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Autore: Devon    21/01/2014    0 recensioni
Sì, avevo già pubblicato questa storia. Però poi l'ho riletta e ho pensato "Ok, che cazzo ho scritto?"
Sì, insomma, non mi è piaciuto come si è evoluta la storia, mancavano troppe cose. Ora, visto che non mi soddisfava la sto riscrivendo. Chiedo scusa per il casino ç.ç Per chi ancora non avesse avuto modo di leggere questa fanfic, è la storia dei fratelli Baker, Devon e Zacky, dalle origini agli Avenged Sevenfold del 2007/2008. è una sorta di prequel della mia prima fanfic. Grazie per essere passate ^^
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zacky Vengeance
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Devon.

Adolescenza. Un modo carino per definire l'Inferno. Non so voi, ma la mia adolescenza è stata un Inferno, se non peggio. I miei genitori erano presenti solo quando si trattava di rimproverarmi, di mettermi in punizione o di costringermi a partecipare a cene di famiglia e ad andare in Chiesa, mio fratello non c'era mai e io non riuscivo a relazionarmi con i miei coetanei. Parlavo sempre con persone più grandi di almeno due anni. Con gli altri era impossibile instaurare un qualche rapporto, perché mi consideravano una "strana" e scoraggiavano ogni mio tentativo di fare amicizia.
Mi sono sempre sentita un'emarginata, e non parlo solo della scuola. Gli altri bambini tendevano a escludermi dai tempi delle elementari. Non so perché.
Ai tempi del liceo non ero esattamente lo stereotipo della cheerleader bionda e popputa, ma neanche della sfigata col naso ficcato sempre sui libri. Facevo parte di quella categoria di persone a metà strada tra l'in e l'out che non piacciono a nessuno.
Non avevo una classe di appartenenza. Ero semplicemente me stessa. Forse è proprio per questo che non piacevo a nessuno.
Spesso e volentieri guardarmi allo specchio mi disgustava. Le altre ragazze sembravano così belle, così sicure di sé rispetto a me. Perché io non ero bella quanto loro?
Avevo poca autostima e, quel che è peggio, nessun amico.
Ero sola. ERAVAMO sole, io e la musica; noi due contro tutti gli altri.
Per questo mi capitò spesso di essere presa in giro.
Si raggruppavano, mi accerchiavano e iniziavano a sfottermi, a ridermi in faccia, a darmi spintoni, a umiliarmi. E se per caso cercavo di andarmene, loro mi seguivano. Ovunque andassi. Io non reagivo. Mi sentivo totalmente impotente. Facile prendersela in quattro o cinque contro una persona sola. Non sapevo come rispondere alle loro provocazioni e se anche ci fossi riuscita ero sicura che mi avrebbero picchiata, se non addirittura qualcosa di peggio. Per quanto mi sforzassi di ignorarli, le loro parole mi facevano male. Mi irritavano.
Mi diedero della sfigata, della troia, della lesbica, della racchia e chi più ne ha più ne metta. Mi prendevano in giro per il colore dei miei capelli, per il mio abbigliamento, per come mi truccavo e per la musica che ascoltavo.
Perché se la prendevano sempre e solo con me? Cos'avevo fatto?
Dopotutto ero solo una ragazzina. Con poca autostima, qualche brufolo di troppo, le unghie tutte mangiate e il trucco sempre sbavato. Tutti fattori che hanno contribuito a rendere parte della mia vita un Inferno. Non riuscivo a mettermi in testa il fatto che non fossi inferiore a nessuno e che sarei dovuta andare avanti senza curarmi di quei quattro o cinque gatti che si divertivano a vedermi a pezzi.
Non so quante volte avrò trattenuto le lacrime (loro facevano battute anche su questo) davanti alle loro cattiverie. Ridicolo. Io ero ridicola. O, più semplicemente, molto fragile.
Tuttavia, non abbastanza da essere distrutta. So benissimo di non essere stata la prima né l'ultima vittima di bullismo, e ho avuto modo di accorgermi che diversi adolescenti iniziano ad avere disturbi alimentari, diventano autolesionisti o, peggio, arrivano a suicidarsi. So quanto può essere terribile, capisco perfettamente la loro disperazione. Ma, stranamente, io non ho mai avuto di questi problemi. Mi volevo troppo bene per pensare anche solo lontanamente di farmi del male.
Ricordo ancora tutto distintamente, come se fosse successo solo ieri, e non sono ancora riuscita ad accettarlo. Se solo ci ripenso, mi viene la nausea. Che mi piaccia o no, devo convivere con questa cosa e portarmela dietro per sempre.
Non ne parlai mai con nessuno. Né con Zacky, né con i miei genitori. Mi vergognavo troppo. Loro non avrebbero capito; mi avrebbero considerato una debole, un bersaglio facile. Sotto molti aspetti lo ero.



Huntington Beach, estate 1997.

-Suonano alla porta! Vai tu, Dev.
Sbuffai. Mio fratello sceglieva sempre i momenti meno opportuni per chiudersi in bagno. Iniziavo a pensare che lo facesse apposta per non andare ad aprire la porta o a rispondere al telefono.
-Arrivo - esclamai, andando ad aprire senza troppo entusiasmo.
Quella che mi ritrovai davanti fu una scena piuttosto buffa.
In piedi davanti a casa c'erano due ragazzini dell'età di mio fratello, ma di gran lunga più alti. Indossavano entrambi t-shirt extra large nere dei Pantera e dei Metallica e calzoni beige al ginocchio. Quello più alto era biondo ed era tutto preso a scaccolarsi mentre aspettava che qualcuno aprisse. Il moro guardava in aria e dondolava da una parte all'altra come un bambino di cinque anni annoiato.
Appena mi videro sgranarono gli occhi e cercarono di ricomporsi.
Il biondo schiodò l'indice dal naso e ridacchiò imbarazzato, scambiandosi un'occhiata con l'amico.
Roteai gli occhi. Ci mancavano solo questi due idioti.
-Desiderate? - domandai, in tono sarcastico.
-Ciao - mi salutò il bruno, accennando un sorriso e mostrandomi le fossette -io sono Matt e lui è Jimmy. Siamo amici di tuo fratello, è in casa?
Certo, dovevo immaginarlo. Chi altro avrebbero dovuto cercare, sennò?
-Sì, è in bagno, spero per voi che non ci metta il tempo che impiega di solito. Se volete entrare... - mi feci da parte.
-Oh, certo. Grazie - Matt entrò seguito da Jimmy, che sollevò le sopracciglia ed esordì con un "Salve!" prima di lanciarsi letteralmente sul divano.
-Cazzo, questa casa è uno sballo! - esclamò, mentre l'amico ridacchiava.
Ringraziai il cielo che non ci fossero i miei genitori. Col piffero che avrebbero lasciato entrare quei due teppistelli. Forse avrebbero fatto un eccezione con il moro.
-Scusalo - mi fece lui, con un sorriso imbarazzato -Sembra che non voglia imparare le buone maniere.
-Oh, figurati - replicai, ironica.
-Cercheremo di togliere il disturbo il prima possibile - mi fece l'occhiolino, e quasi mi sentii in colpa per la mia freddezza.
Quel Matt si stava dimostrando gentile, dopotutto.
Ed era anche molto carino.
-Tu sei sua sorella? - domandò Jimmy, appollaiato tra i cuscini -Caspita, sei la sua copia sputata!
-Non esageriamo - risposi, con un mezzo sorriso -Ci somigliamo, sì, ma non siamo identici!
-Non ci mancherebbe che quello! - esclamò la voce del diretto interessato, appena uscito dal bagno.
Mi voltai a incenerirlo con un'occhiata. Lui in risposta sfoderò un sorriso angelico e si avvicinò ai suoi amici.
-Ehi, come va? - proruppe, battendo il cinque a entrambi.
-Parlavamo con tua sorella - disse Matt -è simpatica, dovresti smettere di trattarla male.
-Ah, meno male che ci sei tu a dirmi come dovrei trattare mia sorella. - Zacky roteò gli occhi, facendo cenno verso la porta -Andiamo?
-Sì - i ragazzi si alzarono.
-Dì a mamma che sono uscito - mi urlò mio fratello, prima di uscire.
-Ci vediamo! - mi salutarono i suoi due amici, seguendolo.
Chiusi la porta alle loro spalle.
Non era una novità che rimanessi da sola, che Zacky mi escludesse dalla sua vita. A lui interessavano solo le sigarette e i suoi amici. Io non contavo un cazzo.
Io non li avevo, gli amici.
Il massimo che potevo fare, il sabato pomeriggio, era restare in casa con del gelato e un divano tutto disfatto.

 

   
 
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