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Autore: Kalyptein    15/01/2014    1 recensioni
"Non ci sei mai andato" commenta, passando il dito lungo sul bordo del vetro. Lo sente, il tono d'accusa nella sua voce, la rabbia, la delusione. "Da Ian" precisa, sottolineando ogni sillaba, a denti stretti. "Credevo ti interessasse sapere che è ancora vivo" Mandy Milkovich ha gli occhi cerchiati di nero, una lacrima mista a trucco che le scende lungo la guancia, nascosta malamente. Non dicono niente. "Sei una merda"
Mickey non dice niente perché lo sa, lo sa, che ha ragione. Mickey non dice una parola, ma ha ancora l'odore di disinfettante nelle narici.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Ed eccoci con il secondo attesissimo (sè, vabbè.) capitolo di White Blank Pages. Capitolo che per altro va a spiegare il significato di questo titolo, appunto. Ci ho messo quanto a pubblicare? Un mese? Due? Abituatevi a questo standard (magari riuscissi ad avere uno standard!) perchè il terzo capitolo è un enorme punto interrogativo, Ian i feel you (SPOOOILER).
Scusatemi se sembro tanto uscita da un manicomio o peggio, ma sono ancora in stato post-sclero da Shameless. E' passata una settimana, ne sono più che consapevole, ma Mickey. Il mio bambino. Quel pugno l'ho sentito dritto nel cuore.
Il titolo è ispirato (spudoratamente copiato) dalla fantastica canzone di Jamie Campbell Bower, da ascoltare fino alla fine dei vostri giorni.









Lights go down
You try to not make a sound





Casa Milkovich è addobbata per Natale, anche se addobbata è un eufemismo bello e buono. Nell'angolino del soggiorno, un alberello con qualche ramo spezzato è decorato con un paio di palline scheggiate; la cucina, oltre del solito odore di sigarette, è impregnata dell'odore di patate al forno e di qualche altra schifezza precotta cucinata da Mandy; qualche lucina illumina il portico. Lo ha sempre trovato particolarmente irritante il Natale, lui. Il Natale è per le persone felici, perchè le persone sole rimangono sole, chi non ha soldi rimane senza soldi, e le famiglie di merda continuano ad essere famiglie di merda.
Mickey guarda uno stupido film di Natale dalla cucina, con un cane e del suo padroncino rincoglionito, ingollando litri di birra. Mandy ha i capelli tirati su con una penna, la felpa sporca di sugo e le mani indaffarate con un tacchino che farà da colazione, pranzo e cena per almeno un'altra settimana. "Ti spiace accendermi una sigaretta, Mick?"
Con un gesto quasi automatico, Mickey estrae dalla tasca destra il pacchetto delle sigarette, dalla sinistra l'accendino, e l'accende con un unico movimento fluido. "Sono l'ultima invenzione di zio Timmy" spiega, prendendone un tiro. "Tabacco di Malboro ed erba di Vinny Coltello"
"Quando la smetterà con queste stronzate?" borbotta Mandy, allungandosi per afferrare il filtro della sigaretta-canna. Si accomoda ad una delle sedie del tavolo, accavallando le gambe lunghe e magre, iniziando a prendere tiri lentamente. "E' arrivata questa" dice con finta disinvoltura, estraendo dalla tasca della felpa una cartolina stropicciata. Mickey la prende tra le mani, riconoscendo negli errori di ortografia e nelle macchie di olio suo padre.
"Al frocio e alla troietta" cita a denti stretti, accartocciandola con violenza, massacrandola. "Figlio di puttana" sputa, lanciando quell'ammasso di carta e stronzate il più lontano possibile da lui.
Mandy si stringe nelle spalle, passandosi un dito sotto gli occhi. "Almeno ci ha spedito gli auguri" Il ritmo dei tiri diventa sempre più veloce, il fumo offusca la visuale del suo viso. Prende la cicca della sigaretta, quasi completamente consumata e la spegne nel posacenere. "Mickey, sono incinta"
Come lo strappo di un cerotto, il dolore sordo Mickey lo sente ancora per qualche minuto. Scatta in piedi, come se avesse appena preso la scossa, con le mani che ti tremano lungo i fianchi. Molla un calcio alla sedia, facendola allontanare di un paio di metri. Lo aveva sempre saputo che un giorno saprebbe successo. Sotto lo strato di inutili cazzate che gli affollavano la mente, aspettava solo questo momento L'ennesimo punto a favore di suo padre, ancora una prova di quanto abbia sempre ragione. Al frocio e alla troietta, niente di più azzeccato.
"Mick" riprende la sorella, alzando di un pochino la testa. Un velo sottile di lacrime le copre gli occhi. "Non è niente di che, voglio abortire" La sua voce si incrina sull'ultima parola, come il rumore di un cubetto di ghiaccio lasciato fuori dal congelatore. "Voglio solo che mi accompagni"
Mickey prende a calci il tavolo, facendo traballare tutto, la cenere della sigaretta si libera nell'aria come un nuvoletta. "Lo uccido" dice, con tono sorprendentemente monocorde.
"Invece non farai proprio niente"
"E perché?"
"Perché te lo sto chiedendo io"
Lui si volta un secondo, appoggia il mento sulla sua spalla. Mandy si morde il labbro inferiore, un'abitudine che hanno entrambi quando sentono di stare per scoppiare. Distoglie lo sguardo perché anche sua sorella, esattamente come lui, odia essere vista piangere. Rimangono in silenzio, lui in piedi e lei seduta, ad ascoltare ognuno il respiro dell'altro. Mickey riconoscerebbe il respiro di Mandy anche in una stanza circondato da tutta la popolazione di Chicago. "Okay"
Conosce il respiro da comodino - quando loro padre tornava completamente devastato e cercava di picchiarli con una bottiglia rotta e Mandy si chiudeva nella sua stanza, schiena puntata contro il comodino e la pistola in mano – due respiri veloci, pesanti, ed uno lunghissimo. Riconosce quello lungo, con il labbro inferiore tra i denti, che ha battezzato come il respiro-fischio. Quello di adesso è mix di entrambi. "Vorrei che Ian fosse qui" mormora Mandy, tirando su con il naso.
"Anche io"



E' il 25 Dicembre e l'ospedale del South Side è stracolmo di bambini urlanti, parenti con un sorriso più falso di una banconota da cinquanta stampato in faccia, gente che ha l'aria di voler essere in qualsiasi altro posto più di non dover respirare un secondo di più quell'aria. Gente come Mickey.
Segue sua sorella ad un passo di distanza, con le mani infilate nelle tasche dei jeans. "Come mai non passi il Natale incollata al culo di quel Gallagher?"
"Il Natale è per le famiglie" dice lei, quasi come se lo ripetesse per la centesima volta. "Non sono io la sua famiglia"
Mickey abbassa bruscamente la testa per evitare di incrociare lo sguardo della solita infermiera nel momento in cui Mandy mormora: "Quello è il reparto di Ian" sovrappensiero.
Un bambino tutto ricci e fossette corre per il corridoio, giaca con il suo elicottero nuovo, facendo rumori con la bocca. Inciampa proprio di fianco a loro, facendo volare il suo giocattolo a qualche metro di distanza. Quasi in contemporanea, Mandy prende in braccio il piccolo, Mickey va a raccogliere l'elicottero. Il piccolo nasconde la faccia tra i capelli della sorella, indicando con un dito paffuto l'elicottero nelle mani di Mickey. "Sta male" dice tirando su il naso. "Come il mio papà"
Mandy gli bacia la testa e lancia uno sguardo al fratello. Mickey guarda l'ala tra le sue mani, dando un'occhiata esperta alla struttura complessiva del gioco. Quando era bambino non faceva altro che aggiustare i modellini e le bambole che Terry distruggeva nelle sue peggiori sbronze. "Tieni" borbotta allungando piano la mano, guardando da un'altra parte.
Tra le braccia della sorella, il bambino si sporge per raggiungerlo. "Aggiusterai anche mio papà?" Mickey non risponde, e il bimbo non si aspetta una risposta, tutto preso dal suo elicottero. Mandy lo poggia a terra, lasciandogli un altro bacio sulla testa.
"Gesù" dice, nascondendo gli occhi con la frangetta, proprio con il bambino di poco prima. Mickey però si accorge della sua espressione: come se qualcosa dentro di lei si fosse irrimediabilmente spezzato. "Diamoci una cazzo di mossa"



La sala d'attesta è vuota, c'è solo lui e un mucchio di riviste con delle donne sorridenti che lo guardano dal basso. Mickey inizia a giocherellare con il filo della sciarpa - quella di Gallagher - quando la porta si apre e Mandy gli fa un mezzo sorriso. La dottoressa alle sue spalle gli lancia un'occhiataccia, incrociando le braccia sul suo camice bianco immacolato. "Alla prossima, signorina Milkovich"
Un attimo dopo aver richiusa la porta, Mandy scoppia in un: "Che stronza!" prima di infilarsi la giacca di pelle. "Dovrei graffiarle la monovolume"
"Se mi dai la targa chiamo anche qualcuno a romperle i finestrini" aggiunge Mickey, sorridendo alla sorella.
"Fantastico" risponde Mandy rispondendo al suo sorriso, dando un pungo alla spalla di suo fratello. "Ehi Mick" Il cambio repentino di voce fa lo fa fermare sul posto. L'eyeliner è leggermente sbiadito sui bordi, come se avesse tenuto gli occhi chiusi troppo forte o avesse asciugato qualche lacrima fantasma. "Grazie"
"Non ho fatto un cazzo"
"Sei qui" L'abbraccio di Mandy sa di lacca a basso costo e deodorante alla cannella. "Pensi mai che ci sia qualcosa di sbagliato in noi?"
"Continuamente"



Mandy alla fine va a casa dei Gallagher e Mickey rimane solo, solo con la sensazione permanente di avere qualcosa di sbagliato nella testa. Il corridoio di Ian Gallagher gli sembra il posto più simile a casa, così si siede per terra e chiude gli occhi, sperando di non riaprirli mai più.



And I'll wait for you in the dark
My bones may be falling apart
But I'll wait






La prima cosa che vede Mickey quando si sveglia, sono gli occhi verdi di Ian Gallagher. E' accovacciato su di lui, con le mani sotto il mento, quasi in attesa di una spiegazione. Mickey apre la bocca, poi la richiude, poi la riapre, ma non dice niente. Piuttosto controlla che tutte le lentiggini sul naso siano al proprio posto, che la cicatrice sul sopracciglio destro non si sia spostata di un millimetro, nota la differenza di lunghezza dei capelli rossi.
"Hai sbavato" dice Ian, grattandosi il mento con quel fare un po' assente che gli ricorda i giorni al Kash and Grab. Mickey si passa il polso sotto il labbro inferiore, pulendosi frettolosamente le tracce di bava. Alza lo sguardo all'orologio: sono le quattro di notte, ha dormito per quattro ore e mezza.
"Dovrei chiamare l'infermiera?" domanda, sollevando un lato delle labbra, divertito. Mickey si solleva in piedi, quasi non si regge sulle gambe e si appoggia contro la parete fredda.
"No" dice, anche se ne esce un soffio arrabbiato. Si schiarisce le voce e: "No" dice più forte, sorprendendosi del tono acuto della sua voce. "Me ne vado"
"Aspetta!" Ian lo prende per il polso, stringendo con talmente poca forza che Mickey potrebbe spezzargli la mano con un solo gesto se volesse. "Sai dov'è la macchinetta delle merendine? Non hai idea della merda che ci servono per cena"
La mano è ancora su di lui, segnata da tante piccole cicatrici e graffi non ancora completamente rimarginati, con le vene che spiccano sulla pelle pallida del polso, le nocche scorticate. "Sì" dice a bassa voce, contando gli strati che li dividono effettivamente. Tre. "Sì, lo so"
"Grazie a Dio!" sorride, riportando la mano lungo i fianchi. La macchinetta delle merendine è all'angolo tra oncologia e le infettive, però i piedi di Mickey prendono la strada per pediatria, passano per ginecologia e, quasi per sbaglio, sfiorano anche il cartello sbiadito del pronto soccorso. Conta i suoi respiri regolari, in serie da venti, stupendosi quando di tanto in tanto sono sincronizzati ai suoi. Al tredicesimo respiro della quarta serie, Ian dice: "Perché dormivi fuori dalla mia stanza?"
Si piazza davanti alla macchinetta e inizia a premere una fila di numeri a caso, sorridendo tra sé e sé. "Non ho spiccioli" Sorride, quando Mickey si accovaccia di fronte all'erogatore del resto e inizia prenderlo a pugni con esperienza. E sorride ancora, quando Mickey gli lancia un paio di pacchetti di patatine.
"Noi due ci conosciamo, vero?"
Il moro si morde un labbro, abbassando lo sguardo sul pavimento sporco. "Lavoravamo insieme"
Ian annuisce, premendosi gli indici sulle tempie. "Ti dispiace aiutarmi per una cosa?" Non aspetta una risposta e inizia a camminare a lunghe e veloci falcate verso la sua stanza. Mickey si guarda intorno, con la mezza idea di andarsene e non tornare mai più in quell'ospedale, però sbuffa e, alla fine, segue Ian Gallagher.



Non ci è mai realmente stato nella stanza 13-D, solo una volta si era sporto un po' di più del solito ed era inciampato dentro, per poi ritornare al suo muro. La stanza odora di Ian e fumo, camuffato malamente da un deodorante da uomo che Mickey riconosce in quello di Lip. Ian pesca dal suo comodino un quaderno un po' rovinato e una penna quasi consumata. "E' il mio quaderno dei ricordi" dice, buttandosi di peso sul suo letto, staccando il tappo della penna con i denti. "Come hai detto di chiamarti?"
"Mickey" balbetta, restando in piedi al centro della stanza.
"Sei il fratello di Mandy, giusto?" esclama con un grande sorriso sulla faccia. "La mia migliore amica, giusto? O almeno credo" Mickey annuisce, nascondendo un mezzo sorriso.
"Ti chiami Mickey" dice tra sé e sé, iniziando a scarabocchiare sul foglio vuoto. "Dimmi tutto di noi"
Il modo in cui il suono noiesce dalla sua bocca gli fanno mordere più forte le labbra, fino a sentire il sapore del sangue sul palato. Mickey si concentra sulla fossetta tra le sopracciglia di Ian. "Ci siamo conosciuti al Kash and Grab. Il proprietario, quel mussulmano di merda di Kash mi fa sparato nella gamba e sono finito dentro. Per scontare i servizi sociali mi hanno messo a lavorare in quel posto di merda"
"Perché ti hanno sparato?" Gli occhi di Ian diventano incredibilmente grandi, di un verde incredibile.
"Avevo rubato uno Snikers"
Le labbra del rosso tremano un attimo, poi scoppia a ridere, seppellendola nel cuscino. Mickey ridacchia di riflesso, stropicciandosi gli occhi con le mani. Gli sembra di trovarsi catapultato in quella parola francese che non ricorda mai, alle serate estive passate nei campi da baseball, al sole che scottava la pelle, le mani che afferravano tutto, il sudore che scivolava sulle loro schiene. Dimmi tutto di noi. Amici? Troppo riduttivo. Amanti? Alcune volte più di altre. Un'amore che si allontana, ma non sparisce del tutto.
"Vuoi leggere quello che ho scritto di Mandy?" dice Ian, con il quadernetto già proteso verso il corpo di Mickey. Lui lo afferra un po' malfermo, tenendo in segno con il dito marchiato con la F. Riconosce la scrittura confusionaria, la a più marcata delle altre lettere, le macchie d'inchiostro lasciate ai margini del foglio, righe su righe che coprono frasi, e poi ci sono i punti interrogativi, ovunque. Mickey legge senza molto interesse tutti gli episodi elencati, tranne una frase che gli salta all'occhio. Sembra triste quando crede che nessuno guardi. . Gira il foglio, una serie di pagine vuote, strappate dalla memoria di Ian e eliminate per sempre. Lui, eliminato per sempre.
"Hai scritto che mia sorella ha delle belle tette" lo riprende Mickey, sollevando un sopracciglio.
"Già" risponde lui con un sorriso imbarazzato. "Mi dispiace per quello"
"Gesù, è tutto così strano" borbotta, grattandosi il mento. "E' che tu e il proprietario del Kash and Grab, voi due.. avevate una.. uhm.."
"Oh, si, aspetta!" si illumina, picchiettandosi la tempia. "Linda! Mi ha inviato un cesto di guarisci presto. Vuoi dire che avevamo una relazione? Segreta? Allora non sono così noioso come credevo"
Le dita iniziano a tormentare i bordi del quaderno, formando tante piccole orecchie al foglio. Quindi nessuno aveva detto ad Ian cosa fosse realmente, che fosse un.. quello. Lui avrebbe pagato oro per un simile regalo, si sarebbe fatto spaccare la testa mille volte, fatto prendere a pugni in faccia dal padre ogni giorno, e avrebbe sorriso e detto pure grazie. Mickey accarezza un punto interrogativo cerchiato pesantemente, evitando accuratamente lo sguardo inquisitorio di Ian.
"Ogni giorno mi sveglio paralizzato dalla paura. Non capisco più cosa è reale e cosa no. Certe volte mi ripeto che sentire il dolore sia l'unica cosa che mi fa sentire davvero vivo" Mickey riesce a vederlo nel suo letto, lo stesso dove è seduto a gambe incrociate ora, stringendo il lenzuolo già stropicciato dagli incubi notturni, con gli occhi che vagano alla ricerca di qualcosa di cui non conosce nemmeno l'esistenza. E i capelli rossi si trasformano in neri, le lentiggini diventano pelle scolorita, e il lenzuolo bianco è marrone, con un urgente bisogno di essere cambiato. E nell'angolo, la sciarpa insanguinata del suo Gallagher. La sente bruciare sotto la sua giacca.
"Ma quando sono stato colpito avevo paura ed ero solo, in preda al dolore" Ian si adagia sul materasso, stringe le ginocchia al petto e chiude gli occhi. "Ho ancora paura"
Il dolore sordo che riecheggia dentro il petto di Mickey lo a sentire più vicino alla morte che mai.

  
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