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Autore: phoede    01/06/2008    2 recensioni
Allora questa mia storia è ambientata al’epoca dei malandrini, inizia alla fine del loro sesto anno e nelle mie intenzioni dovrebbe arrivare alla fine della scuola. Questo è quello che io immagino sia successo in quel periodo, partendo dalle informazioni che tutticonosciamo come la fuga di Sirius e l’inizio della storia tra James e Lilly. Il tutto narrato direttamente in prima persona dai protagonisti.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era l’inizio di Giunio, c’era il sole, ma non faceva ancora troppo caldo, si sarebbe proprio stati bene fuori in riva al lago

Era l’inizio di Giunio, c’era il sole, ma non faceva ancora troppo caldo, si sarebbe proprio stati bene fuori in riva al lago.

Io però non avevo voglia di uscire a gozzovigliare con i miei amici come al solito.

E già, proprio io, Sirius Black, il più impenitente tra i Malandrini, me ne stavo solo, disteso sul letto a pensare.

Certo, i più non credono che io ne sia capace, ma sono un ragazzo dalle mille risorse io, e, quando mi ci metto, ho anche un cervello mica male, senza false modestie.

E i miei amici avevano capito che non era aria, lasciandomi così solo nella nostra camera a riflettere., e a scacciare quell’amore malinconico che poco mi si addice.

Loro sì che mi conoscono bene, e mi capiscono, loro sono più che amici, sono fratelli.

Più fratelli loro di quello che dovrebbe essere mio fratello, quello vero, quello di sangue. Lui neanche mi conosce, lui come il resto della famiglia, non gli è mai importato conoscermi.

Il sesto anno sarebbe finito di qui ad un mese, ed io non volevo proprio tornare a vivere in quella prigione che era la mia casa. Perché era così che mi sentivo ogni volta che vi mettevo piede.

Ma cosa avrei potuto fare?

Dopotutto ero ancora minorenne, avrei compiuto gli anni, i tanto agognati diciassette, che finalmente mi avrebbero reso libero, solo tra sei mesi, poco dopo Natale.

Nel frattempo non mi restava altro da fare, se non stringere i denti, e tornare alla mia tanto odiata casa, dalla mia tanto odiata famiglia.

Anzi no, non ero io che odiavo loro, a me sarebbe bastato che mi lasciassero vivere in pace. Erano loro ad odiare me, con tutte le loro forze, e non facevano nulla per nasconderlo.

Sì perché, diciamocelo chiaro, io ero la rovina della famiglia, la pecora nera (come dicono i babbani), il disonore di una tra le più nobili ed antiche famiglie del mondo magico: l’antichissima e nobilissima casata dei Black, come stava scritto su quell’arazzo del nostro salotto.

Bleh, solo a pensarci mi vengono i conati.

E io, io solo, avevo avuto l’ardire, alla tenera età di undici anni, di sfidare una tradizione vecchia di secoli.

E già perché mai nessuno, prima di me, aveva osato farsi smistare a Grifondoro dal cappello parlante. In realtà ho sempre avuto il sospetto che se fossi finito a Corvonero o a Tassorosso, la cosa, per quanto riprovevole, non sarebbe stata così grave. Ma uno che aveva il fegato di sfidare la mia famiglia non avrebbe potuto finire che a Grifondoro.

Quando lo seppero a casa lo presero come un affronto personale. E, naturalmente, la mia adorabile madre non tardò a prendere provvedimenti.

Prima di sera aveva spedito il suo viscido elfo domestico ad Hogwarts, per farmi dare una bella frustata (a casa mia non solo le idee erano da Medioevo), inoltre aveva anche il compito di convincermi a ripetere lo smistamento.

Io, chiaramente, non ne volli sapere, e per fortuna, anche Silente fu irremovibile su questo punto.

“Il cappello aveva detto la sua, e la sua parola è legge!” aveva sostenuto.

Così io me ne restai a Grifondoro, e da casa mia partirono tutta una serie di rappresaglie, per farmi capire che la cosa non era gradita.

Quello che proprio non riuscivano a capire era che più loro s’intestardivano con questo comportamento, più io diventavo irremovibile sulle mie scelte.

Ero sempre stato un bastiancontrario!

Ogni giorno, mi arrivava una strillettera, nella quale, la soave voce della mia mammina, mi ricordava che delusione fosse avermi come figlio. Si premurarono di farmi sapere che, date le mie scelte didattiche, non era il caso che tornassi a casa per Natale, ma che sarebbe stato meglio che mi concentrassi sul mio rendimento scolastico. Insomma una simpatica perifrasi per dirmi: “Sta fuori dai piedi!”.

Ma cosa credevano? Non saprei tornato a casa comunque. Ora che ne avevo la possibilità sarei stato lontano da quel posto il più possibile.

Insomma la mia vita a casa era una sorta di calvario senza fine.

Solo a scuola potevo essere veramente me stesso: allegro, impulsivo, giocherellone, espansivo, felice, e tutte quelle cose che un vero Black non avrebbe dovuto essere, ma che facevano di me un ottimo Malandrino.

I Malandrini, per fortuna che c’erano loro.

L’ho già detto, ma non mi stancherò mai di ripeterlo, loro soni i miei amici, i miei fratelli, la mia famiglia.

Loro sono la cosa più importante per me. Io so tutto di loro, e loro tutto di me.

Conosco il più sordido segreto di Lunastorta, il più inconfessabile.

So ogni minimo, minuscolo, insignificante dettaglio della cotta megagalattica che Ramoso ha per la Evans da quando l’ha vista sul binario 9e¾ il primo giorno di scuola (no ma dico io, ci rendiamo conto, non eravamo ancora saliti sul treno e lui aveva già trovato la donna della sua vita! Secondo me non è normale).

E Codaliscia… beh Codaliscia è Codaliscia: non è coraggioso coma James, non è intelligente coma Remus, non è intraprendente come me, ma se mancasse lui, mancherebbe una parte fondamentale del nostro gruppo. Mancherebbe una parte di noi.

Ok ora basta!

Basta piangersi addosso, Sirius Black non lo fa.

Basta essere tristi, Sirius Black non lo è mai.

Basta rimuginare, Sirius Black non lo fa.

E allora che cavolo fa Sirius Black?

Eh eh… Sirius Black è un Malandrino, e quindi ora si alza e si ricongiunge ai suoi compari.

“ATTENTO MONDO STO ARRIVANDO!”

Proprio mentre mi sto alzando, qualcosa entra dalla finestra e mi colpisce in piena faccia.

Ma che cavolo è? È bagnata, ed è… fredda?!

Come ci è arrivata nel dormitorio, al settimo piano del castello, ed in pieno Giunio, una palla di neve?

Forse forse un’idea ce l’ho!

  
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