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Autore: M a r t    19/01/2014    4 recensioni
[MinaKura is the way] [raiting giallo -provvisorio(?)] [amateli come li amo io, perché solo grazie a questo grande amore per loro sto scrivendo questa long -o almeno ci provo]
Sicuramente Angela era la cosa migliore che gli fosse capitata e magari avrebbe ‘abusato’ della sua situazione economica e sociale per qualche altro anno, almeno prima di andare al college.
[...] Eppure quando la ragazza si staccò da lui indicando un ragazzino bassino, con la carnagione scura e i capelli azzurri che gli coprivano un occhio, spiegandogli che quello era suo cugino e che sarebbe rimasto a vivere da lei per qualche settimana, Minamisawa dovette trattenersi dal mostrare una smorfia contrariata.

Ci si becca dentro magari ^^
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Kurama Norihito, Minamisawa Atsushi, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mi scuso per la presenza di eventuali errori, dato che non sono riuscita a rileggere bene il capitolo.
Buona lettura :)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Si rigirò nel letto, per quanto gli fu possibile, date le orribili circostanze in cui si trovava: Angela attaccata al suo braccio, con un piccolo rivolo di bava a penzolargli dalle labbra carnose e ancora sporche di lucidalabbra, e un sorriso ebete da quattordicenne innamorata.
Non che ci fosse chissà quale differenza di età. Avevano entrambi tra i sedici e  i diciassette anni, eppure la castana sembrava molto più piccola per certi aspetti del suo carattere, mentre il suo corpo era già formato facendola sembrare più grande di quel che sembrava.

Angela Beats era una ragazza ingenua e complicata, con troppi problemi infantili ed esistenziali, rinchiusa in un corpo che cresceva lasciandola indietro. A volte, quando Minamisawa ci pensava, gli veniva il dubbio di aver sbagliato con quella ragazza e che, se solo l’avesse voluta davvero conoscere, sarebbero potuti diventare anche amici. Angela era viziata e antipatica, la maggior parte del tempo –sempre-, e forse non riusciva a godersi appieno la vita, troppo presa dalle vocine nella sua testa che le ripetevano che non sarebbe mai andata bene a nessuno, ma era anche una ragazza dolce e premurosa con le sue amiche, soltanto con quelle più strette.

Ripensando a questo, Atsushi sospirò per poi distrarsi nel guardare la sveglia: le quattro del mattino.
Aveva dormito si e no tre ore, neanche consecutive, svegliato sempre dai versetti acuti della Beats che parlava nel sonno o del calore che gli procurava standogli appiccicata a quel modo.

Il ragazzo sospirò, deciso ad andarsene da quella camera, da quella casa e tornarsene alla sua, di abitazione, a dormire per dieci ore buone recuperando le sette ore di sonno perse e le tre in cui era stato costretto a sorbirsi i discorsi della ragazza accanto a lui, riducendo la sua materia grigia in un frappè gelatinoso.
 
Dopo un’ardua lotta contro le braccia appiccicose di Angela che, anche se pienamente incosciente, non era decisa a lasciarlo scappare via così facilmente, riuscì ad uscire da quel letto ad una piazza e mezza con le coperte bianche e il materasso morbido, troppo morbido per i suoi gusti.

Nonostante la castana avesse l’orribile fissazione per quei cuscini morbidi come uno zucchero filato, di quelli che quando ci poggi la testa rischi di rimanerci risucchiato dentro neanche fosse una sabbia mobile, doveva ammettere che avesse proprio dei bei gusti nell’arredare la sua stanza.
Le pareti erano di un celestino/indaco chiaro, i mobili bianchi e un grande armadio a specchio faceva bella mostra di sé in un lato della stanza. Il tutto era personalizzato con foto di infanzia e poster ben incorniciati sulle pareti, mentre sparsi in modo fintamente casuale c’erano dei pupazzi di vario genere.

Vicino al letto un comodino, dove vi erano la sveglia una lampada e una foto in una cornice di qualche anno fa. Nella foto Angela e un’altra ragazza dai capelli rossi, la carnagione chiarissima e gli occhi verdi. Quando aveva chiesto alla castana chi fosse quella ragazza lei gli aveva risposto solamente che era una sua amica e che dopo le medie non l’aveva sentita molto.

Si chiamava Cloé, ed erano sempre state migliori amiche. Poi qualcosa si era spezzato e a mano a mano che passavano gli anni non si erano più viste né sentite.
Quando Angela parlava di Cloé le venivano gli occhi lucidi e ripeteva sempre la stessa cosa di sempre: che era speciale.
Cloé e Angela erano migliori amiche, poi Cloé non era più riuscita a vivere con il comportamento possessivo e infantile della castana, e aveva rotto lentamente il rapporto, per non far soffrire l’amica. Così la pensava Minamisawa.

Non era mai stato un sentimentale, né si era mai preoccupato dei veri sentimenti di Angela, ma sapeva che tra quelle due ci fosse ancora qualcosa di vivo e che Cloé in cuor suo non avrebbe voluto abbandonare Angela.
Comunque, non erano problemi suoi. Prese di corsa il telefono, infilandolo nella tasca dei jeans stropicciati. Aveva dovuto dormire con quelli, dato che i pigiami del moccioso dai capelli azzurri erano troppo piccoli per lui.

Oh beh, grazie al cazzo. Pensò.

Quel ragazzino mi arriverà a malapena sotto una spalla.

Si fermò sulla porta della camera della ragazza, sospirando. Magari avrebbe dovuto scrivere un bigliettino ad Angela e spiegarle il motivo della sua assenza al suo risveglio, inventandosi qualche scusa. Dopo un secondo di esitazione decise che le avrebbe mandato un messaggio appena arrivato a casa: era sabato, e questo voleva dire che la ragazza avrebbe ronfato ancora beatamente fino a mezzo giorno.

Uscì frettolosamente, cercando di non svegliare nessuno, diretto verso la cucina: non sarebbe dispiaciuto a nessuno se avesse fatto colazione con quel che c’era in frigo.
Scese le scale, fischiettando dolcemente quando si accertò che nessuno poteva sentirlo in quel momento. Svoltò l’angolo ed entrò in cucina, trovandoci l’ultima persona a cui aveva pensato: Norihito.

Il nanerottolo era in piedi, davanti al frigo, vestito solo di un paio di boxer –che notò avessero disegnati sopra dei supereroi della Marvel- e di una canotta bianca evidentemente troppo grande per lui. Stava bevendo del latte direttamente dalla bottiglia quando, voltandosi verso di lui, si staccò spaventato dalla fonte di latte di plastica bianca, facendosi scendere qualche rivoletto del liquido dolciastro sul mento, ingoiando a fatica.

Minamisawa si fermò sul posto, fissandolo con innocente curiosità. Innocenza che venne malamente schiacciata da pensieri poco casti e puri su quel ragazzino troppo basso e con gli occhi troppo scuri.

Dopo essersi ripreso e aver raccolto tutte le sue facoltà mentali, si avvicinò all’azzurro assottigliando gli occhi magnetici. Successivamente, arrivato davanti a lui si chinò leccandogli lascivamente e gocce di latte che si trovavano sul collo e sul mento, facendo morire dalla vergogna il piccoletto.

- Che ragazzino problematico, non sai bere neanche una goccia di latte? – chiese tirandosi su e prendendo la bottiglia mezza vuota che Kurama aveva posato sul ripiano dietro di lui.

Quest’ultimo, cambiò subito la sua espressione da imbarazzata ad una poco rassicurante corrugando la fronte mentre una smorfia si dipingeva sul suo volto.

- Guarda che ho la tua stessa età, cretino. – sputò infastidito, perché no, non era la prima volta che veniva scambiato per un ragazzino delle medie.

L’altro fece una faccia sorpresa, non aspettandosi una risposta del genere. Poi spostò lo sguardo sulla bottiglia che teneva tra le mani, sorridendo sghembo.
Si portò l’oggetto contenente ancora mezzo litro di latte alla bocca, bevendone un po’, senza staccare il contatto visivo ripreso col minore.

Kurama lo guardava sorpreso, era sicuro che il maggiore stesse tramando qualcosa, era lì da neanche un giorno e aveva imparato una lezione fondamentale per sopravvivere in quella casa con sua cugina e sua zia: ma abbassare la guardia con il ragazzo della parente con le crisi isteriche.
Si irrigidì, preso alla sprovvista quando si ritrovò la bottiglia da cui stava bevendo il viola tra le labbra. Minamisawa gliel’aveva ficcata –nel vero senso della parola- in bocca, facendogli saggiare quel poco di latte che era rimasto mischiato ad un sapore dolciastro.

Quando Kurama si riprese dall’iniziale stato di shock, staccò la bottiglia dalle labbra non riuscendo ad impedirsi di arrossire fino alla punta dei capelli, sotto la risatina del viola.

Ovvio, per lui è divertente. Pensò rabbioso.

Stava per saltargli addosso e prenderlo a pugni, quando Minamisawa si girò, incamminandosi verso la porta di casa Beats, alzando una mano in segno di saluto.

- Ci si vede in giro, nanetto da giardino… - lo salutò divertito il viola, facendo stringere i pugni all’altro.

- E comunque… belli i boxer. – aggiunse prima di chiudersi la porta alle spalle, alludendo alla spettacolare biancheria intima di Kurama, di un colore blu e con tanti piccoli omini assomiglianti a Thor e Hulk della Marvel.

Il piccoletto arrossì, per poi diventare ancora più rosso –ovviamente dalla rabbia.

- Ma che… TORNA QUI BRUTTO BASTARDO! – l’urlo di Norihito arrivò fino alle orecchie di Atsushi, ormai fuori dalla proprietà dei familiari di Angela, e anche a quelle di tutto il vicinato che aveva smesso di dormire.
 
Minamisawa sorrise, continuando a camminare. Le mani in tasca, la giacca a coprirlo dal leggero venticello di metà settembre, accompagnato da qualche foglia dai colori caldi, nonostante il freddo che iniziava a ricoprire la città, aspettando l’arrivo di un ottobre piovoso, e le All Stars vecchie di due anni fa che si scontravano con l’asfalto, producendo il rumore di una foglia schiacciata ogni volta che ne pestava una.

Non sapeva del motivo delle sue azioni precedenti. Né aveva intenzione di scoprirlo.
Semplicemente, infastidire quel ridicolo ragazzino dai capelli azzurri lo divertiva, quindi perché non farlo?
Il suo era solo un gioco e poi, quel ragazzino era veramente strano, una sfida. Di sicuro con una persona lunatica come quella, era difficile annoiarsi.
E in quei giorni di monotonia con la sua fidanzata –giusto di nome, poco di fatto- aveva bisogno di qualcuno o qualcosa con cui distrarsi.

Arrivato a casa, di fronte al cancello nero del giardino, tirò fuori il mazzo di chiavi pieno di portachiavi inutili, secondo la sua sincera opinione, che gli aveva appioppato Angela che, a quanto pareva, era fissata –per non dire ossessionata- da quei cosi enormi e orrendi che occupavano solo spazio nelle tasche.

Entrò sbadigliando, sollevato solo al pensiero del pisolino divino che gli aspettava nel suo letto, senza esseri dalle indubbie parentele con piovre o galline che possano attentare alla sua povera vita.

Appena mise piede in giardino, una macchia nera e marrone con la lingua penzolante gli corse incontro, vogliosa di coccole e giochi dal padrone.
Tya, era il suo pastore tedesco, con oramai sette/otto anni sulle spalle, ma con il solito spirito giocherellone che aveva da cucciola.

Era una delle poche cose che lo facevano felice, sin da bambino, costretto ad un infanzia di falsi sorrisi, discorsi fatti e scuse assurde, anche quando non era colpa sua. E quando Atsushi si sentiva veramente triste andava da quella sua amica tanto speciale quanto buona, che non avrebbe mai potuto dirgli delle cattiverie e che mai lo avrebbe fatto sentire solo.
In Tya, Minamisawa aveva trovato un’amica con cui giocare senza farsi imporre delle regole, un’amica sincera con cui ridere di cuore.

Sorrise dolcemente all’indirizzo dell’animale peloso, carezzandogli il muso, mentre lei gli leccava la mano felice della sua presenza a casa.

- Ciao Tya. – la salutò abbassandosi quanto bastava per carezzargli il pelo morbido, nonostante la leggera vecchiaia del cane.

- Mi spiace, ma adesso non posso proprio giocare con te.- continuò tristemente, mentre il pastore tedesco gli leccava una guancia.

Il viola rise, cercando di staccare Tya da sé. Poi si rimise in piede e si avviò dentro casa, pronto a dormire anche sul divano se non fosse riuscito ad arrivare al piano di sopra, dove si trovavano le camere da letto.

Passando vicino alla cucina, notò un post-it di colore verde fluo sul frigorifero, probabilmente scritto di fretta, data la scrittura disordinata e sbrigativa.

 
Siamo tornati questa notte. Purtroppo non siamo potuti restare e siamo dovuti ripartire per qualche altro giorno. Questa mattina chiameremo noi i genitori di Angela per chiedergli di ospitarti durante la nostra assenza.
Divertiti :)
                                                                              I tuoi genitori’
 

Rilesse il bigliettino varie volte, prima di buttarlo definitivamente nel cestino, stizzito.
Questo significava che doveva stare a casa di quella sanguisuga della Beats ancora per qualche giorno?! Ma soprattutto, anche per qualche notte?!

Salì, velocemente le scale. Poco importava che i suoi genitori non ci fossero, loro non c’erano mai. La cosa grave era quello che avrebbe dovuto subire data la loro assenza.
Si buttò malamente sul letto, deciso a dormire, nonostante sapesse già di dover far i conti con un sonnellino tutt’altro che divino.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’angoletto delle castagne gommose
 
Salve ^^
Che dire? Questo capitolo lo avevo scritto venerdì, ma poi è andata via la luce e allora mi sono ritrovata con neanche mezzo capitolo in mano e l’altra parte tutta da riscrivere, uno shock.
Fortunatamente oggi sono riuscita a riscriverlo, e devo dire che mi soddisfa anche se avrei preferito mantenere quello che avevo scritto in precedenza TT^TT
Spero che comunque vi sia piaciuto, nonostante io non sia riuscita a trattenermi da scrivere la scenetta del latte tra Minamisawa e Kurama. Non penso di star correndo troppo, insomma, poi ho fatto intendere che Minamisawa ancora non ha chiaro il motivo delle sue azioni, ma che comunque per lui –almeno per il momento- è tutto un gioco.
Spero di essere stata chiara ^^
Non so quando aggiornerò, devo ancora sapere cosa faranno i nostri ragazzuoli(?) nel prossimo capiolo…
Grazie per aver letto –se lo avete fatto con gioia(?)-
 
happy chestnut!
   
 
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