashton, e quest'ultimo gli strinse forte le braccia, per poi farlo scendere dal suo corpo e gettare anche lui a terra. Luke emise un gemito di dolore, si morse il labbro, sentendolo spaccarsi. 
Il braccio. 
Il braccio era forse il suo punto più debole, perché lì ci aveva piantato chissà quanti aghi. La fitta di dolore non andava via. Chiuse gli occhi, li strinse fortissimo. Ashton si era fermato e si era allontanato immediatamente da lui, strisciando sul pavimento. Entrambi avevano i respiri accelerati, che si diffondevano per tutto il salotto. 
"Merda." imprecò, portandosi una mano sul braccio, che sentiva pulsare come non mai. 
Aprì gli occhi, e poté vedere Ashton che lo guardava con le pupille spalancate, e la faccia a contatto con le piastrelle. Lui non poteva sapere niente. 
"Luke..."
Questo era Calum. Si girò per la prima volta a guardarlo: ancora seduto, rannicchiato su se stesso, gli occhi colmi di lacrime e l'espressione sconvolta. Avril si era postata di fianco a lui, e gli stringeva la mano in una presa salda.
"Sto bene." affermò, guardandolo negli occhi. 
Sofferenza che si mischiava ad altra sofferenza. Si erano rotti. E i loro pezzi erano sparsi da ogni parte. Calum non poteva recuperare quelli di Luke, e Luke non poteva cercare quelli di Calum. Erano finiti, quei due, quel pomeriggio di marzo. 
Sapeva, Luke, che non sarebbero bastati i cerotti, questa volta. Non sarebbe bastato nemmeno Calum, nemmeno Michael. Questa volta, i cocci si erano triplicati. 
Calum scosse la testa, poi abbassò lo sguardo sulle sue scarpe. Allora Luke riportò la sua attenzione ad Ashton, sperando che il fuoco dentro di lui si spegnesse. Ma non lo fece. Era un casino, Luke Hemmings, disteso su quel pavimento freddo, con le fiamme che incendiavano, le fitte al braccio, gli occhi pieni di rabbia. Perché, il primo meccanismo che scatta alle persone, quando non sanno cosa provare, è l'odio. L'odio che evade, che annienta, che ti spinge verso il nero.
Luke non era più grigio.
Luke era nero.
Piantò i pugni a terra e raggiunse Ashton, strisciando, per quanto riuscisse. L'altro si mosse velocemente, alzandosi di scatto per sfuggirgli. Ma anche Luke si alzò. Gli conficcò le unghie nelle spalle, e lo sbatté contro al muro. 
Non lo sapeva, cosa stava facendo. Non lo voleva nemmeno sapere. 
"Tu sei morto." ringhiò a denti stretti. 
Ashton aveva un'espressione contratta dal dolore, ma "Non lo sono." ribatté. 
Luke si allontanò con uno scatto felino. La realtà iniziò a dipingersi davanti a lui proprio in quel momento. Ashton era vivo. Infilò le mani tra i capelli e cadde in ginocchio, di fronte a quello che era il suo migliore amico. Poi sentì una mano poggiarsi leggera sulla sua spalla, e avrebbe scommesso su qualunque cosa che fosse quella di Calum. Luke si sollevò e, senza pensarci per nemmeno un istante, abbracciò il moro. Non aveva mai ricevuto un abbraccio così forte. Sentiva come se, in quel momento, Calum gli stesse dicendo: "Tieni, ti ho ritrovato un pezzo di tutto quello che ti si è distrutto dentro". Lo strinse, come non aveva mai fatto con nessuno. Il maglione di Calum strusciava contro il suo collo, e il fuoco cominciò a raffreddarsi. 
"Mi dispiace." gli disse, e il biondo annuì.
"Dispiace anche a me." 
Si staccarono così, dopo che Calum gli accarezzò la schiena. Ma Luke, nonostante questo, non stava bene. Luke non stava. Non sentiva di star realmente vivendo quegli attimi, forse aveva creato un distacco con ciò che lo circondava. 
"Me ne vado." annunciò, con una voce flebile, non sicuro di ciò che era, nel caso fosse stato davvero qualcosa. 
Attraversò la stanza e "Aspetta, Luke." Avril lo implorò.
E lui, calpestando ogni suo pezzo, se ne uscì. 
Qualcosa mi sa che lo era. Freddo. Consumato. Rotto. Svuotato. Inerte. Nero. Ed ora si sarebbe dovuto accettare così.
Camminava, senza aver timore di essere visto. Lui non c'era. Ed anche se quei dottori della clinica l'avessero trovato, non si sarebbe ribellato. Fino ad un'ora fa stava correndo con l'adrenalina sparata a mille, ed ora non sarebbe più scappato. Forse, questa volta, non ce l'avrebbe più davvero fatta. E non gli sarebbe più bastata una dose di eroina, perché non aveva più interesse nel trovare i colori. 
Luke Hemmings non avrebbe più avuto un inizio. 
Andò dove le gambe lo portarono, passando per vie e strade che sembravano ricoperti da strati di ricordi. E si ritrovò proprio lì, nel vicolo di Due. Era tutto diverso, ora, quel posto. Esso era stato dilaniato dalla morte di Ashton, e adesso cominciava a perdere tutta la mostruosità che aveva assorbito. 
Luke osservava quelle mura grigie, nascoste al mondo, e non poteva far altro che lasciare che il nero lo divorasse. 
Ci sono cose che ti segnano. Ci sono croste che si formano, e cicatrici che non se ne andranno. Proprio come quel due, scritto da lui stesso anni prima. Ci poggiò la mano sopra, come per accarezzarlo, e un treno di ricordi lo investì senza pietà. Si ricordò di quando andò con Ashton e gli altri insieme al parco. Ridevano, correvano, erano semplicemente spensierati. E Luke prese una storta, sentendo un dolore lancinante alla caviglia, impedendogli di camminare. Allora Ashton lo portò fino a casa, al buio, con il suo braccio attorno al collo. "Come lo dirai ai tuoi di esserti slogato una caviglia giocando a nascondino a quindici anni?" gli aveva chiesto. E Luke gli fece promettere di non dirlo a nessuno, e quello sarebbe stato uno dei tanti loro segreti. Luke era al sicuro, con lui. Ed ora, non era nemmeno al sicuro con se stesso.
Il muro era freddo, ma era anche vivo. Proprio come Luke. E quella scritta, così vicina, faceva male. Perché, fino a quel momento, si era ritrovato rotto, con un pezzo mancante, con una sola metà, che gli avevano rubato quel 13 aprile. Adesso, così, senza preavviso, gli riavevano attaccato quella metà, con fili e circuiti sbagliati. Era stata ricucita troppo velocemente, di botto, nel momento in cui Ashton aveva aperto la porta. Il problema era che ora ce l'aveva, e non poteva più staccarsela. 
Eppure, non erano più in due. 
Era solo uno, era solo Luke. 
Fissò ancora quella scritta, cercando di reprimere il disastro che c'era dentro di lui. Ci sono avvenimenti che ti spaventano, che sono così assurdi ed inaspettati che la nostra mente rifiuta di assimilare, e questo provoca un trauma. Ecco, cos'era Luke Hemmings: traumatizzato.
Aveva creduto a tutto, si era lasciato soffocare da un qualcosa che non era nemmeno accaduto. Cristo, Ashton era vivo. Non riusciva a realizzarlo e, quando ci provava, una serie di immagini gli passavano per la testa, creandogli solo più confusione. 
Si sedette a terra, sull'asfalto lurido e umido. Iniziò a piovere piano, o forse era lui che non sentiva forte la pioggia. Puntava le iridi azzurre sul muro, e non faceva una piega. Lo osservava e basta, sperando che ogni sentimento lo abbandonasse. 
Spento. 
Voleva essere spento. Per sempre. 
Ma poi udì dei passi e, non appena si voltò, Calum apparve all'inizio del vicolo, che camminava tra la pioggia. 
"Dovresti tornare a casa, sta piovendo." esordì il moro, mentre avanzava verso di lui.
"Anche tu dovresti." lo rimbeccò l'altro, senza mai distogliere gli occhi dal Due. 
"Non dovresti più venire qua." 
Ma lo sapeva bene. Non doveva andare lì, non doveva sporcare tutti quei ricordi invadendo con la sua presenza, che consisteva solo nella tristezza. Avrebbe dovuto far finta di niente, mettere allo scuro quel vicolo di tutto quello che era successo poco fa in quella casa, e fingere che tutto fosse come prima. 
E invece no. 
Luke ci era riandato, l'aveva invaso, perché quella era la sua fottuta casa. Ashton era ancora la sua casa, non aveva mai smesso di esserlo. E questo faceva male, questo squarciava le cicatrici che in quei due anni si erano create dentro di lui. L'aveva abbandonato, ma Luke era rimasto. 
Gli occhi cominciarono a pizzicare, la vista ad annebbiarsi. Si portò una mano sul viso e "Andiamo a casa, Luke. Andiamocene." disse Calum, prendendolo per il polso.
E Luke avrebbe voluto distruggersi da solo, in quel momento. Perché l'unica casa che aveva, sapeva benissimo quale fosse.
Pioggia che si mischia alle lacrime, battiti scanditi dalla paura di ricordare, occhi che ritornano, scritte che non se ne sono mai andate. 

Quando tornarono, la casa di Calum era vuota. Erano completamente inzuppati, quindi si fecero a turno una doccia calda. Poi si sdraiarono sul letto di Calum, quello a due piazze, e ascoltarono il rumore della pioggia incessante. La stanza era poco illuminata ma, non appena Luke incontrava gli occhi del moro, giurava di vedere una tristezza infinita. Odiava vedere gli occhi tristi della gente. 
"Hai chiamato Michael?" interruppe quel silenzio.
"Sì, ha detto che stasera sarebbe venuto. Non ha fatto una piega. Ho paura." gli confessò Calum, con un sussurro.
Luke si girò e osservò il profilo del suo viso. "Di cosa?"
L'altro inspirò ed espirò profondamente. "Di quello che tutto questo ci farà." 
"Anche io ne ho."
"Era vivo... Ashton era vivo."
Luke sapeva che Calum stesse parlando più con se stesso, che con lui. Sentiva la novità di quella notizia inceppata nel suo tono di voce, vedeva la sofferenza in quegli occhi color nocciola. 
Luke non disse niente. Restò a consumare il soffitto con gli occhi, avvolto nella penombra. Anche Calum sembrava non volerne parlare più, perché forse quella situazione stava gravando su entrambi nello stesso modo. Forse, quello che sentiva lui era esattamente ciò che anche Calum era costretto a sopportare sulla sua stessa pelle. 
E probabilmente non si sbagliava, poiché quella stanza era troppo colma di dolore, pensieri che uccidevano e urli repressi, per essere di una sola persona. 
"Ti staranno cercando?" gli chiese Calum.
"Chi?"
"I medici, quelli della clinica." 
"Ahm, penso proprio di sì. Anche la mia famiglia, credo." rispose, con la voce abbattuta. 
Si era cacciato in una situazione troppo rischiosa, e di questo ne era a conoscenza. Ma non poteva restare ancora di più in quel posto. Lo facevano sentire un pazzo, uno squilibrato. E Luke li odiava. 
Calum sospirò, e l'altro sapeva già che volesse significare come un rimprovero. 
"Mi dispiace, Cal, ma tu non sai cosa mi facevano fare, lì dentro." 
"Ma almeno avresti potuto lasciare una volta per tutte l'eroina." 
Non voleva arrabbiarsi con Calum, ma quella frase proprio non la digerì.
"Non mi sto più drogando, cazzo. Sto bene, ora. Non ho bisogno di un centro di disintossicazione." affermò, forse con un tono troppo duro. 
Ma lui era fatto così. Salvarsi grazie alle persone lo faceva sentire debole, più di quanto lo fosse in quel giorno. 
Lo vide scuotere la testa, in segno di disfatta. E gli venne una gran voglia di abbracciarlo. Poi sentirono la porta aprirsi, ed entrambi sperarono che non fossero i genitori di Calum. Quando poi videro Michael varcare la soglia della camera, Luke avrebbe dovuto sentirsi sollevato. E invece accadde tutto il contrario, perché Michael aveva una faccia che non avrebbe dimenticato neanche in una prossima epoca. La pelle era ancora più chiara del solito, le labbra piegate quasi impercettibilmente all'ingiù, e gli occhi erano la cosa più spaventosa. Così tristi, spenti, che lasciavano trapassare ogni tipo di sofferenza. 
Non lo salutarono, non si salutarono. Era rimasto lì per alcuni secondi, poi si avvicinò al letto e si sdraiò di fianco a Luke. E questi poté sentire il corpo che era un blocco unico, di ghiaccio, freddissimo e bagnato. 
"Michael..." disse Calum.
Ma tutto ciò che si sentì, in quella stanza, fu un singhiozzo.
Erano loro tre. Così come lo erano stati da quando Ashton se n'era andato. Sdraiati su quel letto, circondati da mura che erano le uniche spettatrici del burrone di dolore in cui stavano scivolando. 
Alla fine si ritrovavano sempre loro, a fare i conti con quella che era la realtà. 
Passarono la notte così, senza più pronunciare una parola. Luke ci aveva provato, a dormire. E lo aveva fatto per mezz'ora, ma poi si era svegliato col cuore a mille, la fronte sudata e il respiro accelerato. Non ricordava nemmeno cosa avesse sognato. Guardò Calum, e lo vide addormentato, con un'espressione in viso che non rispecchiava per niente tranquillità. Successivamente, osservò Michael che, come lui, era un'anima sofferente, vagante per la notte. Era sveglio e impassibile: qualcosa di veramente inquietante. Chiuse gli occhi, immaginandosi che quella non fosse la realtà.

Quando Calum si svegliò, Luke era fuori in balcone, con una sigaretta tra le dita, a contemplare la città. Sentì la portafinestra aprirsi e "Buongiorno." bofonchiò.
"Ehi." lo salutò Luke, girandosi a guardarlo distrattamente. 
Calum sbadigliò e si stiracchiò. "Notte insonne, immagino."
"Già." lo assecondò, per poi aspirare il fumo. 
"Mi sa che non sei l'unico." 
"Cosa?"
"Avril mi ha appena chiamato, mi ha svegliato lei. Sembrava piuttosto scossa, non ha dormito nemmeno lei. Penso che dovresti parlarle."
Gli si bloccarono le parole in bocca. Buttò il mozzicone dal balcone e si passò una mano tra i capelli. Ultimamente, quando si parlava di quella ragazza, una strana sensazione cominciava ad innescarsi in lui. Qualcosa che non aveva mai provato: un misto di battiti accelerati, mani che sudano, e stomaco in subbuglio. 
Questo non gli piaceva per niente. Ne era totalmente spaventato.
Ed ora, se ci pensava, l'aveva trattata come se tutte queste sensazioni non le avesse mai provate. 
"Va beh, Luke, di sotto c'è mia mamma. Torna dentro, ché qui fa un freddo cane." 
E, detto questo, Calum rientrò nella stanza, lasciandolo perso nei suoi pensieri. E questi suoi pensieri portavano solo ad una persona.
Poi scese di sotto, sentendo già la madre di Calum urlargli contro, pronta già a chiamare Liz. 

Avril's pov
Non appena erano usciti dalla casa di Calum, Avril aveva chiamato Vicky, la prima persona che le era venuta in mente. Avril le raccontò di Ashton, questo suo ipotetico fratellastro, ma non le spiegò più di tanto. Era arrivata subito al dunque, chiedendole un posto dove stare con Ashton. E, al contrario di come avesse pensato, Vicky si dimostrò entusiasta di questa sua richiesta, e felice di risentire la sua voce. Le chiese di non dire niente a nessuno, perché con sua mamma doveva parlarci solo lei. Vicky sapeva che Avril fosse stata a Sydney, di conseguenza anche la zia di quest'ultima ne era a conoscenza. Ma chiese di mantenere il silenzio, e avrebbe spiegato tutto più avanti. 
Non appena suonò il campanello, Vicky spalancò la porta e la strinse tra le sua braccia. Avril sembrò un po' titubante nel ricambiare, ma poco dopo si staccarono. Successivamente, Vicky osservò il ragazzo che stava dietro di lei, e si portò una mano sulla bocca.
"Ma tu eri..."
"Morto." l'aiutò Avril. "Ti spiego tutto, se ci fai entrare."
Vicky si spostò dall'entrata per farli passare. Lo fece senza mai staccare gli occhi da Ashton. 
"Oh mio dio." la sentì dire a bassa voce, mentre chiudeva la porta. 
"C'è qualcuno in casa?" domandò Avril, andandosi a sedere sul divano, seguita a ruota da Ashton. 
"No, lo sai, mia mamma è quasi sempre al lavoro. Ma, ti prego, raccontami tutto." 
Avril guardò Ashton: il sangue secco ancora sul viso, i capelli in disordine, le labbra serrate, il viso con un'espressione che non lasciava passare nessuna emozione.
"Forse è lui che dovrebbe spiegare qualcosa a me." affermò, attirando l'attenzione del diretto interessato. Le piantò quelle iridi verdi nelle sue, e solo in quel momento capì cosa c'era di così uguale in esse. Avevano sofferto per la stessa persona, e nemmeno potevano immaginarselo.
Aveva vissuto nella casa della persona che aveva ridotto Luke ciò che era ora. E questo, davvero, non riusciva a saperlo assimilare. 
Non sapeva cosa provare. Le veniva voglia di allontanarsi da Ashton, ma poi pensava che ci dovesse essere per forza una motivazione di tutto ciò.
"Ma comunque," riprese il discorso "Ashton sarebbe il mio fratellastro. La stessa persona che credevi che fosse stata uccisa da Luke. Credo che tu debba delle scuse sia a me, sia a lui. Cazzo, è assurdo." 
Poi vide l'espressione sorpresa di Ashton, che lasciava intendere anche paura. 
"Sì, perché tu non lo sai, ma Luke è stato accusato da tutti di essere stato lui ad ucciderti. La gente non ci parla più, con lui. Non parla più neanche con Michael o Calum. Passano tra i corridoi e tutti si spostano, perché ne hanno fottutamente paura. È cambiato tutto, da quando non ci sei. E Luke ha passato le pene dell'inferno, per te. Cazzo, dove sei stato fino ad ora? Dove sei stato quando Luke si piantava in vena le peggiori dosi di eroina? E quando sbatteva i pugni sulle porte perché gli mancavi? Eh? Dimmelo tu, perché sto combattendo una lotta che non ho nemmeno iniziato io. Ma tu stesso, Ashton." 
Sentiva il sangue pulsare nella vena del collo, il tono di voce che si alzava, proporzionalmente alla rabbia che aveva nel corpo. 
Vicky aveva la bocca spalancata, e quegli occhi che sembravano avessero visto un fantasma. Ashton, invece, deglutiva a vuoto.
"Eroina?" chiese, titubante. 
Avril annuì, e lui "Cristo." imprecò sottovoce, portandosi le mani in viso. 
"Beh? Allora?" lo esortò, ormai su un punto di crisi nervosa. 
"Lo spiegherò a lui." annunciò infine. 
Ed Avril avrebbe voluto prendere una sedia dalla cucina e lanciargliela addosso. Poi si ricordava che, nonostante tutto, era quello il ragazzo che faceva vivere Luke. Lei non poteva fare niente, perché sapeva l'importanza vitale che aveva per lui, anche se, poco prima, era stato proprio Luke a picchiarlo. 
"Beh, allora esci e vallo a cercare. Penso che abbia sofferto già abbastanza." 
Ashton si passò le mani sui pantaloni in un gesto nervoso, poi sospirò. Avril li vide, quegli occhi lucidi. E il cuore iniziò a farle male. 
"Senti, scusa. Non volevo essere così dura, però è stato brutto vedere Luke in quelle condizioni." provò a scusarsi, spinta dai sensi di colpa. 
Ma Ashton abbassò lo sguardo, scosse la testa e "Lascia stare." le consigliò, con voce arrendevole.
Avril si lasciò andare sul divano. Espirò, inspirò e chiuse gli occhi. Voleva che tutta quell'agitazione dentro di lei si estinguesse. Ma il fatto era che, diamine, Luke l'aveva ferita. Voleva nasconderlo a se stessa, perché era da egoisti star male, quando in corso c'era una situazione più drastica. Però, quando picchiava Ashton, e lei lo esortava a smettere, o quando lo chiamava per non farlo andare via, lui faceva come se lei non fosse mai esistita. Avril l'aveva notato. 
Non sapeva nemmeno perché fosse in quella casa, a dir la verità. E, vederlo lì, che stava bene, l'aveva scombussolata. 
Avrebbe voluto dirgli di aver viaggiato km e km solo per lui.
Avrebbe voluto dirgli dei pianti a notte fonda.
E forse avrebbe dovuto anche dirgli dell'amore insano che provava. 

Nessuno parlò più. Passarono la fine della giornata in silenzio, con Ashton sdraiato sul divano, Avril nella camera di Vicky, e quest'ultima che provava a studiare. 
Era ormai ora di dormire, quando arrivò la madre di Vicky. Sentirono delle urla e, scendendo velocemente al piano di sotto, trovarono Ashton intento a spiegare la situazione. 
"Mamma, calma, Ashton è un mio amico." intervenne Vicky. 
La madre si girò, rossa in viso, e venne attirata da Avril.
"Oh santo cielo, e tu cosa ci fai qua?"
Avril deglutì. "Sono tornata a Sydney."
"Beh, questo l'avevo capito. Tua madre non mi aveva avvisata che saresti tornata oggi." disse, esaminandola attentamente. 
Avril guardò prima Ashton, poi la donna. "Già, non l'ho avvisata nemmeno io."
E la madre, da rossa in viso, sbiancò improvvisamente. "Che cosa vuol dire?" 
"Ti prego, non dire niente a mia mamma. Giuro, le spiegherò ogni cosa, la chiamerò domani." la supplicò, con una certa ansia nelle parole.
Si aspettava che scoppiasse proprio in quel momento, e invece "Oddio, tesoro! Hai viaggiato da sola? Stai bene? È successo qualcosa?" fece questa serie di domande, posando la borsa a terra e andando ad accarezzarle la guancia.
"Io... No, ho viaggiato anche con lui." ed indicò Ashton "Sto bene, non è successo nulla di grave. Domani sistemerò tutto."
Vide una gran pena nelle iridi di sua zia, quando pronunciò quel "Oh". Cercò di nascondere lo schifo che le aveva provocato quella esclamazione.
"Va bene, non dirò niente. Ma adesso andate a dormire, è tardi." 
Avril annuì e guardò Ashton. Si parlarono con gli occhi, così troppo simili, e lui si alzò dal divano.
"Spero non sia una fuga d'amore." continuò la donna. "C'è una stanza per gli ospiti, cercate di dormire in camere separate, voi due." indicò Ashton ed Avril.
I due diventarono paonazzi, e a Vicky spuntò un'espressione di puro divertimento. 

Alla fine, Ashton passò la notte due camere distante da quella delle due cugine, e queste dormirono insieme, abbracciate, come se ogni lite non fosse mai esistita. Non piace ad Avril, a dir la verità, il fare finta di nulla. Avevano conti in sospeso eppure, ora come ora, non avrebbe avuto la voglia di intraprendere una discussione. L'abbracciava e ad Avril andava bene così, sentendosi un po' meno sola. Non chiuse occhio e non poteva sapere che, gli stessi pensieri che la stavano turbando, erano infilati anche nella testa di un'altra persona, che in quel momento era intenta ad osservare il soffitto, coi suoi fari azzurrissimi. 

Al mattino, quando Avril si svegliò, Vicky non c'era più nel letto. Allora si alzò, andò a controllare la camera di Ashton, e nemmeno lui era presente. Scese le scale, per poi trovare entrambi seduti al tavolo, con davanti una tazza di caffè.
"Buongiorno." l'accolse Vicky.
"Giorno." biascicò, ancora mezza addormentata.
Ashton le fece un cenno con la testa, in segno di saluto. La prima cosa che Avril pensò fu questa: sembra un barbone. Aveva i capelli ricci arruffati, gli occhi stanchi e forzatamente aperti, l'aria di uno che non dorme da giorni. 
Prese un bicchiere di succo e nel frattempo "Dovresti sistemarti almeno un pochino." gli consigliò. 
Lui optò per il silenzio, portandosi alla bocca la tazza di caffè.
"Non parla da quando si è alzato." la informò la cugina. 
Avril bevve il succo e, prima di salire ancora in camera, "Andiamo da Calum, tra poco." gli comunicò. 
E se ne andò di sopra, a cercare di sistemarsi. Telefonò anche a Calum, mettendolo al corrente delle condizioni pietose in cui era, e gli disse che sarebbe arrivata tra poco. 
Passarono una manciata di minuti e scese al piano di sotto, trovando solo Vicky.
"Comunque... Grazie." esordì. 
"Di niente, spero che tutto si sistemerà." le rispose, con un sorriso rassicurante. 
Aprì la porta, vedendo Ashton già fuori dal cancello, che la stava aspettando. 
"Spero gli darai delle spiegazioni, oggi." proferì duramente. 
E quella fu l'ultima frase detta, prima di incamminarsi verso casa Hood.

Suonò il campanello, e Calum fu colui che comparve all'entrata. 
Era forse la reincarnazione della tristezza, quel ragazzo? Nessun sorriso, nessun segno di serenità sul viso. 
"Ehi." le disse solo. 
Ma lei si aggrappò al suo collo, soltanto per pochi attimi, giusto per risentire il suo profumo.
Entrò in casa, seguita da Ashton, e vide una signora, che in quel momento stava spolverando i mobili. 
"Permesso." 
La donna si girò e, dopo un primo momento di confusione, le sorrise.
"Ciao, ragazzina. Come ti chiami?" le chiese, fermandosi nelle sue pulizie.
"Avril, un'amica di suo figlio."
"Va bene, ora andiamo di là, ciao mà." la congedò con un pizzico di rimprovero.
Lei rise e si rimise a spolverare. Intanto, gli altri andarono nella stanza di fianco, dove c'era una televisione che mandava in onda uno stupido Talk Show. 
Calum non guardava Ashton, forse non ne aveva il coraggio. 
"Dov'è Luke?" domandò Avril.
"Di sopra, c'è anche Michael."
E, proprio mentre finì di pronunciare la frase, dall'inizio delle scale si vide passare Michael per il corridoio. 
"Vado un attimo su. Arrivo." annunciò Avril. 
Guardò poi Ashton, intimandogli con lo sguardo di parlargli. O, almeno, spiegargli qualcosa.
Salì, quindi, ritrovandosi in un corridoio che non aveva mai visto. Andò a sinistra, il lato in cui aveva visto Michael dirigersi. Aprì la prima porta, notando il ragazzo sdraiato sul letto. 
"Michael." lo chiamò.
Lui restò con la faccia piantata nel cuscino. "E' di sotto?" chiese, e Avril a malapena capì cosa diavolo avesse detto.
Si sedette anche lei, e il materasso si inclinò maggiormente.
"Sì. Non scendi?" 
"No." 
Avril sbuffò. Ora avrebbe dovuto convincerlo, e proprio non ne aveva voglia. Assottigliò lo sguardo, e l'osservò meglio. C'era qualcosa di diverso nei suoi capelli. Forse era il buio, ma non li vedeva più tutti chiari. Spontaneamente, intrufolò una mano tra i suoi ciuffi e "Che hai fatto ai capelli?" lo interrogò. 
Eppure, il ragazzo non ebbe neanche il tempo per rispondere, perché qualcuno spalancò ancora di più la porta. La fioca luce proveniente dal corridoio le faceva credere che quello fosse Luke, ma non ne era sicura. Quando poi quel qualcuno iniziò ad avvicinarsi, ne fu certa. 
"Cosa ci fai qui?" sputò con cattiveria.
Le conficcò le iridi, forse col colore più chiaro presente in quella stanza, nelle sue. Le salì il cuore in gola, seriamente impaurita. Luke le strinse il polso nella sua mano e la fece uscire dalla camera, conducendola davanti ad un'altra porta. L'aprì senza troppe cerimonie, trascinando Avril dentro. Non appena spinse giù la maniglia, sbatté la ragazza contro la porta e sembrava scaverle l'anima. Avril si sentiva proprio così. Spoglia, nuda, osservata.
"Cosa ti prende, Luke?" inveì, cercando di non annientarsi da sola mantenendo il contatto visivo.
"Cosa prende a te, vorresti dire! Cosa stavi facendo?!" sbraitò. 
La schiena di Avril si scontrò un'altra volta con la superficie fredda. Un rumore echeggiò per la stanza, così come la sua rabbia si diramò per il suo corpo.
"Io proprio niente! Stavo solo chiedendo a Michael di scendere, ché c'è di sotto Ashton. Dio santo, potresti smetterla di fare il pazzo?" 
Luke lasciò la presa al suo polso, ed una sua mano andò a posizionarsi di fianco al viso della ragazza. 
"Ashton è qui?" questa volta parlò più a bassa voce, così paurosamente vicino al suo viso. 
Tanto che Avril ebbe solo il coraggio di annuire con la testa.
"Mh. E tu perché eri a chiamare Michael e non me?" 
Questo era il tono da stronzo ed Avril lo conosceva bene.
"E tu perché sei qui e non nella clinica?" ribatté con la stessa cattiveria usata da lui. 
Luke rise amaramente. "E tu perché sei a Sydney e non a Melbourne?"
Avril aprì la bocca per parlare, ma non le uscì niente. Non pensava che Luke sapesse della sua fuga. 
Il sorriso del ragazzo si aprì ancora di più. "Ecco, appunto. Siamo scappati entrambi. E credo per la stessa ragione." 
E, pronunciata l'ultima parola, Avril poté sentire le labbra di Luke impossessarsi delle sue. Le chiese quasi immediatamente l'accesso, e lei glielo diede. C'erano così tante cose, in mezzo a quel bacio, che ad Avril alcune sfuggivano. C'era paura, nostalgia, rabbia, dolore e, soprattutto, nero.  Lasciò calmarlo per un po', perché anche a lei mancavano quelle sue labbra morbide e tiepide, che creavano una dipendenza assurda. E sentirlo così vicino, dopo tutto quel tempo, la fece stare di nuovo bene. Era come se, mentre si baciavano, venisse posta una barriera tra loro e il mondo esterno. Solo in quel momento potevano davvero iniziare a vivere senza la paura di perdersi. Perché quei due avevano un legame fondato sulle partenze e sui ritorni ma, puntualmente, arrivavano sempre allo stesso arrivo.
Si staccò e riprese fiato. "Ashton... Devi andare da Ashton." soffiò sulle sue labbra. 
"Dopo." sussurrò Luke, stampandole un altro bacio.
"Adesso." la sua voce suonò dura, più di quanto volesse. 
Luke abbassò la testa e "Non lo voglio vedere." spiegò.
"Ti è mancato per così tanto tempo, ed ora che c'è lo lasci andare?" 
La mano di Luke sbatté contro il legno della porta, Avril trasalì. Emise un gemito di rabbia, e lei capì che non avrebbe più dovuto dire niente.
"Non dirmi così, non hai idea di cosa si provi! Chi cazzo me lo dice che sia la stessa persona di due anni fa? Chi cazzo mi dice di essergli mancato tanto quanto lui è mancato a me? Ci sono cose che non so, e che ho troppa paura per chiedere. Sono scioccato, Avril. Mi sembra di star vivendo un sogno che probabilmente sembra più un incubo. Ho finito di lottare, non ne ho più voglia." 
Avril lo lasciò sfogare. Vederlo così schifosamente abbattuto buttava giù anche lei, la faceva sentire così piccola. Gli prese il viso tra le mani, gli alzò la testa e lo ribaciò.
Son qua io, Luke.
Son qua io e ci rimango per un bel po'.

Luke la chiuse tra le sue braccia, una sorta di casa costruita intorno a lei. Le veniva voglia di scoppiare a ridere, quando l'abbracciava. Le saliva un'euforia fuori dai limiti.
"Vai giù, dai. Ho lasciato Calum da solo con Ashton."
Lui sbuffò. "Ma dove l'hai trovato?"
"E' il mio fratellastro, è figlio della stronza con cui sta ora mio padre. Vive a Melbourne, ora." 
Luke si portò al petto la mano che non era poggiata alla porta, ed Avril gli sentì buttar fuori un respiro lunghissimo. 
"Ehi, su. Tranquillo." provò a consolarlo, terrorizzata da quello che il biondo provava in quel momento.
"Mi sento morire. Senti qua." le prese la mano e gliela poggiò sulla parte sinistra del petto.
Avril udì dei battiti forti, che si rincorrevano l'un l'altro, come se stessero facendo gara a chi sbatteva più forte contro la gabbia toracica. "Ho paura."
"Non devi. E' la stessa persona di anni fa, è il tuo migliore amico." ritrasse la sua mano, ma Luke fu pronto a riprenderla.
"Ascoltami, Avril." e lei non l'aveva mai visto così serio. "Non sta battendo così forte solo per Ashton. Lo sta facendo anche perché ci sei tu, qui con me." 
La gola le si seccò. Era sicura che ora il suo cuore stesse battendo con un ritmo tre volte triplicato rispetto a quello di Luke. Le mani le sudavano.
"Io..." 
"No, aspetta." la bloccò. "Devo chiederti scusa."
Avril aggrottò la fronte. "Per cosa?"
"Per la scommessa." 
Felicità. Sorpresa. Amore incondizionato.
Le labbra le si incrinarono all'insù, mostrando il sorriso più sincero che avesse mai regalato a qualcuno. Pensava che l'avesse anche dimenticato, quell'episodio. Pensava che fosse rimasto dentro solo di lei. E, invece, si era addirittura scusato.
"E' passato un po' di tempo, eh. Ma ti perdono." 
Luke rise. Aveva un migliore amico ipoteticamente morto al piano di sotto, dei medici che lo cercavano, una vita segnata dall'eroina. Eppure, Luke rise. 
"Andiamo giù, dai." 
Quando scesero, trovarono Calum abbracciato ad Ashton. Sembravano una cosa sola. Luke le strinse di più la mano, alla vista di quella scena. 
"Li denunceremo, Ash. Li denunceremo." stava dicendo Calum.








Hei people!
Ok, allora, parto col dirvi che alle recensioni risponderò tutte domani, perché non ho avuto tempo. Però le leggo tutte, e ci tenevo a dirvi che mi rendete sempre felice, lol. E comunque, non ho molto tempo, perché devo andare a fare matematica, ma avevo promesso di essere puntuale, quindi eccomi. 
Avevo sempre avuto paura di pubblicare questo capitolo, perché è come il succo della storia, in cui è concentrato tutto l'argomento su cui si basa Two.
Luke, ovviamente, ha reagito come ha reagito perché non poteva di sicuro accoglierlo con un abbraccio. 
Calum sembra quello che sa ragionare meglio in questa situazione, mentre Michael proprio pare esser stato prese in pieno da questo ritorno.
Avril, poi, è incazzata anche lei con Ashton, perché non se lo aspettava. Però, come vedete, riesce a cambiare velocissimamente in presenza di Luke. E Luke che si scusa con lei per una cosa fatta mesi fa credo sia una cosa che lascia capire molte cose.
Ah, il trailer sta arrivando, mi spiace metterci così tanto, però è un po' lungo.
Me ne vado così, ringraziandovi per tutto. E dicendovi che mi si era cancellato tutto, e quindi potete capire quanto tranquilla io sia in questo momento, lol
Ciao belle :)


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