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Autore: indiceindaco    19/01/2014    6 recensioni
Quando cala il sipario, ed il pubblico abbandona le poltroncine in velluto rosso, ed il brusio della gente si fa fioco, sempre più fioco, cosa succede dietro le quinte? Ad ormai quattro anni dall'uscita dell'ultimo libro, dall'ultima pagina voltata con emozione, aspettativa, malinconia, da quell'ultima frase che ha commosso tutti, nel bene e nel male. Il sipario è calato, il teatro è già stato ripulito, eppure no, non è finita qui.
Harry, Ron ed Hermione, ancora insieme si trovano ad affrontare la vita, quella vera, quella oltre le quinte di scena. E tanti cambiamenti si prospettano all'orizzonte. Scelte da prendere, scelte da rimandare, scelte in cui perdersi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Draco/Harry, Remus/Sirius, Ron/Hermione
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
Capitoli:
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XVIII. Attraverso una porta
 
La felicità spesso s’insinua
Attraverso una porta
Che non sapevate
Di aver lasciato aperta.
John Barrymore
 
Harry abbandonò la presa sul bicchiere, facendolo tintinnare rumorosamente contro la superficie ruvida del tavolo della sua cucina.
Di fronte a lui, Malfoy, aveva la testa inclinata e spiava il liquido all’interno del proprio calice. Harry lo guardò di sottecchi.
Non poteva negare di essere sorpreso dalle reazioni del ragazzo di fronte a lui. S’era aspettato battute acide e cattiverie gratuite dopo quel suo discorso traballante, s’era aspettato risolute porte sbattute in faccia e rancore lasciato a decantare, invecchiato di anni. Invece Malfoy era stato docile, accondiscendente persino. Non c’era traccia del ragazzo che pochi giorni prima aveva con determinazione piantato paletti a delimitare confini tra loro due.
Forse Harry era stato precipitoso, troppo impulsivo, sfruttando un effetto sorpresa di cui lui stesso era vittima. Il suo modo di fare lasciava di stucco anche lui. Non che non avesse rimuginato sulla questione, ma non riusciva a capacitarsi della propria temerarietà. Era stata la necessità di ricevere risposte a portarlo a quel punto? Certo era che avrebbe preferito una sfuriata, un Malfoy fuori di sé, piuttosto che il silenzio o l’essere ignorato, ancora. E invece ne aveva guadagnato timidi sorrisi e sguardi interrogativi, una tiepida accettazione e quasi un’espressione di gratitudine per aver trovato delle parole che l’altro sembrava cercare da tempo. Si era sentito meglio, sollevato, in pace con se stesso e lasciandosi trascinare dall’euforia del momento, dall’essere riuscito a raccattare i pezzi e a metterli insieme nel modo giusto. Aveva fatto breccia nella corazza di Malfoy, lo sapeva. Quell’istante, quello sguardo, avrebbe segnato una rivoluzione nel loro rapporto, e qualsiasi piega avesse preso, Harry era sicuro che non potesse essere niente di negativo. Non si aspettava sicuramente di diventare il migliore amico di Malfoy, quello era certo. Ma almeno sarebbe finito quell’infantile e inutile astio tra loro, che si ostinavano a portare avanti come se fossero incapaci di qualsiasi altra emozione.
Sapeva che c’era ancora qualche tassello mancante, che quella sensazione di liberazione, di contentezza persino, era un po’ troppo intensa e vibrante. Era ben consapevole che lì, nel doppio fondo della propria coscienza, qualcosa continuava a turbarlo, e non lo lasciava stare, rimescolando le carte, rimestando le sensazioni. Ma si decise a non pensarci, costruendosi un alibi più che plausibile: Malfoy lo stava fissando, spoglio della maschera, con una sincera smorfia d’interesse sulle labbra.
Qualcosa dentro Harry tremò, ma non di paura, non di curiosità. Non sapeva spiegarsi cosa in quello sguardo potesse dargli quella sensazione impetuosa, vivida ed inafferrabile, talmente effimera da non poter essere colta.
-Qualcosa non va?- chiese, deglutendo e dissimulando quel sapore in fondo alla gola.
Malfoy sobbalzò impercettibilmente, come se fosse appena stato colto in flagrante. Poi scosse lentamente la testa, abbassando lo sguardo, colpevole. Il suo viso parlava più del necessario in quel momento, o almeno così parve ad Harry, e mormorava di vergogna, chiedeva scusa per un errore che non aveva causa, che non generava effetti.
Harry si sentì ancora una volta chiuso fuori e dentro di lui qualcosa pizzicò di rammarico. Non riusciva a credere fosse possibile essere nella stessa stanza con una persona eppure sentirsi talmente lontani. Non si capacitava di come Malfoy riuscisse repentinamente a cambiare, nemmeno dopo le parole della Parkinson. Era frustrante e lo faceva sentire impotente. Avrebbe voluto alzarsi, prenderlo per le spalle e scuoterlo. Scuoterlo finché Malfoy non gli avesse urlato contro, o l’avesse preso a pugni, o si fosse finalmente deciso a parlare, o magari finché quelle mani eleganti non avessero raggiunto le sue e lo avessero fermato. Ma nel momento in cui nella sua mente si dipinsero quelle immagini, Harry percepì lo stesso identico e disorientante calore alla bocca dello stomaco.
-Stavo pensando…
La sua voce suadente, strascicata e titubante lo raggiunse illuminandolo e gli sembrò che quel nodo dentro di sé potesse sciogliersi, con quelle due semplici parole di Malfoy. Non disse una parola, per paura che qualsiasi cosa potesse infrangere quel momento.
-Stavo pensando che tutto questo è assurdo.- i suoi occhi erano fissi sulle nervature del legno, ne seguivano i percorsi, l’argento vacuo del suo sguardo sembrava voler imprimere quei sottili filamenti sconnessi in profondità.
-Ho fatto una scelta, due mesi fa. Una scelta che mi avrebbe portato a brancolare nel buio, a farmi sentire inadeguato. Una scelta che potesse punirmi, per tutto quello che ho fatto, e soprattutto per quello che non ho fatto.
Le parole di Malfoy scivolavano solenni e ovattate, pacate come mai lo erano state, ed Harry desiderava raccoglierle e proteggerle, perché aveva la sensazione che fossero parole di vetro. Parole che a contatto con l’aria sarebbero scomparse e non sarebbero più state udibili, come non fossero mai esistite. Harry lo guardava assorto, come si guarda qualcuno che stia per confessare un terribile segreto, l’atmosfera era densa di attesa e di qualcosa che aveva il sapore delle lande sommerse dalla neve.
-Una scelta che mi ha inchiodato qui, su questa sedia, a parlare con la persona che più ho creduto di odiare in questi anni. In sette lunghi anni.
Eppure ho l’impressione che tutte le strade percorse, ogni singolo passo, sia stato per arrivare qui. Come non ci fosse mai stata altra meta possibile.
Poi Malfoy alzò gli occhi, ed erano occhi che Harry non gli aveva visto mai. Erano lucidi, brillanti, magnetici e perturbanti. Erano gli occhi di un animale ferito, braccato, che si lasciava cedere alla stanchezza dopo la fuga. Lo sguardo di un assetato che rifiutava l’acqua per orgoglio, per amor di se stesso e della propria dignità. Occhi che chiedevano aiuto in silenzio e sembravano rassegnati a non ricever perdono. Quegli occhi s’impressero a fuoco dentro di lui. Poi vennero le parole, parole che Harry mai aveva immaginato di sentire. Parole che fremevano di rimpianto e di quel qualcosa, che ormai aveva imparato a riconoscere, sebbene fosse ancora indefinibile.
-Quando ho fatto questa scelta, pensavo di sapere cosa mi aspettasse. Sapevo che ci saremmo incontrati di nuovo. Ero sicuro di ritrovare il mio nemico di sempre, il suo sguardo di disprezzo, i suoi insulti, e il suo odio velenoso. E in mezzo a tutte le incertezze, quel pensiero era rassicurante. Rendeva quella scelta più sopportabile…
Malfoy fece una pausa, sollevò il bicchiere come per bere, ma sembrava essersi dimenticato che fosse già stato svuotato. Harry si mosse, come per prendere la bottiglia e riempirlo ma gli occhi di Malfoy tornarono su di lui, languidi, e sembravano dirgli che non c’era bisogno di quel suo gesto, sembravano intimargli di ascoltare e basta, di non dover far altro che stare lì a raccogliere ciò che lui avrebbe detto.
-E poi arrivi tu. E non sei come ti ricordavo. Non sei più pieno di te, non sei più in alto che osservi tutti, non fai più l’eroe. Non sei inarrivabile. Sei come non immaginavo potessi essere e mi confondi. Prendi ciò che mi è rimasto e lo sconvolgi.
Ad Harry si spezzò il respiro in gola. Incapace di qualsiasi pensiero razionale, rimase ipnotizzato dalla voce di Malfoy, da quel suo sussurro imbarazzato, dalla sua vergogna in quelle parole. Sbatté le palpebre, mettendolo a fuoco, chiedendosi solo come Malfoy potesse sviscerarsi così, di fronte a lui.
-Entri senza chiedere il permesso, e reclami risposte, pretendi in silenzio. E mi disarmi, mi spiazzi e mi lasci senza parole. E tutto questo è…- questa volta abbassò lo sguardo e mormorò impercettibilmente dei suoni piccolissimi. Tre parole che trafissero Harry per la loro intensità:
-Mi sta bene.
Disse solamente quello, e ad Harry sembrò la cosa più sconvolgente di tutto, più di tutte quelle parole spese fino ad allora. Quella voce flebile, come mai avrebbe potuto immaginarla, lo colpì dritto in faccia. Quelle parole sembravano aver materializzato qualcosa di tacito, violando ciò che non doveva essere svelato. Lo intossicarono e lasciarono inerme, incastrato lì.
-Ed è completamente folle. Fuori da qualsiasi logica.- ruppe il silenzio, con la stessa risolutezza, con lo stesso tono colpevole, come se non avesse avuto il diritto di dirlo.
-Voglio dire, dovrei detestarti, per quello che fai. Per come pretendi di entrare nella mia vita, reclami la mia amicizia e per cosa, poi?- fece una pausa, come se cercasse anche lui le parole, –Ma mi sta bene. Nonostante tutto ciò che c’è di razionale sembri indicarmi il contrario, è…rassicurante. Ti ho lasciato entrare io. L’ho fatto senza pensarci, d’impulso. Io non faccio mai cose del genere solo che tu…tu mi fai smettere di pensare. E…- si bloccò di nuovo.
Harry pensò che non doveva essere per niente facile, essere lì, sotto il proprio sguardo, dopo aver assorbito le proprie parole, a mordersi le labbra e a rigirare un bicchiere vuoto nella mano. Non era semplice non sapere dove nascondere gli occhi e come dissimulare il fremito nella propria voce.
-Non sono bravo in queste cose.- disse Malfoy repentino, come avvilito dalla sua stessa incapacità d’esprimere qualcosa che Harry non aveva voluto affrontare. In quel momento si sentiva molto poco Grifondoro, ed era impressionato da Malfoy. Poteva indovinare l’urgenza nella sua voce, ma non riusciva ad immaginare dove quel discorso potesse condurli. Malfoy lo guardò, come supplicandolo, sperando che lui capisse, graziandolo così dal dover esprimersi a parole. Ma Harry brancolava nel buio e riuscì solo ad abbozzare l’ombra di un sorriso, cercando di essere rassicurante e di spingerlo a continuare.
Malfoy alzò le spalle, sconfitto. Sospirò abbattuto e rituffò il suo sguardo nel vuoto, come a pugnalarlo e a farsi strada per fuggire, lontano dagli occhi di Harry, che come per riflesso si misero a studiare la bottiglia di Incendiario di fronte a lui.
Il disagio era nuovamente palpabile, indesiderato ospite seduto di nuovo a quel tavolo. Harry desiderò scacciarlo, desiderò che tutto fosse semplice, che potessero semplicemente brindare di nuovo e magari ridere. Gli rimbombò alle orecchie la parola usata da Malfoy, “insieme”. Sembrava provenire da un’altra vita. Sembrava lontana chilometri, nascosta chissà dove.
Quando finalmente Malfoy parlò di nuovo, la sua voce era disperata, bruciante di vergogna, come se volesse seppellirsi da solo. Quando finalmente Malfoy mise un punto a quel suo discorso, quando gettò la maschera, Harry capì che l’aveva gettata per sempre. Che da quel momento niente di Malfoy sarebbe stato come lo conosceva, che in quell’istante s’era aperta una porta, attraverso la quale ad Harry era concesso di entrare.
La sua voce lo colpì al centro del petto, artigliò qualcosa dentro di lui e lo rivoltò, lasciandolo lì, sottosopra. Si sentì spogliato da quelle parole che, così bene, gli stavano svelando qualcosa che di se stesso non era riuscito a cogliere. Il tassello mancante, luccicava sotto ai suoi occhi, come il boccino che tanto s’era affannato ad acchiappare:
-E l’unica cosa che riesco a pensare è che sono…felice?
 
***
 
Non fu facile scegliere le parole. Non fu facile costringersi a farle scivolare oltre la barriera delle labbra. Non fu decisamente come bere un bicchiere di Incendiario, imporsi di dar voce a quel pensiero. Ma sebbene la gola bruciasse e sul fondo del suo stomaco sembravano essersi aperte le fauci dell’inferno, Draco si constrinse a scendere a patti con se stesso. Prima di soffocare, prima di dover scappare di nuovo. Aveva corso per troppo tempo, chiuso talmente tante porte da confondere le chiavi. Aveva perso tutto e lo aveva riconquistato, lottando contro il peggior nemico che si potesse avere…se stesso. Come un gioco di cattivo gusto, nella sua mente, si affollavano le parole di Blaise. Non fu facile ignorare l’imbarazzo, mentre scopriva quella parte di sé, quella parte coperta da strati e strati di diffidenza, indifferenza, di timori.
Eppure sentiva di essersi liberato di un peso, sentiva la pace pervadergli i polmoni, annegati da tutta quella sincerità. Non era mai stato onesto, nemmeno con se stesso. Un pensiero flebile lo prese alla bocca dello stomaco, un baluginare assorto: era bello, giusto, che potesse finalmente dirsi come stavano le cose. Aveva sopito così a lungo quella sua parte di sé, quella istintiva, quella impulsiva. Solo l’idea di poter essere di nuovo ciò che s’era sforzato di sotterrare gli diede un brivido.
Non alzò lo sguardo, non ne avrebbe avuto la forza. Non avrebbe avuto il coraggio di affrontare gli occhi di Potter, magari disgustati, magari stupiti o peggio…derisori. Non alzò gli occhi, ma lasciò che scorressero sul pavimento tirato a lucido. Dopo quelle parole si sentì svuotato, stanco, terribilmente spossato. Non sapeva dirsi la fatica che quel mettere in fila i suoi pensieri avesse generato. Aveva spinto quella possibilità talmente in fondo, dentro di sé, fino a farla annegare, e adesso gli sembrava impossibile che fosse riemersa e con tanta prepotenza gli fosse sfuggita dalle mani.
Avrebbe voluto saper maledire Potter, che lo aveva spinto a tanto. Ma si stagliava dentro di lui una sensazione di benessere indomito, una scalpitante sensazione di esattezza.
Capì da subito cosa avrebbe significato liberare quelle parole, capì che quella era un’altra delle tante scelte che aveva fatto, inevitabile quanto tutte le altre, una scelta in cui si sarebbe perso. Ma era giusto. Aveva imboccato quella strada senza neppure valutarla, senza studiarla, senza guardar alla fine del sentiero, per vedere se una fine c’era davvero o se si trattasse dell’ennesimo vicolo cieco.
Semplicemente aveva smesso di preoccuparsene. Assistere a Potter, al suo exploit, a quel suo dire ciò che pensava senza remore, aveva avuto un effetto devastante su di lui. S’era lasciato trasportare, senza preoccuparsi di ascoltarsi, di capirsi. Aveva lasciato che quelle parole prendessero forma tra le sue labbra, prima che nella sua testa. E ne aveva riconosciuto la schiettezza, la disarmante verità, solo dopo averle pronunciate.
Solo allora si rese conto di quanto, con disperazione, stesse aspettando un nuovo contatto. Di quanto doloroso fosse il desiderio di risentire quel calore, di quanto gli potesse essere necessario. Ne ebbe paura.
Poi Potter lo strappò ai suoi pensieri, calamitando la sua attenzione, il suo sguardo disarmato:
-Lo capisco. I-io credo che sia…non lo so. Magari è perché ci siamo sempre detestati, quindi sembra strano…non farsi del male.  
Candido. Puro. Semplice.
Con quella sua voce chiara, cristallina, priva di qualsiasi timore, imbarazzo. Libera.
Sentì crescere un nudo calore in fondo al petto, un battito distratto, contorsionismo del suo cuore, che adesso sembrava volergli balzare sulle mani ed imbrattare tutto.
Alzò lo sguardo, per trovare quello di Potter che lo guardava con una luce che lo fece rabbrividire. Come se non ci fosse altro posto per i suoi occhi se non quello lì, immobili ed incatenati ai suoi. Come se fosse una promessa che Draco non aveva mai fatto, e che sentiva il bisogno di mantenere.
Razionalmente non riusciva a spiegarsi cosa stesse succedendo. Si chiedeva se Potter avesse consapevolezza delle sue parole, di quel suo sguardo. Stava lì, immobile, le labbra dischiuse e smarrite, gli occhi luminosi e per una volta svuotati da inutili domande. Dentro di sé sentì zampillare l’ombra di qualcosa che luccicava come ricordi smarriti nella neve di dicembre. No, non era possibile.
Potter brancolava nel buio, Draco ne era assolutamente certo, e poteva dirsi ancora più sicuro dopo aver sentito quelle parole. Era naturale, neanche lui d’altronde immaginava cosa si celasse dietro a quelle sensazioni. Draco tremava al pensiero di poter dargli una definizione, di riuscire ad intrappolarle e incasellarle.
Si rincantucciò nel suo silenzio, rimboccando le coperte del silenzio, e mettendo a tacere quell’impulso che gli intimava di spingersi oltre, di indagare se stesso, di trovare risposte. Le parole di Potter sembravano aver gettato luce ed ombre nella sua mente, così si ritrovava di nuovo spaccato a metà. Quella parte di lui, alla quale aveva amputato le gambe, muoveva i primi passi verso Potter, l’altra nel pieno della razionalità lo supplicava di andare via da lì, il più lontano possibile e di scappare velocemente.
-Forse dobbiamo solo abituarci…- aveva tentato Potter.
Draco riportò lo sguardo su di lui. Abituarsi? Pensò che Potter dovesse credere davvero a quello che diceva, perché quella sua espressione accomodante, non poteva significare nient’altro. Draco non ricordò di avergli mai visto un sorriso del genere, sembrava uno di quei sorrisi che si riservano solo a persone ben precise, che si regalano lontano da sguardi indiscreti.
Guardò le sue labbra piene, distese e placide in quel timido sorriso, e rabbrividì di nuovo, senza riuscire a trattenersi.
-Dev’essere così.- si sforzò di dire.
Poi Potter allungò una mano, sul tavolo. Il palmo aperto, in attesa, lì a mezz’aria, come se la cosa più naturale da fare fosse stringerlo, in un gesto formale. A Draco venne da sorridere, ma non lo fece, al pensiero della mano di Potter nella sua. Non sorrise, semplicemente perché sapeva che quella mano, che aspettava la propria, avrebbe significato un altro contatto, avrebbe significato un essersi ricercati e trovati e avrebbe avuto freddo, quando finalmente Potter lo avesse lasciato.
-Non essere ridicolo, Potter!- sbottò, sforzandosi di apparire sprezzante e cinico, come d’abitudine. Subito strinse le braccia al petto, curandosi di nascondere le mani tra le pieghe degli avambracci e alzò il mento, con fare altezzoso.
Potter scoppiò a ridere e ritirò la mano alzando le spalle.
-Un passo alla volta, Malfoy, certo…- disse ancora ridendo per l’atteggiamento infantile di Draco, che per tutta risposta lo guardò, inarcando un sopracciglio, e smorzando la tensione disse con sarcasmo:
-Potter, ci stiamo prendendo un po’ troppe libertà, non ti pare?
Questa volta la risata di Potter, prima trattenuta tra le labbra con uno sbuffo, e poi lasciata correre libera, lo travolse, finendo per contagiarlo.
-Comincia ad abituarti, Malfoy.
 
***
 
Harry sobbalzò, svegliato da tre possenti rintocchi della pendola del suo salotto. Si passò una mano sul viso, ricostruendo gli ultimi avvenimenti: Malfoy che si lamentava del freddo della sua cucina, che si alzava e andava in salotto, accedeva il fuoco e si metteva a curiosare in una delle tante vecchie e polverose librerie di Grimmauld Place, lui che lo seguiva e che si accasciava sulla sua poltrona preferita. Poi Malfoy agguantava un libro, dalla copertina scrostata e tremolante, e si sedeva elegantemente sul divano di fronte al camino.
Harry fece mente locale e si ricordò di essersi addormentato come un bambino, senza tante cerimonie, accoccolandosi sulla poltrona.
Cercò di mettere a fuoco ciò che lo circondava, rendendosi conto che la cosa sembrava più difficoltosa del solito. Indicibilmente intontito dal sonno, si ritrovò a doversi tastare il viso ancora una volta. I suoi occhiali…dov’erano? Non ricordava di averli tolti per lasciarli da qualche parte.
Mentre il mondo tremolava incerto di fronte a lui, si fece strada con le mani, per scontrarsi con il tavolino e, andando a tentoni, li ritrovò proprio lì.
Li inforcò rapidamente e finalmente le figure indistinte sembrarono poter riprendere il loro nome.
Erano quasi le tre di notte e Malfoy sembrava essersene andato da un pezzo. Non c’era traccia di lui, se non una pergamena spiegazzata proprio sul tavolino, accanto a dove dovevano essersi trovati i suoi occhiali:
 
Niente mi impedirà di ucciderti
Se domani arriverai in ritardo a lezione.
Tienilo a mente, Potter.
 
Scosse il capo, divertito: Malfoy rimaneva pur sempre Malfoy. La cosa non poteva che rassicurarlo e farlo sorridere.
Alzando le spalle spense il fuoco, riuscendo ad immaginare solo il proprio letto, che due piani più su, lo attendeva.
 
Harry gettò uno sguardo in giro. Tutto sembrava in ordine e perfettamente normale, per quanto fosse possibile in quella casa. I piatti e le stoviglie, insieme alle stoviglie, erano riposti ordinatamente nella cigolante cassettiera della sala da pranzo. Le bottiglie vuote erano state rimpicciolite e gettate nella pattumiera e gli avanzi lo avrebbero sfamato per un mese.  I festoni e le decorazioni erano sigillati negli ingombranti scatoloni e non un granello di polvere fluttuava nell’aria.
Poteva decisamente ritenersi soddisfatto, dal momento che non erano neanche le dieci e che, miracolosamente, non sarebbe arrivato in ritardo.
Fischiettando salì al piano superiore, agognando ardentemente una doccia e fu allora che capì che anche una giornata iniziata meravigliosamente bene poteva trasformarsi in un disastro.
Con la coda dell’occhio, salendo, s’era accorto di un baluginare discreto, quasi uno scherzo della sua immaginazione. Stava per imboccare la rampa di scale che lo avrebbe portato al bagno e poi alla sua stanza, quando un inquietante cigolio materializzò nella sua mente una certezza: non s’era immaginato proprio nulla.
Ma fu solo quando si voltò che ne ebbe la matematica certezza…
 
***
 
-Sveglia principino!
Decisamente quella non sarebbe stata una buona giornata, non se iniziava con quella voce squillante e invadente. Draco fece appello a tutta la sua buona volontà per aprire un occhio e spiare oltre la coltre di coperte.
Pansy, mani sui fianchi, un sorriso raggiante e un paio di orecchini sbrilluccicanti stava ai piedi del suo letto.
-Su, su…Draco! Vorrai mica stare tutto il giorno a poltrire!
Non valse a nulla il suo lamentoso mugugno, anzi peggiorò le cose, dal momento che la figlia del Cattivo Risveglio tirò via le coperte.
-Abbiamo un sacco di cose da fare! Quindi…in piedi, Draco Malfoy!
Il freddo di novembre attaccò Draco senza pietà, facendolo rabbrividire in uno spasmo di disperazione.
-Parkinson…ti odio!- disse, la voce ancora impastata dal sonno.
La ragazza proruppe in una risatina sadica e poi, con quel suo passo cadenzato dagli immancabili tacchi, si avvicinò alle vetrate e ne spostò le pesanti tende, ferendo irrimediabilmente la vista di Draco.
-Paaansy!- si lamentò il ragazzo, nascondendo il viso sul cuscino.
-Su, tesoro, tirati su! Ti ho persino portato la colazione a letto! Il tuo thé si raffredderà…Un vero peccato!- disse lei avvicinandosi al baldacchino. Poi gli rimboccò le coperte fino allo stomaco, ottenendo uno schiocco soddisfatto da parte del bell’addormentato. Draco, nel dormiveglia, pensò che quella donna molesta avesse rinunciato e lo stesse lasciando dormire. Ma Pansy non sembrava essere dello stesso avviso, quando con poca grazia fece scontrare un pesante vassoio da letto con le costole di Draco.
-Prince of Wales, due zollette di zucchero, molto limone! Proprio come piace a te, Signor Malfoy. E adesso…- Pansy si avventò sul suo cuscino, artigliandolo e costringendolo ad alzare la testa, non senza un impropero abbastanza colorito.
-Fammi il piacere di fare colazione e di metterti qualcosa di decente addosso.
Draco la guardò con un’espressione assassina e sbuffò sonoramente, prima che uno sbadiglio lo cogliesse alla sprovvista.
-Abbiamo fatto le ore piccole con il piccolo Potter?- disse Pansy zuccherosa, sedendosi accanto a lui e mettendogli tra le mani il thé caldo.
Draco mugugnò qualcosa e portò la tazza alle labbra.
-Niente ore piccole. E…Potter non è piccolo…- disse Draco, ancora intontito e con la voce assonnata.
-Oh, ma è meraviglioso! Non ne avevo idea, dicevo tanto per dire! Ma sono sicura mi racconterai tutto nei dettagli, caro!- disse maliziosamente Pansy, lisciandogli i capelli all’indietro. A Draco per poco non andò il thé di traverso.
-Suvvia, non c’è bisogno di essere così plateali…Manda giù, da bravo! 
Il primo pensiero coerente di Draco aveva a che fare con l’inizio di una giornata, una pessima giornata, che non avrebbe potuto far altro che peggiorare.
 
***
 
La porta.
Quella porta.
Aveva cigolato e lui sperava con tutto se stesso di averlo semplicemente immaginato.
Harry inspirò profondamente avvicinandosi con cautela. Non era possibile. Hermione l’aveva sigillata, di modo che nessuno potesse accedervi, usando un antico incantesimo sconosciuto a tutti, meno che a lei. Ne era sicuro, nessuno avrebbe potuto aprire quella porta. Voleva esserne disperatamente sicuro.
Mise la mano sul pomello, pregando tutti i maghi del mondo che fosse solo uno scherzo della sua immaginazione, che quella porta fosse inamovibile, inapribile, bloccata e una marea di altri aggettivi supplicanti in merito a “porte che non si schiudono” che gli venissero in mente.
La porta cigolò di nuovo e lui trasalì quando, ruotando il pomello, a dispetto di ogni preghiera, quella si aprì sfacciatamente.
 
***
 
-Si può sapere dove mi stai trascinando?- sbottò Draco spazientito, mentre Pansy lo tirava per la manica, con fare entusiasta.
Tra le vie della Londra babbana c’era un chiacchiericcio allegro, sfuggente, che odorava velatamente di caldarroste e di autunno inoltrato. L’aria frizzante pizzicava le guance di Draco, biricchina, e lui arrancava dietro a Pansy che a passo spedito sembrava non volerlo degnare nemmeno di una risposta.
La ragazza lo spiò da sopra la propria spalla con i suoi profondi occhi neri, incorniciati da lunghe ciglia scure che non mancò di sfarfallare.
-Ma, tesoro, è una sorpresa, no?
-Pansy, io odio le sorprese. E sai cos’altro odio?- aveva cominciato a dire seccatamente, salvo poi essere interrotto dalla sua migliore amica.
-Eh no! Questo non è lo spirito giusto! Bisogna scacciare tutta questa negatività!
-Odio la gente che mi sveglia bruscamente, tirandomi via le coperte. E odio il thé bollente che mi ustiona la lingua. Odio chi fa insinuazioni insulse e chi mi sistema il colletto della camicia. Odio chi trascina e sballottola in giro come avessi due anni e…Pansy! Mi stai ascoltando?
Draco era mortalmente avvilito da quella situazione. Ma sapeva fin troppo bene quanto fosse difficile dibattersi contro l’accanimento di Pansy.
La ragazza si bloccò di colpo davanti a lui, rischiando di farlo cadere rovinosamente a terra.
-No tesoro, non ti stavo ascoltando. E so a memoria cosa odi, come e perché.- disse lei dolcemente, liberandolo finalmente dalle unghie laccate che stringevano la manica del suo cappotto.
-Ho immaginato fossi arrabbiato per ieri sera…sai, no? L’interruzione del tuo tête-à-tête romantico con Potter…
Draco sbuffò spazientito e tentò di dire col suo miglior tono risoluto e vagamente indignato:
-Non c’è stato nessun tête-à-tête con Potter! Men che meno uno che fosse lontanamente romantico…perché non potrà mai esserci nulla di…
Di nuovo Pansy lo interruppe, con l’ennesimo sfarfallio delle ciglia, mettendogli una mano sulle labbra.
-Sì, certo, adoratissimo tesoro della tua Pansy! Niente di romantico, assolutamente…Ma vedi, caro, non ho potuto far a meno di notare quanto la nostra interruzione potesse averti turbato. Non potevo esimermi dal farmi perdonare!- disse sorridendogli teneramente, ottenendo uno schiocco di disapprovazione da parte delle labbra di Draco,–Quindi, eccoci qui!
Fece un ampio gesto col braccio di fronte a lei, portando l’attenzione di Draco su un ampio portone, alto un paio di metri e dall’aria signorile.
-Qui, dove, di grazia?- borbottò Draco, portandosi le braccia al petto.
-Al primo degli appartamenti che visiteremo oggi!
Draco non si sforzò neanche di non alzare gli occhi al cielo, sospirando affranto. Non solo sarebbe stata una pessima giornata, ma aveva anche tutta l’aria di essere irrimediabilmente lunga.
 
***
 
L’odore di chiuso, stantio e di polvere lo colpì alle narici prima ancora che potesse varcare la soglia della stanza. Si trattava di uno spazio ampio, poco illuminato, se non dal timido sole autunnale che sfidava le spesse coltri bordeaux. Facendosi coraggio mise un piede all’interno, tastando un pavimento polveroso e scricchiolante con le soffici pantofole consumate. Si guardò intorno, non sorprendendosi affatto di trovare, sotto al suo sguardo circospetto, tutto come lo ricordava: l’enorme letto a baldacchino, al centro della stanza, addossato alla parete, coperto da quello che era stato un soffice piumone, il cui colore sembrava più cupo per via della polvere. La scrivania in legno, attaccata da una colonia di tarli, sgombra e con qualche pergamena lasciata lì ad imputridire. L’imponente libreria, ingombra di vecchi libri scolastici, probabilmente consumati dall’umido e dalle termiti. E poi le pareti, scrostate in più punti da quella che doveva essere un’orrida carta da parati, ed adornate di poster dalla dubbia provenienza di vecchie band babbane, squadre di Quidditch un tempo vincenti, e uno stendardo che richiamava i colori dominanti dell’intera stanza: rosso ed oro.
Harry ebbe l’abituale tuffo al cuore, soffermandosi sul vecchio vessillo che rappresentava quella che era stata anche la sua casata. Preso dai ricordi, si avvicinò alla scrivania. Una foto capeggiava sul piano impolverato: un ragazzo dai capelli ribelli, un paio di occhiali scivolati sul suo naso, con un largo sorriso gli faceva l’occhiolino, accanto a lui, con un sorriso sornione, un altro ragazzo dai capelli lunghi e scomposti gli faceva la linguaccia di tanto in tanto, tenendo un braccio sulla spalla di un altro soggetto, dal sorriso timido ed impacciato, il volto segnato da una lunga e spessa cicatrice, sulla guancia.
Un sorriso triste gli salì sulle labbra, lasciandogli il gusto salato di lacrime che aveva versato molto tempo prima. Nella foto, i ragazzi, sembravano avere meno di diciassette anni. Sembravano felici, spensierati ed ignari.
Harry non riuscì a soffocare la sensazione che, da sempre, gli attorcigliava lo stomaco e lo portava a sentir il cuore rimpicciolirsi.
Suo padre, Sirius e Remus, continuavano a sorridere tra le sue mani, e lui si accorse di quanto la cornice  fosse meno impolverata di tutto il resto.
 
***
 
Draco aveva perso qualsiasi speranza, stringendo la mano unticcia dell’ometto di fronte a lui. Pensò con disgusto a quei baffi altrettanto unticci e a quegli occhietti infossati che squadravano come affamati l’esile figura di Pansy, mentre lei dubbiosa si guardava intorno.
Si trattava di un vecchio e polveroso lucernaio, tenuto in piedi chissà per quale miracolo. Tutto aveva un’aria sbilenca e consumata, puzzava di acquitrino e persino il legno delle porte, le travi a vivo del soffitto, sembravano essere gonfie per l’umidità. Draco ebbe una sgradevole sensazione claustrofobica quando vide la misera cucina, dalle sudice mattonelle bianche. E proprio mentre l’unticcio padrone di casa apriva la microscopica finestra accanto al lavabo, una delle mattonelle incriminate decise di porre fine alla sua esistenza, frantumandosi sulla lurida moquette, sollevando una nuvoletta di polvere e generando, Draco lo avrebbe potuto giurare, il fuggi-fuggi di una colonia di scarafaggi.
Ebbe l’impellente bisogno di vomitare, ma poi pensò ad una poco rosea visione del bagno che dall’altra parte dell’appartamento avrebbe potuto accoglierlo. Non doveva aver un bel colorito, perché Pansy lo guardò lievemente allarmata.
L’omino continuava a far l’acrobata sulle discutibili qualità dell’appartamento, e Draco pensò dovesse essere una specie di sport a lui sconosciuto quello lì: trovare gli attributi meno adatti per roba che non avesse la minima possibilità di avere altri aggettivi se non “vomitevole”.
Proprio mentre l’omino stava per appiattirsi al muro e passare, per condurli al bagno, Pansy mise fine ai malesseri di Draco, dicendo:
-Senz’altro sarebbe un’ottima sistemazione per un single la sua, Mr. Powell. Ma vede, temo non sia l’ideale per una giovane coppia…
-Oh, Signorina! Non avevo idea…non vi avrei portato via tutto questo tempo!- persino la voce dell’ometto sembrava essere untuosa, un conato salì alle labbra di Draco.
-Ci scusiamo immensamente per il disturbo, Signore.- disse Pansy, prendendo Draco a braccetto, più per sostenerlo che per un gesto d’affetto.
-Temo che questa soluzione non soddisfi le nostre richieste.- disse la ragazza, con un sorriso tirato.
-Beh, è comprensibile…una giovane coppia, immagino, abbia bisogno di più…disponibilità. Beh, congratulazioni!
Pansy annuì vigorosamente e mormorò quello che doveva essere un ringraziamento rispettoso, poi l’omino li accompagnò all’ingresso.
Fu solo allora che Draco prese a respirare dal naso e riconquistò le sue capacità oratorie, ma prima ancora che potesse riversare su Pansy tutte le imprecazioni conosciute al mondo magico, la ragazza gli sorrise e disse serenamente:
-Non era poi così male, non se ti piace quel genere di cose. Almeno, con tutti quegli esserini repellenti che vivono sul pavimento, non avresti sofferto la solitudine! Ma non abbatterti, tesoro, questo è solo il primo dei numerosi appartamenti che ho sapientemente selezionato!
Draco meditò seriamente la resa, solo in quel momento.
 
***
 
Harry poggiò con reverenza la foto sulla scrivania e finalmente si accorse che qualcosa non quadrava: non era impolverata. Né la cornice, né il ripiano. Decisamente qualcosa non tornava!
Subito i suoi occhi andarono al pavimento. Oltre alle sue impronte, poteva scorgere nitide sul parquet consumato delle sagome più minute, le osservò attentamente, chinandosi: erano vistosamente più strette e corte delle sue e sembrava esserci il segno di un tacco. Erano impronte di donna, senza alcun dubbio. Subito le sole donne presenti la sera prima fecero capolino nella sua mente. Harry notò che anche la sedia doveva essere stata spostata, perché vi erano due lunghi segni sul pavimento. Spostò la sedia ridisegnando gli stessi contorni e si accomodò, le ginocchia toccavano completamente la cassettiera in quella posizione che sarebbe stata scomoda per chiunque sopra il metro e settanta. Doveva trattarsi senz’altro di una donna, allora.
La porta era blindata da un incantesimo che solo Hermione conosceva, le impronte appartenevano sicuramente ad una donna e persino la posizione della sedia sembrava confermarlo.
Harry tirò un sospiro di sollievo quando la prima ipotesi plausibile si affacciò alla sua mente: Hermione, la sera prima, sconvolta per il loro litigio, s’era rintanata dove nessuno avesse potuto trovarla. Aveva aperto la porta, con quel suo vecchio incantesimo, abbattendo la barriera protettiva, ed era entrata. Harry guardò le impronte e immaginò la scena: era andata alla libreria, sicuramente per cercare qualcosa da leggere che potesse calmarla, com’era solita fare. Poi, preso un libro, s’era seduta alla scrivania e aveva cominciato a rilassarsi. Magari aveva alzato lo sguardo e aveva anche lei preso tra le mani la foto, pulendola. Sicuramente Ron l’aveva trovata, o magari chiamata, e lei era subito uscita di lì, dimenticandosi di richiudere magicamente la porta della stanza di Sirius.
Harry poteva dirsi certo dell’accaduto, ma questo non rendeva la cosa accettabile, era come se qualcuno avesse violato la privacy di quel luogo, avesse violato una parte di se stesso. Si sorprese di quei pensieri, vergognandosene come un ladro, un momento dopo. Era di Hermione che si trattava! Immaginò cosa avesse portato l’amica a prender la cornice con la foto, a tenerla tra le dita e a soffiarci su per liberarla dalla polvere della memoria. Hermione, le sue parole e il loro litigio…aveva paura di perderlo. Quella consapevolezza lo fece sentire profondamente in colpa. Poggiò la fronte sul pugno chiuso, e inspirò quell’aria satura di ricordi impolverati e di anguste malinconie.
Fu quando aprì gli occhi che lo vide: un libricino, dalla copertina in pelle opaca, sicuramente del cuoio, poggiato sulla scrivania, poco dietro alla foto. Anche quello privo di qualsiasi traccia di polvere.
Inclinando la testa, Harry inarcò un sopracciglio. La curiosità lo spinse a prendere tra le mani quel libro senza titolo, immagino fosse stato lo stesso sentimento a portare Hermione a recuperarlo dalla libreria.
Aprì la copertina, aspettandosi di trovare dei caratteri noiosi e pomposi che recitassero l’intestazione del libro scelto da Hermione come anestetico.
Ma sorprendentemente, del titolo non c’era traccia. Harry, stranito, passò alla pagina successiva…vuota anche quella.
Si scostò bruscamente, colto da una brutta sensazione, e poi fece frusciare le pagine bianche tra le dita, velocemente. La sensazione si tramutò ben presto in un pessimo presentimento.
Non trovò nemmeno una pagina il cui colore fosse diverso dal bianco.
 
***
 
Raccolse distrattamente i folti capelli in una coda alta, ancora sovrappensiero.
Infilò il camice, indugiando sui bottoni.
Il silenzio la feriva con la stessa intensità della sera prima. Il silenzio del suo migliore amico sembrava sferrarle dei colpi a tradimento allo stomaco, o forse erano solo i postumi della sbornia, quelli che la pozione non riusciva a tener a bada. Ripensò a Ronald, accoccolato accanto a lei, che russava rumorosamente, quando uscendo lo aveva lasciato nel suo appartamento. Voleva che quello fosse un pensiero confortante, dolce e felice. Ma inspiegabilmente la tangibile presenza di Ron, al suo fianco tutta la notte, non faceva che aumentare l’intensità del vuoto lasciato da Harry.
Hermione sospirò, trattenendo un singhiozzo poco dignitoso. Non poteva assolutamente permettersi di scoppiare in lacrime davanti alla receptionist dell’ospedale, nel bel mezzo dell’ingresso del San Mungo.
Trasalì quando una mano raggiunse la sua spalla.
-Buongiorno, Hermione.
La voce profonda e pacata di Blaise sembrò ancorarla a terra e ricacciare indietro le sue lacrime, prima ancora che potessero sgorgare. Hermione sperò ardentemente di non aver gli occhi lucidi, e di non sembrare sull’orlo di una crisi di nervi.
Zabini porgeva educatamente il proprio tesserino da studente alla silenziosa receptionist, una delle infermiere anziane.
Quando poi la donna restituì i tesserini ai legittimi proprietari, Hermione si sforzò di sorridere e di rispondere:
-Giorno, Blaise.
Il sorriso del ragazzo sembrò rassicurarla e tranquillizzarla.
A passo svelto, condividendo la stessa meta, si diressero verso la saletta degli apprendisti, chiacchierando del più e del meno. Finché Blaise non disse:
-Sai, una persona una volta mi ha detto che, spesso, basta spiegare le proprie intenzioni e dire che si è dispiaciuti. Ripeterlo all’infinito. Perché poi, alla fine, passa. Passa sempre, mi hanno detto.
Hermione fu profondamente grata al ragazzo discreto al suo fianco. Fu grata perché non chiese e non volle sapere. Lo guardò con un sorriso timido.
-Ma passerebbe davvero, o è solo perché non si tratta di Harry?
Blaise le aprì la porta, con il suo solito fare galante, e arricciò le labbra spontaneamente, prima di dirle con la sua voce melodiosa:
-Passa sempre, soprattutto se si tratta di Potter!
Hermione entrò e si accasciò sulla panca, il morale rinfrancato, ma i dubbi a punzecchiarla fastidiosi.
-Io credo…credo di essere gelosa.
Blaise le sorrise ancora, accomodante, poggiandosi ad uno dei tanti armadietti ordinatamente disposti nella piccola saletta.
-Di Draco, dico bene?
Hermione deglutì rumorosamente annuendo gravemente.
-Voglio dire…ultimamente, passano un sacco di tempo insieme. Sembra quasi…Tu non hai l’impressione che vadano molto, troppo, d’accordo. Sembrano…amici.
Blaise non poté fare a meno di soffocare la risata che stava per far vibrare il suo petto. Hermione lo guardò con disappunto.
-Hermione, noi ci chiamiamo per nome.- disse, come a sottolineare l’ovvio, cosa che lasciò senza parole la ragazza.
-Non hai nulla da temere. Draco non ti sostituirà, non ti priverà del tuo ruolo nella vita di Potter. Ma mi permetto di darti un consiglio, comincia ad accettarlo. Sarà più facile, dopo…
Hermione alzò le sopracciglia, disorientata dalle parole enigmatiche.
-Accettare cosa? Dopo? B-Blaise…non credo di seguirti.
Blaise alzò le spalle ed allargò le braccia, suggerendole di non poter dire altro.
-Confido che tu sia abbastanza intelligente da ricordare e comprendere le mie parole, quando il momento sarà opportuno. 
 
***
 
Non aveva potuto far a meno di sottrarre quello strano cimelio dalla stanza. Lo aveva tenuto stretto tra le mani, mentre richiudeva la porta, sigillandola con un incantesimo sicuramente meno complesso di quello usato da Hermione.
Con la stanza di Sirius alle spalle, ed i ricordi già più lontani, ma con un cuore più pesante del solito, Harry aveva finito di prepararsi giusto in tempo per non arrivare in ritardo.
Si era smaterializzato direttamente in aula, e stringendo la tracolla consumata e macchiata d’inchiostro, s’era seduto fra i banchi, solo cinque minuti prima che la lezione iniziasse.
Wang era entrato, dando il buon giorno, mentre la classe cominciava a riempirsi.
Harry, immerso totalmente nei propri pensieri, non si rese esattamente conto della presenza di Ron al suo fianco, finché quello non tossicchiò rumorosamente.
-‘Giorno, amico…
Quasi trasalì, sentendo la voce del suo migliore amico. Si sentì come se una forza sconosciuta lo avesse riportato indietro di anni, come se la voce di Ron fosse esattamente stridula e acerba, come prima della pubertà. Pensò intensamente al libro nascosto nella sua borsa. Dissimulò un fremito.
-Ehi? Harry, è tutto ok?
Wang iniziò la lezione, ma ad Harry non sembrava giungere nessun suono se non quello del suo cuore che batteva come impazzito.
-Ron…hai parlato con Hermione?- sussurrò, fissando un punto imprecisato della lavagna.
Ron sospirò mestamente e scribacchiò qualcosa di poco comprensibile sulla pergamena stropicciata.
-Era beh, sconvolta, ieri ma…penso che dobbiate parlare e…
Harry tamburellò nervosamente con le dita sul banco, interrompendolo.
-Ti ha detto niente di…è entrata nella stanza di Sirius…
Dirlo ebbe un altro effetto, la sua voce risuonava dolorosa, ferita, come se avesse qualcosa di appuntito incastrato nell’esofago.
-Sì, l’ho trovata lì e…insomma, non doveva entrare, lo so. Non quando ci avevi chiesto di non farlo, perché insomma…i ricordi, e tutto il resto, sono ancora…troppo. Ma lei era sconvolta e aveva bisogno di calmarsi e…
Harry spezzò il farfugliare di Ron, spazientito.
-Non è questo il punto.- sussurrò risoluto, facendo rabbrividire persino se stesso, –Hermione ha trovato qualcosa lì…Io, non credo di voler sapere di che si tratta, ma…dai un’occhiata.
Si fece forza e con la mano tremante aprì la borsa, il più silenziosamente possibile e ne fece fuoriuscire il libro misterioso, poggiandolo sul tavolo. Ron parve dubbioso e poi all’improvviso s’illuminò dicendo:
-Oh, sì…aveva proprio questo libro fra le mani, lo stava leggendo per calmarsi, ieri sera. Ricordo la copertina. M’era sembrata strana, non aveva un titolo…Hai trovato qualcosa di interessante lì dentro, eh? Qualcosa di tipo incomprensibile e di tipo…molto da Hermione?
Harry lo guardò finalmente negli occhi. Vide l’espressione di Ron cambiare, in peggio, allarmarsi e lasciarsi prendere da un’ansia cieca. Poi, ispirando profondamente, disse:
-Ron…Hermione non poteva leggere né trovare niente qui dentro. Perché questo…- deglutì rumorosamente, non riuscendo a formulare le parole giuste, –è bianco. Completamente bianco…
Ron improvvisamente impallidì. Un libricino dello stesso spessore di un almanacco, di un’agenda o magari di un diario... Bianco.
-Non dirmi che…- sussurrò Ron gravemente.
-Ho avuto la stessa identica sensazione…Come se avessi già visto qualcosa di simile.
Ron sapeva che quel qualcosa non era una cosa generica, ma purtroppo era certo che si trattasse di qualcosa di terribilmente specifico.
-Non può essere vero…
 

 
 
 
 
Note:
Buonsalve, viandanti!
E bentrovati! Come promesso, non vi ho abbandonati! Certo, gli esami attentano alla mia creatività, ma non potevo non cedere alle minacce di molti (?) di voi xD
Beh, un capitoletto travagliato, non c’è che dire. Scritto a più riprese.
Spero possiate apprezzarlo, perché mi sono mortalmente divertito a scriverlo! 
Intanto voglio ringraziare le 45 persone che seguono la storia, colei/colui che l’ha selezionata fra le ricordate, le 6 persone che l’hanno inserita alle preferite e chiunque abbia fin ora recensito. Siamo alla soglia delle 50 e la cosa mi emoziona parecchio.
In ultimo, ma non meno importante un ringraziamento particolarmente sentito va a Wing –e che lo dico a fare- e ad ale93, che da una parte spero stia leggendo, e dall’altra prego non lo faccia.
Augurandomi di trovarvi alla prossima,
vi ringrazio nuovamente per il sostegno sia esplicito che implicito!
Alla prossima,
Indice. 
  
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