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Autore: Aurore    15/01/2014    3 recensioni
Sequel di Midnight star.
Dopo gli eventi e le rivelazioni che hanno scosso il suo piccolo mondo, la vita di Renesmee è tornata alla normalità: è sempre più felice con Alex e insieme a Jacob ha ritrovato l'affetto e la complicità del loro legame. Ma all'orizzonte si addensano nuove nubi: quando spaventosi incubi iniziano a tormentare le sue notti, Renesmee si trova costretta a scegliere tra perdere ciò che ama di più e tentare di salvarlo, e ad affrontare eventi imprevedibili che potrebbero cambiare ogni cosa.
Tutto finisce, nulla resta uguale, e a volte il destino impone scelte e cambiamenti dai quali non si torna indietro.
Tratto dal capitolo 7:
Il suo sguardo era stata la prima cosa che mi aveva colpita, di lui, nel giorno lontano in cui ci eravamo conosciuti. [...] Lo stesso sguardo che mi aveva osservata con tanta attenzione per catturare quello che c'era in me di più profondo mentre mi disegnava. Nessuno mi aveva mai guardata così. In quel disegno c'era qualcosa di bellissimo, potente e tremendo al tempo stesso. Qualcosa di ineluttabile, che ormai non poteva essere fermato.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight star'
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Capitolo 2
Paradise


When she was just a girl
She expected the world
But it flew away from her reach
So she run away in her sleep
And dreamed of para-para-paradise
Para-para-paradise
Para-para-paradise
Every time she closed her eyes.
Paradise, Coldplay¹



L'imprevisto, la sorpresa, lo stupore sono una parte essenziale e la caratteristica della bellezza.
C. Baudelaire




Non so per quanto tempo restammo lì, fermi, a fissarci a bocca aperta. Poi sparai la prima cosa che mi passò per la testa. «Che ci fai qui?».

La sua espressione passò dallo stupore al divertimento. «Io ci vivo», spiegò, un ampio sorriso sulle labbra.
«Ah», mormorai. Giusto. L'avevo dimenticato.
«Tu che ci fai qui, invece?», chiese a sua volta. Sembrava molto curioso.
Cercai di riordinare le idee. Mi sentivo vagamente confusa. «Io... sono in vacanza. Con i miei genitori».
Nahuel annuì. Trascorse ancora qualche secondo e noi continuavamo a fissarci con un'aria, ne ero sicura, non troppo intelligente. Poi lui parlò di nuovo.
«Sei... cambiata», disse, con un tono e un'espressione così sbalorditi che sembrava sul punto di ridere di se stesso.
«Sì, be'... non ci vediamo da cinque anni», commentai. Se Nahuel mi trovava cambiata, io non potevo dire altrettanto di lui: l'unico cambiamento dalla prima ed ultima volta che l'avevo visto consisteva nel taglio di capelli. Li ricordavo più lunghi e legati in una coda.
«Sei cresciuta», aggiunse.
«Tu invece sei identico a come ti ricordavo. A parte i capelli».
Ridacchiò, mentre d'istinto si sfiorava la testa con una mano. «Ah, già. Che ne pensi?».
Colta di sorpresa, esitai un po' prima di rispondere. «Stai... ehm... bene», mormorai, abbassando lo sguardo, e lo sentii ridere ancora, chissà come mai. Rideva di me? Fantastico.
In quel momento una delle due ragazze che erano con lui, alta, sottile e con una gran massa di capelli riccie biondi, lo tirò leggermente per un braccio. «Ehi, Nahuel... andiamo?», esclamò, annoiata.
«Andate voi», rispose Nahuel, girandosi a guardarle. «Io resto con lei».
Come?
«Ehm... No, non è necessario. Davvero», balbettai, un po' confusa. «Vai pure, non voglio interrompere la tua serata».
Lui mi lanciò un'occhiata eloquente. «Non ti lascio da sola per le strade di Rio».
Voleva farmi da cavaliere? Ero lusingata, ma anche piuttosto imbarazzata. In fondo non ci conoscevamo affatto. Cercai di replicare, ma l'altra ragazza parlò.
«Allora noi andiamo», disse, scuotendo la lunga coda in cui erano raccolti i suoi capelli scuri. Era leggermente più bassa e più in carne dell'altra.
Nahuel salutò le sue amiche con un bacio sulla guancia e qualche parole bisbigliata sottovoce, poi le ragazze scomparvero in fretta tra la folla.
«Mi spiace», dissi subito, lanciandogli un'occhiata ansiosa. «In realtà non sono da sola, ci sonoi miei, ma... ci siamo separati un attimo».
«Spero di incontrarli, allora».
«Certo. Ne sarebbero felici».
Seguì una breve pausa. «Nel frattempo potremmo fare un giro. Ti va?», propose, rivolgendomi un bellissimo sorriso, ampio e caldo.
Lo ricambiai, un po' timidamente. «Okay».
Ci avviammo lungo il marciapiedi. Camminavamo piuttosto lentamente, mantenendo una certa distanza tra noi. Sebbene fossimo circondati da persone, avevo la strana sensazione di trovarmi da sola con lui, come se ci muovessimo in una bolla di sapone. Ero un po' tesa e mi chiedevo se anche lui provasse la stessa cosa.
«Sai, mi ha sorpreso che tu ti ricordassi di me», disse all'improvviso.
Lo guardai: appariva tranquillo e sereno. A quanto pare, la timidezza toccava tutta a me. «Certo che mi ricordavo di te. Tu mi hai salvato la vita, cinque anni fa».
«Be', non è andata esattamente così», mormorò, tenendo gli occhi bassi.
«Sì, invece. Io non sarei qui, adesso, e forse neanche la mia famiglia, se tu non fossi venuto a Forks», ribattei.
Lui tentò ancora di schermirsi. «Ma con tutti quei testimoni a proteggerti...».
Scossi il capo. «Sarebbe stata solo una strage». Ripensare alla situazione in cui ci eravamo trovati, per causa mia, era ancora molto spiacevole. Repressi a stento un brivido che mi correva lungo la schiena.
Nahuel sembrò non trovare più nessun modo per contraddirmi e si limitò ad annuire con aria grave, lo sguardo ancora basso e pensieroso. «Non vi hanno più cercati, da allora? I Volturi, intendo».
«No, ma lo faranno, prima o poi. Stiamo solo aspettando».
Annuì di nuovo, poi tacque per alcuni istanti. «Strano modo di conoscersi, il nostro, eh?», aggiunse.
Il suo tono mi spinse a sollevare lo sguardo e vidi che aveva un vago sorriso sulle labbra. «Strano modo di incontrarsi di nuovo, dopo tutto questo tempo», dissi.
«Davvero. Anche se probabilmente sarei tornato a trovarvi, un giorno. Era solo questione di tempo».
«Ah, sì?», domandai, sorpresa.
In fondo, era normale che dopo quell'episodio tra le nostre famiglie fosse nato un legame, ma non mi sarei aspettata tanta ansia di rinnovare la nostra conoscenza, da parte sua: nel mondo dei vampiri si era diffusa la voce che stare troppo vicini ai Cullen portasse solo guai.
«Sì. Fin dall'inizio sono stato molto curioso di vedere... una famiglia come la vostra», spiegò, un po' precipitosamente, come se all'ultimo secondo avesse modificato la frase che stava per pronunciare. «Capace di resistere al sangue umano. È per questo che sono venuto a Forks, cinque anni fa. E poi...». Esitò un poco. «Un'altra mezza vampira non si incontra certo tutti i giorni».
«Senza dubbio», mormorai. Ancora una piccola pausa. Cercai qualcosa da dire, per evitare silenzi troppo lunghi. «E così, che ne pensi del nostro stile di vita? Anche tu credi, come tutti, che dovremmo essere rinchiusi in qualche manicomio per vampiri?».
Nahuel ridacchiò. «No, non lo credo. Certo, all'inizio ero piuttosto sopreso, ma a me piacciono le stranezze, le novità, le cose bizzarre...».
«Be', di stranezze e cose bizzarre puoi trovarne quante ne vuoi, a casa nostra, te l'assicuro».
«Me ne sono accorto. E per certi versi parlare con tuo nonno, Carlisle, capire il suo punto di vista, è stato... illuminante».
Era diventato molto serio e ne fui stupita. «Illuminante? In che senso?». Mi sforzai di recuperare qualche parola o qualche immagine di quel giorno, ma con scarsi risultati. La mia memoria non era infallibile come quella dei vampiri e i miei ricordi di bambina erano alquanto nebulosi.
Nahuel attese un po' prima di rispondere, riflettendo. Raggiunse una panchina dipinta di bianco, ma completamente ricoperta da graffiti, scritte e disegni, e sedette, invitandomi con un cenno ad accomodarmi al suo fianco. «Nel senso che il significato, le motivazioni, le conseguenze della sua scelta mi hanno colpito. Ho passato tutto il viaggio di ritorno verso il Brasile a pensarci e poi ho deciso di provare».
«Di provare che cosa?».
Mi guardò come se fosse ovvio. «A vivere senza sangue umano. Come voi».
Sgranai gli occhi, Quello proprio non me l'aspettavo. Rimasi zitta a fissarlo per un pezzo, assimilando l'informazione. «Sei vegetariano?».
Questa volta fu lui a guardarmi confuso. «Vegetariano?».
La sua espressione mi fece venire voglia di ridere. «È così che ci definiamo, perchè la nostra dieta è simile a quella degli umani vegetariani», spiegai, un po' imbarazzata.
Nahuel sorrise, divertito. «Ah. Allora sì, sono vegetariano».
«Da quando hai conosciuto la mia famiglia?».
«Diciamo che ci provo da allora. Ma non è facile abituarsi dopo più di un secolo di alimentazione tradizionale».
Non concluse la frase, ma non era necessario. Avevo capito perfettamente. «Non è facile per nessuno, Nahuel», mormorai a mezza voce. «Tra i vegetariani è un problema diffuso, credimi».
«Anche nella tua famiglia?», domandò, lanciandomi un'occhiata penetrante.
«Lo era soprattutto in passato. Con il tempo si diventa più bravi».
«Quanto tempo, esattamente?».
«Un po'».
Lui non rispose. Sospirò appena e annuì, come se avessi confermato qualcosa di spiacevole di cui probabilmente era già a conoscenza.
«Come mai hai deciso di cambiare?», aggiunsi. Nello stesso istante in cui formulavo la domanda, mi resi conto che forse stavo andando troppo sul personale, ma ero molto curiosa.
«Non sono sicuro di riuscire a spiegartelo», rispose a mezza voce. Era pensieroso, teso, e giocherellava nervosamente con un anello che portava all'anulare sinistro. «Ogni volta che uccidevo un essere umano per nutrirmi... era come se uccidessi anche una parte di me stesso. Quella parte che li rendeva così simili a me. E dopo centocinquant'anni... ne ero stanco».
Parlò con tanta intensità e una tale strana dolcezza da lasciarmi senza fiato. Aveva detto una cosa bellissima. «Posso immaginarlo», mormorai. «Non è una scelta facile, in nessun caso».
«No, non lo è».
Per un po' tacemmo entrambi. Ero sempre più ansiosa di saperne di più, su di lui, la sua vita, la sua storia. Il nostro incontro aveva spalancato di botto una porta rimasta chiusa per cinque anni ed ora la curiosità era divampata. Continuavo a sbirciare verso il suo viso cercando di non farmi notare, affascinata dall'idea che lui fosse come me. Eravamo identici, in tutto e per tutto. Finalmente qualcuno che non mi facesse sentire sempre diversa. Era una sensazione strana, ma piacevole. Chissà se anche Nahuel era curioso nei miei confronti. Mi schiarii la voce per porre un'altra domanda.
«E tua zia? Condivide questa scelta?».
Non afferrò subito la domanda. Sembrava ancora distratto, perso tra i suoi pensieri. «Quale scelta?».
«Quella di non bere sangue umano».
Fece un sorriso amaro. «Ah, quella. No, affatto. Lei crede che uccidere sia la nostra natura e che respingerla non abbia senso».
«Non è vero», protestai sottovoce. «Non è così. La natura conta fino a un certo punto, ciò che è davvero importante sono le nostre scelte. Anche un essere umano può uccidere, ma non tutti lo fanno».
«Lo so, ma Huilen non riesce a capirlo. O non vuole, credo». La sua voce suonava profondamente amara. «Ogni tanto ci prova... a seguirmi nella mia follia. Ma non ci crede davvero, non ci mette il cuore: lo fa solo per accontentare me. Dubito che possa riuscire a cambiare, ma io non smetterò di cercare di convincerla. E lei non smetterà di provarci. Almeno spero».
«Siete molto legati», aggiunsi, sorridendo. Non era una domanda, ma un'affermazione.
«Huilen è tutta la mia famiglia. È l'unico legame che ho con mia madre. Mi ha cresciuto e mi è stata sempre vicina. Siamo molto diversi e a volte non riusciamo proprio a capirci, ma non potrei mai lasciarla. Neanche se dovesse continuare ad uccidere innocenti per il resto dell'eternità».
L'ultima frase mi fece rabbrividire. «Non è una scelta facile», ripetei.
Nahuel alzò le spalle, come ad ammettere che era d'accordo con me. «Devo comprenderla. Per me è più semplice», confermò, ancora meditabondo. «Ho solo lasciato emergere quella parte di me che mettevo a tacere da centocinquant'anni. Io e te siamo avvantaggiati, sai».
Mi guardò e mi rivolse un sorrisetto che non seppi bene come interpretare. Ero troppo presa dalle sue parole. «Avvantaggiati? Rispetto ai vampiri?».
«Direi di sì. Per loro il sangue umano è vita. Quello e nient'altro. Ne sono talmente ossessionati che decidere di rinunciarvi per proteggere quelle che dovrebbero essere soltanto prede deve essere difficilissimo. Io e te potrebbero rinunciare completamente al sangue, anche quello animale, e vivere di cibo umano: non sarebbe un grosso sacrificio, anche se dopo un po' tempo inzieremmo ad indebolirci. E sappiamo controllarci. Ci viene spontaneo, perchè gli esseri umani sono parte di noi. Insomma, quello che intendo dire è che abbiamo un'alternativa: abbiamo la possibilità di scegliere da che parte stare, molto più di tutti loro. Così come possiamo scegliere in quale dei due mondi vivere e passare dall'uno all'altro senza troppe difficoltà».
Avevo ascoltato quel discorso incantata, a bocca aperta. Già sapevo quelle cose, ma era come se Nahuel le stesse mettendo in una nuova prospettiva. Il pensiero che io potessi avere dei vantaggi sui vampiri... be', era abbastanza sconvolgente.
«Immagino che tu abbia ragione», sussurrai, tanto per dire qualcosa.
Lui proseguì. «Credo che prima o poi ci sarei arrivato da solo. Anche se non avessi mai conosciuto i tuoi, forse un giorno avrei trovato una soluzione. Non ne potevo più di passare notti su notti insonne, tormentato dal ricordo delle persone che avevo ucciso, persone che non erano poi tanto diverse da me. Ho tante cose in comune con gli esseri umani quante ne ho con i vampiri, e forse anche di più. Come potevo considerarli soltanto prede? Avevo pensato di rinunciare per sempre al sangue, ma quello umano crea una dipendenza difficilissima da troncare. È più semplice liberarsene passando gradualmente al sangue animale». Tacque un istante. «Anche se a volte il desiderio si fa sentire ed è così potente che quasi mi sembra di perdere la ragione. E commetto qualche errore», aggiunse, le labbra serrate e lo sguardo fisso.
Rabbrividii. Le sue parole mi spaventavano, ma potevo capirlo. Mi sforzai di rimanere impassibile. «Non importa, Nahuel. Cioè, importa, ma... stai combattendo contro te stesso e stai facendo del tuo meglio. Anche questo ha importanza». D'istinto poggiai una mano sul suo braccio, sentendo il bisogno di avvicinarmi fisicamente a lui.
Sorpreso da quel contatto improvviso, Nahuel mi guardò con un sorriso grato sul volto. Sembrava sinceramente felice di avermi ritrovata, quanto io ero felice di aver ritrovato lui.
Un attimo dopo scattò in piedi. «Andiamo a ballare». Mi prese per mano e mi fece alzare.
«Cosa?» esclamai, stupefatta. «Ballare?».
«Certo», rispose, sicuro di sè, mentre mi trascinava attraverso la folla. «Ah, questa è perfetta».
Si fermò davanti ad un locale, sul marciapiedi invaso da tavolini per due. Accanto al muro dell'edificio c'erano quattro musicisti, come quasi ad ogni angolo di Rio, che producevano con i loro strumenti un ritmo veloce e coinvolgente. Lo riconobbi, ma questo non mi causò alcun sollievo, anzi.
«Nahuel, io non so ballare la samba», protestai, allarmata.
Lui mi aveva già circondato la vita con un braccio, continuando a tenermi la mano, premette l'altra alla base della mia schiena e mi tirò verso di sè con un delicato strattone che mi fece sussultare. In un attimo mi ritrovai spinta contro il suo corpo. La t-shirt grigia a maniche corte che indossava era così sottile che potevo sentire perfettamente i suoi muscoli guizzanti.
«Segui me», disse per tutta risposta, guardandomi dritto negli occhi.
Iniziò a ballare ed io mi lasciai trascinare senza opporre resistenza. Forse avrei dovuto ribellarmi, ma ero talmente in imbarazzo da non riuscire neanche a sollevare lo sguardo su di lui, figurarsi a dire qualcosa. Ero come paralizzata e probabilmente gli costò non poca fatica, all'inizio, costringermi a muovermi insieme a lui. A poco a poco, però, quasi senza accorgermene, cominciai a rilassarmi un po'. Il ritmo della musica era incredibilmente coinvolgente e sembrava sciogliere i miei muscoli contratti e tesi. Ed era divertente. Ben presto mi ritrovai a seguire i passi di Nahuel e a ballare davvero con lui, non a lasciarmi trascinare. Qualcosa si era sciolto dentro di me. Gli sorrisi, raggiante, e vidi il mio entusiasmo riflettersi sul suo bel volto: era felice di vedermi felice. La musica terminò troppo presto, o almeno così mi parve, e proprio sull'ultima nota Nahuel mi fece fare un'improvvisa e veloce giravolta, cogliendomi di sorpresa; quasi persi l'equilibrio e poco mancò che gli cadessi addosso, ma lui mi strinse saldamente tra le braccia ed entrambi scoppiammo a ridere di gusto. Mi sentivo serena e rilassata e non ricordavo di essermi divertita così tanto, di recente.
«È stato fantastico!», esclamai, un po' ansante. «Sei bravissimo, davvero!»
Lui aveva un gran sorriso sulle labbra. «Ah, sì? Spero che sia piaciuto anche al nostro pubblico».
Mi accorsi che fissava un punto alle mie spalle. Mi girai: in piedi sul ciglio della strada, a pochi metri da noi, c'erano Edward e Bella.
«Questa sì che è una sorpresa», disse papà a mo' di saluto.
Si scambiarono un'occhiata e ci vennero incontro.
«Edward, Bella... è un piacere rivedervi», disse Nahuel, stringendo la mano ad entrambi.
«È un piacere anche per noi. Come stai?», chiese papà.
«Me la cavo, grazie».
«E tua zia?».
«Anche lei».
«Vi siete incontrati adesso?», indagò la mamma. Era sinceramente stupita e potevo capirla.
«Poco fa. Stavamo camminando e ci siamo incrociati per caso», spiegai. Avevo ancora un po' di fiatone. «Com'era il tè freddo?», aggiunsi, ironica. Sapevo benissimo che la mamma non avrebbe mai assaggiato il mio tè.
Bella sospirò, esasperata. «Delizioso», borbottò.
«Abiti da queste parti?», intervenne Edward, deciso. Chiaramente voleva impedirci di ricominciare a litigare.
«Sì, più o meno: vivo a Sao Lucas».
Papà annuì. «Ah, sì, è un piccolo centro a sud della città». Mentre lo guardavo, mi accorsi che i suoi occhi erano puntati su qualcosa, in basso. Seguii la direzione del suo sguardo e scoprii con un sussulto interiore che oggetto del suo attento esame erano la mia mano e quella di Nahuel, ancora intrecciate l'una all'altra. Subito ritrassi la mia, piano, ma con decisione.
«Forse dovremmo andare, si è fatto tardi», disse la mamma.
«Sì», risposi, esitante. Non volevo lasciare Nahuel senza sapere quando ci saremmo rivisti. Ero stata davvero bene in sua compagnia ed ero certa che saremmo potuti diventare buoni amici. «Senti», aggiunsi un attimo dopo, «ti andrebbe di... cenare con noi, domani? A casa nostra?».
Capii immediatamente di averli colti di sorpresa tutti e tre. Perfino papà, dal momento che quell'idea mi era venuta in mente lì per lì.
Nahuel mi guardò. «Sul serio?». Si rivolse ai miei genitori, interrogandoli con gli occhi.
«Certo, perchè no?», disse papà. Gli sorrideva, ma io sapevo che era fin troppo bravo nell'occultare i propri sentimenti.
«Ne saremmo felici», aggiunse la mamma.
Nahuel sorrise a sua volta. «Okay, allora verrò. Grazie mille. E sei sei d'accordo, Renesmee, cucinerò io e ti preparerò una cena portoghese da fare girare la testa».
«Sai cucinare? Certo, va bene. Sono proprio curiosa di assaggiare la cucina locale», risposi con un sorrisetto, lanciando un'occhiata eloquente a Bella. Lei assunse un'espressione sostenuta e non disse nulla.
Papà diede a Nahuel le informazioni necessarie per raggiungere l'Isola Esme - avrebbe affittato una barca al porto - e al momento di separarci lui mi prese di nuovo per mano e ne baciò appena il dorso con scherzosa galanteria.
«A domani, signorina Cullen», esclamò, allegro. «Si prepari ad una serata indimenticabile».







Note.

1. Qui la canzone. Mi sono accorta che anche il capitolo due di Midnight star era accompagnato da una canzone dei miei preziosissimi Coldplay (Talk), che coincidenza. Evidentemente se non piazzo una canzone dei Coldplay all'inizio di una storia, mi si blocca la (scarsa) ispirazione, ah ah ah!









Spazio autrice.

Eccomi di ritorno con il secondo capitolo ^^. Spero che rispetto al primo sia già un po' più movimentato, ma prima che la storia entri nel vivo ci vorrà ancora... Uhm, un capitolo, credo. In fondo siamo agli inizi :-).
Non ho molto da dire, tranne forse qualche parola su Nahuel. Praticamente è quasi un personaggio originale, perchè in Breaking dawn appare pochissimo e di lui sappiamo solo lo stretto indispensabile, però alcuni aspetti della sua personalità mi sono sempre sembrati trasparenti... Ad esempio, il legame con Huilen o la curiosità nei confronti di Renesmee. Altri, invece, sono venuti da sè a mano a mano che riflettevo su di lui. I suoi problemi nel bere sangue umano e la scelta di rinunciarvi stimolato da ciò che ha visto nella famiglia Cullen mi sembrano conseguenze quasi "naturali" del suo essere un mezzo vampiro. Lui stesso dice che condividere in parte la natura degli umani gli fa sentire di essere vicino a loro, ed è difficile pensare che rimanga insensibile a questa situazione, a meno che non abbia un carattere particolarmente freddo ed egoista. Ma io lo immagino molto diverso, solare, gentile, affettuoso, e spero di essere riuscita a mostrarlo almeno un po' in questo capitolo.
Un'altra cosa, nel film Breaking dawn parte II Nahuel e Huilen sono stati resi in modo alquanto... "selvaggio" xd, vestiti di pelli, eccetera. Naturalmente, per collocare Nahuel nel mezzo di Rio l'ho immaginato molto più "civilizzato", o meglio, adeguato alle abitudini degli umani contemporanei anche in fatto di abbigliamento. D'altra parte, per lui e Huilen sarebbe difficile passare inosservati se andassero in giro ricoperti soltanto di pelli, e per Nahuel, che è mezzo umano, anche poco pratico, non essendo in grado di resistere agli agenti atmosferici come i vampiri. Infatti non ho apprezzato molto il modo in cui sono stati resi i due personaggi nel film. Per il resto... leggete e saprete!

Ecco, avevo detto che avrei scritto "qualche parola" e invece ho scritto il solito poema! Scusate! xd Scappo, alla prossima!









   
 
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