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Autore: aki_penn    19/01/2014    4 recensioni
“Fare il bagno nel sangue delle vergini mi mantiene giovane” disse, guardandosi le mani dalle dita lunghe e affusolate, sporche di rosso. “Quella ragazza che ti sei portato appresso quando sei arrivato a Rosenrot, è vergine?” domandò poi, guardandolo. Tinkerbell strabuzzò gli occhi e balbettò “Ru-Ruthie? Io non…non so…non ho mai chiesto…” incespicò, preso alla sprovvista, per poi accigliarsi e sbottare “E comunque non ho alcuna intenzione di farti dissanguare la mia assistente, se permetti!”
Genere: Azione, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Make a wish -

Capitolo ventitré -

Il tavolo intagliato –

 

Il tavolinetto era di forma ovale, con piedini intagliati a forma di fiore e zampe leonine che sembravano quasi radici. Era basso e l’unico modo per poterlo utilizzare era stare in ginocchio. Bloom si era inginocchiato davanti ad esso passando le mani sui bassorilievi. Dietro di lui Veleno faceva il giocoliere con i piatti e incitava un reticente Juanito a fare lo stesso.

Sul tavolinetto erano intagliati i continenti con dovizia di particolari, catene montuose, baie e fiordi, toccandolo con le mani Bloom poteva riconoscere ogni anfratto e arrivare dappertutto. Dal tavolo crescevano, rompendo il legno, alcune piantine dalle foglie carnose. Una era cresciuta qualche giorno prima a Città del Messico, una stava nel bel mezzo del Niger e si attorcigliava come un serpente attorno a un piccolo coltello di metallo che avrebbe potuto sembrare una pedina del monopoli. Un’altra in Cambogia, avvolta attorno a una lancia di metallo.

L’attenzione di Bloom però tornò alla piantina che stava a Città del Messico. L’uomo cercò di ignorare il fracasso che Veleno e Juanito facevano dietro di lui: Veleno schiamazzava e Juanito cercava di mettere ordine tra le ceramiche che il vecchio strabico lanciava in aria.

Tra le spire della piantina nata in Messico c’erano due pedine, una a forma di spada e l’altra a forma di accetta, quella a forma d’accetta sembrava incandescente. Bloom allungò l’indice e sfiorò la pedina che contraddistingueva Tinkerbell. Strinse i denti e ritirò il dito ustionato.

“Che cosa sta combinando Tinkerbell?” domandò quasi a se stesso, sapendo però che Veleno l’avrebbe ascoltato, e così fu. “L’imbecille, come al solito” fu la risposta allegra dell’ex Rettore.

Bloom si accigliò guardando le due pedine soffocate dalla pianta dalle foglie carnose. Veleno si avvicinò e si chinò accanto a lui per vedere la situazione del tavolo. Indicò la piantina che era cresciuta in Messico “Scommetto quello che vuoi che è andato da sua sorella e ha lasciato lì quel piccoletto insieme al suo famiglio. Ruthie si chiama, vero?” chiese conferma. Bloom annuì, il nome del famiglio di Tinkerbell non era importante.

Veleno scosse le spalle, mentre il suo assistente rimetteva a posto i piatti.

“Se fossi in te non me ne curerei troppo. Sentire un po’ di dolore gli farà solo bene” commentò, e proprio in quel momento nel bel mezzo dell’oceano Atlantico, a ridosso del tropico del Cancro, si formò una crepa nel legno e da questa ne sgorgò una pianta verde accesso, con foglie carnose che in un attimo crebbe fino ad arrivare alla dimensione delle altre.

Bloom sospirò ed aprì la mano che teneva in grembo e che conteneva altre pedine metalliche, poi guardò nuovamente la pianta “Cosa ci fa una bestia nel bel mezzo dell’oceano? Uccide i pesci?” domandò Bloom, perplesso.

“Se così fosse non sarebbe un nostro problema” lo rimbeccò Veleno, ma fu Juanito a dare una spiegazione “Si tratta di una nave. Con molte persone a bordo”

“Sarà meglio sbrigarsi, o approderanno a destinazione con la nave vuota. In questi casi le bestie si mettono davvero d’impegno a sterminare. Spazi ristretti, tanta gente… una manna per loro. Chi scegli?” domandò Veleno, fissando la piantina in mezzo all’oceano con suo occhio buono.

Bloom sospirò e prese tra le dita un tridente e se lo rigirò tra i polpastrelli. In quel momento, una pianta che era cresciuta in Nuova Zelanda prese fuoco e scomparve in un turbinio di cenere, una pedina metallica a forma di falcetto ricadde sul tavolo in legno con un tonfo. La crepa che aveva aperto crescendo era sparita lasciando il tavolo alle sue condizioni originali.

Bloom lasciò andare la pedina a forma di tridente che apparteneva a Septum e afferrò il falcetto lasciandolo poi cadere sulla nuova piantina che in un attimo la coinvolse in un abbraccio soffocante con le sue foglie carnose.

 

***

 

Un carlino strabico si avvicinò annusando alla piscina della nave da crociera dove era appena arrivato. Era notte, ma nell’acqua c’era qualche cosa che si muoveva. Il cane si sporse per guardare la massa d’acqua azzurra e un missile a pelo d’acqua gli arrivò contro. Il cane guaì e si fece indietro, mentre il drago d’acqua si appoggiava al bordo con le ali bagnate spiegate.

“Trinidad Scorpion, qui” lo richiamò una voce. Il drago rimpicciolì velocemente e volò tra le braccia del suo padrone, per poi accoccolarsi sulla sua spalla, ridotto all’aspetto di un’iguana.

Duchessa si era intanto rifugiata tra le gambe di Silk “Buonasera, Fatalii” salutò educatamente l’uomo, avanzando claudicante, col suo bastone da passeggio. Dietro di lui veniva un ragazzetto biondo, vestito con una maglietta rossa e un paio di pantaloncini con molte tasche. Aveva una spada corta appesa alla cintura e un’espressione strafottente.

Fatalii piegò la testa rispondendo al saluto “Buonasera Silk…Dirk”. Il ragazzino gli sorrise prima di annunciare “Vado a fare un giro”

“Sì, ma non andarci volando” lo ammonì Silk, mentre Dirk si toglieva la maglietta e dispiegava le ali, volando veloce fino alla cima della nave.

Il genio sospirò “Non mi ascolta mai” commentò, e Fatalii gli sorrise, divertito.

Era notte e sul ponte c’erano solo loro. Fatalii teneva in braccio il suo terzogenito che dormiva, mentre una ragazzina dai capelli scurissimi, raccolti in una treccia, dormiva su una sdraio accanto a lui, in posizione fetale. Aveva la gonna e delle scarpette da ginnastica e anche lei portava gli occhiali da vista come Fatalii.

“Zene” presentò Fatalii, indicando il suo terzogenito con un cenno della testa “e Oumi, la mia secondogenita”

Silk annuì “Non ti presento Duchessa perché la conosci già. Come mai qui?” domandò l’arabo.

Fatalii sospirò gravemente.

“Mia moglie crede che la tradisca, non sono mai a casa, quindi ho pensato che le avrebbe fatto piacere andare in vacanza tutti insieme, per un po’” spiegò “Ma immagino che sarà una vacanza faticosa, se sei qui”

Silk chiuse gli occhi, sedendosi su uno sdraio accanto a quello di Fatalii “Già, c’è una bestia. Ero in Nuova Zelanda solo poche ore fa, temo che Bloom non abbia ancora capito che deve lasciarci un po’ respirare. Dobbiamo tornare a casa ogni tanto” commentò.

Fatalii scrollò le spalle “Non credo che lo capisca, Bloom ha sempre vissuto da solo, come un nomade. Continua a non sembrarmi vero che Veleno abbia ceduto il passo” sentenziò l’uomo, incrociando le gambe lunghe sul lettino.

“Imparerà” rispose Silk speranzoso. Ci fu un attimo di silenzio e Oumi si rigirò sul lettino. Fatalii la guardò, controllando che non si svegliasse.

“Te lo porti sempre dietro, Dirk?” chiese poi, cambiando discorso. Silk sgranò gli occhi, mentre Dirk svolazzava più in alto. “No, ma gli manca stare su una nave, ho pensato che questo posto potesse piacergli” spiegò.

Fatalii annuì “Sì, ma viene dal Grande Mare, Silk” lo ammonì.

“Anche il tuo Trinidad Scorpion viene dal Grande Mare, ma nessuno ha nulla da dire a riguardo. Per lo meno posso affermare con certezza che Dirk non sputi fuoco”

Fatalii si arrese al sorriso, prima di alzarsi in piedi “Meglio che vada, se c’è davvero una bestia, non voglio lasciare mia moglie e la mia figlia maggiore sole in cabina” annunciò. Silk si trovò assolutamente d’accordo.

 

***

 

La finestra si sfondò con uno schianto e Germàn Hernández si alzò di scatto dalla sedia dove stava seduto a leggere il quotidiano. Emise un urlò secco alzando le braccia per ripararsi dalla pioggia di pezzi di vetro. Un secondo dopo l’esplosione della finestra, in mezzo ai vetri rotti s’infilò una figura che atterrò in piedi sulla scrivania di plastica impolverata, con un gran rumore di cocci.

Germàn Hernàndez lanciò via il giornale e imbracciò il fucile che aveva tenuto accanto a sé fino a quel momento, gli avrebbe sparato se Bonnie non avesse afferrato l’arma per la canna strattonandola via dalle mani quell’uomo.

Germàn rimase impietrito a guardare Bonnie che afferrava il fucile con entrambe le mani e lo spaccava a metà come se fosse un rametto secco.

“Bonnie!” urlò qualcuno da fuori, ci fu il rumore di qualche cosa che cadeva e qualche imprecazione.

Il biondino che era entrato dalla finestra in volata si voltò verso la voce, con grande tranquillità, per poi tornare a guardare Germàn.

“Chi cazzo sei?” urlò l’uomo, con le ginocchia lievemente piegate, come se fosse pronto a scappare da un momento all’altro. Le braccia erano ancora un po’ sollevate, per difendersi da eventuali attacchi, ma il suo fucile era stato deliberatamente spaccato a metà e lanciato via, come poteva competere con una bestia del genere?

“Mi chiamo Bonnie” rispose il ragazzino, saltando giù dalla scrivania piena di vetri. Teneva le mani in tasca e lo guardava con aria strafottente, fu in quel momento che Germàn si rese conto di chi fosse Bonnie. Il ragazzino lo vide strabuzzare gli occhi e boccheggiare, guardandolo fisso.

Germàn era decisamente più alto di lui, il cranio liscio come una palla da bowling, il viso senza sopracciglia sembrava quasi lucido, senza nemmeno un po’ di peluria sul mento. Sulla cinquantina, più o meno, Bonnie pensò che l’alopecia sfalsasse la percezione che si aveva di lui. Attorno agli occhi iniziava ad avere qualche ruga d’espressione, il naso era dritto e le labbra sottili, gli occhi castani, sgranati, fissavano Bonnie.

Il ragazzino lo riconobbe dalla voce, come aveva immaginato prima di sfondare la finestra alta e oscurata, quello era lo stanzino dove l’avevano portato da cadavere, e Germàn era l’uomo che aveva dato l’ordine di rompergli i denti.

“Non voglio farti male, a meno che non sia tu a volerlo” fece Bonnie con un sorrisetto cattivo.

Germàn ringhiò, dimentico per un attimo di come Bonnie aveva spezzato a metà il suo fucile, ma il ragazzino appoggiò la mano sulla katana che portava appesa alla cintura, fu solo in quel momento che il messicano si accorse dell’arma e sbiancò.

Fu in quel momento che dalla finestrella spuntò una mano che si aggrappò all’infisso “Ahi!” esclamarono da fuori con uno strillo acuto.

“Ruthie?” chiamò Bonnie, incerto, dando le spalle a Germàn, che arretrò di qualche passo verso la porta. “Tutto bene, tutto bene, non sarà un po’ di vetro a fermarmi” ringhiò la ragazza da fuori. Immaginò che avesse dovuto accatastare diverse casse per riuscire a raggiungere la finestra, dal basso del suo metro e cinquanta.

La mano riapparve e Bonnie udì un grugnito indispettito, mentre Ruthie si issava dentro la stanza, prima una gamba e poi l’altra.

Bonnie intercettò con la mano una delle gambe della sedia che lo stava per colpire in testa ed evitò che questa si schiantasse sul suo cranio. Si voltò con un movimento fluido, sempre tenendo in alto la sedia, e guardò Germàn negli occhi. Lo sguardo dell’uomo era terrorizzato, era la seconda volta che gli strappavano di mano un’arma negli ultimi cinque minuti.

Bonnie digrignò i denti e Germàn pensò davvero che gliel’avrebbe spaccata addosso, ma l’espressione del ragazzino parve rilassarsi e lasciò cadere la sedia per terra con uno schianto. Incrociò le braccia e si avvicinò di un paio di passi con l’andatura a gambe larghe che distingueva i portatori di pantaloni col cavallo basso. Germàn arretrò istintivamente, nonostante Bonnie fosse più basso di lui di quasi venti centimetri.

Un tonfo morbido attirò l’attenzione di entrambi, mentre Ruthie cadeva seduta sulla scrivania piena di cocci ringhiando qualche imprecazione tra i denti e strizzando gli occhi.

Dondolò i piedi, prima di scendere con un balzò. Bonnie allungò una mano verso di lei e Ruthie l’afferrò con entrambe le mani “Hai bisogno di…” cominciò il ragazzino, ma lei lo interruppe prima che potesse formare qualsiasi frase di senso compiuto “Bastano le mani, il sedere me lo tengo così, grazie Bonnie, sono già abbastanza arrabbiata con te per questa incursione” sbottò, mentre Bonnie le stringeva le mani tagliate, tra le sue, curandole.

Germàn era di nuovo arretrato verso la porta, cercando di approfittare della distrazione del ragazzino biondo, ma non andò molto lontano, dato che quando cercò di afferrare la maniglia della porta si trovò davanti proprio Bonnie, che lo guardava fisso. Germàn ritrasse la mano come se il ragazzino scottasse, spalancò la bocca come per urlare, ma boccheggiò e non ne uscì alcun suono. Un secondo prima Bonnie era vicino alla finestra un attimo dopo era a sbarrargli la strada dell’uscita, come aveva potuto spostarsi così velocemente?

Si guardò alle spalle, terrorizzato, e vide soltanto la ragazza minuscola che era entrata dalla finestrella, che lo guardava con aria scocciata tenendo le braccia incrociate sul petto.

“Tu non te ne vai” commentò Bonnie. Non pareva minaccioso, ma Germàn arretrò.

“Cosa volete?” domandò, volandosi di nuovo verso Ruthie; la ragazza aveva una pistola, mentre il suo fucile giaceva a terra inutilizzabile.

“Ti direi di sederti e non rompere, ma la sedia l’ho rotta io togliendotela di mano” ammise Bonnie, colpevole. Così dicendo si sedette con un balzo su una parte di scrivania sulla quale non giacevano copiosi pezzi di vetro.

“Tu eri morto!” berciò a quel punto Germàn, sputando saliva per la rabbia. Bonnie si accigliò “Questo è quello che dici tu, dovrei essere incazzato, mi hai fatto spaccare i denti!” disse lui, indicando i propri incisivi bianchi, al loro posto nella bocca.

“Cosa sei? Il gemello di quello che abbiamo ammazzato ieri?” ringhiò “Faccio ammazzare anche te!” minacciò. Bonnie cambiò sguardo e la sua mascella si contrasse. In un attimo era sceso dal tavolo e aveva afferrato Germàn per il colletto sbattendolo duramente contro il muro. La botta fu così forte che il messicano sentì tutta l’aria uscirgli dai polmoni.

“Chi è che vuoi ammazzare, stronzo?”

“Bonnie?” lo richiamò Ruthie, battendo il piede per terra con impazienza. Capendo l’antifona, il ragazzino lasciò andare il colletto del trafficante e Germàn strisciò come un verme contro al muro.

“A me continua a sembrare una pessima idea, lascialo qua e andiamocene via” propose scocciata.

“No, sono convinto che questo ci possa aiutare” ribatté lui, e per avvalorare la propria tesi gli diede un calcetto sulla coscia. Germàn strizzò gli occhi.

“So che sono morte delle persone” iniziò il ragazzino, mentre Ruthie sbuffava sonoramente. Germàn fece una smorfia “Le hai ammazzati te? Carlos e Esteban? Se devi uccidermi fallo subito, ragazzetto” ringhiò, e così facendo si beccò un altro calcio da parte di Bonnie, questa volta più forte, tanto che urlò di dolore.

Il ragazzino si ritrasse di un passo, mentre Germàn si stringeva la gamba spezzata.

Bonnie sgranò gli occhi e strinse i pugni, le braccia tenute rigide parallele al corpo.

“Bonnie, che diamine!” sbottò Ruthie, piegandosi in avanti per dare un’occhiata all’espressione dolorante del messicano.

Vide il ragazzino contrasse di nuovo la mascella, preso dal panico. Alzò le mani in segno di resa e le sventolò come per farsi notare “È la posto, è a posto, ci penso io” sentenziò.

“No, Bonnie, no!” sbottò Ruthie, capendo cosa aveva intenzione di fare, ma Charlie si era già piegato in avanti e aveva afferrato la gamba spezzata con entrambe le mani. Germàn ebbe un tremito e sgranò gli occhi, guardando Bonnie allibito. Boccheggiò e cercò di spalmarsi ancora di più contro il muro, con l’intenzione di allontanarsi il più possibile da quel ragazzino con i capelli color paglia.

“Non voglio farti male” ripeté lui. Gliel’aveva già detto e non aveva mantenuto la promessa, ma credeva davvero di potercela fare, se quell’uomo credeva in lui.

“Che razza di mostro sei?” soffiò Germàn.

“Sono un genio” rispose il ragazzino, con semplicità. Ruthie alzò gli occhi al cielo e Germàn esplose in una risata isterica “Mi stai prendendo per il culo, ragazzino?” domandò, quasi divertito.

Bonnie scrollò le spalle “Questo non ha importanza”  disse “C’erano un sacco di cadaveri giù nella fogna, li avete gettati tutti voi?” domandò, cauto.

La risposta si fece attendere, ma alla fine Germàn ammise “Immagino di sì. Vuoi  rompermi tutte le ossa del corpo e poi denunciarmi?”

Bonnie ignorò la provocazione e continuò “Quando mi ci avete buttato, là sotto, ho visto anche qualche cosa d’altro, non solo cadaveri. Qualche cosa di cattivo, che non avrebbe dovuto essere qui, non è di questo mondo”

Germàn rise ancora, così forte che Ruthie si preoccupò che non lo sentissero dalle altre stanze.

“Mi prendi per idiota, stronzetto? Pensi che creda alle fatine e a i mondi paralleli?” sbottò.

Bonnie alzò la mano, come se avette dovuto battere cinque a qualcuno, e la sua mano prese fuoco all’istante. Germàn urlò, ricominciando a scalciare per allontanarsi da quella specie di mostro, ancora chino su di lui.

“Di questo cosa pensi? È di questo mondo?”domandò, serio. Bonnie chiuse le dita a pugno e le fiamme si estinsero, mentre Germàn cercava di riprendere un battito cardiaco normale. Si guardò intorno, in cerca di qualche cosa di familiare, ma trovò solo Ruthie, che lo guardava storto.

“Okay, okay, ti credo” cedette in fine, senza guardarlo negli occhi. Charlie stava seduto sui calcagni davanti a lui, e lo fissava “Credo che quella cosa sia risalita dalle fogne attraverso la botola dalla quale avete buttato giù me” ipotizzò il ragazzino australiano.

“Allora sigilliamola” propose il trafficante, ancora con il respiro accelerato. Bonnie scosse la testa “No, dobbiamo scendere giù, e tu verrai con me”

L’uomo fece un sorrisetto nervoso “Scherzi?” chiese. Bonnie si voltò verso Ruthie e ordinò “Esci”

La ragazza aggrottò le sopracciglia “Cosa? Scherzi? No, assolutamente no!”

“Ho detto ‘Esci’. Voglio lui” ripeté Bonnie, il suo sguardo era diventato cattivo. Ruthie digrignò i denti, ma a passo svelto raggiunse la porta e ne uscì chiudendosela alle spalle. Bonnie fece in tempo a sentirla imprecare “Fottuto cretino!”

Germàn e Bonnie si guardarono ”Come ti chiami?” domandò il più giovane.

Il messicano fece una smorfia “Germàn” confessò, scocciato.

“Io esaudisco i desideri, mi servono i tuoi per uccidere quella cosa che vive nella vostra fogna” spiegò, guardandolo fisso negli occhi. Germàn pensò che avesse una faccia da schiaffi incredibile.

“Sei una specie di fatina buona?” chiese, divertito.

“Ti ho detto che sono un genio. Ma anche io ho un desiderio” aggiunse. Germàn lo guardò torvo “E sarebbe?”

“Rivoglio il mio cellulare” 

L’uomo rise sonoramente “Il tuo cellulare, piccolo? Dirò a quel caprone di Diego di ridarmelo. Quindi, a parte questo cosa vuoi fare? Cosa devo fare per liberarmi di questa seccatura?”

Bonnie di chiese se con ‘seccatura’ intendesse la bestia o il genio, ma non chiese e disse solo “Mi chiamo Charlie Martinelli, hai diritto a tre desideri”

 

***

 

Clay alzò il volume del televisore, mentre Bernie prendeva un'altra manciata di popcorn. “Secondo me, muore” commentò Jessie, con la consueta bandana in testa, guardando lo schermo.

Tinkerbell si chinò un po’ in avanti, avvicinandosi alla sorella, per prendere la sua parte di popcorn “È un classico” concordò il gemello. Bernie sgranocchiò rumorosamente e prese un’altra manata di popcorn, di seguito al fratello. “Io spero che gli strappi le budella” aggiunse il maggiore dei tre, seduto sul divano con le ginocchia vicino al petto. Essendo così enorme, in quella posizione faceva uno strano effetto. Clay si accigliò e gli riservò un’occhiataccia “Bernie, è un giallo, non un film dell’orrore” puntualizzò il genio. Bernie sgranocchiò e aggrottò le sopracciglia continuando a guardare lo schermo, pensieroso “Allora perché siamo qui a cercare di indovinare che sarà la vittima? Non dovremmo cercare un assassino?” domandò.

“Poi cercheremo di indovinare anche l’assassino” lo rabbonì il fratello minore.

“È una palla se non li sbudellano nemmeno” precisò ancora Bernie. “Si divertiranno quando sbudelleranno te, allora” commentò Clay, senza pensarci.

“Dici che corro il rischio?” domandò Bernie divertito, mentre Jessie guardava male entrambi. Tinkerbell scrollò le spalle “Non si può mai sapere cosa può capitarti mentre fai pianobar su una nave da crociera”

Bernie ridacchiò, guardandolo sottecchi e mettendosi in bocca un altro popcorn.

“Avete finito?” chiese Jessie inacidita. A volte aveva l’impressione che quei due la tagliassero fuori, come se ci fosse qualche cosa che lei non sapeva. Erano sempre stati lei e Clay, quasi una stessa cosa, due pezzi dello stesso corpo.

“Scusaci” fece Tinkerbell rimettendosi a sedere stravaccato sul divano, per nulla preoccupato.

“Comunque, per me, muore la bionda” rincarò la dose Jessie.

“Nah, è il tizio col panciotto a lasciarci le penne” commentò da dietro il divano mamma Jenning con il cesto del bucato in braccio. I tre figli si voltarono a guardarla, accigliati e lei scrollò le spalle “Io e Glen siamo andati a vedere questo film l’anno scorso al cinema all’aperto, lui ha dormito tutto il tempo, non so come dato che le sedie di quel posto sono la cosa più scomoda del mondo” iniziò a blaterare, per poi aggiungere “Volete che vi dica anche ci è l’assassino?” domandò.

Ci fu un coro di ‘No’ indignati e tutti si voltarono di nuovo verso lo schermo mentre Abigail Jennings se ne andava a stendere il bucato.

Glen si unì sorridendo a loro, dicendo che lui e la loro madre erano andati a vedere quel film, ma le seggiole del cinema all’aperto erano così comode che aveva finito per addormentarsi, ma che era curioso di vederlo con loro.

I tre annuirono pregando che non russasse troppo dopo essersi addormentato, perché sapevano che si sarebbe addormentato anche quel giorno.

Fuori aveva ricominciato a nevicare, anche se non troppo forte e la figlia del vicino era uscita per fare un pupazzo di neve. Jessie l’aveva guardata desiderosa di uscire, Clay l’aveva stretta a sé e aveva sorriso mentre lei si appoggiava alla sua spalla.

“Secondo me, l’assassino è il maggiordomo” proruppe Bernie continuando a masticare. Era incredibile la quantità di popcorn che quel ragazzo era capace di ingurgitare. Mamma Jennings aveva già portato tre ciotole e Glen russava già da una quarantina di minuti quando Bernie afferrò il telecomando con una delle sue mani tatuate e mise il film in pausa, causando un coro di protesta che comunque non svegliò Glen.

“Pausa pipì!” esclamò Bernie, scattando in piedi e correndo su per le scale. Jessie sbuffò “Proprio sul più bello, diamine!”

Clay ridacchiò “Non credo che ci metterà molto” si costrinse a sorriderle, mentre i bracciali che aveva ai polsi bruciavano come l’inferno. Jessie fece una smorfia e gli prese la mano destra appoggiando la testa allo schienale del divano a fiori, Glen russava sonoramente. Le dita di Jessie erano tatuate come quelle del fratello maggiore, Clay sembrava l’unico a essere scampato alla dilagante mania per l’inchiostro.

“Sono felice che tu sia qui, ci vediamo così poco. Dovresti tornare a stare in Kansas” sentenziò, stancamente. Anche se era vestita si vedeva quanto fosse magra.

“Sembri la mamma”

“Manchi anche a lei” Clay le sorrise, ma in un secondo il suo sorriso si gelò e il viso sbiancò. Jessie se ne accorse e alzò la testa dallo schienale “È tutto a posto?” domandò, preoccupata.

Tinkerbell deglutì evitando di guardarla “Sì, è tutto a posto” rispose lui mentre stringeva tra le sue le dita della sorella.

I polsi non gli facevano più male.

 

***

 

Ruthie mandò giù la saliva piena di sangue. Aveva un occhio pesto e non riusciva nemmeno più ad aprirlo, mentre in bocca le mancavano la maggior parte dei denti.

Respirò piano, voltando piano il collo per guardare Germàn appoggiato con la schiena al muro di cemento della fogna. Anche lui la guardò e fece una smorfia di dolore. Aveva urlato mentre uno dei coccodrilli bianchi che aveva divorato i suoi compagni gli strappava entrambe le gambe dal ginocchio in giù. Anche la mano sinistra se n’era andata. Ruthie non era messa molto meglio. Il braccio destro le era stato reciso all’altezza del gomito, e la gamba sinistra mancava a partire dalla coscia. Il suo inguine era un ricettacolo di sangue e dolore, sotto la gonna a fiori strappata.

Ruthie strinse i denti e ruotò la testa verso l’alto, mentre dal basso venivano i rumori umidi dei coccodrilli che si spartivano le carni di Bonnie.

“Finché mangiano lui non mangeranno noi” sentenziò Germàn, sputando un grumo di sangue.

“Dopo mangeranno anche noi, dopo averci fatto soffrire. Dovevi per forza sprecare i tuoi due primi desideri per quelle cavolate? Cosa ti serve essere l’uomo più…” ansimò per il dolore, la coscia le faceva un male atroce, così come il braccio, era sicura che sarebbe svenuta entro poco “ …l’uomo più ricco di Città del Messico, se poi morirai in una fogna divorato da un coccodrillo?”

Se il dolore non fosse stato così allucinante, Germàn avrebbe riso alla battuta “Si fa presto a giudicare, dopo. Non ho mai preso sul serio questo ragazzino…” spiegò, strizzando gli occhi.

Ruthie respirò forte, cercando un modo per separare la sensazione di dolore dal cervello, ma era troppo forte per riuscire a distrarsi, ma poi il messicano parlò di nuovo “Non hai un’altra fatina buona da chiamare, perché venga in aiuto al biondino?” chiese. Ruthie fece un debole sorriso, rimanendo ad occhi chiusi e annuì “Ne ho proprio una di Fatina, ma il cellulare non prende dentro a questa fogna” sussurrò debolmente.

“Quindi siamo fottuti?” tradusse Germàn; la sua voce era tremante e affaticata. Ruthie annuì ancora, debolmente, e Germàn semplicemente chiuse gli occhi.

Bonnie, dentro al canale, stava affondando. Un coccodrillo gli aveva portato via una gamba, mentre lui si dibatteva per non farsi staccare la testa da un altro dei rettili. Era acciaio contro denti aguzzi. Bonnie aveva colpito, strappato, morso e tagliato, ma ogni arto staccato a lui e agli altri due era un animale in più, e l’acqua stava diventando acida, le guance gli si stavano corrodendo. I coccodrilli piangevano nell’acqua e lo stavano lentamente avvelenando, mentre i vestiti già rovinati dal precedente attacco della bestia rimanevano a brandelli.

Le lacrime acide e il sangue copioso di Bonnie impregnavano l’acqua, mentre lui riusciva appena a passarsi la mano sulla coscia mutilata per farsi ricrescere la gamba per intero.

Un animale afferrò il braccio destro del ragazzo per il gomito e strinse abbastanza da rompere l’articolazione, ma non da staccare l’arto. Il genio ringhiò di dolore e caricò con la mano della spada, puntando all’occhio della bestia, ma un’altra bestia  ingoiò l’intero braccio del ragazzo, compresa l’arma. Bonnie urlò mentre l’acqua gli entrava in bocca e i polmoni dolevano come non mai. La spada, da dentro al mostro, perforò il ventre dell’animale, ma un altro rettile addentò la spalla del ragazzino impedendogli altri movimenti.

Il ragazzino scalciò forsennato cercando di allontanare i coccodrilli, ma una quarta creatura gli afferrò le gambe e le ingoiò fino alle ginocchia, recidendo muscoli e tendini fino in profondità, non abbastanza da staccargli gli arti, ma abbastanza da bloccarlo.

Bonnie ringhiò e poi venne colto da una terribile certezza: era completamente bloccato, e quelle bestie miravano alla sua testa. Atterrito  si voltò indietro, per quanto riusciva, cercò di muovere convulsamente la spada, da dentro il coccodrillo morto, ma non ci furono miglioramenti.

Il ragazzino digrignò o denti, vedendo avvicinarsi a grande velocità il coccodrillo più grande che avesse mai visto nella fogna, era enorme e bianco e puntava alla sua testa. Bonnie cercò di strattonare la presa degli animali che lo tenevano fermo.

Se avesse potuto si sarebbe messo a piangere e urlò silenziosamente quando vide la bestia aprire le fauci. Chiuse gli occhi e aspettò di sentire i denti della creatura che gli strappavano la testa, ma i denti non arrivarono.

Quando li riaprì quello che vide furono pezzi di coccodrillo, carni squarciate, e denti di rettile che galleggiavano nell’acqua corrosiva. Se possibile, Tinkerbell, in mezzo a quel macello, faceva ancora più paura dei coccodrilli.

L’altro genio, completamente immerso nell’acqua, con la giacca a doppio petto e l’accetta in mano, mentre anche la pelle sulle sue dita iniziava a corrodersi, gli cacciò un’occhiataccia capace di uccidere, prima di staccare la testa al coccodrillo che gli teneva stretto il braccio della spada.

Bonnie si liberò del cadavere e piantò la katana nell’occhio del coccodrillo che gli teneva l’altro braccio. Tinkerbell si allontanò da lui e si aggrappò al bordo per risalire sul camminamento della fogna.

Quando Ruthie sentì qualche cosa uscire dall’acqua percepì il proprio cuore sprofondare pensando che si trattasse di un altro coccodrillo venuto a finirli. Non poteva credere che sarebbe morta in quel modo, in una fogna. Ma quando aprì l’unico occhio ancora funzionante, quello che vide fu Tinkerbell che risaliva dall’acqua imprecando.

“Tinkerbell” piagnucolò, mentre lui si inginocchiava accanto a lei e le prendeva il braccio tranciato all’altezza del gomito.

“È tutto a posto, ho dato una mano a quell’imbecille di Bonnie, adesso tornerà a galla anche lui” la tranquillizzò, mentre il braccio le ricresceva. Tinkerbell si girò e falciò a metà il cranio di un coccodrillo intenzionato a risalire sulla banchina.

“E quindi è questa la fatina buona di cui mi parlavi. Dal nome mi aspettavo che almeno avesse le tette” commentò divertito Germàn, per quanto debilitato dalle ferite. Fu allora che Tinkerbell si accorse davvero della presenza dell’uomo, mentre era impegnato a far ricrescere a Ruthie anche la gamba.

“E questo chi è?” domandò alla ragazza, senza perdere tempo a chiedere al diretto interessato.

Ruthie chiuse l’occhio sano e fece un mezzo sorriso, nonostante mezza faccia fosse tumefatta dai lividi “È il padrone di Bonnie, se chiama Germàn e fa il trafficante”

Tinkerbell lo guardò sottecchi e Ruthie aggiunse, mentre lui le appoggiava la mano sulla faccia “E ha sprecato i primi due desideri di Bonnie per arricchirsi”

“Che scelta del cazzo” sbottò Tinkerbell spostandosi e andandosi a inginocchiarsi accanto all’uomo.

“Sei già arrabbiato, fatina?” domandò Germàn, mentre Tinkerbell gli curava le gambe.

“Se non ti zittisci giuro che ti ammazzo e vado a trovare un altro padrone, questa volta per me e non per quell’idiota che ti ha scelto” gracchiò Tinkerbell, decisamente arrabbiato.

“Ruthie, la tua fatina buona ha intenzione di uccidermi”  disse lui, quando anche la mano gli fu ricresciuta.

“Non ci scherzerei troppo” commentò Ruthie che, alzatasi in piedi, lo sovrastava.

 Fu in quel momento che Bonnie riemerse dall’acqua sguazzando e ansimando. Con un colpo di reni si issò sulla banchina senza indugiare ancora a mollo.

Le mani e il viso di Tinkerbell erano rovinati dall’acido diluito nell’acqua, Tinkerbell si passò il palmo sulla guancia, prima di dare una sberla al ragazzino, le cui condizioni erano decisamente peggiori, data la lunga permanenza in acqua.

“Ti avevo detto che questa bestia era mia!” sbottò Clay e Bonnie si strinse nelle spalle “Pensavo che ce l’avrei fatta”

“E invece stavi per rimetterci la testa e stavi per far ammazzare Ruthie” lo rimbeccò, guardandolo rabbioso.

“Ci sono anche io” gli ricordò Germàn.

“Tu potevi anche morire, per quello che mi frega” rispose Tinkerbell, secco, senza neanche voltarsi a guardarlo.

Bonnie deglutì e Germàn spuntò nel canale, ma proprio dove cadde lo sputo emerse un enorme coccodrillo, Ruthie urlò per la sorpresa e si schiacciò contro la parete, presa alla sprovvista; anche Germàn urlò, rauco.

Bonnie si voltò appena in tempo verso la bestia, alla quale prima dava le spalle, per intercettare il morso dell’animale. La lama della sua katana finì tra i denti della creatura e Tinkerbell lanciò le sua accetta dritto negli occhi dell’animale. Il cranio si spezzò a metà e l’arma di Tinkerbell andò a conficcarsi nel muro di cemento dietro di lei. L’animale crollò nuovamente in acqua, ancora con la lama della spada di Bonnie in bocca. Bonnie non lasciò andare l’elsa e venne trascinato di nuovo in acqua emettendo un urlo stridulo.

Tinkerbell ringhiò mentre l’accetta gli tornava in mano “Come si fa a essere così stupidi?” sbottò, prima di correre sul ciglio della banchina. Si voltò verso Ruthie “Tu hai visto cosa fa questa bestia, fagli esprimere un desiderio, deve essere quello giusto, perché è l’unico che abbiamo” ordinò accennando a Germàn, prima di lanciarsi nell’acqua di fogna con uno spruzzo. L’acqua urticante raggiunse Germàn al volto, l’uomo ringhiò, cercando di coprirsi con il braccio. Quando rialzò lo sguardo Ruthie lo guardava, respirava forte, il petto le andava su e giù: aveva paura, poteva vederlo. Anche lui ne aveva.

“Allora, come facciamo ad ammazzare questa merda?” domandò.

Tinkerbell sprofondò nell’acqua seguendo la scia di sangue lasciata da Bonnie e dal coccodrillo a cui lui aveva spaccato la testa.

Lo trovò sul fondo a combattere con le fauci del coccodrillo, la bestia si era rigenerata e teneva stretta tra i denti la lama del ragazzino, mentre Bonnie puntava i piedi sulla bocca della creatura e tirava l’elsa verso di sé.

Tinkerbell diede un calcio al gigantesco cranio del rettile e Bonnie tirò ancora, riuscendo finalmente a liberare la propria lama. I due geni si guardarono “Cos’è questa storia?” chiese Tinkerbell guardando il ragazzino. Non emise nessun suono, ma a Bonnie non fu difficile capire cosa stava dicendo, leggendo il labiale del ragazzo.

“Sono coccodrilli bianchi, le loro lacrime sono acide e se ti strappano un pezzo riescono a trasformarlo in un altro di loro” spiegò il ragazzino, coi capelli che fluttuavano in acqua come alghe bionde.

Clay fece una smorfia e disse qualche cosa che poteva essere un Che? O un Cosa? non molto gentile. Anche Bonnie fece una smorfia, aveva mandato giù una boccata di acqua di fogna acida “Quelle cose si moltiplicano quando ti staccano un pezzo. Ce ne sono molti di più rispetto a ieri, ce ne sono così tanti che anche l’acqua è acida” spiegò. Clay lo stava a sentire, mentre le guance e le mani gli andavano a fuoco. Anche gli occhi e i polmoni bruciavano.

“Tra un po’ diventerai cieco, è successo anche a me, prima. Mi è toccato risalire e infilarmi le dita negli occhi, qui sotto era impossibile” brontolò in un danza di bollicine.

Tinkerbell digrignò i denti “Allora sbrighiamoci ad ammazzarli” propose sempre più rabbioso. Bonnie annuì mesto, guardando in alto, sopra di loro, quasi in superficie, nuotavano un discreto numero di rettili. 

Tinkerbell arricciò il naso e alzò il braccio che teneva l’accetta, squarciando per la lunga il ventre di un coccodrillo che gli passava sopra la testa. Le budella del mostro gli si rovesciarono addosso e Clay si rese conto che anche le interiora e il sangue di quelle creature erano corrosive. In un secondo le guance erano in fiamme e gli occhi non vedevano nulla. Le mani erano un delirio di vesciche e il cranio era rimasto scoperto mentre i capelli semplicemente scomparivano in mezzo al sangue del coccodrillo e la pelle del viso gli si scioglieva.

Bonnie allontanò la carcassa del coccodrillo da Tinkerbell, e la bestia lasciò nell’acqua una scia di sangue corrosivo che andò a peggiorare la situazione. Bonnie era certo che ci sarebbe voluto poco perché anche i suoi occhi smettessero di vedere. Nuotò di nuovo verso Tinkerbell e si trattenne dal vomitare nel vedere com’era ridotto. Gli occhi non c’erano nemmeno più, il viso era ridotto a un insieme di carne livida e putrescente. Quasi gli venne da rimettere, ma Clay si passò una mano sul volto e sul cranio calvo, tornando ad avere di nuovo un aspetto umano, ma quando aprì gli occhi, questi erano azzurri e slavati, con la pupilla bianca.

Bonnie deglutì e lo afferrò per una spalla, Tinkerbell coprì la mano del ragazzino con una delle sue, tanto per fargli capire che l’aveva riconosciuto.

Bonnie ci aveva provato a curarsi gli occhi da sott’acqua, ma era impossibile, non ci sarebbe riuscito senza tornare in superficie, anche Tinkerbell l’aveva capito, perciò rimase fermo, la superficie pullulava di quelle creature infernali.

Inaspettatamente Tinkerbell parlò “Se la bestia è composta da tante bestie, una sola possiede il seme che l’ha fatta trasformare” spiegò e Bonnie stava per chiedere come avrebbe potuto riconoscerla, che Clay aggiunse “Di solito è quella più grossa. Qualsiasi cosa Germàn ti ordini, punta a quella”

Bonnie annuì e poi batté due volte la mano sulla spalla di Tinkerbell, come per fargli capire che aveva capito.

Fu in quel momento che il desiderio arrivò: Bonnie non lo sentì con le orecchie, non poteva, ma fu comunque una certezza, come quando aveva capito che il coccodrillo era la bestia. Sentì i bracciali vibrare contro i polsi e strinse di più l’elsa della spada. Buttò fuori quel poco di ossigeno che gli rimaneva e chiuse gli occhi per un istante, prima di nuotare verso l’alto. Tinkerbell lo seguì a distanza; non poteva vedere, ma riusciva a percepire i movimenti nell’acqua e non gli era difficile distinguere Bonnie dai coccodrilli.

Ci mise poco ad intercettare il suo obbiettivo: il coccodrillo più grosso di tutti, come aveva detto Tinkerbell. Gli andò incontro, nuotando coi piedi e tenendo stretta la spada tra le dita. La bestia era una creatura mostruosa, gigantesca e pallida, con squame grandi come il palmo della mano di Bonnie e occhi rossi che lo fissavano. I denti spuntavano dalla bocca enorme, ancora chiusa. Charlie si disse che uno di quei denti avrebbe potuto trapassargli il cranio da parte a parte.

Gli era ormai davanti quando il mostro spalancò le fauci, Bonnie si ritrasse e la creatura gigantesca richiuse la bocca inghiottendo solo acqua acida. Bonnie si morsicò la lingua dolorosamente e strizzò gli occhi, mettendosi a nuotare in senso contrario, tra le grinfie di un altro coccodrillo, uno qualsiasi andava bene.

Smise di battere i piedi quando vide che un altro rettile gli stava venendo incontro, si fermò nel bel mezzo del canale. Tinkerbell era rimasto a distanza, ma Bonnie non si prese il tempo di cercarlo e chiuse gli occhi sentendo la vista che si annebbiava, l’acido gli stava corrodendo le pupille.

Si rilassò e si mise a studiare i movimenti dell’acqua, entrambi i coccodrilli si stavano avvicinando a lui, Bonnie quasi poteva sentire il dolore che avrebbe provato se quei denti fossero affondati nella sua carne.

Aprì gli occhi, il piccolo rettile gli stava venendo incontro, si voltò e, nonostante la vista compromessa, riuscì a distinguere le fauci dell’altra creatura, così grande che avrebbe potuto entrarci dentro intero.

La bestia più piccola gli addentò il polpaccio sinistro e ormai entrambi si trovavano dentro le fauci del mostro, le mascelle iniziavano a chiudesi. Con un gesto secco tagliò il muso al più piccolo e scartò da un lato. La bocca famelica del mostro si chiuse sul coccodrillo più piccolo.

Bonnie strizzò gli occhi e si allungò per curarsi il polpaccio. Quando guardò di nuovo i due coccodrilli non c’erano più, al loro posto c’era un enorme massa di muscoli e carne sanguinolenta che si contorceva.

Storse la bocca schifato, ma si avvicinò un poco. Fu allora che Tinkerbell rispuntò da dietro di lui. Aveva ancora gli occhi azzurri e Bonnie non l’aveva sentito arrivare, la sua figura era sfocata come tutto il resto, il mondo si stava ingrigendo, la pupilla del suo occhio destro era già diventata bianca.

Senza indugiare oltre, Tinkerbell infilò un braccio nell’ammasso di carne e urlò. L’urlò fu muto, ma Bonnie lo vide strizzare gli occhi e aprire la bocca, disperatamente.

Quando il braccio del genio riemerse dal grumo di carne, era ridotto a brandelli e in molti punti si vedeva l’osso. Tutti i coccodrilli iniziarono ad affondare, come se qualcuno avesse tolto loro l’anima, il grumo di carne aveva smesso di muoversi e Bonnie lo vedeva sempre più grigio, ma non avrebbe saputo dire se era per colpa dei suoi occhi. In un attimo però tutto parve dissolversi e a mollo nella fogna rimasero solo lui e Tinkerbell.

L’altro genio iniziò a nuotare verso l’alto e Bonnie lo seguì.

Quando riemersero, il braccio di Tinkerbell era di nuovo a posto. Ruthie accorse ad aiutarlo a risalire afferrandolo per una mano ed esclamando preoccupata “Cosa è successo ai tuoi occhi?”

Tinkerbell scosse la testa “Nulla di preoccupante” dichiarò, sorridendole e uscendo dall’acqua. Bonnie si aspettava che la ragazza avrebbe chiesto anche a lui come stava, ma non arrivò nessun interessamento. Grugnì tra sé e si infilò le dita negli occhi.

“Bonnie” lo chiamò Tinkerbell. Quando si voltò a guardare l’altro genio, aveva ancora i piedi a mollo nell’acqua torbida del canale, mentre Tinkerbell era già in piedi con gli occhi del colore giusto.

Il ragazzino non ebbe tempo per farsi domande sulle iridi del compagno che questo gli lanciò addosso qualche cosa di molto piccolo. Lo afferrò con uno schiocco di palmi. Quando aprì le mani a coppa per vedere cosa Tinkerbell gli aveva dato vi trovò un grosso seme striato. Alzò la testa e guardò Tinkerbell, interrogativo. Ruthie gli sorrise “Quello è il tuo primo seme d’Ortica: un trofeo”

Tinkerbell ridacchiò.

 

***

 

“Dove cavolo è finito Clay?” domandò Jessie quando Bernie fu tornato dal bagno. La solita colonna sonora era il russare di Glen sul divano. Bernie alzò le spalle “Mi ha detto che gli è venuto male allo stomaco e si è chiuso in bagno” disse, lasciandosi cadere pesantemente al fianco della sorella “Meglio così, più popcorn per noi!” disse e fece ripartire il film.

 

Aki_Penn parla a vanvera: eccomi di nuovo qui! Anche questa volta ci ho messo un po’, ma ci sono riuscita! Yuppiyaye! E finalmente mi sono liberata di questa bestia che mi piaceva poco, spero che il capitolo non vi sia dispiaciuto. Ero abbastanza sicura di avere delle considerazioni a riguardo, ma al momento non me le ricordo. (Senilità incalzante!).

Come sempre, grazie mille per aver letto, non so come ringraziarvi. <3

   
 
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