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Autore: Alex Wolf    21/01/2014    5 recensioni
Ultima parte della storia di LegolasxElxSauron. Ispirata al film "Il ritorno del re".
Dal 13° capitolo:
"Mi sono sempre chiesto perché amore e sangue avessero lo stesso colore: adesso lo so.
- Alessandro D'Avenia"
« Stai lontano! Stai lontano da me! » Gli ordinai, facendo un passo indietro. I suoi occhi celesti mi guardarono stupiti dal mio comportamento e le sue labbra si socchiusero un poco. « Non voglio farti del male, ti prego. » Lo implorai, e per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii fragile, distrutta e vuota dentro, con le lacrime che minacciavano di scendere. Ma non volevo piangere, perché non volevo mostrarmi debole, non volevo essere debole.
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio, Sauron
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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You must go. ‘Cause it’s time to choose. 
 


“La cosa peggiore è che quando pensi che hai superato il dolore, ricomincia tutto, e ti lascia senza fiato.”
 
— Grey’s Anatomy
 



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Mentre Turon virava all’improvviso e per poco non mi disarcionava nel vuoto, il vento freddo, mosso con forza dalle sue potenti ali, mi schiaffeggiò costringendomi a socchiudere le palpebre. Poggiai il mento sul petto e sentii i capelli schioccare nell’aria;  gli urli delle orride creature dei Nazgûl perforavano la notte come frecce. Li potevo udire avvicinarsi, con quello strano suono che usciva dalle loro gole, e sentivo perfino le spade mentre uscivano dai foderi. D’istinto portai una mano al fianco dove poggiava il fodero, pronta a stringere l’elsa della mia arma, ma lo trovai vuoto: la spada doveva essere scivolata via dalla copertura durante la virata improvvisata. Ringhiai e voltai la testa verso la mia sinistra, dove avevo visto scomparire Fanie; ma di lei non c’era traccia. Sperai con tutta me stessa che stesse bene e che se la sarebbe cavata. Prima che potessi accorgermi di qualsiasi cosa o anche solo pensarla, un’ombra comparve davanti alla nostra traiettoria e si fiondò su di noi come un carro armato. Turon alzò il collo e lanciò una fiammata che incendiò il buio per qualche secondo. Un grido potente mi fece fremere le ossa e, poco dopo, mi ritrovai a volteggiare nel vuoto mentre il mio drago si attaccava al collo di uno di quei mostri. Sbatteva le ali con forza, smuovendo l’aria fino a creare raffiche di vento che avrebbero potuto causare un tornado. Gli artigli di Turon affondarono nella carne viscida dell’essere e, mentre questo tentava di mordergli il petto invano, i denti affilati affondarono nel suo cranio. La lucertola volante strillò, colta alla sprovvista, e il sangue prese a schizzare fuori dai profondi fori lasciati; alcune gocce nere atterrarono sulle mie braccia e sul mio volto. Nel mentre, l’unico mio pensiero era tenermi stretta alla sella e tentare di non cadere. Volteggiavamo così velocemente, sospesi sul nulla più tetro, quando il dragone nero riuscì a schiacciare contro il fianco di una montagna quell’affare, che gridò talmente forte da farmi gridare a mia volta a causa del dolore alle orecchie. Affondai le unghie nella sella e, per la prima volta da quando quegli esseri ci avevano attaccato, rizzai la schiena e lasciai libere le redini di Turon, che così fu più libero nei movimenti. Con una mossa inaspettata, il dragone cavò uno degli artigli dal collo dell’essere e l’affondo nell’elmo del suo cavaliere. Una forte corrente d’aria ci spinse in avanti, gettandoci contro le due carcasse, e immediatamente Turon estrasse gli artigli dalla carne morta per combattere la raffica di vento e indietreggiare. Li sul fianco della montagna, dove prima c'era uno dei nove con la sua creatura, ora si apriva un profondo buco nero che andava a risucchiarli; un orrendo rumore, come di ossa rotte, impregnò l’aria nella quale era sceso un silenzio terrificante. Grida, ecco cosa ricordo: un grido talmente forte da far ruggire Turon e fargli perdere per qualche secondo la cognizione delle cose che ci circondavano. Smise di muovere le ali e entrambi precipitammo per vari metri, mentre tentavo di agguantare le redini senza riuscirci.
« Vola dannazione! » Strillai, ma il vento ululava così forte nelle nostre orecchie che lui non poteva sentirmi.
Vola! Vola, per la miseria, vola!  Gridai allora mentalmente e, come se si fosse appena risvegliato da un profondo sonno, Turon ringhiò, gonfiò il petto e allungò le possenti ali che si gonfiarono come una vela.
Scusa. La sua voce calda vibrò nel mio cranio, mentre ci alzavamo di quota. Chiusi le palpebre e lasciai uscire un sospiro; avevo realmente pensato che quella sarebbe potuta essere la fine per noi. Non mi ero nemmeno accorta, fino a quel momento, quanta paura avevo provato: ma non per me o per la mia vita, ma per quella di mio figlio; per la sua vita, che stavo mettendo a repentaglio.
Respirando affannosamente, quando il nostro volo si fu stabilizzato, cominciai a voltare il capo in tutte le direzioni, tentando di trovare Fanie e la sua dragonessa. I pensieri andavano a affollarsi nella mia mente, mentre le immagini di lei che cadeva dalla sella, oppure veniva presa e rinchiusa dagli artigli di una di quelle cose si bloccavano sotto le mie palpebre facendomi tremare. Con forza, poi, riuscii a trovare le redini e a stringerle nella mia presa. Turon si voltò a guardarmi. I suoi occhi rossi erano come torce di luce che illuminavano le mie paure, tentando di renderle meno terrificanti. Passai una mano sulle sue squame scure, senza smettere di osservare il perimetro che ci circondava.
« Dobbiamo trovarle. » Ordinai. Un'altra folata d’aria mi schiaffeggiò quando ci rimettemmo in volo, barcollando nel buio della notte.
 
 


°    °
 
 


Gimli si guardò attorno: quella densa nebbia verde lo metteva a disagio. Tutti quei soldati morti lo mettevano a disagio; e sapere che loro potevano fargli del male mentre lui non poteva lo lasciava alquanto sconcertato. Non gli andava a genio l’idea di poter essere ferito, e non riuscire a ricambiare la cosa. A lui piacevano le risse e le battaglie, e tutto quello che aveva a che fare con grida, armi e vittorie su vittorie contro l’elfo dalle orecchie a punta. A proposito del suo amico, era da un po’ che non lo vedeva: probabilmente era colpa di tutta quella nebbia verde. Con uno sbuffo si decise ad attraversare il ponte della nave; una strana sensazione l’avvolse quando il freddo pungente di quell’aria morta gli sfiorò la pelle. Rabbrividì fin sotto la folta barba ma continuò imperterrito, stringendo la sua ascia fra le mani, come per rassicurarsi. Finalmente, quando raggiunse la prua dell’imbarcazione trovo il principe di Bosco Atro  appoggiatovi di schiena, mentre fissava il corso del fiume che gli correva davanti. Gli occhi azzurri vacui e persi, mentre la notte andava a morire e lasciava lo spazio ai primi deboli raggi di sole. Poche stelle brillavano ancora in alto: erano nel bel mezzo di quel momento in cui nasce il giorno ma la sera ancora non si accinge ad andarsene, e i colori si fondono creando un confine tra realtà e fantasia, gioia e nostalgia che incatena il cuore di molti alla parte più profonda dell’anima. Il cielo si era tinto di un potente arancio, rosa e giallo ma il blu costante della notte non se ne andava e teneva incatenate in quell’istante le stelle e la luna, sebbene brillassero debolmente. Con la sua goffa andatura Gimli raggiunse finalmente l’amico biondo e alzò gli occhi al suo viso, dopo essersi poggiato anche lui alla balaustra di legno.
« Sto bene. » Si affrettò a dire Legolas, senza degnarlo di uno sguardo. Il vento, intanto, gli soffiò sui capelli facendoli volare leggermente e gonfiò le vele aiutando così le navi nella loro corsa sul letto del fiume.
« Beh, io non ti ho ancora chiesto nulla. » Sorrise il nano, appoggiando le mani sull’ascia. La lama brillò dei riflessi dell’alba.
« Sapevo che me l’avresti chiesto. » Rispose con semplicità il principe, gettandogli un occhiata. I suoi occhi azzurri incontrarono la luce del sole nascente e brillarono freddi e vitrei come fossero fatti di ghiaccio. Per la prima volta Gimli non riuscì a leggervi nulla dentro, quasi che l’anima dell’amico fosse stata congelata nella profondità del suo corpo millenario. Rabbrividii persino lui e distolse immediatamente le iridi, gettandole sulla verde massa che si muoveva sotto di lui.
« Beh, si. E’ vero, l’avrei fatto. » Borbottò poi distrattamente.
« Allora perché non l’hai chiesto? »
« Tu hai già risposto… » Il nano voltò la testa nella sua direzione e l’osservò, senza mai spostarsi dalla sua comoda posizione.
« Ma quella non era la verità, vero? » Inarcò una folta sopracciglia rossastra e socchiuse successivamente le palpebre; poi, dopo aver sbattuto le palpebre e aver continuato a osservare l’essere immortale si schiarì la voce. « Allora, orecchie a punta: che ti prende? »
« Ho un brutto presentimento. » Ammise Legolas, passandosi una mano sul viso stanco. Gimli non avrebbe mai detto che un giorno avrebbe mai potuto sentire quelle parole così: come se fosse una cosa naturale per il principe di Bosco Atro avere brutti presentimenti e stare male. O almeno, non avrebbe mai pensato che si sarebbe aperto con lui così liberamente.
« Scommetto che riguarda la tua “bella”. »
« Già. » L’elfo sospirò, ripassandosi una mano sul viso. « Ho come l’impressione che lei non mi abbia dato retta. »
« Te l’ha mai data? »
« No. »


Cio peipe.
Vado di fretta! E' UN CAPITOLO CORTO, MI DISPIACE. Doveva essere uno dei più lunghi, ma ho avuto degli inconvenienti (molto urgenti) ed è uscito questo sgorbio. Prometto che il prossimo capitolo sarà molto lungo! Molto Lungo! Ora devo correre! Love you!

 
  
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