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Autore: Dani85    20/01/2014    3 recensioni
“Questa è la vita! / Un oscillare eterno / Fra paradiso e inferno / Che non s'accheta più.”
(Dualismo - Arrigo Boito)
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Questa è la vita di Remus Lupin, tra inferno e paradiso, dall'inizio alla fine.
Raccolta di istanti, pensieri e sensazioni; attimi per raccontare carezze e schiaffi di una vita intera, orribile e meravigliosa tutt'insieme.
[Famiglia Lupin | Malandrini | Remus/Dora]
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Dalla storia:
#1. Oltre la finestra, la notte continuava a stingere e la stanza cominciò a rischiararsi di bagliori azzurrati: l'alba del 10 marzo si apriva sul sonno dell'ultimo arrivato in casa Lupin.
#3. Era Greyback e sarebbe stata la fine del mondo.
#4. Cinque, come gli anni di Remus. Cinque, come i desideri di Lyall.
#6. Tutto tornò improvvisamente triste, come nella casa di prima e in quella prima ancora.
#7. «Remus sta per compiere undici anni e a settembre sarà a Hogwarts», Silente si strinse nelle spalle come se quello bastasse a spiegare tutto.
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Storia Incompleta
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hope Howell, I Malandrini, Lyall Lupin, Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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N.d.A.
Tre mesi e mezzo dall'ultima storia, mmm... non ho grandi giustificazioni per l'assenza, se non che l'ispirazione ha latitato un po', poi le feste e altre cose.. Vabbè, comunque rieccomi :)
Quinta storia, restiamo su un registro cupo e introspettivo. Siamo alle ore che precedono la prima Luna Piena di Remus dopo l'attacco di Greyback e tutti devono fare i conti con le loro vite stravolte. Compaiono bugie, segreti da tenere e cose da nascondere, perché l'unica accettazione possibile per Remus è quella di chi non sa. Ovviamente non è così o meglio, non sarà così, ma Hogwarts e i Malandrini sono ancora lontani e la vita solitaria di Remus è appena all'inizio, con i genitori che lo terranno lontano dagli altri bambini proprio per paura che possa lasciarsi sfuggire qualcosa del suo essere un Lupo Mannaro. Così, Lyall mente e tace per proteggere Remus dal mondo e dalla sua cattiveria, Hope mente e tace per incoraggiare e consolare il suo bambino, Martha non chiede e tace per non farsi annichilire dalla paura: direi che questi sono gli aspetti che ho cercato di trattare, insieme anche al punto di vista di Remus su questa trama di bugie che vede comparirgli attorno.
Nessuna pretesa nemmeno stavolta, anche perché la storia non mi convince pienamente, forse perché l'ho presa e lasciata diverse volte prima di finirla ma tant'è XD Buona lettura a chiunque passerà di qui e spero a presto :)
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J.K. Rowling; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in HP, appartengono solo a me.
Note: Infanzia di Remus – Citazione iniziale di Alessandro Morandotti

 
Questa è la vita
La voce del silenzio

La voce del silenzio

Ci sono bugie tanto commoventi
da meritare di essere credute
[Alessandro Morandotti]

 

Martha non era una donna invadente, non lo era mai stata. Non si immischiava e non si imponeva, anzi, inquadrava con rapidità impeccabile quale era il suo ruolo e quali i suoi limiti. E dentro quei limiti si muoveva, agiva, ascoltava. Quella sua innata attitudine si era rivelata indispensabile e provvidenziale quando Lyall e tutto il suo incredibile mondo erano entrati nella vita della sua Hope, con le cose inspiegabili e quelle mai viste, con le stranezze da occhi meravigliati e quelle da cuore in gola.
Martha aveva incontrato, per la prima volta, il giovane mago un pomeriggio di pioggia nella sua cucina, aveva pensato per un momento che sua figlia fosse impazzita e poi aveva fatto un atto di fede. Aveva creduto che tutto quello che le avevano raccontato fosse vero e non un'invenzione, aveva giurato che non ne avrebbe fatto parola con nessuno e poi era andata a preparare un tè, incespicando nel tappeto e in tutta la sua confusione.
Martha se lo ricordava ancora perfettamente quel giorno, nitido come fosse appena passato, con l'immagine di quell'impacciato e timido Lyall che stava faticosamente cercando di far coincidere con quella provata e sfuggente dell'uomo che le stava davanti. Erano dieci minuti ormai che se ne stavano fermi sulla porta, a fronteggiarsi con i loro sguardi agitati e interrogativi, con le domande di Martha e le risposte negate di Lyall che volteggiavano tra loro dense come la foschia bassa all'orizzonte. Era qualcosa di indefinito, nato improvvisamente come i silenzi e i misteri di quelle ultime settimane, e che si era solidificato come un muro invisibile, una barriera mai esistita prima di allora, tra loro e lei.  Tra la magia e Martha. Tra due mondi che non erano mai apparsi così tanto distanti. E lei avrebbe potuto accettarlo, davvero, se avesse avuto a che fare solo con la magia e con tutto quello che lei non doveva sapere o non vedere o non dire. Il punto era che aveva a fare con Remus, Martha lo sapeva – lo sapeva senza che nessuno glielo avesse detto – lo vedeva urlato negli occhi spiritati di Lyall e lo aveva visto nella fuga precipitosa di Hope, solo un'ombra sul fondo del corridoio quando le avevano aperto la porta. E poi c'erano state tutte quelle scuse che avevano tirato fuori per evitare che lei andasse al compleanno del bambino. A ben vedere, sarebbero bastate quelle a insospettirla anche se non avesse notato tutto il resto.
«Andiamo, Lyall!» sospirò alla fine Martha, le braccia allargate e gli occhi ostinatamente fissi in quelli del genero. «Se vuoi possiamo stare qui anche tutto il giorno, per me va bene!» lo avvertì, anticipando qualunque cosa lui volesse dirle.
«Martha, per favore...» ribatté l'uomo, e fu quasi un'implorazione, la mano stretta spasmodicamente attorno alla maniglia.
«No, per favore un bel niente, non me ne andrò di qui senza prima aver visto Remus!» sbottò la donna, la stessa incredibile determinazione della sua Hope a vibrarle nella voce.
Lyall chiuse gli occhi e si morse le labbra, contenendo a fatica la voglia di prendere a pugni la porta. Ci mancava giusto l'insistenza di sua suocera sì, perché non avevano già abbastanza problemi così, con la Luna Piena che preparava il suo primo inferno dentro e tutto attorno al suo piccolino. Avrebbe voluto urlare, chiudere la porta e sbarrarla e tenere il mondo intero fuori di là. Non solo Martha, la sfida nel suo sguardo, le sue braccia tese lungo i fianchi e le sue domande e non solo la verità più brutta che avesse mai visto nella sua vita, ma proprio tutto il mondo, Luna Piena e maledizione comprese. Avrebbe voluto, Lyall, sbriciolare l'universo e spazzarlo via, come la polvere dagli angoli bui della casa, come i resti di un incubo dopo una notte agitata. Avrebbe voluto, Lyall, ma non ne era capace. L'incubo era reale, era carne e artigli e denti affilati che si erano presi l'innocenza del suo Remus, la sua vita e i suoi sogni, masticati e distrutti alla luce della Luna. Senza pietà.
«Lyall...» sussurrò piano Martha, spaventata perché tutto quel silenzio e gli occhi serrati del genero non erano normali, non potevano esserlo e, all'improvviso, non era poi così convinta di volerlo sapere davvero cosa non andava, di poterlo sopportare.
«Remus non sta molto bene!» confessò finalmente Lyall, la mano che si apriva e si chiudeva alternativamente attorno alla maniglia della porta.
«Va bene...» mormorò la donna, come per prepararsi ad assorbire il colpo, «Cos'ha?»
Lyall si spostò nervosamente da un piede all'altro e Martha sentì l'agitazione serrarle lo stomaco. Cosa diavolo era successo di così grave a Remus perché suo padre non riuscisse nemmeno a spiegarlo?
«Mi stai spaventando, Lyall!» esclamò afferrandogli un polso, una stretta che lo richiamò bruscamente alla realtà. Non era un incubo, realizzò con dolorosa lucidità, non poteva spazzarlo via, dimenticarlo, annientarlo, spingerlo fuori da casa sua. Doveva conviverci, imparare a sopportarlo. Ad accettarlo no, ma a sopportarlo sì, come Remus.
«C'è stato un... un incidente!» spiegò alla fine, le spalle che cedevano sotto il peso di qualcosa di invisibile e tremendo. Martha trattenne il fiato e la mano le tremò stretta intorno al polso di Lyall. La parola “incidente”, accompagnata all'atteggiamento dell'uomo, sembrava ancora più minacciosa di quanto non lo fosse già di per sé. Si era cristallizzata fra loro, gelida e tagliente come un sipario di ghiaccio e nessuno sembrava voler davvero vedere ciò che nascondeva.
Per un istante Lyall valutò di usare a suo favore la confusione della suocera, usare quel momento di stasi per mandarla via. Ribaltò la presa attorno al suo braccio e le strinse un gomito, provando a farla indietreggiare.
«Non ci provare, Lyall! Non ci provare neppure!» esclamò Martha, scrollandosi la sua mano di dosso. «Sono qui per vedere Remus e lo vedrò!»
Fu come la fine di ogni discussione, la fine di ogni possibilità – se mai Lyall ne aveva davvero avute – di tenere Martha fuori da tutto. E non aveva la minima idea di come affrontare la vicenda. Cosa dire? E come dirlo? Rivelare tutto? O solo una parte?
Comunque la mettesse, l'unica cosa di cui Lyall era sicuro è che stava per rovinare tutto, anche quel poco di mondo rimasto in piedi.
La foschia all'orizzonte aveva iniziato a diramarsi e i contorni delle case stavano riapparendo poco alla volta. Qualcuno dei vicini aveva notato qualcosa? La discussione con Martha impalati sulla porta? Le tendine sempre tirate alle finestre? L'improvvisa scomparsa di Remus?
Lyall sospirò e si fece di lato, lasciando strada libera alla suocera e implorando che il frenetico ragionare del suo cervello si interrompesse. La supplica si spense nella porta chiusa, mentre Martha imboccava la scala per il piano di sopra.

 
*

Remus aveva solo cinque anni, compiuti da una manciata di giorni, eppure sembrava uno strano esserino che ne dimostrava molti di più e molti di meno nello stesso preciso istante.
Gli occhi socchiusi e infossati sul viso pallido e slavato erano quelli di un uomo e quelli di un bambino insieme, come se avessero già visto tutto e contemporaneamente niente. Erano occhi tremendi.
Hope passò una mano sulla fronte del figlio, un mucchiettino di ossa appallottolato sotto le coperte, e sospirò. Non era pronta. A tutto quello che la Luna avrebbe scavato dentro suo figlio, a quegli occhi enormi che la imploravano da sotto le ciglia chiare – Mamma, aiutami! Mamma, perché fa così male? Mamma, fallo smettere! –, ai minuscoli pezzetti di tutti loro da rimettere insieme la mattina dopo, lei semplicemente non era pronta. E non lo sarebbe stata mai, non c'era speranza.
Hope non lo sapeva che, a dispetto di qualunque sua previsione, lei avrebbe combattuto come un leone per rimettere insieme i pezzi, mese dopo mese, per non morire negli occhi tremendi di Remus, per affrontare quella stramaledetta Luna come il peggiore dei suoi nemici. Hope non lo sapeva ancora quanto le sue spalle potevano essere forti, ma lo avrebbe imparato, perché se non crollavano quelle minuscole del suo bambino, non si sarebbero potute permettere di crollare nemmeno le sue. Neanche a pensarci. Ma Hope, tutto quello, ancora non lo sapeva. E allora mentiva. Per rimanere in piedi, intesseva la sua tela di bugie: sorrisi rassicuranti, occhi asciutti, mani ferme e un mucchio di andrà tutto bene e passerà. Ma non sarebbe andato mai tutto bene e non sarebbe passato mai, mai davvero, mai. E Remus lo sentiva nelle articolazioni che scricchiolavano sotto la pelle e nelle orecchie che gli ronzavano; in qualche modo lo sapeva, era una specie di verità che non sapeva spiegare ma che riconosceva. In qualche modo Remus lo sapeva che le parole della mamma erano bugie, ma non glielo disse nemmeno una volta, non le ritorse contro neanche una di tutte le volte in cui lei e papà gli avevano ripetuto di non dirle – mai! –, solo faceva sempre finta di crederci e si sforzava di ricambiare i sorrisi, di ingoiare le lacrime e il dolore e lo stomaco sottosopra. Si sforzava ma chissà se ci riusciva: i suoi cinque anni gli sembravano troppo pochi per tutto quello, come i giorni dopo il morso, quando il pianto gli bloccava la gola perché lui era troppo piccolo per quelle bende e per quel dolore che gli toglieva il fiato.
«Andrà tutto bene!» gli ripeté Hope, di nuovo, con una carezza morbida lunga la sua guancia accaldata. La voce della mamma era delicata e lieve, come le sue carezze, come lo sguardo che non staccava un attimo da lui, appollaiata sulla sedia vicinissima al suo letto. Forse non era proprio tutto una bugia, magari la mamma aveva ragione e tutto quel mucchio di cose strane sarebbe finito, forse già domani o tra un po', forse non sarebbe stato per sempre come dicevano papà e la sua faccia triste. Remus sospirò mentre si stiracchiava piano, le gambe e le braccia fastidiosamente intorpidite e gli occhi chiusi.
La porta cigolò in fondo alla stanza e una lunga lama di chiarore si disegnò sul pavimento tracciando l'ombra di una donna minuta. Hope si irrigidì sulla sedia, infastidita. E spaventata. Non aveva idea di cosa Lyall avesse detto a sua madre ma, era ovvio, non era riuscito a dissuaderla e a mandarla via. Martha se ne stava ai piedi del letto, le mani strette l'una dentro l'altra e gli occhi che cercavano vanamente di incrociare quelli fuggevoli della figlia.
«Hope...» sussurrò, così piano che lei stessa dubitò di aver davvero parlato. La donna davanti a lei si limitò a scuotere la testa. Va bene, Martha aveva definitivamente capito che non avrebbe saputo niente più di quello che era riuscita a scucire a Lyall. Ci si rassegnò in fretta, calamitata dal piccolo fagotto di coperte e da un paio di occhi verde chiaro, arrossati e lucidi.
«Remus!» lo chiamò dolcemente, la voce, il sorriso e le mani tutto un po' tremante.
«Nonna!» gracchiò il piccolo, col faccino più pallido che la donna avesse mai visto. Le si strinse il cuore e piantò sul genero un paio di occhi furenti.
Che diavolo era successo?
Lyall distolse lo sguardo e ficcò le mani in tasca, impenetrabile come un muro di cemento. Delusa, tornò a guardare il nipotino.
«Come stai amore?» gli chiese, scivolando a sedere accanto a lui, Hope che si faceva discretamente un po' più lontana.
«Bene!» borbottò il bambino, piccolo piccolo contro il cuscino.
«Che ti è successo, tesoro?» chiese la donna, le parole che stillavano ansia e preoccupazione. Remus si mosse a disagio, gli occhi che rincorrevano quelli del padre, con lo stesso panico che si era mangiato ogni centimetro di quella casa. Fu come un dialogo silenzioso, fatto di sguardi e null'altro.
«Un incidente...» rispose e Martha non chiese altro. E non chiese più. Niente verità da quel giorno, solo bugie vestite a festa, cicatrici ignorate e occhi che non avrebbero visto e cuore che avrebbe doluto comunque. Il silenzio avrebbe protetto Remus, così come le case cambiate e la gente allontanata, Martha lo avrebbe capito senza fare domande. Per il momento, però, nella stanza in penombra, tutto ciò che importava era guardare Remus e accarezzargli i capelli e le guance e le manine.
«Vuoi che ti legga una storia?»
Lyall protestò dalla porta e Hope alzò gli occhi di scatto: decisamente non erano d'accordo che lei restasse. Ma Martha se ne infischiò e li liquidò entrambi con un gesto nervoso della mano.
«Solo il tempo di una storia!» insisté e non ci fu spazio di replica.
Qualunque fosse il problema poteva aspettare il tempo di una favola.
Remus sorrise, rassicurato perché la nonna aveva resistito alle bugie, al non sapere, al silenzio, al segreto che non vedeva. Aveva resistito ed era là, seduta accanto a lui, i piedi che le premevano contro e Le fiabe di Beda il Bardo tra le mani.
Forse la Luna Piena e tutta quella storia del morso e del lupo e del per sempre non aveva distrutto proprio tutto. Forse qualcosa si era salvato, la nonna era lì, forse qualcos'altro avrebbe potuto salvarsi in futuro, magari qualche amico o qualche bambino come lui, ma mai davvero come lui.
Bastava non dire, tacere, tenere segreto.
Niente verità, solo bugie imbiancate per nascondere il nero dell'orrore, per proteggere Remus e tutto il fragilissimo mondo che gli rimaneva.

 
  
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