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Autore: Himenoshirotsuki    19/01/2014    5 recensioni
Lo sconosciuto aveva chiuso gli occhi. Quando li aveva riaperti, le era parso di vedere due fessure color cremisi, di un rosso simile a quello delle fiamme vive: – Io ho tanti nomi. Mi attribuiste i connotati di un serpente e la colpa della vostra caduta dal paradiso terrestre, e durante gli anni dell'Inquisizione mi cercaste negli uomini più arguti e nelle donne che preferivano vivere in isolamento, tentando di scacciarmi da questo vostro mondo. Mi chiamaste Memnoch, Belial, Belzebù, Mefistofele e mi nominaste re dei caduti e nemico di Dio. Ma poco importa cosa rappresento per voi: io sono l'alfiere della luce, io sono Lucifero. -
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3

Il mio cuore per te

 

Micael strinse nervosamente la mano intorno alla maniglia, senza però riuscire ad abbassarla. Posò l'orecchio sull'uscio per captare un qualsiasi suono che testimoniasse la presenza della sorella. Nessun rumore, il silenzio totale. Forse era arrivato tardi.
Serrò i pugni, scuotendo la testa nel tentativo di scacciare l'immagine del corpo senza vita, stretto nelle rigide spire della morte.
“No... se... se davvero le è accaduto qualcosa, tornerò indietro e aggiusterò le cose. Sì, farò tornare tutto come prima.”
- Come prima... solo io e lei. - balbettò tra sé e sé, cercando di contrastare la sensazione di malessere che gli attanagliava le viscere.
Con il cuore che ancora gli martellava nelle orecchie, abbassò la maniglia.
Come al solito, tutto era in perfetto ordine. L'ultima luce del giorno che filtrava attraverso le imposte abbassate sfumava l'azzurro delle pareti, ammantando l'ambiente di un'atmosfera ovattata, simile a quella dei sogni; il vento gonfiava le leggere tende di raso bianco, facendole sembrare ancora più impalpabili, rarefatte come le correnti durante la bonaccia. Micael fece un passo all'interno, guardandosi attorno nella penombra alla ricerca di qualcosa fuori posto, senza però trovare nulla.
Scoccò un'occhiata all'orologio. Erano le 17.50 precise. Sua sorella sarebbe già dovuta essere a casa da un'ora.
“Forse è andata in soffitta...” pensò, mentre accarezzava le lenzuola profumate, pregne dell'odore di lei.
Quando erano piccoli, amavano giocare a nascondino in quella stanza polverosa e piena delle più disparate cianfrusaglie che i loro genitori avevano accumulato negli anni. Era il loro posto segreto, un porto sicuro dove potevano trovare asilo quando fuori imperversava la tempesta. Stretti l'uno all'altra, con solo una torcia dalla luce incerta, si leggevano le storie che più li entusiasmavano, o meglio quelle che piacevano a sua sorella. Era fissata con un eroe in particolare: Ulisse. Micael non capiva il perché di quell'attaccamento quasi morboso a un personaggio di un libro. Quando gliel'aveva chiesto, lei aveva sorriso e gli aveva detto che quell'uomo così umile e astuto gli assomigliava, che ogniqualvolta Micael le leggeva delle sue imprese non poteva fare a meno di pensare a lui.
- E poi, sua moglie si chiama come me... - ricordava che si era stretta ancora di più al suo petto, tremante a causa del freddo che penetrava da quella consunta coperta nella quale erano avvolti.
L'aveva guardato e lui si era sentito annegare in quegli occhi liquidi, così diversi a suoi, color dell'oro fuso. Mare e sabbia, sole e oceano.
– Ti aspetterò per sempre, mio Ulisse... - la sua voce si era confusa con il sibilo del vento, - Sempre... -
Una lacrima sgorgò dal suo occhi destro, correndo delicatamente lungo la guancia fino all'incavo del collo. Micael rivolse lo sguardo al crocefisso sopra la testata del letto e inaspettatamente si ritrovò a pregare, a sperare che Dio gli parlasse e che lo rassicurasse come suo padre non aveva mai fatto. Ma Dio era adirato.
Un leggero rumore di passi provenienti dal piano di sopra di lui lo fece tornare alla realtà. Lasciò da parte la soffice coperta, alzando il volto verso il soffitto. Non appena aveva confermato che quella camera era vuota, aveva subito capito che il secondo luogo dove avrebbe dovuto cercarla era la soffitta, eppure aveva voluto ritardare il più possibile il momento della verità.
In lontananza l'ossessivo suono delle campane della Chiesa sembrava accusarlo e giudicarlo, implacabile.
“Le porte del regno dei cieli non si apriranno per te.”
Uscì dalla stanza e cominciò lentamente a salire le scale.
Sentiva lo stomaco stretto per l'angoscia, ma continuava ad avanzare svelto. Arrivato davanti alla porta della soffitta fece per chiamare la sorella, ma si trattenne: non era sicuro che la persona dall'altra parte fosse veramente lei.
- Penelope. - sussurrò quel nome caro, troppo piano perché qualcuno potesse sentirlo. Era un suono delicato, caldo come il sole primaverile.
Dentro la stanza qualcuno stava ridendo, una risatina sommessa, rauca. Micael rabbrividì nel constatare che la voce non apparteneva a nessuno che lui conoscesse. Poi calò di nuovo il silenzio, un silenzio rotto solo dal ticchettio dell'orologio che aveva ancora in tasca.
Tic tac, tic tac...
Con il sudore che gli rendeva le mani scivolose ruotò il pomello.
La porta si aprì cigolando sui vecchi cardini.
Un brivido risalì lungo la schiena di Micael e la voce gli morì in gola, quando la vide. Penelope, la sua amata Penelope era seduta su un vecchio divano, abbracciata a un ragazzo dai capelli dai riflessi dorati. Osservò quelle mani bramose percorrere il profilo dei suoi piccoli seni, le loro lingue intente in una sensuale danza. Mani e lingua che non erano le sue.
- So-sorella...? - le parole uscirono tremanti, incerte.
La ragazza si girò. Una ruga di disappunto le si dipinse sul volto, mentre le labbra si increspavano in una smorfia di disprezzo. Micael strizzò gli occhi, trattenendo a stento le lacrime che premevano per uscire.
- Ah, sei tu. - Penelope fece cenno al ragazzo sconosciuto e questi uscì, non senza avergli prima gettato un'occhiata furiosa.
- Chi... chi era lui? Cosa stavate facendo...? - 
Persino per lui quella domanda era stupida, era ovvio cosa stessero facendo e che era arrivato nel momento sbagliato. Lo poteva scorgere negli occhi irati di sua sorella, nel suo tono di voce. Però, lui doveva capire, trovare una spiegazione...
Penelope lo fissò per alcuni istanti. Era come se il tempo avesse smesso di scorrere.
- Era il mio fidanzato, fratellino. Chi vuoi che fosse? -
- Come il tuo fidanzato? Di che fidanzato parli? -
Sul viso della sorella si dipinse un sorriso sarcastico. – Ma sei rincoglionito? Devo farti un disegnino per fartelo capire? -
Micael fece un passo verso di lei, il volto congestionato dalla rabbia. – E da quando hai un altro fidanzato? - l'ultima parte della frase gli uscì in un ringhio.
Penelope incrociò le braccia al petto, con fare strafottente. – Da circa due mesi. Ma poi, cosa te ne frega a te da quanto sto con lui? Fino ad oggi non mi hai mai calcolata, impegnato com'eri con la scuola e la vela. E ora mi vieni a fare l'interrogatorio su chi frequento e con chi mi porto a casa? Ma chi ti credi di essere? -
All'improvviso gli tornarono alla mente le parole dell'essere che poche ore prima l'aveva ancorato al muro, il tono tagliente e beffardo con cui le aveva sibilate.
“No... no...” si mise le mani sulle orecchie, per non sentire quel che la sorella stava per dire. 
Guardò nuovamente quegli occhi azzurri, ora gelidi come il ghiaccio, senza più alcuna traccia dell'amore che un tempo avevano condiviso.
Prima che Penelope potesse aggiungere qualcosa, si girò e scappò via. Corse a perdifiato giù per le scale, saltando i gradini, cercando di allontanarsi più in fretta che poteva. Non ricordava di avere mai avuto così tanto fiato in vita sua, così tanta forza in quelle gambe magre e sedentarie. Sua sorella l'aveva sempre preso in giro per la sua lentezza quando giocavano ad “Acchiapparella”. Lei correva come il vento, mentre lui a stento riusciva a starle dietro. Alla fine di quelle rincorse, lui stramazzava sulle gambe di lei, esausto, ansante e felice. 

“Sei un polentone! Se continui a dormire a basta, non riuscirai mai a prendermi.”
“Perché mai dovrei faticare come fai tu? Ne basta uno che sappia sfrecciare via veloce.”
“Ma come perché? Se un giorno arriveranno gli zombie, dobbiamo salvarci entrambi!”
“Quanto sei infantile. Gli zombie non esistono.”
“Non sono infantile. Io ti amo, Micael. Anche se nostra madre dice che è contro natura, anche se il nostro è un sentimento proibito e sbagliato, io non posso fare a meno di amarti. Sono tutti bravi a giudicarci brandendo come arma un comune senso di moralità che ci costringe a sottostare a regole che altri hanno deciso per noi. Ma nessuno di loro può capirci veramente: siamo noi che soffriamo per amore, siamo noi che veniamo feriti. Io ti amo davvero, fratello, non mi importa se per questo non potrò andare in paradiso. Preferisco mille e mille volte ancora bruciare all'inferno, piuttosto che strapparmi questo cuore dal petto. Il nostro Eden, fratello, sarà una terra abbandonata da Dio, dove nessuno ci conosce, dove nessuno ci additerà come peccatori. Un luogo oltre il filo spinato, solo per me e per te.”


Il cuore parve rompersi al ricordo di quelle parole dimenticate, mai pronunciate. Micael aprì la porta di casa e si fiondò fuori, sotto la pioggia leggera. Ora anche il cielo stava piangendo per lui. Era tutto chiaro, così tragicamente chiaro: aveva perso sua sorella, il suo amore. Tutto quello che avevano vissuto, detto, promesso era sparito come neve al sole. Ed era soltanto colpa sua, sua e della sua stupidità. A Penelope non era mai importato che lui non andasse bene a scuola, che non riuscisse ad avere un buon rapporto coi loro genitori o che non fosse un gran lettore. A lei bastava che lui rimanesse con lei per sempre...
Ad un tratto qualcosa lo urtò, facendolo rovinare a terra. Quel qualcosa era un ragazzo alto e ben piazzato, dai capelli dorati come la sabbia. Micael si rialzò a fatica, asciugandosi le lacrime che gli rigavano le guance.
- Oh... ti sei fatto male? Scusa, credo proprio di non averti visto, sai? - sogghignò divertito, le labbra increspate in un sorriso crudele. Un sorriso che Micael ricordava fin troppo bene.
- Lurido bastardo... se l'hai toccata, io...-
- Tu cosa, eh? Ma guardati, sei ridicolo con quegli abiti inzuppati di pioggia e gli occhi arrossati. Credi di potermi fare paura? - il bianco degli occhi venne inghiottito da una pupilla più scura, mentre l'iride diventò di un rosso intenso.
Micael guardò dritto in quei laghi rossi. – Perché mi hai fatto questo? Io volevo solo dare una vita migliore a mia sorella. -
Una risata sguaiata riempì l'aria. – Se davvero pensi di aver fatto tutto questo per tua sorella, ti sbagli di grosso. Voi umani non siete capaci di amare nessun altro a parte voi stessi. Vi ammantate delle più belle parole, ma in realtà nascondete i vostri veri desideri negli angoli più reconditi del vostro animo. -
- Io non ho mai nascosto nulla! Non infilarmi tra i perbenisti, Satana, perché sono tutto tranne che un ipocrita rivestito da una cappa dorata. -
- Ci diamo alle citazioni intellettuali, Micael? Non ti credevo così dotto... oh, aspetta: il Micael del passato non lo era, tu sì. – ghignò, mentre gli girava intorno come un leone pronto a scattare sulla preda. 
Ma Micael non aveva paura. Non poteva permettersi quel lusso.
- Ridammi Penelope... - il timbro glaciale con cui proferì quell'ordine sembrò fendere l'aria.
- E se non volessi? Cosa faresti, mio caro ragazzo? -
Micael tirò fuori l'orologio da taschino. – Me la riprenderò coi tuoi stessi mezzi. - 
Premette il bottone sulla sommità prima che il diavolo potesse aggiungere altro. Le lancette si bloccarono un istante e poi cominciarono la loro folle corsa all'indietro, mentre i numeri sul datario cambiavano rapidamente. Per un battito di ciglia la realtà si contorse nel tentativo di opporsi a quell'ordine innaturale, ma poi tutte le cose obbedirono alla tirannia dell'orologio.
Si fermò nuovamente alla stessa ora in cui aveva apportato i cambiamenti che avevano generato quella tragica situazione. In quel momento, si chiese perché il diavolo non si era opposto in qualche modo. In fin dei conti stava per rimettere le cose al loro posto, rovinando tutti i suoi piani.
“Forse non se lo aspettava...” tentò di convincersi, mentre faceva sparire il bigliettino dei suggerimenti dall'astuccio del suo vecchio lui. 
Non era così ingenuo da credere a quell'eventualità, però era l'opzione più verosimile che gli fosse venuta in mente.
Man mano che correggeva i suoi errori, il dubbio si insinuava sempre di più in lui. 
“E se fosse tutto quanto calcolato?” pensò, dopo aver chiuso la chiamata con cui disdiceva l'appuntamento con un suo amico. 
“E se fosse quello che lui voleva fin dall'inizio?” si domandò, mentre spegneva la sveglia che l'avrebbe fatto ritardare al colloquio di lavoro di quel giorno. “Non è possibile, è un ipotesi assurda! Se così fosse, significherebbe che tutto quello che ho fatto è comunque inutile...” 
Micael non voleva crederci. Per quanto effimero, voleva mantenere vivo quell'ultimo barlume di speranza.
Con il cuore in subbuglio tornò nel presente. Com'era prevedibile, lo riaccolse la solita pioggia battente a cui ormai Micael era abituato. Si volse per tornare a casa, quando una foto di una ragazza dai capelli biondi e gli occhi azzurri su un giornale immerso in una pozzanghera attirò la sua attenzione. Con lo stomaco stretto per l'angoscia tirò su quel foglio fradicio. La maggior parte delle lettere era stata cancellata dall'azione dell'acqua e i colori dell'immagine erano tutti sbiaditi, ma Micael l'aveva comunque riconosciuta: Penelope. 
“Trovato cadavere di ragazza di diciassette anni... brutalmente uccisa...” lesse la testata dell'articolo, le mani che gli tremavano, gli occhi dorati pieni di orrore. “No... no... non è possibile! No! Non può essere accaduto sul serio!”
Butto il giornale a terra e riprese a correre. Man mano che si avvicinava il cuore batteva sempre più forte, come se stesse per scoppiare da un momento all'altro. Dopo aver aperto il cancello, salì le scale più in fretta che poté, fino ad arrivare davanti alla porta di casa. Era socchiusa e dall'interno usciva un piccolo spiraglio di luce. 
Micael rimase immobile per alcuni secondi, mentre cercava di tornare a respirare normalmente. Aveva l'impressione di non avere abbastanza aria, come se l'ossigeno non riuscisse a riempirgli i polmoni affaticati.
Sospinse la porta, facendola scivolare silenziosamente sui cardini. La prima cosa che notò fu il silenzio sepolcrale e il freddo che avevano pervaso l'ingresso. Un freddo acuto, di quelli che raschiano le ossa: era come se l'inverno fosse stato suo ospite per interni giorni. Stringendosi nella felpa, Micael fece un passo all'interno e dopo essersi guardato intorno, si avviò verso il salotto e la cucina. Entrambe le stanze erano deserte e gelate.
Con i piedi pesanti e le dita che lentamente perdevano sensibilità si avviò verso la camera di lei. 
Perché i suoi genitori non c'erano? Lui aveva bisogno di capire, di sapere com'era morta, chi le aveva fatto questo, quando era successo...
Entrò nella stanza e le ginocchia cedettero. Con le ultime forze rimaste si appoggiò con la schiena al letto, lo sguardo rivolto al crocefisso sopra la testata.
“Perché non l'hai salvata...? Lei era pura, non meritava quella fine.” incontrò gli occhi severi del Cristo, la sua espressione imperturbabile e scostante.
- Perché non l'hai salvata?! - urlò, mentre lacrime calde gli rigavano il volto ormai freddo, - Perché... perché, Padre? Perché...? - il suo pianto si perse in quel gelido cenotafio. 
Guardò l'orologio: le 18.00 precise.
Fece per chiudere gli occhi, quando udì un leggero rumore di passi alla sua destra. Spostò lo sguardo sulla porta, in attesa. Era così difficile resistere, continuare a lottare per qualcosa che ormai sapeva di aver perduto. Eppure, in mezzo a quel freddo, qualcosa gli diceva di continuare, che non era ancora finita, che poteva ancora sperare.
Dopo un tempo indefinito, sulla soglia apparve una figura che cominciò ad avvicinarsi. Non era sufficientemente vicina perché Micael riuscisse a riconoscerla, ma sentiva il calore tornare a irradiargli il corpo. Gli occhi blu arrivarono prima di tutto il resto; occhi color dell'oceano.
- Penelope... - sussurrò, mentre il respiro gli danzava davanti in nuvolette di vapore freddo. 
Allungò le mani livide, sfiorando appena i capelli color del grano. Lei gli sorrise, accarezzando le sue dita infreddolite, incapaci ormai di percepire alcuna forma di calore.
- Sei...sei tornata per me... -
La sorella si avvicinò, schioccandogli un leggero bacio sulla pelle cianotica. 
– Diciamo di sì... -
Micael sentì il respiro mancargli e poi un atroce dolore lo pervase. Avvertì un fluido caldo inzuppargli i vestiti e si trovò a boccheggiare per respirare. Ma i polmoni non funzionavano più e l'aria si era come rarefatta. 
- So-sorella, per-perché...? - esalò, mentre guardava le mani insanguinate di Penelope che stringevano il suo cuore ancora pulsante. 
Cadde di lato come una marionetta a cui erano stati recisi i fili. Prima che il buio calasse definitivamente sui suoi occhi, cercò per l'ultima volta quelli della sorella: due fiammelle rosse in mezzo a un baratro nero. 

  
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