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Autore: _Rebs    21/01/2014    0 recensioni
Jessica ha diciassette anni e un brutto passato.
Con tanti pensieri in testa, passeggia per le strade londinesi con una sigaretta tra le labbra. Secondo Jess, i giorni e il tempo non contano nulla, perché ormai della sua vita non le è rimasto nulla. Sarà una nuova amicizia e la scoperta del vero amore a farle cambiare idea, a lasciare i ricordi al passato, vivendo il presente e sognando il futuro.
"Forse è così che funziona, nel
mondo. In fondo ognuno di noi è una sorta di sigaretta. La si consuma totalmente,
ma quando non serve più la si getta a terra, o almeno, si getta a terra il suo residuo.
E poi si spegne."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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                                                                    NAKED 


 

                                                                                            Capitolo 2 

                                                                                     "Solo una delusione"  

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Erano le due passate.

Ficcai la mano nella borsa e cercai le chiavi di casa, continuavo a cercare ma non trovavo assolutamente nulla. "Fantastico" dissi tra me e me "E ora come diamine faccio?". Ero costretta a suonare il campanello e a sorbirmi le prediche di mamma, sarebbe partita col dirmi che non era un'ora giusta per rientrare a casa, che la cena si era già raffreddata, che avrei dovuto portare più rispetto per lei, e via così.
Allungai la mano, ma poi la ritrai subito. Ma sì, in fondo cosa sarebbe stata un'altra predica su altre innumerevoli prediche? Tanto l'unica cosa che sapevo fare era deludere le persone che mi stavano attorno, almeno quella la dovevo
fare.
Suonai il campanello subito. Abbassai lo sguardo e guardai le mie Air Force nere.
Continuai al alzare lo sguardo, mi chiedevo cos'ero. Ero davvero una persona normale? La calzamaglia nera strappata. Forse le persone mi evitavano per il mio modo di vestirmi? Gotica. Gotica, mi dicevano. Andai sempre più su. Gli shorts neri strappati.
Dovevo vestirmi con colori più vivaci? Perchè, il nero non era un colore vivace?
Eppure, a me sembrava di sì. Felpa nera. Giacca nera. Capelli neri. Occhi... verdi. Forse erano l'unica cosa colorata di me.
Aprì mamma, come non detto. Ci avrei scommesso. Mi guardò con quegli occhi ormai spenti, si scostò dalla porta e mi fece segno di entrare.
Non dissi una parola e mi avviai verso camera mia.
"Jessica" disse mamma.
Mi girai e la guardai.
"Siediti qui, piccola" disse con un tono triste e assonnato. Mi sentivo cossì in colpa, che avrei potuto prendere un coltello che c'era in cucina e ficcarmelo in petto senza alcun problema.
La guardavo, lei mi guardava, e intanto io morivo dentro.
Mi sedetti sul piccolo divanetto color crema, e misi la borsa da parte. Lei si sedette accanto a me. E io continuavo a morire dentro. Non potevo proprio evitare di farla stare male? E' tutta colpa mia. E' sempre tutta colpa mia.
"Scusami, mamma" dissi con il solitissimo tono da sfacciata.
"Guarda l'ora"
Non fiatai.
"Jessica, guardami"
Oh, mamma, tu non sai quanto male mi fa guardarti.
"Figlia mia, so quanto sia difficile per te, però guardati attorno. Io mi alzo tutte le mattine per andare a lavoro, mi impegno per voi, cucino, lavo, stiro, faccio le pulizie, torno a casa tardi, faccio di tutto per voi, perché siete i miei unici due figli, e qualunque cosa succeda non mi potrei mai arrabbiare seriamente con voi. Questo perché vi voglio bene. Ma fa molto male sapere che voi due ve ne fregate totalmente di quello che faccio per voi, insomma, non vedi quanto soffro ogni giorno?"
Quanto volevo dirle che io soffrivo il doppio.
"Tuo fratello non contribuisce alle spese, non ha voluto fare l'università e non gli interessa nemmeno trovarsi un lavoro per aiutarmi con l'affitto. Se non lo pago nemmeno il prossimo mese, possiamo dire di non avere più un posto in cui stare.
Capiscimi, piccola mia. Insomma, hai solo diciassette anni, quindi non ti sto dicendo di trovarti un lavoro. Anzi, te lo proibisco. L'unica cosa che puoi fare, se ci tieni almeno un po' alla tua mamma, è aiutarmi un po' a casa, studiare e non saltare la scuola, e possibilmente essere a casa prima che faccia troppo buio. Ti ho chiamata molte volte ma non hai risposto oggi, mi spieghi il perché?"
"Scusami, mamma"
Davvero, furono quelle le uniche parole che riuscii a dire alla mamma dopo che lei mi fece tutto quel discorsone? Ero uno schifo di figlia.
"Scusami mamma, sono uno schifo di figlia"
Mi abbracciò. Provava compassione per me? Quindi ero davvero una schifo di figlia?
"No, Jess, non sei uno schifo di figlia. Tu sei mia figlia, e sei una meraviglia" mi disse accarezzandomi i capelli. Non riuscii a trattenermi, e scoppiai in un pianto.
"Jess, ascoltami, so che è stato molto difficile per te tutto questo, ma sono sicura che troverai anche una fantastica amica in questa scuola"
"Mamma, sono due anni che frequento questa scuola, com'è possibile che nessuno mi rivolga una parola se non per prendermi in giro? Insomma, io non ce la faccio più mamma, vorrei morire"
"Non dire queste cose, esistono i veri amici, devi solo aspettare un po', prima o poi arriverà quel qualcuno che saprà donarti uno di quei sorrisi veri, spontanei e non forzati. Prima o poi arriverà, vedrai. Ora vai a dormire, che domani hai scuola."
"Mamma..." dissi guardandola.
Io non ci volevo tornare lì dentro.
"Dai su"
Le diedi un bacio sulla guancia e mi misi a letto.
Non avevo cenato, e il mio stomaco faceva rumori strani, così ebbi una mezza idea di farmi un panino. Ma poi, iniziai involontariamente a toccarmi la pancia, i fianchi, le cosce, arrivai alle braccia. Ero così ingombrante. Se mi fossi fatta quel
panino, non sarei nemmeno riuscita ad entrare nel letto. E quindi, anche quella mezza idea, d'altronde, come tutte le mie altre idee, si volatilizzò nel nulla.


Un fastidioso rumore mi svegliò, e non poteva essere altro che la mia fastidiosissima sveglia. Diedi un pugno alla mia destra, la sveglia cadde a pezzi.
Pensai che ci sarebbe stato di peggio, dato che mi aspettava un fastidiosissimo lunedì. La fastidiosissima scuola, e i miei fastidiosissimi compagni di classe.
Non capivo perché mamma non mi avesse iscritta ad una qualsiasi scuola. Frequentavo una scuola privata, perciò niente divise scolastiche e niente divisioni tra maschi e femmine. Sembrava quasi una scuola americana. L'edificio era molto carino, le pareti colorate, gli armadietti personalizzati, chi ci faceva i graffiti, chi ci attaccava stickers di ogni tipo, chi lo pitturava, ognuno aveva il suo.
Io non feci nulla sul mio armadietto, il mio armadietto era nudo, come me. Grigio e privo di emozioni. A cosa mi serviva un armadietto che non mi rappresentava? A nulla, ovviamente.
Aprii gli occhi e un raggio di luce che penetrava dalla tenda della finestra di camera mia, mi accecò.
Barcollai verso il bagno e mi feci una doccia calda. Dopodiché, aprii le ante dell'armadio cercando qualcosa da mettermi.
Optai per un paio di jeans, una maglietta nera ed un giacchettino con le borchie sulle spalle. Infilai le Air Force nere e mi misi abbondante eyeliner nero e mascara.
Mi guardai un attimo allo specchio, non mi sembrava abbastanza ciò che avevo addosso. Ci voleva un tocco più... avvistai il cappellino nero con la scritta "whatever" in bianco. Lo presi e me lo misi. Per quanto non riuscissi a sentirmi carina, mi caricai la cartella in spalla e presi l'iPod, dopodiché uscii dalla mia stanza a passo deciso.
"Hey, Jess" disse mio fratello addentando una ciambella.
"Che vuoi?" risposi sospirando.
"Dove vai?" mi chiese con fare innocente.
"A scuola, imbecille" Afferrai la maniglia della porta, tentata di uscire.
"Smettila" alzò la voce all'improvviso, battendo un pugno sul tavolo.
"Di andare a scuola? Ho paura, se smetto potrei finire come te" guardai l'orologio appeso alla parete e realizzai che ero in ritardo.
"No, cretina! Smettila di trattarmi come se fossi un completo idiota!" stava alzando il tono di voce, sempre di più.
"Ma lo sei, Kurt! Sei un completo idiota!"
"Non lo sono! E comunque mamma mi ha detto di farti fare colazione, quindi siediti, mangiati una ciambella e bevi la spremuta che ti ho preparato."
"Mi hai fatto la colazione?"
"E' stata mamma ad obbligarmi"
"Beh... grazie del gesto, però..."
"Cosa?" mi interruppe.
"Oggi non ho fame" dissi a bassa voce.
"Senti, mi sono alzato di mattina e mi sono fatto il culo, quindi ora fai colazione"
"Ho detto che non ho fame, non mi obbligare!"
"Fai come vuoi, poi non chiamarmi dicendo di venirti a prendere a scuola se svieni come la scorsa settimana, capito?"
"Me la saprò cavare, non t'infastidire, miraccomando" dissi ironicamente.
"Ah, e comunque, Kurt..." ripresi "ho trovato un reggiseno nella mia cesta della roba da lavare. Mi sa che una delle tue puttane l'ha dimenticato"
"Non chiamarle puttane!" sbraitò.
"E come dovrei chiamarle, scusa?"
"Ma che ne so..."
"Dame da compagnia" lo guardai "giusto?".
Lui sbuffò, ed io mi feci scappare una risatina.
"Ci si vede" dissi, ed uscii.
Tirai fuori il cellulare dalla tasca dei jeans e guardai l'ora. Come non detto, calcolai che sarei arrivata a scuola con quaranta minuti di ritardo.
Accesi l'iPod, mi ficcai gli auricolari nelle orecchie e feci partire Unfaithful di Rihanna.
Tirai fuori una Marlboro insieme ad mio nuovissimo accendino giallo e accesi anche quella. Afferrai la sigaretta con le labbra mentre mettevo a posto l'accendino, facendo anche attenzione a non far cadere gli auricolare dalle orecchie. Poi, presi la sigaretta tra l'indice e il medio, la tirai fuori dalla bocca e lasciai che il fumo uscisse. Mi chiedevo dove sarebbe andato. Si sarebbe
frantumato in mille piccole particelle che avrebbero contribuito all'inquinamento del pianeta? Non mi prendevo cura di me, figuriamoci del pianeta. Insomma, prima o poi moriremo tutti.
"I don't wanna do this anymore"
Bene, non farlo.
"I don't wanna be the reason why everytime I walk out the door, I see him die a little more inside"
Non lo ama, perché lo tradisce. Non capisce l'importanza di avere una persona accanto. Di sentirsi amati. Se fossi in lei, non lo tradirei. Ma in tal caso, la canzone non ci sarebbe.
Tra un tiro e l'altro, una canzone e l'altra, arrivai a scuola.
Cercai di ricordarmi cosa avevo alla prima ora di lezione, poi mi venne in mente che avevo educazione fisica. Avevo dimenticato le scarpe e il cambio a casa.
Corsi all'interno dell'edificio e mi catapultai in palestra, tutti erano nel bel mezzo di una partita di pallavolo, e si fermarono a guardarmi.
"Depp, di nuovo in ritardo" mi disse Miss Lawrence, alzandosi gli occhiali.
"Johnny! Miraccomando tesoro, svieni anche 'sta volta, così verrà quel figo di tuo fratello a prenderti, sai, a volte sei utile, cara mia!" disse Clarice sghignazzando.
Mi aveva di nuovo chiamata Johnny. Come Johnny Depp. Il mio cognome, infatti.
"Clarice, ho un nome, ed è Jessica!"
"Bene Jessica" riprese Miss Lawrence "sai che ci sono dei regolamenti in questa scuola. E in uno di questi regolamenti c'è scritto che è severamente vietato fumare all'interno dell'edificio scolastico.
Guardai la mia mano che stava tenendo in mano la sigaretta.
"Oh, io..." cercai di giustificarmi.
"In presidenza, subito!"
Merda.


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Ciao a tutti,
ecco a voi il secondo capitolo. Ditemi che ne pensate, grazie per averlo letto, spero vi piaccia!
A presto,
un abbraccio!

_Rebs

                                               

  
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