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Autore: Mari Lace    17/01/2014    2 recensioni
Terza classificata al 'At the Opposite Sides' Contest, indetto da edvige.91 sul forum di EFP
La protagonista ha perso ormai da un anno una persona molto importante per lei. Privata della sua felicità, ha preso l’abitudine di ‘spiare’ quella degli altri, a volte con discrezione, a volte più apertamente. Perdendosi nella dolce ma triste trappola che è la memoria, si accorge in ritardo dell’arrivo, dal lato opposto al suo, del ragazzo che l’ha abbandonata. Riuscirà a riottenere la propria felicità, o deciderà di non perdonarlo?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Sorpresa | Coppie: Kiba/Hinata
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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At the opposite side contest, di Edvige.91
Nome autore: Lita_
Pacchetto Jean-Drapeau: parola: Felicità; citazione: Felicità? Una piccola incombenza giornaliera da curare come faresti con un giardino.                                                                                                                                                                 
Titolo della storia: Doppio incontro a Metro San Paolo!
Introduzione:  La protagonista ha perso ormai da un anno una persona molto importante per lei. Privata della sua felicità, ha preso l’abitudine di ‘spiare’ quella degli altri, a volte con discrezione, a volte più apertamente. Perdendosi nella dolce ma triste trappola che è la memoria, si accorge in ritardo dell’arrivo, dal lato opposto al suo, del ragazzo che l’ha abbandonata. Riuscirà a riottenere la propria felicità, o deciderà di non perdonarlo?
Note dell’autore: Alla fine del testo. 
 
Anche quella mattina, come ormai da un anno, alle 7:30 precise di mattina arrivai davanti alla stazione metro di San Paolo. Ero un po’ scossa, il 5 dicembre mi rievocava tanti, troppi ricordi. Decisi di non pensarci, e entrai. Le scale mobili non funzionavano, non che la cosa mi sorprendesse, quindi salii a piedi. In pochi minuti, davanti a me, la caotica stazione. Quella di San Paolo direzione Rebibbia era più rumorosa di tante altre, perché non vi erano solo due binari, il mio e quello opposto, ma quattro. Qui infatti passano sia i treni per Rebibbia e per Laurentina, Capolinea della Metro B di Roma, sia i treni per e da Ostia. Vi lascio immaginare la confusione.
Abituata com’ero, però, non ci feci caso, e mi guardai intorno. Mi piaceva studiare la gente, spiare i momenti della vita quotidiana degli altri, specie da quando lui se n’era andato. In genere lo facevo molto discretamente, con le cuffiette nelle orecchie e l’mp3 a volume bassissimo, ma quella mattina avevo dimenticato l’apparecchio. Niente musica, niente gente che vedendo le cuffiette si tranquillizza pensando di poter parlare tranquillamente, tanto tu stai in un mondo tutto tuo. Pazienza, avrei fatto senza, e per una volta avrei osservato dando un po’ più nell’occhio.
Mentre osservavo la folla che aspettava il treno in cerca di qualcuno d’interessante, vidi una ragazza dai lunghi capelli neri indietreggiare d’un passo, scontrando la schiena con il muretto che divide dalle scale. Era evidentemente in imbarazzo, e mi era facile immaginarne il perché: pochi secondi prima avevo sentito chiaramente una voce maschile urlare un invito a uscire insieme. Ecco a chi doveva essere rivolto. Distolsi lo sguardo dalla ragazza, per cercare anche chi lo aveva fatto; oltre le rotaie, c’era un ragazzo castano, con un cagnolino bianco in braccio, intento a fissare la mora, sembrava in attesa di una risposta. Tornai a concentrarmi su lei, giusto in tempo per vederla annuire, imbarazzata ma sicuramente felice. Le ero molto vicina, e riuscii a sentirla mormorare ‘S.. Sì, Kiba’.
Sorrisi istintivamente: ‘Kiba’ non poteva certo sentirla, se parlava così piano! Però aveva anche annuito, e lui parve capire; esultò, ma un secondo dopo già non lo vedevo più, perché era passata la metro per Laurentina, coprendo la visuale a me e all’altra ragazza. Il treno ripartì, ed il ragazzo non era più sulla banchina. Sentii suonare un cellulare poco distante da me; mi voltai, e vidi la corvina sorridere mentre leggeva un messaggio sull’I-phone. Poi si guardò intorno, e arrossì vedendomi. Probabilmente sospettava che avessi sentito tutto, cosa che in effetti avevo fatto; le sorrisi. –Sono contenta per te, è un bel ragazzo!- esclamai poi, sperando di metterla a suo agio. Lei diventò ancora più rossa, ma mi sorrise.
Mi allontanai da lei, avvicinandomi al binario per Ostia, mentre alle mie spalle passava il treno per Rebibbia. Ero in netto anticipo, avrei preso quello dopo.
Vagai con lo sguardo sulla banchina davanti a me, e mi persi nei ricordi. Non dovevo, faceva male e lo sapevo benissimo: ma questo non mi impedì di farlo.
-Ehi, vedi anche tu quel che vedo io?!- avevo esclamato, diversi anni prima, rivolta alla mia migliore amica, seduta di fianco a me mentre aspettavamo il treno per Ostia. Era piena estate, e un bel pomeriggio al mare non ce lo avrebbe tolto nessuno.
-Di che parli?- mi aveva chiesto lei, cercando di capire cosa potesse aver attirato la mia attenzione.
-Lì, davanti a noi, sulla banchina opposta! Il figo da paura che è appena salito sulle scale mobili!-
-Oh, lui,- commentò lei, intravedendolo di sfuggita, mentre, scendendo, il ragazzo si sottraeva alla nostra vista.
-Non lo ho mai visto prima! Devo informarmi, un ragazzo così bello non si vede tutti i giorni!- esclamai ancora, alzandomi. Dovevo assolutamente scoprire chi fosse.
Lo scoprii qualche giorno dopo, in un ambiente del tutto diverso. Ero andata nella biblioteca del quartiere per ritirare dei libri, e lui era lì, seduto ad uno dei tavoli, intento nella lettura di un voluminoso tomo. Mi avvicinai, decisa a non farmi sfuggire quell’occasione. Gli arrivai alle spalle e lessi qualche riga del volume che tanto lo prendeva.
-Mh, studi fisica? Io non la sopporto, non riesco proprio a capirla,- dissi a voce alta, scuotendo la testa.
Lui mi ignorò e seguitò a leggere.
Mica ci stavo, a farmi ignorare così. Continuai imperterrita:
-Sei bravo? Magari potresti darmi ripetizioni!-
Vedendo che non accennavo a lasciarlo in pace, chiuse il libro e sbuffò. –Ci conosciamo?- mi chiese irritato, e finalmente si voltò verso di me.
Gli sorrisi. –No, non ho ancora avuto il piacere. Come ti chiami?-
Sono davvero una stupida, pensai, mentre una lacrima scendeva solitaria a solcare il mio viso. Perché stavo ripensando a quello?! Mi ero ripromessa di dimenticarmene, ma niente, quella data era bastata a mandare all’aria tutti i miei propositi, e mi ritrovavo a piangere come una stupida. Probabilmente erano passati altri treni alle mie spalle, ma tanto non ci facevo caso, persa com’ero – che stupida! – nei miei ricordi.
La mia mente vi vagò ancora un po’, fino ad arrivare a quello che temevo più di tutti. Ma non riuscii a fermarmi dal rievocarlo, no, prepotente mi invase la mente.
Spensierata, sì, perché non sapevo cosa sarebbe successo di lì a poco, come tutti i giorni arrivai alla stazione per Rebibbia. E mi stupii molto di trovarci colui che ormai era il mio ragazzo da più di due anni.
-Che ci fai qui? Non riuscivi a resistere senza di me?- gli chiesi scherzosa, avvicinandomi a lui. Non potevo neanche lontanamente immaginare la risposta.
-Sto per partire- mi disse, senza guardarmi negli occhi. Continuava a guardare davanti a sé, con sguardo perso.
-Che... che significa, stai per partire? È uno scherzo?-
Non mi rispose, ed iniziai seriamente a preoccuparmi. Quella sua affermazione era stata come una doccia gelata per me.
-Non è divertente! Che significa che parti, dove vai?! Perché?!- urlai, incurante dei curiosi che si voltarono a guardarmi, richiamati dal mio tono di voce non propriamente basso. In quel momento, non mi interessava davvero.
-Torno a casa mia, ad Ostia- finalmente mi rispose, e si decise a guardarmi. Così era anche peggio, mi riusciva difficile reggere il suo sguardo serio.
-Perché? E perché non mi hai detto niente?!- Ancora non riuscivo a crederci, se era uno scherzo era di pessimo gusto.
-Non ti spiegherò perché. Mi dispiace...- mormorò atono. Era tornato a indossare la maschera di finta indifferenza che aveva mostrato all’inizio, quando ci eravamo appena conosciuti, per tenermi lontana. Ero riuscita a superarla e a farlo aprire, ma sembrava che i miei sforzi fossero andati in fumo, ora.
-Ti… dispiace? È questo tutto ciò che riesci a dirmi?- dissi, mentre la mia voce veniva sovrastata dal rumore del treno che arrivava in stazione.
-Sì- rispose, e fissò i suoi, bellissimi, occhi dentro i miei. Mi sentii morire, capendo che non scherzava.
-Ostia non è lontana... possiamo continuare a vederci...- proposi disperata, anche se non riuscivo a perdonargli di non avermi detto nulla.
-No. Lo dico per il tuo bene, non cercarmi- sussurrò alla fine, e entrò su quel maledetto treno, che dopo poco partì. Portandomelo via.
Tornai al presente. Un’anziana signora mi si era avvicinata con sguardo preoccupato.
-Si sente bene, signorina?-
Dannati sentimenti, lacrime amare rovinavano il mio viso perfetto da diversi minuti e non me n’ero neanche accorta.
-Sì, signora, la ringrazio- risposi, ma con voce spezzata, e lei non si convinse del tutto. Alla fine, però, si allontanò.
Dall’altra parte, passò il treno da Ostia, quello da cui lui era sceso, tre anni prima, ed era entrato nella mia vita. Non lo avrei più rivisto, perché un altro treno me lo aveva portato via, pensai, asciugandomi il volto con un fazzoletto.
Quando rialzai lo sguardo, non riuscivo a credere ai miei occhi. Il treno era ripartito,  e sulla banchina, c’era... lui.
Gli stessi capelli nerissimi, sistemati nell’insolita forma di sempre. Mi sembrò che il mondo si fermasse. Fu con timore che puntai lo sguardo sul suo volto. E incrociai i suoi occhi, nerissimi e profondi come l’ultima volta che lo avevo visto, che mi scrutavano.
Sembrava quasi stupito di vedermi lì. Io, da parte mia, non osavo proferire verbo.
Fu lui, a prendere l’iniziativa. Si avvicinò ai binari, superando la riga gialla imposta come limite, e chiese, senza gridare ma limitandosi a dare un tono sostenuto alla voce:
-Sei davvero tu, Ino?-
Me l’ero immaginato, il tono incredulo, preoccupato e quasi sollevato allo stesso tempo? Sicuramente. Colpa del rimbombo nella stazione, decisi.
La mia testa si mosse impercettibilmente per annuire, in automatico, nemmeno me ne accorsi. Ancora non riuscivo a fiatare.
Sasuke... era davvero tornato? Perché? Perché proprio quel giorno, perché proprio lì?
E soprattutto... Io cosa avrei dovuto fare?!
-Sei tornato...- dissi, a voce abbastanza alta da farmi sentire. D’altra parte aveva sempre avuto un ottimo udito.
-Sì-. Loquace come al solito.
-Non ci posso credere...-
-Sono tornato, Ino. Io...-
-Non mi interessa perché sei tornato! Hai una minima idea di cosa ho sofferto in quest’anno?! Te ne sei andato all’improvviso, a volte mi chiedo se me lo avresti detto anche nel caso non ci fossimo incontrati in stazione, quella mattina! Sei uno stupido!- ero esplosa. Avevo dato voce a tutta la mia frustrazione, mi sentivo leggermente meglio ora. Ma non volevo rimanere lì un momento di più. Non sotto il suo sguardo, non con lui davanti agli occhi. Non ce la facevo. Sebbene una parte di me esultasse.
-Almeno ascoltami, dannazione! Lo so, sono stato un bastardo e ti ho fatta soffrire, ma- non lo feci finire, no. Soppressi la, minuscola, parte del mio cervello in cui il suo ritorno aveva provocato felicità, e gli voltai le spalle. –No, Sasuke, non voglio sentire-
Non mi voltai, ma lo sentii imprecare. Mi riavvicinai al mio binario usuale, avrei dovuto prendere la metro già da molto. Mannaggia a me e alla mia patetica vena nostalgica. Guardai il display che indicava ogni quanto arrivava un treno. 3 minuti. Bene, potevo resistere per tre minuti... giusto?
Tanto più che forse Sasuke aveva capito, perché non lo sentivo più. Non aveva più detto niente. Meglio così. Lo avevo amato come mai nessun altro prima, ma allo stesso modo avevo sofferto. Non ci sarei ricascata. Non stavolta.
Il tempo, intanto, passava. Rimpiansi di non avere con me l’mp3, la musica almeno mi avrebbe distratta.
2 minuti. Non ce la facevo più.
1 minuto. Ancora solo 60 secondi, 60 secondi e quello stupido treno arriverà e ti porterà via di qui, resisti, Ino, resisti... Posso essere felice anche senza di lui.
‘Treno per Rebibbia in arrivo. Non superate la linea gialla’, gracchiò la voce meccanica di chissà quale addetto.
Feci un passo indietro, mentre il treno faceva il suo rumoroso ingresso.
Le porte si aprirono.
Addio, Sasuke.
-Aspetta- gli sentii gridare all’improvviso. Era come se avesse cercato di trattenersi fino a quel momento, ma fosse infine esploso.
-Non ho nessun diritto di chiedertelo, ma aspetta, Ino. Fammi parlare, poi, se vorrai, uscirò dalla tua vita per sempre. Ma prima voglio che tu sappia perché-
Ancora, a tradimento, le lacrime assalirono il mio volto.
Non sarei riuscita a dirgli di no, e lo sapevo benissimo.
Quella era la domanda che più volte mi aveva tormentata in quei 365 giorni, insieme a ‘Lo rivedrò più?’ ‘Mi amava?’; Perché?
Mi voltai, e annuii. Era finita, la parte più irrazionale di me aveva preso il sopravvento.
Per la mia stessa felicità, non avevo scelta se non quella di ascoltare il ragazzo a cui avevo donato il mio cuore, che nonostante tutto, sembrava appartenergli ancora.
-Grazie, Ino- disse lui, e iniziò a parlare. Era strano, ma non mi aveva chiesto di uscire, mi stava spiegando tutto lì, con la gente che andava e veniva. In un certo senso, sentivamo entrambi che era giusto così. Lì era iniziato tutto, lì ci eravamo separati, e doveva essere lì che si sarebbe compiuto il nostro destino: avrei potuto perdonarlo, e ricominciare insieme a lui, o avremmo potuto separarci per sempre. Ma doveva essere lì.
Alla fine del suo discorso, - qualche curioso si era fermato ad ascoltare, chiedendosi se fossero le prove per un film o che cosa, - esitai.
-Sei uno stupido...- dissi infine. Perché diamine non me le aveva dette un anno prima, quelle cose?!
Non commentò. Mi venne quasi da sorridere; era sempre stato molto orgoglioso, ma ora si lasciava insultare senza dire niente.
Dovevo decidere. La mia felicità dipendeva da lui o sarei potuta essere felice anche senza?
La risposta non la so neanche ora, ma in quel momento già sapevo che il mio cuore aveva già scelto: avrebbe predominato il sentimento che ormai credevo d’aver dimenticato: la felicità.
Felicità? Una piccola incombenza giornaliera da curare come faresti con un giardino.
La mia, ormai era chiaro, dipendeva dal ragazzo che mi stava davanti, da cui mi separavano solo due corsie di binari. In quel momento non diedi peso all’eventualità di problemii futuri che l’avrebbero turbata; è un’incombenza giornaliera da curare come si farebbe con un giardino, e in fondo non sono Ino Yamanaka, nata e cresciuta in mezzo ai fiori del negozio dei miei genitori? Avrei curato la nostra felicità con la stessa preoccupazione che riservavo alle piantine, e non gli avrei più permesso di nascondermi nulla.
Mentre pensavo a tutto ciò, lui aveva continuato a fissarmi, un barlume di speranza celato nello sguardo; gli sorrisi.
-Sono anche più stupida di te, ma ti amo; ti perdono, Sasuke- esclamai, felice.
Anche più felice di me, lui mi rivolse uno dei suoi rari, splendidi sorrisi; non esitammo un attimo di più, ci precipitammo sulle scale e, finalmente non più separati da freddi binari, ci corremmo incontro. Sasuke mi afferrò la vita con le braccia, mi sollevò e mi fece fare un giro; raggiante come mai ricordo d’essere stata, mi sembrò quasi di sentire qualcuno applaudire. La felicità mi aveva dato alla testa, o non sono l’unica che va in metro per impicciarsi degli affari altrui...?

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*Angolino Lita* 

Ciao a tutti!
Questa storia ha vinto il terzo posto, ancora stento a crederci *-* 
Ringrazio di cuore edvige.91 per averlo indetto, mi è piaciuto moltissimo lavorare a questa storia, e nonostante non tratti le mie OTP, mi ci sono affezionata 
Non so che altro dire, quindi... spero che questa shot vi sia piaciuta, se mi lascerete un commento sarò felice di leggerlo, altrimenti pazienza :)

Grazie a tutti voi che avete letto,
Alla prossima,

Lita C:
 
  
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