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Autore: _ayachan_    06/06/2008    6 recensioni
“La sesta Esposizione d’Arte ‘Tokyo three times’, finanziata dalla fondazione ‘Red Moon’ e diretta dal Trust ‘Suna – wind of change’, apre al pubblico domenica 8 settembre 20XX.
Ciò che sta dietro a un grande evento è sempre più importante dell'evento stesso, e alla fine sono i dettagli a contare davvero.
Shikamaru Nara, diciotto anni - ancora da compiere, ma l'importante è l'impressione - è uno dei tanti uomini invisibili che contribuiscono ai dettagli.
Ma ancora non sa che la sua parte sarà molto più importante di quel che crede...
SECONDA CLASSIFICATA al contest Shika/Tema indetto da arwen5786 e bambi88.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Temari, Shikamaru Nara
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Primo Tempo-4


Intervallo




«Non sei qui come me, immagino. Non sei l’ultima ruota del carro, non ti spezzi la schiena trasportando scatole di birra. Probabilmente stai molto più su nella scala, stai dove il condizionatore è perennemente acceso»
Temari mordicchiava nervosamente il cappuccio di una penna, distratta.
Attorno a lei il brusio era assordante, il movimento continuo, i volti sempre diversi. A guardare troppo a lungo si rischiava di restare nauseati. D’altronde stava per svolgersi il tradizionale discorso d’inaugurazione dell’esposizione, ed erano presenti tutte le autorità, con relativi accompagnatori e portaborse.
Ferma in un angolo, con la schiena appoggiata a un palo dello stand principale, Temari teneva le braccia incrociate e le sopracciglia corrugate.
Tailleur pantalone bordeaux, capelli raccolti dietro la nuca, una goccia di profumo. Nulla a che vedere con la bionda dai codini strani che in jeans e canotta prendeva il sole sul cemento.
Ma detestava quegli abiti. La stoffa pizzicava ovunque. E aveva già caldo.
«Cos’è? Ti mancavano le idee? Avevi bisogno di un nuovo piano, cercavi qualcuno da sfruttare?»
La ruga sottile sulla sua fronte si ispessì.
Che nervi. Le parole di quel ragazzino piantagrane continuavano a ronzarle in testa.
Ragazzino piantagrane?, chiese sarcastica una voce nella sua testa.
Ok. Forse non era un ragazzino. E neanche piantagrane. Anzi, era cresciuto proprio bene, ed era pure collaborativo... Per un attimo, un solo attimo, si perse nel ricordo dell’unico bacio che si erano scambiati, e i suoi muscoli si distesero impercettibilmente.
Poi, proprio sul più bello, rivide l’espressione accusatoria di Shikamaru e tornò bruscamente alla realtà.
«Dimmi che mi sbaglio»
Temari fece una smorfia, affondando i denti nella plastica della penna.
Sì, si sbagliava.
Non aveva mai avuto la benché minima intenzione di sfruttarlo, dal primo istante. Anzi, per un attimo aveva avuto la tentazione di insultarlo per aver criticato il suo perfetto progetto; ma poi si era resa conto che lui non parlava per cattiveria. Che le sue erano considerazioni intelligenti, che mettevano in luce i veri problemi dell’esposizione.
E non aveva resistito. Lo aveva spinto a parlare, sì. Gli aveva fatto ripensare metà del progetto, digrignando i denti di fronte agli errori che ora sembravano tanto palesi, e ascoltando con attenzione le sue proposte. Lo aveva fatto parlare e aveva utilizzato le sue idee. Ma era successo per caso.
Insomma, di fronte a difetti tanto evidenti poteva forse lasciare che l’esposizione aprisse i battenti senza subire modifiche? No, ne sarebbe andata della reputazione dell’intero Trust, e dal momento che era stata proprio lei a insistere per occuparsi del progetto non poteva permetterlo. Non aveva premeditato nulla – come avrebbe potuto? E inoltre aveva anche tutte le intenzioni di...
«Temari»
Una voce sopra il ronzio la riscosse dai suoi pensieri, rigettandola nella mischia indistinta che si srotolava sotto il padiglione bianco. Cercò con lo sguardo la fonte del richiamo, e vide suo padre farle un cenno, tra altri uomini in gessato che sfoggiavano sorrisi di plastica – o avorio.
Sospirò, sfilando la penna di bocca, e la fece scivolare nella tasca interna della giacca. Un’ultima sistematina ai capelli ribelli, e poi si avviò verso di loro.
«Dimmi che mi sbaglio»
Avrebbe potuto dirglielo, sì, spiegare a Shikamaru tutto quanto. Ma avrebbe significato umiliarsi e accettare di aver commesso errori. Un sacco di errori.
E Temari non era disposta a tanto.


* * *


La sesta esposizione d’arte ‘Tokyo three times’, finanziata dalla fondazione ‘Red Moon’ e diretta dal Trust ‘Suna – wind of change’, si è conclusa ieri sera con uno spettacolo pirotecnico sfavillante, che ha illuminato il cielo per più di mezzora.
Alla preparazione dei fuochi hanno contribuito gli stessi artisti che hanno esposto nei padiglioni della fiera, ma è indubbio che l’intero riuscitissimo progetto sia soprattutto merito del Trust che l’ha creato e coordinato.
«E’ stato un lavoro di gruppo, siamo fieri di averlo portato a termine» sostiene il direttore e coordinatore dell’operazione, il magnate noto come Godaime Sabaku – nonché padre di due tra gli artisti più importanti ospitati dalla fiera, il quotatissimo Gaara del deserto e il degno fratello Kankuro.
E davvero ha tutte le ragioni per essere fiero, dal momento che gli incassi sono stati tanti e tali da spingerlo a devolvere in beneficenza il 5% in più del previsto.
Un successo strepitoso e inaspettato, dunque, dovuto ai grandi artisti che hanno preso parte all’opera, ma anche a un’organizzazione ineccepibile. Eventi, opere, stand e padiglioni si sono conquistati un posto tutto loro all’interno dell’area dedicata all’esposizione, ma soprattutto nei cuori delle migliaia di visitatori che hanno varcato i cancelli della fiera in questi quattordici giorni.
Ottimo anche il lavoro di promozione, che ha ampliato il ventaglio delle categorie interessate e ha permesso di presentare al grande pubblico autori relativamente sconosciuti, come Sai e le sue tele astratte o Ino Yamanaka e la sua rinnovata arte dell’Ikebana, intersecata ad ologrammi tanto perfetti da sembrare più reali dei fiori.
Senza contare la preziosa partecipazione di pietre miliari come Deidara e le sue opere d’argilla, puntualmente distrutte al termine dell’esposizione, Itachi Uchiha e i suoi scioccanti ologrammi, e i già citati Gaara, con le sue sculture di sabbia, e Kankuro, uno degli ultimi cultori del mestiere di marionettista, che con Sasori della Sabbia Rossa ha l’indubbio merito di aver fatto rifiorire una cultura che rischiava di perdersi.
Bilancio positivo, dunque, per un progetto che sembrava... (continua a pag. 7)”

Shikamaru sbuffò, e lasciò cadere a terra il giornale. Con gesto annoiato portò la bottiglietta alle labbra e buttò giù un sorso d’acqua.
Il caldo era scemato notevolmente in quelle due settimane, tanto da costringerlo alle maniche corte e alla felpa legata in vita. Le cicale non frinivano più, gli alberelli in vaso venivano portati via a ritmo serrato, e tutt’attorno era un continuo brusio e martellamento.
Nel giro di pochi giorni la sesta esposizione d’arte eccetera eccetera sarebbe morta, scomparsa dalla faccia della terra; di lei sarebbero rimasti soltanto vuoti articoli di giornale su fogli stinti, e ricordi vaghi nella memoria di chi l’aveva visitata.
Shikamaru richiuse la bottiglietta, lasciandola cadere nella borsa.
«Ehi, ragazzo!» lo chiamarono a un tratto, costringendolo ad alzare la testa. «Vieni un po’ qua, non startene sempre da solo!»
Lui fece una smorfia seccata.
Non aveva alcuna voglia di unirsi agli altri operai, non l’aveva avuta nemmeno quindici giorni prima.
«No, schiaccio un sonnellino!» rifiutò, voltando loro le spalle e stendendosi su una fila di scatole di bevande inutilizzate.
Chiuse gli occhi, ignorò i borbottii sarcastici degli altri uomini, e intrecciò le braccia dietro la testa.
Ancora una settimana e poi sarebbe davvero finito tutto, per lui.
Cosa gli restava di quell’esperienza? Un’insignificante annotazione sul curriculum, un mal di schiena colossale, un compleanno di umore nero e un antiestetico segno dell’abbronzatura là dove la canottiera lasciava il posto alla pelle.
E poi un bacio. Dato a una perfetta sconosciuta – perché quello era, e soltanto quello – su un pavimento bollente, senza premeditazione, e soltanto una volta.
Buffo come preferisse ricordare quello, piuttosto che le menzogne di Temari.
Ah, Temari, il suo nome. Non aveva mai scoperto il cognome, non aveva mai avuto il suo numero di telefono, con lei aveva parlato solo dell’esposizione e raramente di sé. Non sapeva nulla di ciò che faceva fuori dai confini dell’esposizione, o di chi fosse quando non era con lui. Non sapeva nulla di nulla. Eppure non smetteva di pensarci.
Allora com’è andata con la bionda?” gli avevano chiesto gli amici la sera del suo compleanno.
Lui si era stretto nelle spalle, aveva bofonchiato che non era andata, e l’argomento si era chiuso lì. Per gli altri.
Di certo non per lui. Perché, senza volerlo, il pensiero di quel bacio aveva preso ad ossessionarlo, trasformando l’offesa ricevuta in uno screzio di poco conto.
Se soltanto avesse avuto almeno un numero di telefono, sarebbe stato molto più tranquillo. Cioè, probabilmente non l’avrebbe chiamata, no – troppo orgoglioso. Ma averlo sarebbe stato confortante.
Che pensieri idioti, gli venne da dirsi. Era inutile piangere sul latte versato, non aveva quel numero e mai lo avrebbe avuto, punto. Anzi, avrebbe fatto meglio a scordarsi la stessa Temari, perché probabilmente non l’avrebbe più rivista.
Involontariamente si accigliò.
Non l’avrebbe più rivista.
La cosa lo disturbava.
Di scatto si rialzò a sedere, improvvisamente innervosito, e riaprì gli occhi nel chiarore fin troppo limpido del primo pomeriggio.
E fu allora che un’ombra andò a coprirlo.
«Fine della pausa» gli disse lo stesso uomo che lo aveva invitato a unirsi agli altri, piantato accanto a lui con un sorriso che voleva essere accattivante.
Shikamaru sbuffò, ma raccolse le sue cose e si alzò in piedi.
Suo malgrado era deluso. Per un attimo, in quell’ombra, ci aveva sperato.

A metà pomeriggio aveva già una spalla dolorante. I bar avevano avanzato molte più lattine del previsto, e se volevano scaricare tutto in tempo dovevano darsi una mossa.
Shikamaru depositò l’ennesimo scatolone nel retro di un camion, lasciandolo all’uomo che lo avrebbe impilato sugli altri, e tornò verso i mucchi che ancora lo attendevano.
Vedeva gli altri operai chiacchierare e scambiarsi battute con voce aspra, ma lui era escluso dal loro mondo di cameratismo e mascolinità. Niente pacche sulle spalle, niente sorso di sakè introdotto di frodo, niente commenti sulla bionda che si avvicinava a passo marziale...
Alt.
Bionda?
Shikamaru strabuzzò gli occhi. La ragazza che stava attraversando lo spiazzo, seguita dalle occhiate ammiccanti degli uomini, era indubbiamente Temari. E lo fissava con un’arroganza fuori dal comune – cioè con la solita arroganza.
Shikamaru si fermò, a metà strada tra il camion e i mucchi di scatoloni ancora da scaricare, e sentì lo stomaco che piombava bruscamente nelle scarpe e poi risaliva fino alla gola, per assestarsi all’altezza dell’addome soltanto dopo una turbolenta lotta con i polmoni.
Solo allora ricordò come si erano lasciati quindici giorni prima, e il suo orgoglio fece capolino e gli impose di sollevare il mento in atteggiamento dignitoso.
Non mostrarle che sei felice di vederla, si ordinò.
Lei lo raggiunse, senza aprire bocca, e si fermò a un passo da lui. Aveva i soliti jeans, ma al posto delle vecchie magliette c’era una camicia che a una prima occhiata sembrava di raso, aperta quel tanto che bastava per costringerlo a imporsi di non abbassare lo sguardo sul decolleté. Alle narici di Shikamaru arrivò un leggerissimo sentore di profumo – che in effetti non gli dispiacque affatto – ma riuscì a restare perfettamente neutro e impassibile. In mano lei teneva un giornale arrotolato, chissà per quale motivo.
Silenzio da ambo le parti.
Temari lo studiò per un lungo istante, riconoscendo fin nei minimi dettagli i suoi occhi svegli, i muscoli accennati, quel ciuffo che sparava verso l’alto, la bocca storta in una smorfia orgogliosa, così diversa quando le sorrideva, sarcastico ma più naturale.
Le piaceva coglierlo di sorpresa, strappargli espressioni non premeditate, vederlo per come era davvero, dietro il velo dell’orgoglio. Le era piaciuto stupirlo poco prima, comparendo all’improvviso, e il suo stupore era ciò che le aveva permesso di riconsiderare il disprezzo che nutriva per sé stessa da quando aveva ceduto, presentandosi lì.
Lo imitò, sollevando a sua volta il mento, e poi digrignò i denti in qualcosa che era a metà tra un sorriso e una minaccia, e gli tese il giornale arrotolato.
«Pagina tre» si limitò a dire, fredda.
«Ho già letto» ribatté lui senza muoversi.
«Free press» commentò Temari con una smorfia. «Se scrivono otto righe per la morte dell’imperatore è tanto»
Shikamaru si arrese e prese il giornale, sfogliandolo perplesso. Tra una pagina e l’altra trovò il tempo di gettare a Temari rapide occhiate, ma non riuscì a capire quali fossero le sue intenzioni.
Alla fine trovò l’articolo che lei voleva mostrargli, campeggiante su due intere facciate. Il titolo, a caratteri cubitali, blaterava qualcosa sullo strepitoso successo dell’esposizione e sull’incredibile abilità del Trust che l’aveva diretta. Ma non fu quello ad attirarlo. Ciò che catturò la sua attenzione fu la foto al centro dell’articolo, che ritraeva il gruppo Suna al completo. Di fianco alla figura al centro, il direttore, c’era Temari, avvolta in un tailleur pantalone che, per assurdo, le stava bene. E dire che Shikamaru era convinto che fosse una ragazza solo da jeans e t-shirt.
La didascalia in basso recitava: Godaime Sabaku, direttore del Trust ‘Suna – wind of change’, e i suoi collaboratori. A destra, sua figlia Temari, 21.
«Però» mormorò Shikamaru con forzata indifferenza, senza staccare gli occhi dall’immagine in bianco e nero. «Non pensavo fossi così in alto. Potevi anche evitare di chiedermi a quanto ammonta il mio stipendio, visto che esce quasi dalle tue tasche. E sei più vecchia del previsto, ti davo sì e no vent’anni»
«Idiota» sibilò lei indispettita. «Leggi quello che ho sottolineato»
Shikamaru cercò con lo sguardo le righe segnate da Temari, e le trovò più o meno a metà articolo, nel breve trafiletto a lei dedicato.

La giovanissima organizzatrice dell’area dell’Esposizione è la figlia del direttore del gruppo, nonché sorella di Gaara del Deserto e Kankuro Sabaku. Se la via dei suoi fratelli è stata quella dell’arte, la sua indubbiamente è quella della logistica, perché la sua gestione degli stand è stata decisamente lodevole.
«In realtà non ho fatto tutto da sola» confessa quando le chiediamo se è orgogliosa del proprio lavoro. «Pochi giorni prima della fiera mi sono imbattuta in un arrogante manovale che mi ha fatto notare i difetti della precedente disposizione, e il venerdì ho fatto modificare ciò che andava cambiato»

Lì terminava la parte sottolineata da Temari, ma Shikamaru andò avanti a leggere ancora un po’.

Quando cerchiamo di sapere qualcosa in più del misterioso e arrogante manovale, però, Temari si chiude in un silenzio molto sospetto, e istintivamente ci viene da pensare che sotto la scorza sicura e solida che vuole mostrarci batta una cuore dalle sfumature rosate.

«Un cuore dalle sfumature rosate?» si trovò a dire Shikamaru, con una smorfia incredula.
Temari arrossì bruscamente, strappandogli il giornale di mano.
«Non dovevi leggere fin lì» sibilò irritata.
«Qualcuno dovrebbe ricordare a quel giornalista per che tipo di quotidiano scrive» continuò lui, soddisfatto dal colorito assunto dalle guance abbronzate.
«Smettila» ringhiò lei a disagio.
Lui fece scomparire il sorriso. «Allora? Perché sei qui?» chiese asciutto.
Temari strinse i denti.
«Per dimostrarti che non sono una stronza» ribatté sostenuta. «Non mi sono presa tutto il merito, e se non ho fatto mettere in quell’articolo il tuo nome è solo perché non sapevo se saresti stato d’accordo»
Ottima risposta, si complimentò con sé stessa. Neutra, fredda, perfettamente logica e razionale.
«Ti importa della mia opinione fino a questo punto?» sogghignò Shikamaru, guardandola di sottecchi.
Temari imprecò mentalmente, e la sua soddisfazione si sgretolò.
«Ci tengo alla mia reputazione» sibilò asciutta.
«Oh, capisco» ribatté Shikamaru, senza insistere. Avrebbe potuto aggiungere altre cose, smontarla in meno di un secondo, ma si trattenne.
Quando cerchiamo di sapere qualcosa in più del misterioso e arrogante manovale, però, Temari si chiude in un silenzio molto sospetto.
Gli sembrava quasi di vederla, mentre squadrava male il giornalista che voleva indagare nella sua vita privata; perché Temari era una che se la sapeva cavare, non aveva bisogno del principe azzurro che accorreva in suo soccorso, non arrossiva balbettando. Ti stendeva con un’occhiata, semplicemente.
Di nuovo calò un penoso silenzio.
Temari iniziò a fissare il pavimento, torturando il giornale tra le mani, e Shikamaru sorrise appena, notando ogni suo gesto.
Altro che orgoglio e scorza sicura e solida; da quel punto di vista era molto più bravo lui.
«Era la prima volta» se ne uscì lei all’improvviso, quasi imbronciata, schivando il suo sguardo.
Lui inarcò le sopracciglia.
Parlava del bacio? Era il suo primo bacio? Difficile crederlo, da come...
«Era la prima volta che mio padre mi lasciava un progetto» continuò lei, smontando le sue ipotesi.
Ah, ecco. Ovvio” rifletté lui sentendosi discretamente idiota. D’altronde Temari non si muoveva certo come un’adolescente inesperta, lo sapeva fin troppo bene.
«Mi sono sempre occupata di tutto in casa, mia madre è morta che ero piccola, e papà era sempre impegnato» continuò lei in fretta, quasi le costasse fatica. «Per anni ho chiesto di avere per le mani un progetto vero, di dimostrargli che ero una brava organizzatrice. Gli sono sempre stata dietro, ho seguito la preparazione di tutti gli eventi più importanti, e finalmente quest’anno mi ha dato il permesso di occuparmi dell’esposizione. Non potevo permettermi errori, non dopo aver insistito tanto» smise di torturare il giornale, e invece prese a lisciarlo nervosamente. «All’inizio, quando abbiamo parlato la prima volta, non avevo intenzione di modificare nulla, pensavo che uno o due imperfezioni sarebbero passate inosservate» borbottò. «Ma poi tu ne hai tirate fuori così tante che il progetto ha iniziato a sembrarmi orribile, e ho dovuto modificarlo. Anche perché mi ribellavo all’idea di offrire al pubblico un prodotto incompleto» si passò una mano tra i capelli, sciolti e ribelli. «Insomma... non avevo premeditato niente. Anzi, sei stato un gigantesco inconveniente, per me»
Lui la lasciò parlare, senza interromperla. Vederla schivare il suo sguardo e giocherellare con il giornale, rigida, gli confermò che quel famoso bacio aveva voglia di darglielo eccome. Il suo nervosismo non era dovuto al racconto del suo passato, alle confessioni riguardanti la sua infanzia, ma alla reazione che lui avrebbe avuto. E, da quel che poteva capire, era evidente che il suo parere le importava più di quanto fosse disposta ad ammettere.
Shikamaru aspettava soltanto che facesse il primo passo verso di lui, e poi l’avrebbe seguita senza protestare. Ormai aveva imparato a conoscerla.
Temari tacque, e finalmente tornò a guardarlo, in attesa della sua reazione. Lui si strinse nelle spalle, cercando di usare un tono conciliante.
«Va bene» disse. «Ho capito»
Lei sembrò sollevata. Così sollevata che risfoderò il solito sorrisino arrogante, e rialzò il mento orgogliosamente.
«Perfetto» decretò con voce ferma.
Attimo di sospensione.
Shikamaru rimase in attesa, fissandola. Lei ricambiò lo sguardo, a malapena rigida. Lui sbatté le palpebre. Lei pure.
«Beh» disse poi Temari. «Allora ciao»
«Cosa?» si lasciò sfuggire lui, colto in contropiede.
Lei gli scoccò un’occhiata, trattenendo il respiro, in attesa di una sua parola qualsiasi, una scusa qualunque per restare.
«Ah. Giusto» fu ciò che disse invece Shikamaru, in un brontolio offeso. «Ciao»
Ehm. Forse non la conosceva tanto bene, realizzò. Ci era rimasto male: a quanto pareva non aveva capito nulla.
Non vide il lampo di delusione nello sguardo di lei, né sentì la nota esitante nella sua voce mentre ripeteva il saluto. Temari gli diede le spalle con lentezza esasperante, e senza che nulla accadesse prese ad allontanarsi.
Un passo.
Dai, girati e torna indietro” pensò Shikamaru.
Due passi.
Dai, chiamami e non me ne vado” pensò lei.
Tre passi.
Cazzo, se ne va davvero!”
Quattro passi.
Ok, è troppo imbecille o troppo orgoglioso”
Cinque passi.
Sono un coglione”
Sei passi.
Mi serve una scusa, solo una scusa”
E finalmente, al settimo passo, tutti e due ebbero l’illuminazione.
Al diavolo l’orgoglio!” si disse Shikamaru, stringendo i pugni, e la chiamò nell’istante esatto in cui lei si voltava.
«Giusto» sorrise Temari, tornando indietro in fretta e frugando in una tasca dei jeans. «Ero venuta qui per una cosa» mentì spavalda, con il cuore che batteva più rapido. «Cioè, mica mi sarei spostata solo per quello stupido articolo, no?»
Lui le scoccò un’occhiata in tralice, indeciso sull’espressione da assumere: gioia? Indifferenza? Irritazione? Perplessità? Ah, ecco, aveva trovato: confusione.
«Tieni» continuò lei, e gli tese un biglietto da visita color panna. «Pensavo di assumerti part-time per dare l’ultima revisione ai miei futuri progetti. Sempre che ti vada di viaggiare un po’, tutto spesato»
No che non gli andava. Odiava viaggiare, odiava faticare e sopportare i cambiamenti di fuso orario.
Ma prese il biglietto con un mezzo sorriso, senza aprire bocca, e guardò per un lungo istante il numero di telefono in caratteri svolazzanti sotto il nome.
«Allora?» lo incalzò Temari, con un velo d’ansia nella voce.
Lui la fissò di sottecchi. «Vedremo» sorrise. «Tu prova a chiamarmi e sento dove sei e cosa vuoi»
Lei strinse appena i denti. Oh, quanta arroganza. Ma, nel loro caso, una risposta del genere era quanto di più simile a un sì potesse aspettarsi.
«Mi piacerà sentire i tuoi lamenti quando sarai ai miei ordini, piagnucolone» sibilò, dolce e malvagia.
«E forse a me piacerà farteli sentire, seccatura» replicò lui con un ghigno. «Amo darti fastidio»
«Vedremo» Temari sollevò il mento. «Ti chiamo io quando ho bisogno, il tuo numero lo prendo dal curriculum»
«Non telefonare prima delle undici, che dormo»
«Sarà un piacere svegliarti all’alba»
Si scambiarono un ultimo sguardo, intriso di strafottenza e di promesse. Entrambi sentirono le labbra piacevolmente calde al pensiero di quello che sarebbe stato, e poi Temari gli voltò le spalle, di nuovo, ma in maniera totalmente diversa da prima.
Questa volta non era un addio, era soltanto un arrivederci che avrebbe aumentato il piacere del prossimo incontro. Non era una fine, ma solo un intervallo.
E tutti sanno il secondo tempo di un film è sempre il migliore.
Quando Temari era ancora a qualche metro di distanza, dagli operai si sollevò un coro di fischi entusiasti.
«Sei il nostro orgoglio, ragazzo!» ululò qualcuno, tra le risate generali.
Temari si voltò di scatto, rossa in viso, e Shikamaru sollevò trionfante il biglietto da visita con il suo numero di telefono. Neanche un’ora prima aveva snobbato quegli uomini rozzi, chiuso nel suo mutismo di ragazzo deluso, ma ora gli faceva piacere sentirli vicini, e gli piaceva il cameratismo un po’ volgare che dimostravano.
«Se non chiudete quella bocca vi faccio licenziare tutti!» ringhiò Temari minacciosa.
Quando però i fischi si alzarono di nuovo, con un cenno irritato li piantò in asso e se ne andò per nascondere l’imbarazzo.
Shikamaru sorrise alla sua schiena che si allontanava, e si rigirò il biglietto da visita tra le mani, avvertendo un piacevole calore all’altezza dello stomaco.
Aveva la sensazione di non essere arrivato affatto lontano, di essersi limitato a girare in tondo e basta. Ma per la prima volta quell’idea gli piaceva.
Sapeva che la vera partenza doveva ancora arrivare, nel secondo tempo.












E questa è davvero la conclusione!
Perdonatemi per il ritardo, sono rimasta incagliata in una fase di emo-ite acuta e in un paio di orribili esami, e solo ieri mi sono liberata di entrambi. Ma ora sono qui, vi lascio l'ultimo capitolo, e vi dico che ultimamente mi sento abbastanza nera da scrivere un seguito. Non lo garantisco, perché sono anche parecchio impegnata con altri progetti, ma non si sa mai.
Dovesse esserci, presumo che sarà discretamente arf (U_U Colpa di Cami e Robi) e un filino più incasinato di questo. Per intenderci: entreranno in gioco parenti, amici e conoscenti (leggi: Kankuro, Gaara, Ino...).
Bene, con questo ho detto tutto!
Ringrazio le persone che hanno aspettato pazientemente l'ultima parte, abbraccio tutti e vi saluto! ^_^
Alla prossima!

Aya

Talpina Pensierosa: ma va', mica hai da scusarti per le frasi che scrivi! XD Non me la sono presa di certo!
stefy90: sì, direi che in questo intervallo qualcosa è successo eccome! Insomma, si è risolta tutta la faccenda! XD Beh, spero che ti sia piaciuto e che si sia rivelata una degna conclusione! Ciao! ^_^
shikatema: oh, salve! Dal tuo nick deduco che tu sia una mosca più nera del petrolio, e dunque mi fa molto piacere leggere che ti sono piaciuti i miei Shika e Tem! ^_^ La seconda parte, come ho detto poco sopra, è ancora un punto interrogativo, e non so se, come e quando la scriverò. In ogni caso, sono contenta di averti vista qui! ^^
Kaho_chan: ed ecco anche l'intervallo e l'happy ending che una storia del genere richedeva (essendo che il concorso voleva si concludesse con una ShikaTema...) I tuoi commenti sono sempre molto divertenti, lo sai? ò.ò Credo che riuscirebbero ad esserlo anche per cose angst che grondano morti e sangue, uhm... Devo provarci! <3
Maobh: e no mia cara! Niente capitolo sull'inaugurazione, passiamo già al finale! E non c'è nemmeno stata tanta gelosia, ora che lo noto... Eheh, era proprio una ficcyna semplice! XD
Kairi84: oh, prima o poi si riprendono per forza, lo chiedeva il contest! U_U Solo che si riprendono a modo loro! XD Ah, vedi di farti trovare online ogni tanto, che devo presentarti Mala_Mela!

  
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