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Autore: Lady Amora    20/01/2014    1 recensioni
Ora lei non è neanche più bella, se ne è resa conto dopo quasi vent'anni dalla sua prima notte. È appassita come un fiore d’inverno, anche se non ha mai avuto la delicatezza di quest'ultimo, e tutto ciò che ha fatto nella sua vita è stato aprire le gambe al miglior offerente.
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Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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Pacchetto:

Immagine: http://fc02.deviantart.net/.../139/8/1/Rain_by_k_tim.jpg
Canzonehttp://traductionproduction.blogspot.it/.../within...
Prompt: Coltello
Citazione: Era questo la vita: un sorso amaro. Umberto Saba



Ringrazio kamy che ha indetto il contest, mi ha dato questo pacchetto (che è fin troppo bello per questa cosa che ho scritto) e che scrive meravigliosamente!
Sperando di non aver tirato sfondoni storici, vi auguro buona lettura!


 

 



Pas assez pour être heureuse



Ciò che ricorda della sua prima volta è che l’hanno valutata un Luigi. Le hanno dato un prezzo e, cavolo, doveva essere proprio bella allora.

Aveva ancora le guance morbide, Isabelle, e innocenti occhi castani. I capelli non le erano ancora diventati ispidi e il corpo era un meraviglioso bocciolo in fiore, incontaminato e affascinante come una terra vergine.

Non ricorda nemmeno il volto dell’uomo che l’ha presa per la prima volta, o comunque le sue fattezze si sono confuse con quelle delle centinaia di altri uomini che ha avuto in seguito. Il suo conquistatore , nella sua mente,  ha occhi azzurri e fluenti boccoli castani; probabilmente in realtà era solo un parvenu con abbastanza conio da potersela permettere per una notte.

Il bordello di Madame Janelle puzza di alcool e sesso, entrambi scadenti.

Le pareti scrostate dall'umidità del porto e il perenne strato di sporcizia che ricopre il pavimento gli danno quell’aria malfamata che gli è valsa il nome di “Bordello del pesce”. Forse per l’odore (che ormai Isabelle non sente neanche più) o forse perché la proprietaria si vanta spesso di aver conosciuto l’amante del Re [1]. La verità è che l’ha intravista, forse,  una volta a Parigi; per puro errore, ovviamente.

Isabelle manda giù in fretta e furia un sorso di vino di pessima annata e si prepara a tirare su la sottana per l’ennesimo morto di fame. Il liquido rosso sa più d’aceto che di vino ma, come a tante altre cose, si è abituata anche a quello.

Alla fine è questa la sua vita: un sorso amaro, che spesso le va di traverso. Da quando quell’infame che ha ingravidato sua mamma se ne è andato senza lasciare nulla se non rimpianti, a quando anche l’unica persona che non la considerava a priori merce di scambio l’ha venduta, con le lacrime agli occhi, a quella che è diventata la sua casa maledetta.

Se c’è stato qualche avvenimento felice nella sua vita Isabelle se ne è scordata. Forse non è stato abbastanza bello da sovrastare lo squallore circostante, forse non ha gridato abbastanza forte.

Ora lei non è neanche più bella, se ne è resa conto dopo quasi vent’anni dalla sua prima notte. È appassita come un fiore d’inverno, anche se non ha mai avuto la delicatezza di quest'ultimo, e tutto ciò che ha fatto nella sua vita è stato aprire le gambe al miglior offerente.

C’è stato un periodo in cui l’unica cosa che voleva fare era scappare da quell’inferno.

 C’è stato un periodo in cui non sapeva ancora che i bambini non nascono dall’amore e che  muoiono di vaiolo, tra le braccia delle madri, con orridi bubboni a sfigurarne il corpo troppo dolce e delicato.

C’è stato un periodo in cui finalmente ha capito che i sogni sono per le principesse e che lei è solo una vecchia puttana smagrita e che, in fondo, i sogni non se li merita nemmeno.

Non può più provare dolore, perché non ha più da offrirne a nessuno, da quando ha gridato invano e nessuno l’ha ascoltata. È sprofondata inesorabilmente verso il basso, verso il fondo, fino a perdere per prima cosa la dignità e poi tutto il resto.

Nonostante questo però ogni sera torna sotto quel tetto orrendo. Si addormenta  contando qualche capello bianco in più e sempre qualche soldo in meno.

Non c'è speranza, il suo tempo sta finendo.

Non può spezzare le sue catene, non può andarsene, semplicemente perché appartiene alla feccia del mondo e solo quello è il posto che le compete: sdraiata, in ginocchio, spezzata.

La vita con lei ha sempre avuto il coltello dalla parte del manico e non si è risparmiata nulla. L’ha colpita ,anche se i clienti che la spogliano con avidità non vedono sangue, e lei non ha  niente per curare quelle ferite.

Isabelle è costretta ad uscire dal bordello, ora. Ad andare direttamente al porto fluviale sulla Senna per accaparrarsi qualcuno, prima che una ragazza più giovane e meno disillusa la rimpiazzi e le porti via la cena.

Vede uomini di tutte le razze e di tutte le età barcollare ubriachi sugli scalini umidi e scivolosi, come tanti burattini di un teatrante maldestro.

Si accasciano contro il muro, tra le braccia di prostitute scontrose pronte a sorridere subito dopo per qualche moneta, pronte a gemere indecentemente senza preoccuparsi di apparire sincere. D’altronde la sincerità non è quello che cercano i clienti, no davvero.

Capita a volte che la gendarmerie faccia qualche incursione per far rispettare quell’editto assurdo [2] che prevede la flagellazione delle puttane. Come se qualcuno si prendesse davvero tanto disturbo.

No; va a finire che quegli stessi avvenenti giovanotti a cavallo Isabelle se li ritrovi nel letto la sera stessa. Funziona così, e finché avrà il denaro in mano le starà bene e potrà superare tutto, anche il disgusto per sé stessa, che è il maggiore dei problemi.

Ogni notte, quando i soli avventori del porto sono i gatti e la nebbia è troppo fitta anche per farsi notare, torna al bordello.

Ci è tornata anche quella notte, ma quella volta ha sentito degli urli.

Ha visto la poca gente rimasta in strada correre verso un trionfo di fiamme che sembrava davvero l’inferno, e non il suo personale, dove c’è la sifilide  al posto di demoni crudeli; quello vero, che arde, sgretola le travi e inghiotte lo scheletro inquietante di casa sua.

Le fiamme che si avviluppano avide come mani di un amante maldestro. Distruggono pian piano tutto ciò che è lei è stata.

Isabelle contempla quello spettacolo. Vede le persone adoperarsi con inutili secchi d’acqua, vede Madame Janelle imprecare e piangere assieme alle sue ragazze. Anche lei è una di loro, eppure non versa una lacrima. Eppure non si sente nemmeno felice.

È in un limbo etereo. Sta immobile per la strada coperta di pozzanghere e allo stesso tempo torrida, avvolta nel vestito bianco e rovinato che ha usato al porto. Avverte solo i rumori del mondo arrivarle ovattati alle orecchie, i bagliori letali del fuoco e il disordine attorno a lei.

Per un momento, ma solo per un momento, una flebile scintilla di felicità schiocca nel suo cuore. Perché quel calore la sta purificando. Sta spazzando via i suoi peccati come il perdono di Dio.

Sente come se le sue vesti bruciassero, lasciandola nuda, nel corpo e nell’anima, senza più nulla di cui vergognarsi. Perché lei è pura come il primo giorno, per un istante è ancora la fanciulla che credeva nei sogni.

Il fuoco divora lentamente l’intero edificio, dimostrandole che anche la dannazione finisce, prima o poi.

Isabelle resta immobile per quelle che sembrano ore.

Isabelle può ricominciare a vivere, ora. Può farlo davvero.

Si guarda attorno e osserva quel cumulo di macerie che è stata la sua vita e che, ora se ne rende conto, non sa da dove cominciare a ricostruire.

Ora dovrò lavorare al porto pensa; e, nonostante ci provi, è tutto quello che riesce a concepire.

Perché appartiene alla feccia del mondo e solo quello è il posto che le compete: sdraiata, in ginocchio, spezzata, miseramente sé stessa.

 

Note:
[1] L’amante del re: Madame de Pompadour (Parigi, 29 dicembre 1721 – Versailles, 15 aprile 1764). è stata la più celebre favorita del re di Francia Luigi XV e la donna francese più potente del XVIII secolo. Il suo vero nome era Jeanne Antoinette Poisson e “poisson”, in francese, significa per l’appunto “pesce”. Questo particolare la renderà soggetta a più di uno scherno alla corte di Versailles.

Nella fic Madame Jussac si vanta spesso di averla conosciuta (mentendo ovviamente) e da qui il nome che i clienti hanno ironicamente affibbiato al bordello.

[2] Effettivamente nel ‘700 un’ordinanza parigina decretò, al fine di arginare la diffusione delle malattie veneree, che le prostitute venissero flagellate, rasate e bandite a vita, senza alcun processo formale.

Naturalmente le misure restrittive non debellarono del tutto né la prostituzione né le malattie veneree.

  
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