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Autore: Layla    13/01/2014    1 recensioni
“Buongiorno, figliolo.
Veniamo al dunque: tu e Liz farete un bel viaggetto in Francia, lei deve insegnarti un paio di cose.”
“Sì, a vestirmi di nero e ad amare band che inneggiano al suicidio.”
“No, dovrei insegnarti qualcosa sulla vita, ma dubito di riuscirci con il cervello bacato che ti ritrovi!”
Le rispose acida lei, Will stava per risponderle a tono quando si intromise suo padre.
“Non siete qui per litigare! Vi ho prenotato l’aereo, partirete domani sera.”
“Agli ordini!”
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti
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1)In Francia per punizione.

Aveva preso l’ennesimo votaccio e questa volta non sapeva proprio come presentarlo al padre.
Will calciò via la neve che stava invadendo progressivamente il marciapiede, Londra – o meglio londinesi – non era fatta per la neve, la gente dimostrava sempre un menefreghismo devastante.
I vialetti delle case erano sempre puliti,  a scapito dei marciapiedi di cui non si curava nessuno,
Sbuffando estrasse l’i-phone e scrisse a Matt che non ci sarebbe stato alla festa di sabato, perché probabilmente il suo vecchio l’avrebbe messo in punizione.
L’amico gli rispose che gli dispiaceva e che erano riusciti a convincere Sherilee a venire, Will imprecò sottovoce.
Sherilee Lynch era il sogno proibito di ogni ragazzo, aveva lunghi capelli neri, due occhi azzurri meravigliosi, un bel davanzale e tutte le curve al posto giusto.
“Merda!”
Probabilmente Matt se la sarebbe fatta e lui sarebbe rimasto a bocca asciutta. Il pensiero gli diede una fitta di rabbia.
Beh, ormai era tardi, doveva solo affrontare suo padre e sperare che non si arrabbiasse troppo.
Era ormai arrivato a casa sua, così sali i tre gradini e aprì la porta rossa su cui era rimasta una malinconica ghirlanda di Natale.
Suo padre lo aspettava all’ingresso e questo era perlomeno strano.
“Ciao, papà.”
Lo saluto cauto, intuendo la tempesta in arrivo.
“Ciao, Willy. Vieni, dobbiamo parlare.”
Ok, non poteva più salvarsi, sperò solo di essere capace di riuscire a sopravvivere nella tempesta che si sarebbe scatenata di lì a poco.
Arrivarono in salotto, lui si sedette sul divano, suo padre su una poltrona davanti a lui.
“William, mi ha telefonato la tua insegnante di matematica. Hai preso l’ennesimo brutto voto, si può sapere cosa hai in mente?”
“Io… niente.”
“Ecco il problema! Tu non hai in mente niente se non fare casino con quei teppisti dei tuoi amici!
Sparisci ogni venerdì e sabato sera e domenica – quando dovresti fare i compiti – o dormi oppure giochi con quei tuoi videogiochi. Non si può continuare così, non ho intenzione di lasciarti perdere un anno di liceo, visto che io e tua madre ci spacchiamo la schiena per farti studiare!”
Eccolo lì, il solito tentativo di farlo sentire in colpa mettendo a confronto la sua adolescenza con quella dei genitori. Will respinse il senso di colpa e tornò ad ascoltare suo padre.
“Sei in punizione per due settimane e, visto che non ti interessa nulla né della mia adolescenza né di quella di tua madre, riceverai presto una lezione.”
“Non è che non mi interessa nulla…”
“Sì, non ti interessa nulla. Ogni tanto uscivamo anche noi a divertirci, ma non come te che non sai fare altro che bere e scopare, suppongo.
Adesso puoi andare in camera tua.”
“E il pranzo?”
“Se lo salti una volta non muori.”
Rispose suo padre, William si alzò reprimendo un sospiro di infelicità e salì in camera. Ai genitori dei suoi amici non importava nulla del loro rendimento scolastico, perché proprio a lui era capitato un padre vecchio stile?
Buttò lo zaino a terra, si tolse jeans, scarpe e calzini e si buttò sul letto, il pranzo era andato a farsi benedire, tanto valeva farsi una bella dormita.
Più tardi forse avrebbe fatto i compiti
Odiava la scuola anche solo per il doversi alzare presto, lui non era affatto mattutino, iniziava a ingranare del tutto verso le undici, le ore precedenti erano spesso nient’altro che una nebbia indistinta in cui si trovava costretto a vivere.
Nemmeno cinque minuti dopo dormiva già.
Era immerso nel sonno dei giusti quando sentì qualcosa cadere su di lui che lo sbatte giù a calci con poca gentilezza, poi aprì gli occhi e capì che si trattava di Freddie, un suo amico.
“Che cazzo di modo hai di svegliare le persone?”
Gli chiese con la voce impastata dal sonno.
“Uno piuttosto diretto.”
Commentò alzandosi e massaggiandosi il sedere.
“Cosa ci fai qui, comunque?”
“Niente, sono solo venuto a trovarti.
Tuo padre mi ha detto che devi scendere, c’è quella gran figa di tua cugina Liz dabbasso.”
“Non è figa.”
Ripose lui, raccogliendo i suoi jeans.
“Certo che lo è.”
“Ma per favore! Con quei capelli rosso sangue, la faccia pallida, i suoi vestiti neri e le sue band emo fa pena.”
“Secondo me è figa.”
Lui sospirò esasperato, mettendosi una felpa, dei calzini e le ciabatte.
“E allora provaci con lei.”
“Nah, non ne vuole sapere di gente stupida come me.”
Will non fece commenti, la cotta di Freddie verso Liz era abbastanza strana.
Scese dabbasso e trovò il suo vecchio seduto sul divano a chiacchierare amabilmente con quella secchiona.
“Ciao a tutti.”
Liz alzò una mano e arrossì lievemente quando vide Freddie spuntare alle sue spalle.
“Buongiorno, figliolo.
Veniamo al dunque: tu e Liz farete un bel viaggetto in Francia, lei deve insegnarti un paio di cose.”
“Sì, a vestirmi di nero e ad amare band che inneggiano al suicidio.”
“No, dovrei insegnarti qualcosa sulla vita, ma dubito di riuscirci con il cervello bacato che ti ritrovi!”
Le rispose acida lei, Will stava per risponderle a tono quando si intromise suo padre.
“Non siete qui per litigare! Vi ho prenotato l’aereo, partirete domani sera.”
“Agli ordini!”
Fu la sua riposta acida.
La proposta di suo padre non gli piaceva affatto, trascorrere del tempo con Liz sarebbe stato di una noia mortale per lui e poi lei era un’acida di prima classe, sempre pronta a commentare malignamente le sue abitudini.
“Beh, se non c’è nient’altro da dire io me ne vado.”
Liz si alzò dal divano e recuperò la sua borsa, Will tirò un intimo sospiro di sollievo.
“Vuoi che ti accompagni a casa?”
Li z guardò Fred leggermente stupita, poi fece cenno di sì con la testa, in un attimo erano spariti tutti e due.
“Cos’è questa storia della Francia?”
Chiese a suo padre.
“Visto come ti stai comportando è arrivato il momento di raccontarti qualcosa di più sulla nostra famiglia e siccome so che non mi ascolterai sarà Liz a farlo.”
“Chi ti dice che la ascolterò? Lei non mi piace con quell’aria da miss so-tutto-io.”
“La ascolterai, te lo garantisco.”
Rispose duro suo padre, Will scoprì di non avere parole con cui rispondergli.

 

Due giorni dopo erano in volo sopra la Francia, il tempo era nuvoloso e una volta atterrati a Parigi si sarebbero presi un bel po’ di acqua.
“Ripetimi il piano.”
“Atterriamo, prendiamo un taxi per la gare de l’Est, io faccio i biglietti per Verdun e poi ci fermiamo per una notte in un ostello che ho prenotato io.”
“ ‘k, cosa vi siete detti tu e Freddie?”
Lei arrossì leggermente.
“Nulla che ti possa interessare.”
“Dai, dimmelo.”
Lei prese fiato.
“Senti, William, io non piaccio a te e tu non piaci a me, ma siamo costretti a fare questo viaggio insieme, quindi stabiliamo delle regole.
1)Non parliamo più del necessario.
2) Tu non fai cazzate.
3)Non parlarmi più di Freddie o giuro su Dio che me ne torno a Londra e ti mollo per cazzi tuoi.”
“Agli ordini!”
Rispose seccato lui, che non pensava di meritarsi una risposta così cattiva.
Era inutile, non avrebbe mai capito Liz. Da bambini giocavano insieme, poi qualcosa si era guastato, sua cugina aveva cominciato a essere derisa per il suo essere troppo grassa ed era diventata anoressica e strana: niente più vestiti colorati, niente più sorrisi o feste, solo quelle band deprimenti. Era guarita alla fine, ma non era tornata quella di prima, era rimasta quella con i vestiti neri e delle band strane.
Anche adesso le stava ascoltando a giudicare dal ronzio che sentiva dalle sue cuffie, Will decise di lasciar perdere.
Un quarto d’ora dopo atterrarono al DeGaulle, ritirarono i bagagli e cambiarono la cara vecchia sterlina in euro.
“Bene adesso cerchiamo un taxi.”
Gli disse sua cugina, che parlava un francese abbastanza buono al contrario di lui che capiva a stento metà di quello che le persone dicevano attorno a lui.
“Va bene.”
Uscirono dall’aeroporto trascinandosi dietro i loro bagagli, Liz camminava a passo talmente svelto che lui faceva fatica a starle dietro, dannata emo!
Alla fine si ritrovarono fuori dalla grande struttura, lui si guardò attorno spaesato, lei invece aveva già individuato i taxi e lo costrinse a muoversi con uno strattone alla giacca.
Will si affrettò a seguirla, lei parlottò per un po’ con il taxista che annuì e li aiutò a caricare i bagagli. Entrarono nella vettura – piacevolmente riscaldata – e lui si sentì un po’ meglio, curiosamente aveva voglia di un bel the caldo.
La macchina si mise in moto e lui si perse a guardare le strade di Parigi tra le gocce di pioggia che scendevano a rigare il finestrino, Liz non gli disse niente.
Will cominciò a trovare un po’ pesante quell’assenza di comunicazione, in fondo era un bel ragazzo e con un carattere amabile!
Era biondo e con gli occhi verdi e sapeva essere simpatico se voleva, alle ragazze piaceva e amavano anche i suoi capelli irti in una specie di cresta. Liz non gli aveva mai detto una volta che era bello, al contrario lo chiamava scimmia.
Alla fine arrivarono alla Gare de l’Est ed entrarono di nuovo in un ambiente affollato e freddo.
“Senti, io vado a fare i biglietti, non allontanarti.”
Lui annuì e si sedette su una panchina lì vicino, ben presto venne avvicinato da uno sconosciuto.
“Se ti interessa ho un po’ di roba a buon mercato.”
Perché no? In fondo gli toccava trascorrere una serata con un’acida.
“Che roba?”
“Erba.”
“Va bene.”
L’uomo gli infilo senza farsi vedere un cubetto in tasca lui gli infilò venti euro nella tasca del giubbotto, poi come era arrivato l’uomo se ne andò, il problema era che anche la rossa lo aveva visto e dalla faccia con cui gli stava venendo incontro non aveva affatto gradito.
“Cosa hai comprato?”
Gli sibilò tagliente.
“Un po’ di erba per stasera.”
“Sei incorreggibile!”
Sputò lei.
“Comunque ho i biglietti, partiamo dopodomani alle sei e adesso andiamo all’ostello, è davanti alla stazione.”
“Va bene. si può sapere perché non ti va mai bene quello che faccio io?”
“Perché tre quarti di quello che fai è dannatamente stupido!”
“Pensa un po’ alla tua storia!”
Lei si girò e lo fulminò con un’occhiata così carica di rancore che si stupì di non prendere fuoco all’istante.
“Io ero malata, tu non sei malato, sei solo uno stupido!”
Sibilò prima di girarsi di nuovo e chiudere del tutto la comunicazione con lui.
Will sbuffò, possibile che non ne indovinasse una con lei?
Che ogni volta che cercasse di abbattere a suo modo il muro tra di loro sua cugina lo respingesse così brutalmente?
Attraversarono la strada, il secondo edificio era il famoso ostello e venne assegnata loro una camera a due letti e con un piccolo bagno.
“Io vado a farmi una doccia.”
Annunciò Liz.
“Si può sapere cosa ti ho fatto?
Siamo cugini in fondo!”
“Quando i tuoi amici mi prendevano in giro,non ero tua cugina, non ero nemmeno una tua lontana parente, non ero nessuno.”
Poi si chiuse in bagno e Will si stese su uno dei due letti, non aveva mai considerato la vicenda da quel punto di vista, forse avrebbe dovuto chiederle scusa, ma non era certo che lei le accettasse, aveva un tale carattere!
Finita la doccia se ne fece una anche lui e quando uscì la trovò addormentata  mentre ascoltava la sua musica, indossando solo una maglia lunga,  in un impeto di pietà decise di coprirla e poco dopo la imitò anche lui.
La mattina dopo si svegliarono con un bel sole, Will si sentiva riposato.
“Quando abbiamo il treno?”
“Domani alle sei, quindi se vuoi possiamo fare un giro per la città.”
“Va bene, ma prima mettiamo qualcosa sotto i denti. Ho fame.”
“Nell’ostello è compresa la prima colazione.”
Lui sorrise.
“Che bello!”
Si cambiarono e scesero a mangiare un abbondante colazione continentale, poi tornarono in camera e si guardarono negli occhi.
“Cosa facciamo ora?”
“Io andrei a vedere la tour Eiffel e poi Montmartre.”
“Va bene, vengo con te.”
Lei alzò gli occhi al cielo.
“Se devi.”
“Scusa se non sono bravo come te con il francese!”
“Se fossi stato attento a scuola…”
“CHE PALLE”
Urlò esasperato.
“Non è colpa mia se non sono un secchione!
E poi cosa ti costa aiutarmi?”
“Il fatto è che non voglio aiutarti, non voglio aiutare nessuna delle persone che mi hanno fatto del male.”
Lui sbuffò.
“Ho sbagliato, va bene?
Succede.”
Lei fece uno strano gesto con la mano.
“Facile liquidare tutto così, senza nemmeno una scusa, ma cosa posso aspettarmi da te?
Dai, andiamo, ma non aprire bocca durante il giro, odio la tua voce!”
Liz aprì la porta con rabbia e non si curò del fatto che lui la seguisse o meno, non si aspettava che sua cugina ci fosse rimasta così male per qualche scherzetto innocente.
La sua coscienza dissentì, non erano scherzetti innocenti, era bullismo vero e proprio e lei aveva imparato a difendersi allontanando tutti.
Uscirono nel sole di Parigi, la rossa aprì una mappa e poi cominciò a camminare svelta sul marciapiede, lo stava completamente ignorando come aveva detto avrebbe fatto.
Lui la seguiva a fatica, intralciato dalla gente, e la vide quasi per miracolo scendere in una delle stazioni della metropolitana.
Sbuffando la ritrovò davanti a un’edicola, lei lo vide e gli passò un paio di biglietti.
“Cristo, potresti almeno aspettarmi!”
Per tutta risposta lei ricominciò a camminare.
“Liz, aspettami!”
Will dovette correrle dietro e riuscì a portarsi al suo fianco giusto poco prima che la carrozza della metro arrivasse. Salirono insieme, a giudicare dalle fermate la prima tappa doveva essere la torre.
“Penso ci fermeremo anche a Notre Dame e alla Saint Chapelle.”
“Va bene.”
Aveva qualche altra possibilità?
Scesero a una fermata, lui la seguì docile e dopo aver percorso un paio di stradine si ritrovarono davanti alla torre.
“Wow!”
Will le fece una foto con l’i-phone.
“Puoi farmi un favore?”
“Dimmi, Liz.”
“Fammi una foto con il mio cellulare, io accanto alla torre.”
Lui annuì e la cugina si mise in posa, lui cliccò un tasto ed ecco che la loro prima tappa era stata immortalata.
Gironzolarono ancora un po’ alla torre, arrivarono fin sotto la struttura per ammirare gli incastri perfetti del ferro, lui sarebbe rimasto volentieri ancora un po’ma lei lo trascinò via.
“Prossima tappa?”
“Notre Dame e la saint Chapelle:”
Presero di nuovo la metro e si fermarono alla fermata giusta per andare a visitare i due monumenti.
Già fuori dalla chiesa Will si fermò per un attimo, incantato, poi entrò per vederlo meglio.
Le vetrate di Notre Dame erano davvero belle, con la luce colorata che diffondevano nella chiesa la rendevano fuori dal tempo. Un  fiore etereo che non sarebbe durato, un’eterna preghiera verso il cielo con i costoni e i gargoiles che si alzavano come mani protese verso il cielo blu.
Usciti da Notre Dame, entrarono nella Saint Chapelle, se possibile era ancora più bella di Notre Dame, le vetrate erano più alte e ricoprivano quasi interamente tutte le pareti, sembrava di stare in paradiso.
Tutta quella luce strana – filtrata – dava l’impressione di essere entrati in un altro mondo, un mondo di santi, streghe, re e regine che da tempo avevano lasciato questo mondo insieme alla loro mentalità.
C’era qualcosa di epico in tutto questo, un pulsare di vita estinta che si faceva sentire attraverso l’arte.
Era magico.
Anche Liz era incantata allo stesso modo, almeno in quello erano cugini. Uscirono a malincuore con gli altri turisti, prima di riprendere il loro giro si sedettero su una panchina,entrambi accesero una sigaretta.
Will non sapeva se potesse parlare o meno a sua cugina, quindi per non fare la figura del fesso faceva finta di concentrarsi sui passanti.
“Come ti sono sembrate?”
Alla fine era stata Liz a rompere il silenzio.
“Bellissime, soprattutto la Saint Chapelle.”
Era incerto se aggiungere altro, alla fine decise di farlo.
“Sembrava di stare in un altro mondo.”
“Esattamente quello che ho pensato io.”
Per la prima volta Liz gli sorrise e dovette ammettere che quando sorrideva era una bella ragazza, peccato lo facesse così di rado!
“Adesso, cosa facciamo?”
“Cerchiamo un posto dove mangiare e poi andiamo a Montmartre.”
“Va bene.”
Si alzarono dalla panchina e cercarono un bar che non fosse troppo costoso, presero un panino e una bottiglietta d’acqua ciascuno. Il silenzio era di nuovo calato tra di loro, ma Will percepì che era meno carico di ostilità.
Finito di mangiare presero di nuovo la metro e arrivarono a Montmartre, salirono la scalinata del Sacro Cuore e da lì si godettero il panorama dei tetti di Parigi. Non era magico come le chiese, ma era romantico, gli sarebbe piaciuto portarci la ragazza dei suoi sogni.
Chissà se a Sherilee sarebbe piaciuto?
Si chiese Will, probabilmente sì, ma lui non sarebbe mai riuscito ad averla. Quelle come Sherilee non sceglievano mai quelli come lui.
“William!”
L’urlo di sua cugina lo fece trasalire.
“Dobbiamo andare! Si può sapere a cosa stavi pensando?”
“A come sarebbe bello portare Sherilee qui e a come sia impossibile che lei scelga me.”
La risposta sincera gli era uscita da sola e lui non avrebbe voluto che succedesse.
“Sherilee Lynch? Non ti perdi nulla, è solo un’oca.”
Will scosse la testa e seguì Liz lungo la scalinata, presero di nuovo la metro e arrivarono nei pressi del loro ostello.
Gironzolarono un po’ fino all’ora di cena, poi cercarono un altro bar per mangiare, trovarono una pizzeria che faceva prezzi decenti.
Mangiarsi una pizza a Parigi non era poi così male!
Usciti dal locale rientrarono in ostello e si fecero entrambi una doccia, poi Liz si stese sul letto a leggere qualcosa, un manga probabilmente, lui invece si diede da fare con l’erba comprata il giorno prima. Preparò la cartina, prese il tabacco, lo mischiò a un po’ di erba e chiuse tutto con il filtro.
La accese soddisfatto.
“Vuoi fare un tiro?”
“No.”
“Eddai, non fare la santa!”
Liz appoggiò il manga al comodino e si sedette accanto a lui sul terrazzino della loro camera e gli tolse la canna dalle mani, traendone un lungo tiro.
“E poi non la volevi. Non sei una principiante.”
“No, in qualche modo dovevo sopravvivere alla scuola e, a volte, ho scelto metodi sbagliati.”
Per un attimo i suoi braccialetti si alzarono rivelando sottili cicatrici bianche, lui fece una smorfia.
“Sì, sono proprio metodi sbagliati.”
Continuarono a fumare insieme, quando la canna era quasi finita e Liz rilassata si azzardò a domandargli una cosa che gli premeva fin da quando erano sull’aereo.
“Liz, ma ti piace Freddie?”
“Sì, ma è fuori dalla mia portata e poi uscire con me gli rovinerebbe la reputazione.”
“Penso che non gliene freghi un cazzo della reputazione.”
“Pensi che mi possa aspettare  che mi chieda di uscire con lui allora?”
Chiese con voce sognante la rossa.
“Può darsi.”
“Sarebbe bellissimo.”
Poi chiuse gli occhi e si addormentò di schianto.
Will la mise sotto le coperte e si disse che dopotutto viaggiare con lei non era male. Era curioso di sapere cosa avrebbero visto l’indomani e cosa c’entrasse con la sua famiglia.
L’avrebbe scoperto con Liz, si disse e se c’era una persona adatta per scoprirlo era lei, perché oltre a essere acida era anche pratica e semplice.
Sì, sarebbe andata bene.

   
 
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