Scritta per il compleanno di Fann1kaoriyuki :)
Non è la storia migliore di questo sito, indubbiamente. E'
stata scritta un po' in fretta in questi 4 giorni, perchè ammetto che è stata
la fanfic di Alicesimone ad illuminarmi sulla ricorrenza (io e le date facciamo
a botte, perdonami). L'ho finita solo ora, e spero che il controllo degli
errori di Microsoft Word abbia fatto il suo dovere, perchè un po' lo stress da
esame, un po' la carenza di sonno, ho un po' paura di essermi lasciata sfuggire
un po' di errorini qua e là. Ma ci tenevo a pubblicarla entro oggi... quindi
eccola, nella speranza che ti piaccia almeno un po'.
Un bacione e tanti auguri di buon compleanno, Maccy
:)
La voce del silenzio
“Sai ascoltare la voce del silenzio?” mi domandò Hermione.
Scossi la testa: non ero capace, né sapevo a cosa lei si riferisse.
La mia amica sorrise, sentendo balbettare Ron qualcosa del tipo: “È pazza…”,
poi cominciò a spiegarmi.
Era tanto che non chiedevo un consiglio a Ron o ad Hermione, specialmente per
quanto riguardava Draco.
Era stato difficile, per loro, accettare la nostra relazione, e non volevo
creare attriti fra di noi, per cui in linea di massima evitavo di parlarne.
Solo che ultimamente non riuscivo più a capirlo, davvero. Cioè, non che ci sia
sempre riuscito benissimo, ma in genere riuscivo a prenderlo per sfinimento
(dopo un’ora di rottura di palle potteriana, come diceva lui, sarebbe
stato pronto a rivelare a chiunque i suoi più sordidi segreti pur di essere
lasciato un po’ in pace) ed a farmi dire cosa c’era che non andava.
Perché le cose erano cambiate?
“Vedi, ” cominciò Hermione, “ci sono persone, come te e Ron,
che lasciano trapelare le loro emozioni, positive o negative che siano. Ma
Malfoy… beh, guarda la famiglia da cui proviene. Gli sarà stato insegnato fin
da piccolo a nascondere i propri sentimenti, a far sì che non venissero
utilizzati contro di lui.”
“Ma io non ho intenzione di…”
Tentai di ribattere.
“Lo so, Harry, ” mi interruppe lei, “lo so. Ma non è così semplice. Vedi, se
sei sempre stato abituato a non mostrare ciò che provi veramente, è difficile
poi riuscire ad esternarlo.”
“Sì, ma…”
Mi bloccai.
Forse era così, forse per Draco era difficile confidarsi con me… era questo
allora? Solo questo? No, sapevo già che non era un tipo molto espansivo, già da
quando avevamo cominciato a conoscerci sul serio.
Dopo il nostro sesto anno, dopo la morte di Silente, dopo la
fine della vita che conoscevo… e dopo la mia sconfitta su Voldemort. Fu allora
che venne processato, e fu assolto da tutte le accuse grazie all’aiuto che ci
aveva dato, rivelando all’Ordine ed agli Auror preziose informazioni sui
mangiamorte e sui loro piani, per quanto non ne fosse interamente a conoscenza.
Ma nonostante fosse libero, era rimasto solo, totalmente solo.
Suo padre aveva subito il bacio del dissennatore, e sua madre era impazzita dal
dolore dopo pochi giorni.
Piton, l’unico che poteva essere qualcosa di simile ad un padre, per lui, era
stato ucciso da Voldemort per aver distrutto l’ultimo horcrux.
Quello stesso Piton che un anno primo aveva ucciso Silente per sua stessa
richiesta, come poi avremmo scoperto da Draco, il Piton che ci aveva protetti
quella notte, il Piton che noi non avevamo mai compreso veramente. Mi ero
sentito in colpa per questo, più di quanto non avrei potuto immaginare.
Draco era solo, al Malfoy Manor, quando decisi che volevo rimediare ai miei
errori con lui, almeno con lui, quando mi resi conto che non volevo che morisse
un’altra persona a cui avevo sempre rivolto parole d’odio, senza darmi prima la
possibilità di capire se le meritava veramente.
Era solo in casa quando bussai alla sua porta.
“Potter?” Domandò sorpreso, nel vedermi.
“Proprio io.”
“Cosa ci fai qui?”
Non sapevo cosa rispondere. “Abbiamo vinto…” iniziai tentennante, ma lui mi
bloccò.
“Lo sapevo già, grazie tante.”
Stava per chiudere la porta e andarsene, quando lo richiamai.
“Aspetta!”
Si voltò. “Sì, Potter?”
“Io… volevo parlarti. Mi faresti entrare?”
Non so bene perché accettò, quella volta, ma so che di sicuro fu un punto di
svolta per noi.
Parlammo di tutto e di niente, non gli dissi che mi dispiaceva per i suoi
genitori e per Piton, sapevo che lo avrebbe solo irritato, e la conversazione
fu abbastanza serena, tanto che mi invitò a tornare.
In effetti, fu la prima volta che parlammo sul serio, e non gli dissi ciò che
avrei voluto: che mi dispiaceva per tutto, che avrei voluto ricominciare, che
non lo avrei lasciato solo. Non lo dissi, ma sembrava che lui lo sapesse, che
l’avesse in qualche modo capito.
La voce del silenzio.
Forse aveva davvero ragione Hermione, forse non sempre servono le parole per
spiegare ciò che si ha dentro.
Guardai Hermione, confuso.
“È vero, all’inizio le cose erano così… faceva fatica ad esprimere se stesso.
Ma dopo… mi sembrava che ci fosse più intimità, più confidenza.”
Hermione annuì.
“È normale, in un rapporto ci sono varie fasi. Forse sei tu che sei cambiato,
Harry, e non lui. Forse sei solo tu che col tempo hai imparato a capirlo…”
Già, forse era davvero così.
Con il tempo, infatti, avevo imparato a decodificare ogni
sua espressione, ogni suo gesto.
Riuscivo a distinguere il suo ghigno “di circostanza” da quello realmente
divertito, riuscivo a sentirlo quando sbuffava impercettibilmente, avevo
imparato a leggere il velo di desiderio che invadeva i suoi occhi quando mi
toccava.
Lentamente, senza quasi che me ne accorgessi, era entrato dentro di me in
maniera così profonda da essere quasi essenziale nella mia vita, ma soprattutto
mi sentivo in profonda empatia con lui. Ma forse per lui non era lo stesso? O
forse non gli faceva tanto piacere quel nuovo legame che si stava instaurando
fra di noi? Quel legame che avevo dato per scontato, sempre di più, nonostante
non ci fossero mai state parole d’amore né dichiarazioni fra di noi; come in un
tacito accordo c’erano solo regole non scritte, che entrambi però conoscevamo
benissimo.
L’anno successivo alla morte di Silente era stato terribile per tutti, e Hogwarts
era stata dapprima teatro di scontri e battaglie, poi chiusa definitivamente,
in attesa della fine della guerra. Non appena decretai la fine di Voldemort
venne riaperta, con la McGrannit nel ruolo di preside, e Remus, che era
divenuto un eroe di guerra, finalmente accettato definitivamente nel ruolo di
professore di “difesa contro le arti oscure”.
Il giorno in cui facemmo l’amore per la prima volta, prima che Ron ed Hermione
sapessero della nostra nascente relazione, ci vedemmo nel dormitorio serpeverde.
Erano le vacanze di Natale, e nonostante tutti fossero tornati dalle loro
famiglie a festeggiare la ritrovata pace, lui non aveva alcun posto dove
andare.
Era accaduto tutto molto in fretta, troppo, e suo padre era stato giustiziato
solo da pochi mesi. Sapevo che non sarebbe andato via per le vacanze: non aveva
alcun posto dove andare, ed il Malfoy Manor era troppo carico di ricordi perché
potesse affrontarli da solo.
Quando arrivai, era in piena crisi emotiva. Se i primi tempi dopo la morte di
suo padre era riuscito ad accettare la cosa, era stato solo perché non se ne
rendeva pienamente conto. Ma con lo scorrere del tempo la mancanza si faceva
sentire sempre di più, e con essa il dolore lancinante che portava nel cuore di
Draco.
Non me ne accorsi realmente fino a quel giorno, in cui lo trovai tremante e con
gli occhi colmi di lacrime, seduto per terra in un angolo della stanza, le
ginocchia strette fra le braccia.
Lasciai cadere a terra gli scacchi magici che avevo portato per distrarlo un po’,
e corsi ad abbracciarlo.
L’abbraccio divenne un bacio, ed il bacio carezze sempre meno innocenti, fino a
che non ci ritrovammo sul suo letto a fare l’amore.
Non so neppure io come accadde, ma fu meraviglioso, e per un attimo mi parve
quasi di intravedere una luce diversa nei suoi occhi. Una luce di felicità, o
di un qualunque sentimento che si avvicini ad essa.
Non scambiammo una parola, né prima né durante. Restammo abbracciati per ore,
dopo, stretti sul suo letto disfatto, come se fossi la sua ancora di salvezza. E
lui la mia.
Solo quando fu troppo tardi per continuare ad aspettare a salire per cena, mi
sussurrò “Grazie, Harry”, prima di darmi un bacio a fior di labbra.
Sembra poco, forse nulla alle orecchie di qualcuno che non lo conoscesse. Ma
per me fu tantissimo, e quelle parole mi bastarono.
“Forse sono io che dovrei sforzarmi di più…” sussurrai,
quasi impercettibilmente.
Hermione mi sorrise.
Avevamo litigato per una sciocchezza, o meglio, neppure io sapevo il motivo. Mi
era sembrato diverso da qualche giorno a quella parte, strano. Ma a dir
la verità, neppure io avrei saputo dire in che senso.
Sapevo solo che c’era qualcosa che non mi aveva detto, ed io volevo sapere che
cosa.
Ma a ben vedere, c’erano sempre state una miriade di cose che non mi aveva mai
detto… e mi era bastato soffermare la mia anima su di lui per capirle. Lasciar sì
che i suoi pensieri fluissero a me attraverso il suo sguardo, i suoi gesti, i
suoi sospiri.
Non sapevo nemmeno io perché me l’ero presa tanto, quella volta.
Ma di certo mi ero appena reso conto di essere uno stupido.
“Vado a parlargli, ” dissi semplicemente, ed Hermione annuì, mentre Ron con
aria perplessa le chiedeva che cosa si fosse perso.
*** *** *** *** ***
Non mi ci volle molto a trovarlo, grazie alla mappa del malandrino, e
fortunatamente era solo, in un’aula vuota.
Non sembrò notarmi, mentre mi avvicinavo, ma quando fui a pochi passi da lui mi
resi conto che stava solo fingendo. Non stava realmente leggendo il voluminoso libro
che aveva fra le mani, nonostante non volesse saperne di alzare lo sguardo e di
posarlo su di me.
Sorrisi, nel vederlo così determinato a non darmela vinta, e presi
delicatamente il libro per sottrarlo alle sue dita e alla sua attenzione.
“L’educazione non è il tuo forte, Potter…” biascicò infastidito, nonostante non
avesse opposto alcuna resistenza.
Gli diedi ragione, mentre posavo il tomo su una sedia lì accanto, poi mi sporsi
leggermente per baciarlo.
Non si scansò, e questo mi diede sicurezza.
“Mi dispiace.” Mormorai sincero al suo orecchio, per poi sedermi sul banco dove
prima stava leggendo.
“Sei un imbecille, ” ribatté con meno convinzione di quanta non ne avesse usata
prima.
“Hai ragione, ” concedetti, e dentro di me mi resi conto di pensarlo sul serio.
Mi ero arrabbiato per un nonnulla, e quando lui invece di darmi spiegazioni mi
aveva mandato al diavolo, ero letteralmente andato su tutte le furie e non gli
avevo più rivolto la parola per tutta la giornata.
“Hai ragione, ” ripetei rapito dai suoi occhi mentre gli scansavo i capelli
dalla fronte, accarezzandoli.
Era incredibile come ogni volta riuscivo a perdermi in quelle perle, e come il
semplice contatto con quei soffici fili di seta – così come con qualunque altra
parte del suo corpo, del resto – potesse farmi perdere la cognizione del tempo
e dello spazio.
Sospirò sotto il mio tocco, e per un attimo abbassò le palpebre, mentre le sue
labbra si incurvarono in un sorriso.
Poi mosse la sua mano, per afferrare la mia e allontanarla da sé. All’inizio
sentii una fitta di delusione, ma quando mi resi conto che non l’avrebbe
lasciata, e che stava davvero intrecciando le nostre dita, un calore ben noto
mi si diffuse dall’altezza dello stomaco. Solo lui riusciva a farmi quell’effetto,
solo lui poteva farmi stare così.
“Come faccio a darti spiegazioni se non fai altro che distrarmi?” Domandò poi,
inaspettatamente.
Lo guardai per un attimo, e vidi che la sua espressione era diventata
improvvisamente seria.
“Non… non ce n’è bisogno. Ho sbagliato io, e non… non devi preoccuparti, è
tutto a posto.” Mi affrettai a precisare.
Lui non rispose, mentre continuava a giocare con la mia mano, accarezzandone il
dorso con il pollice, sfiorandomi le dita con le proprie.
Abbassò lo sguardo, e scosse la testa.
“No, non è tutto a posto. Io…” sospirò, “ecco, è che… è un po’ che ci penso. In
effetti, però, da qualche giorno continuo a farci sempre più caso e non so come…”
Si interruppe, scuotendo nuovamente la testa.
Vagamente preoccupato, con la mano libera gli accarezzai il volto. Poi gli
sollevai il mento con due dita, e riuscii a scorgere la sua aria imbarazzata, e
le gote leggermente arrossate.
“Ehi, cosa c’è che non va?” Domandai con tutta la gentilezza di cui ero capace,
continuando ad accarezzargli la guancia.
Sbuffò, sorridendo. “È che non sono bravo a parole. Non… non so come
esprimermi.”
Poi le sue dita smisero di accarezzare le mie, e guidò la mia mano sul suo
petto, all’altezza del cuore.
“Lo senti?”
Annuii, mentre mi concentravo sul suo battito.
Arrossì, e fissò i suoi occhi sui miei.
“È per te.”
Disse solamente, ma a me bastò per capire.
E per sentirmi come svolazzante su una nuvoletta rosa.
Scostai la mano e mi sporsi per abbracciarlo, così stretto che per un attimo
ebbi paura di soffocarlo. Sentii gli occhi bruciare un po’, ma in quel momento
non mi importava. Risuonava solo la sua voce nella mia testa, ed era solo
quello a contare.
È per te.
Solo quando parlai mi resi conto del nodo che mi stringeva la gola.
“E così anche il mio.” Risposi.
E ci bastò, perché entrambi sapevamo cosa significava quel che c’era fra noi.
Non avevamo bisogno di altro, non abbiamo bisogno di altro. Perché quando
è con me, le parole, come il resto, perdono importanza.
Ed anche nel silenzio, sappiamo trovare ciò che ci unisce, e mettere a nudo le
nostre anime.