Ottavo Capitolo:
Άβυσσος
Gli
occhi glaciali di una giovane Comandante scorsero chiaramente tra le file
dell’esercito nemico la figura rilevante dell’Imperatore d’Oriente, lo stesso
che tempo prima aveva tentato di impadronirsi di quei territori, massacrando il
corpo del più grande Stratega e Polemarco.
Un
uomo massiccio, muscoloso, non molto alto, con una lunghissima chioma nera e
liscia che lasciava scoperto il viso severo, non protetto dall’ elmo, dove
spiccavano due minute iridi dorate. Non era lì per combattere, avrebbe lasciato
un simile fardello ai suoi più fidati Generali. Era lì, nelle vesti sontuose
del suo ruolo, per vedere la donna-guerriero diventata così famosa per la
propria impeccabile strategia, tanto che la falange che comandava era stata
soprannominata Athánatos, ovvero Immortale.
Non era ancora giunto lo scontro finale, poiché sapeva che in
quella giornata estiva, dove il sole splendeva alto nel cielo e cuoceva
lentamente i soldati nelle loro armature, lui avrebbe ricevuto una sconfitta
memorabile. Ma non si preoccupava, perché sacrificare una legione non era nulla
in confronto allo spettacolo che stava per assistere.
Un suo ufficiale gli si avvicinò e iniziò a parlare nella lingua
appartenente ai popoli dell’estremo oriente.
<< Mio Xiānshēng, siamo in forte vantaggio numerico. Una
falange contro un’intera legione>>
Una falange non superava mai i cinquecento uomini, perché
doveva essere un gruppo facile da muovere sul campo e efficiente per ogni
cambio di strategia; una legione invece spesso poteva superare persino i
diecimila, anche se in quell’occasione si limitava soltanto a tremila soldati
armati fino ai denti.
<< Lo so>> rispose calmo l’Imperatore,
sfiorandosi con una mano la lunga barba corvina striata di bianco.
<< Perché così tanti uomini?>>
<< Perché altrimenti che divertimento ci
sarebbe?>>
<< Vuole così tanto l’Elláda?>>
<< Mi piacciono i loro vini, mi sembra normale>>
rise lo Xiānshēng, prima di abbandonare completamente l’esercito e compiere il
viaggio di ritorno in patria, scortato da una ventina di cavalieri armati.
Il combattimento si sarebbe svolto in uno stretto passaggio
tra le montagne e da quel punto di vista, la falange del Comandante Thàlassa
avrebbe potuto anche avere la meglio; ma gli arcieri della legione erano i più
esperti e possedevano tecnologie ben più avanzate rispetto a quelle degli
avversari.
Inoltre gli esploratori avevano trovato un altro passaggio,
grazie al quale avrebbero chiuso l’esercito della donna tra due morse.
La caduta della leggenda era ormai prossima.
Quella fanciulla che incitava le proprie truppe in una lingua
tanto incomprensibile quanto musicale sarebbe morta in quella stessa giornata,
con una lunga asta impiantata nel ventre.
Era solo
questione di tempo.
Lachesi
guardò la folla strepitante che osannava la Legione Esplorativa. C’erano molti
uomini, donne, persino bambini ad acclamare la partenza, come se quei soldati
fossero veri e propri eroi, paladini della giustizia che con le loro gesta
avrebbero estinto il pericolo dei Giganti. E forse era così, anche se
l’ex-comandante temeva per una minaccia ben maggiore di alcuni abomini privi di
cervello.
Da
troppo tempo tutto era stato fin troppo calmo, semplice. La sua vita non aveva
incontrato nessun ostacolo, era trascorsa in modo fluido, tra allenamenti e
piccoli momenti di svago, grazie ai quali i rapporti con la squadra si erano rafforzati.
Una
sensazione amara le strinse lo stomaco, mentre i suoi pensieri convergevano su
Pólemos. Da anni quell’uomo voleva espandere il regno fino a occidente e lei
temeva che avesse colto l’occasione per partire con l’esercito. No, lui
sicuramente aveva problemi ben maggiori di carattere burocratico da sistemare.
Dopotutto era un dittatore, il solo a comandare, quindi doveva restare in
patria e affermare il proprio potere.
Come
se non l’avesse già fatto.
Scosse
il capo: forse, dopo tanto tempo, finalmente gli Dei le avevano concesso un po’
di pace; quindi non doveva temere per l’avvenire, ma concentrarsi sul presente.
Fu
allora che, alzando lo sguardo al cielo, notò un corvo nero che volava contro
il sole, volteggiando sopra le loro teste. Chinò lo sguardo irradiato dall’accecante
luce, mordendosi il labbro inferiore.
Seppur
fosse un segno di morte, lei avrebbe fatto di tutto pur di sventarlo, anche
combattere contro quegli enti che lei chiamava Divinità.
Immersa
nei propri pensieri com’era, non si accorse nemmeno che un bianco cavallo le si
era accostato e che a cavalcarlo si trovava Elizabeth, la quale portava un
lunghissimo mantello verde scuro, al contrario degli altri soldati a cui
arrivava massimo a metà schiena.
<<
Lachesi>> la chiamò la dottoressa, tirandole una ciocca.
<<
Mhm?>> mugugnò la ragazza, non riuscendo ancora a mascherare
completamente le proprie preoccupazioni.
<<
Qualsiasi cosa accada là fuori, tu non abbandonare la squadra>> le intimò
Newton, seppur con un tono quasi materno, come se sapesse cosa le passasse per
la mente << Con l’orso hai visto giusto: portandola fuori hai impedito
che compiesse una strage. Ma ricordati che su questa scacchiera tu non sei sola
e che non sei un semplice pedone sacrificabile>>
<<
Ma se non morirò io, qualcun altro cadrà al mio posto>>
<<
Lachesi, segui gli ordini di Levi, qualsiasi cosa accada. Siamo intesi?>>
La
ragazza non rispose, strinse soltanto le briglie del proprio cavallo con maggiore
forza. Sapeva che Elizabeth diceva il giusto, ma non riusciva a frenare il
proprio spirito battagliero.
E
se l’avesse visto? Cosa avrebbe fatto?
Lui,
sul suo enorme lupo corazzato corvino, mentre la guardava ghignante. Sarebbe
realmente riuscita a rimanere nel gruppo, desistendo dall’attaccarlo? La
risposta non poteva essere altro che negativa.
Aveva
sofferto troppo a causa di quell’abominio per restare calma, in silenzio. Giurò
che gli avrebbe tranciato la testa e avrebbe lasciato il cadavere a marcire per
la gioia delle carogne, come lui tempo prima aveva fatto con la sua falange.
Se
ci fosse riuscita.
Infatti
Pólemos era il Comandante più forte e in uno scontro corpo a corpo la potenza
muscolare aveva il suo peso. E poi non era stupido, aveva anni di battaglie
alle spalle ed era stato anche eletto come secondo Stratega, prima dietro al
padre di Lachesi, poi a Lachesi stessa.
La
ragazza fece un sospiro rassegnato, capendo di non avere ancora le capacità di
sconfiggerlo.
A
smuoverla dalle sue preoccupazioni, fu l’ordine di Erwin, chiaro come il rombo
di un tuono, il quale la riportò alla realtà. In pochi attimi, sarebbe uscita
dalle mura e avrebbe marciato verso Wall Maria. Frenò il cuore, fece un lungo
respiro e poi, quando le grate furono alzate, imitando gli altri soldati,
spronò il proprio destriero.
Sentì
l’impetuoso vento invernale muoverle i lunghi capelli castani, sciolti,
accarezzarle il viso, fino a penetrare sotto i vestiti, agghiacciandole il
corpo. Dopo mesi, non si era ancora abituata alle temperature rigide del luogo,
tuttavia mascherò le proprie sensazioni con un’espressione feroce, da fiera
selvatica a digiuno da troppo tempo.
Giurò
a sé stessa che avrebbe combattuto anche fino alla morte, che non avrebbe
ceduto alla paura nemmeno quando la lama di una spada fosse prossima a
decapitarla.
Quando
furono distanti dalle mura, i militi si misero nella formazione prestabilita. Lachesi
si trovava nella squadra di Levi, nell’ala sinistra centrale, assieme a Eren,
Mikasa, Elizabeth e Oscar.
Osservò
il Caporale Maggiore più volte, ripensando a ciò che le aveva detto Newton. Si
doveva fidare di lui, come aveva sempre fatto. Non doveva cadere negli impulsi,
seppur fossero forti, anche più potenti della ragione. Doveva restare al fianco
di quell’uomo.
L’ultimo
punto però non gli era suggerito dalla dottoressa o dalla materia grigia, bensì
da qualcosa di più profondo, di pulsante, che lei aveva soffocato da troppo
tempo con il proprio spirito bellico. E ciò le fece anche più terrore dell’idea
di trovarsi davanti Pólemos e di non riuscire a sconfiggerlo.
Tirò
lievemente le briglie del quadrupede, rallentando impercettibilmente la
corsa
per allontanarsi dal proprio superiore, raggiungendo invece Ackerman.
Sembrava un gesto infantile e forse lo era, ma almeno così la
giovane si sentiva più sicura.
Sulla
strada, in un primo momento, stranamente non trovarono molti Giganti e quei
pochi che avevano incrociato, venivano evitati con grande maestria.
<<
Sono molti meno>> commentò stupita la dottoressa << Peccato, volevo
proprio squartarne qualcuno con le mie mannaie>>
<<
Tu non squarterai proprio nulla, donna>> sbottò il capogruppo <<
Nessuno deve separarsi dalla squadra>>
<<
Nano bastardo>> bofonchiò << Almeno un Gigante di cinque metri me
lo potresti concedere>>
<<
No>>
<<
Ma così diventa una spedizione priva di adrenalina! E un po’ di adrenalina nel
sangue ci vuole>>
<<
Se fosse per me, ti avrei già spedito in bocca ad un Gigante>> brontolò
il Caporale Maggiore, per poi fulminarla con sguardo cupo, virando infine
l’occhiata su Lachesi, la quale osservava un punto indistinto della pianura
<< Ohi, Lachesi>> la chiamò.
La
ragazza scosse il capo, come appena destata da un lungo sogno. O incubo, a
giudicare dagli occhi spalancati.
<<
Che c’è?>>
<<
Resta concentrata>>
<<
Sono concentrata!>> ribatté lei in tono battagliero.
<<
Non mi sembra. C’hai lo sguardo perso da quando siamo partiti. Se vuoi finire
divorata da un Gigante, non mettere a rischio la mia squadra>>
<<
So badare a me stessa e non ho intenzione essere divorata>> disse lei con
tono glaciale, innervosita più con se stessa che verso il Caporale Maggiore.
Questo
abbozzò un impercettibile sorriso nel vedere rifiorire la grinta della
soldatessa, la quale ora aveva uno sguardo più fermo e concentrato. Ogni
preoccupazione si era dileguata da quel corpo ed era tornata la fredda logica
da ex-comandante.
Sul
percorso per la riconquista di Wall Maria iniziarono anche a incontrare alcuni
Giganti. Erano normali abomini, anche se più proseguivano con la marcia,
virando, incurvando la linea retta del tragitto per evitare scontri, più
s’imbattevano in alcuni che definirli anomali era ancora poco.
Erano
veloci e puntavano più che altro a spostare, anzi, a guidare la legione,
piuttosto che uccidere i soldati, evitando egregiamente gli attacchi di chi provava
a colpirli. Senza divorare nessuno.
Lachesi
provò ad avvertire Levi dell’eventuale trappola, di rompere la formazione, ma
le parole le morirono in gola quando il suo superiore le rispose in modo autoritario.
Lui non avrebbe mai disubbidito agli ordini di Erwin o almeno così piacque credere
alla giovane, anche se l’idea che non si fidasse ancora di lei le stringeva il
cuore in una morsa glaciale.
I Giganti, che fino ad un attimo prima erano impossibili da attaccare,
vennero abbattuti con estrema facilità, così la marcia
continuò senza ostacoli per un tratto abbondante di strada,
allontanandosi sempre di più dalle mura, finché queste
non divennero un lontano ricordo alle loro spalle.
I
militi continuavano imperterriti, pensando di essere diventati ormai
esperti riguardo il nemico. Alcuni addirittura ridevano o scherzavano,
si schernivano a vicenda, nella più totale tranquillità,
anche se si riusciva ancora a percepire la rada tensione.
Un sogghigno.
Un impercettibile gesto di mano.
Ed improvvisamente ogni loro sicurezza svanì.
Un orso abnorme
sfondò di prepotenza l’ala destra, mettendo in fuga i superstiti, i
quali intralciarono gli altri soldati.
L’animale
ruggì, opprimendo gli animi dei presenti, facendo vibrare le loro interiora e congelando
molti dal terrore più puro.
Altri
due Giganti dotati di intelligenza iniziarono a incalzare, a disperdere i
militari sull’ala sinistra. Erano corazzati in tutti i sensi e dotati di una
forza e una velocità inaudita, ben superiore a tutti gli abomini che avevano
incontrato fino a quel momento, persino più resistenti del Colossale e del
Corazzato. E anche di Eren e Oscar.
I
soldati non potevano ritornare dentro Wall Rose, perché ormai i cancelli erano
troppo lontani. Non potevano rifugiarsi nella foresta, perché si trovavano in
aperta pianura e avevano la strada sbarrata dai due mostri. Erano come animali
caduti nella rete di un cacciatore.
Chi
tentava di fuggire, lontano dalle creature abnormi, veniva sgozzato da una bellissima
donna, dai lunghi capelli biondi e mossi, armata con una letale falce e due
fatali stiletti, a cavallo di un cupo destriero a dir poco spettrale, forse a
causa dell’armatura.
<<
Caporale!>> urlò d'un tratto Elizabeth, tenendo a bada il proprio cavallo
imbizzarrito.
<<
Restate uniti>> ringhiò l’uomo.
<<
Bisogna portare in salvo il salvabile>> disse Lachesi, la quale aveva già
un piano nella mente, seppur fosse conscia del pericolo che avrebbe corso.
<<
E come?!>>
<<
La foresta non è lontana. Io insieme ad un altro Gigante potremmo distrarre i
due e lasciare così una via di fuga. L’orso e la donna sono impegnati a
uccidere chi fugge nell’ala destra...>>
<<
No>> rispose secco e impulsivo il Caporal Maggiore.
<<
Perché non ti fidi di me?!>> sbraitò Thàlassa << Se stiamo qui
verremo uccisi o peggio!>>
Lui
non le rispose e ciò scatenò le ire dell’ex-comandante, la quale smontò da
cavallo e partì ugualmente alla carica. Non si curò dei richiami di Levi,
avanzando invece con maggiore velocità e sguainando le spade. Inspirò
profondamente e attirò su di sé l’attenzione dei due mostri con un grido
battagliero. Uno di questi, il più basso, di all’incirca diciannove metri, tentò
di ghermirla, ma lei evitò il colpo, piroettando in aria e atterrando poi sul
suo braccio. Lo percorse per tutta la sua lunghezza, fino a raggiungere metà avambraccio. Con l’ausilio della
manovra tridimensionale, riuscì ad agganciarsi all’altra spalla e con abile
mossa sgozzò l’abominio alla giugulare non protetta dall’armatura in cuoio;
prima che crollasse a terra, la ragazza tentò di finirlo alla nuca, ma il
secondo riuscì ad afferrarla alla vita in una morsa ferrea.
Urlò
di dolore non appena la stretta divenne sempre più opprimente, sentendo i
muscoli in un’unica fitta tremenda.
Levi,
che la vide da lontano, volle intervenire, capendo che lei non avrebbe mai potuto
reggere uno scontro con due Giganti, soprattutto quando stava per
sopraggiungere anche l’Orso, ma fu frenato da Newton.
<<
Se tu muori, questi soldati saranno davvero condannati. Non deve morire il loro
pilastro. Non può morire il suo
pilastro>> la donna abbassò la voce, facendola quasi diventare un
sussurro << Ti prego, non farle questo>>
Lachesi
fu scaraventata a terra con una violenza inaudita dall’abominio, ma quando questo
stava per darle il colpo di grazia che le avrebbe fracassato il capo, lei si
rigirò repentinamente su un fianco, evitando un potente pugno.
Un
sapore metallico le gorgogliò in gola, mentre il cremisi iniziò a fuoriuscirle
copioso sia dalle labbra, sia dalle braccia, le quali erano una posizione
innaturale con l’osso della spalla sinistra sporgente. Si reggeva a malapena in
piedi, essendo appena riuscita a concentrare le proprie capacità di rigenerazione
nelle gambe, seppur il resto del corpo urlava straziante pietà.
Ogni
passo era una tortura, ma doveva correre per non essere presa nuovamente dal
Gigante. Era ben conscia che non sarebbe mai riuscita a reggere per molto altro
tempo, ma sperava che quei minuti preziosi che le rimanevano fossero utili per
portare in salvo il rimanente della Legione Esplorativa. Almeno dentro alla
foresta sarebbero stati aiutati dall’equipaggiamento e avrebbero avuto una chance in più.
Non
appena fu di nuovo in grado di usare il braccio destro, amputò tre dita ad un
nemico, ma l’altro riuscì a schiacciarla al suolo. Lei sopravvisse, tenendo a
stento sollevata la mano avversaria mentre le proprie gambe scricchiolavano
impotenti, prossime al collasso. Gridò di rabbia, mentre sentiva la forza del
nemico quadruplicare, ma con lacrime che le scorrevano lungo il viso, tentava una
stregua difesa.
Era
bloccata, soffocata dal peso e dal pensiero di morire come un fastidioso
insetto. Pregò quindi per l’ultima volta le divinità affinché fosse riuscita a
salvare il salvabile.
Ma
la bianca dea non giunse ancora a prenderla.
Infatti
qualcosa frenò l’attacco dell’abominio. La ragazza riuscì a distinguere un
Gigante a lei familiare, il quale aveva colpito in pieno viso il mostro,
facendolo cadere contro l’altro.
<<
Eren>> mormorò, sentendo una leggerezza improvvisa.
Si
mise a fatica in posizione eretta, evitando appena una zampata dell’Orso e una
stilettata della donna, la quale però le sfregiò il volto. Ma a quel punto
intervenne il Gigante Piromane che ferì l’animale e con una vampata di fuoco
bruciò il mantello scarlatto della guerriera a cavallo.
Lachesi
si lanciò contro le caviglie dell’abominio più alto, riuscendo a causargli un
profondo taglio che lo fece crollare al suolo.
Finché
avrebbe avuto un solo briciolo di forza nel corpo avrebbe combattuto. Anche con
i denti e le unghie, non aveva intenzione di cedere.
Le
spettarono i minuti più lunghi della sua intera esistenza, dove si trovò fin
troppo spesso faccia a faccia con la morte; però riusciva a sfuggirle con la
stessa grazia con cui evitava gli attacchi mortali. Fu in grado anche di
tagliare la nuca del mostro più alto, riuscendo a farlo tacere una volta per
tutte.
Per
lei, riuscire a prevalere in quello scontro, fu come vincere una lunga guerra.
Estrasse
l’uomo che comandava il corpo titanico, pronta a sgozzarlo, ma l’intervento
repentino della donna la frenò e fu costretta così ad abbandonarlo per restare in
equilibrio sul filo tra vita e morte.
Eren
sfondò la mascella dell’altro abominio, fracassandosi però le nocche della mano
sinistra. Il suo braccio destro era ferito gravemente ed emanava un vapore
bollente, così come per il petto di Oscar, su cui si trovavano lunghe unghiate
sanguinanti.
Quest’ultimo
afferrò il collo dell’orso e lo scaraventò a terra, anche se poi l’animale gli
azzannò una gamba, spezzandogliela. Entrambi al suolo, iniziarono a lottare
con tutte le forze, rotolando e distruggendo gran parte della pianura già
martoriata.
Continuarono a resistere, ma il loro tenue barlume di vittoria si spense quando
sopraggiunsero altri soldati, i quali non li uccisero, però li misero in
condizione tale da non poter contrattaccare. Wilde era steso con l’orso che lo
immobilizzava e guerrieri che, grazie a lunghi cavi di un materiale corvino,
gli impedivano di alzare il capo; Jaeger invece era stato ferito da un uomo misterioso
che, con armi dalle lame nere come la notte, gli aveva tagliato le caviglie e
amputato entrambe le braccia. Poi questo afferrò una spada e la scagliò contro
Lachesi, la quale non fu abbastanza lesta per evitare il fendente che le
penetrò in profondità la spalla già ferita.
La
giovane crollò al suolo, lasciandosi un guaito per il dolore.
<<
Chi si rivede>> rise il guerriero, mostrando le fauci <<
Effettivamente, mi mancava una puttana nel mio harem>>
La
ragazza sgranò gli occhi.
Il
cuore le pulsava sin nelle orecchie, dolendole addirittura nel petto. Ebbe
appena la forza per alzare il capo e osservare le iridi azzurro elettrico
dell’avversario, il quale si trovava in piedi davanti a lei.
No.
Doveva
rialzarsi, non poteva dimostrarsi debole davanti a lui.
Tuttavia,
appena tentò di far pressione sulle gambe per reggersi nuovamente in piedi,
Pólemos le affondò la spada, costringendo così Thàlassa a cadere in ginocchio.
<<
Maledetto>> ringhiò a denti stretti, per impedire che un altro urlo
uscisse dalla gola.
<<
è così che saluti tuo marito?>> le domandò, avvicinandole l’altra lama
sul collo, sfiorandoglielo, mentre la teneva ferma per la lunga chioma <<
Sai cosa meriteresti?>>
Non
rispose. Non ne ebbe la forza.
Sentì
il flebile rumore del freddo metallo guizzare in aria, per poi piombare su di
lei e tagliare. Un getto di sangue le macchiò ulteriormente la camicia, ormai
lercia.
<<
Ora sei perfetta>> le sussurrò all’orecchio, rifoderando l’arma estratta
dalla spalla.
Una
cascata di capelli castani si sparpagliò sul terreno, mentre le iridi della
giovane diventarono sempre più lucide, assimilando lentamente ciò che era
successo. Poi delle calde lacrime iniziarono a solcarle il viso contro la
propria volontà, mentre stringeva i pugni per la rabbia che aveva iniziato a
pulsarle nel cuore.
<<
Papà...>> mormorò, afferrando una ciocca con la vista che le si
offuscava.
Mentre
Pólemos le stringeva un cappio intorno al collo, negli occhi cupi della ragazza
brillò una scintilla di odio proveniente dal muscolo palpitante.
<<
Sei la mia prostituta ora. Tuo padre capirà>> rise il Comandante, ma
ricevette un inaspettato pugno nello stomaco. Non gli causò dolore, anche
perché Lachesi era fin troppo affaticata per avere ancora energie; tuttavia
dovette stimare il coraggio o la stupidità di quella giovane, che anche in una
simile situazione combatteva.
Per
un breve istante, aveva rivisto la grinta del Polemarco assassinato sul campo
di battaglia un decennio prima e gli scappò un ringhio cupo. Le alzò il capo
con forza per la breve capigliatura, tipica delle schiave nella loro cultura,
per poi baciarla prepotentemente, arrivando persino a ferirle le labbra con le
proprie fauci.
Infine
la lasciò, spingendola malamente sulla terra battuta.
Appena
lei tentò di rialzarsi, lui le diede un calcio tale da farle rigettare sangue.
<<
Türannos, che ne facciamo di loro? E
dei fuggiaschi?>> chiese un guerriero.
<<
I due Giganti mettili nelle sapienti mani di Ýbris: lui sa zittire e addolcire i
cani rognosi. I fuggiaschi invece lasciali al loro destino, inseguirli sarebbe
solo una perdita di tempo>> detto ciò, diede un veloce sguardo al corpo
di Thàlassa e alle occhiate fameliche che il soldato le lanciava, visto che la
bellezza della giovane si era preservata perfettamente anche con i capelli più
corti, poi aggiunse: << Lei sarà il mio giocattolo per le
prossime notti. Nessuno la toccherà. Nessuno oltre a me>>
<< Certo, mio Türannos>>
rispose con un po’ di amarezza il sottoposto, poiché sperava che mettesse a
disposizione dell’esercito quella donna divina, come aveva fatto in precedenza
con tutte le altre ragazze.
<< Muori>> ringhiò
Lachesi, mentre veniva legata al nero lupo corazzato del Comandante.
Pólemos fece un ghigno divertito,
montando in groppa all’animale per poi spronarlo alla massima velocità,
costringendo Thàlassa a mantenere il passo, seppur non ne avesse la forza.
Nel frattempo Gwydion, richiamando
a sé con un acuto fischio un grosso corvo, si avvicinò ai due ragazzi che
avevano già saggiato la brutalità di quell’esercito, a quanto poteva notare
dalle grandi chiazze cremisi sulle camicie.
Con la propria mano insanguinata,
precedentemente ferita con uno stiletto, passò sui tagli più gravi dei prigionieri.
I due non dissero nulla, poiché erano a un punto dal crollare.
Sfiorò la chiave al collo di Eren
e la osservò incuriosito per qualche attimo. La rigirò tra le dita un paio di
volte, poi la lasciò, rialzandosi.
<< Che...>> biascicò
d’un tratto il ragazzo, alzando debolmente il capo dal suolo.
<< Vi aiuterà a rimarginare
le ferite>> sussurrò il druido, prima di allontanarsi.
Appena fece per montare in sella,
una donna, la stessa che si trovava tempo prima con lui a massacrare la Legione
Esplorativa, gli si accostò.
<< Vedo che ti sei riuscito
a superare la morte della tua compagna>>
<< Cosa?>> domandò
lui, voltandosi per incrociare quello sguardo celeste, malizioso come non mai.
<< Beh, quei due ragazzi
effettivamente sono un bel bocconcino. Se vuoi posso convincere Pólemos
affinché te li lasci. Dopotutto io sono la sua concubina preferita>>
<< Nessuno la può
rimpiazzare, specialmente quei due>> ringhiò Gwydion, salendo sul proprio
cavallo pezzato << E poi hai perso il tuo posto con una donna ben più
intelligente>>
<< Cosa?! Pólemos ha
riguardo di me! Io sono la sua nuova Thàlassa! Ti farò degradare per quel che
hai detto!>>
Lui non le rispose, spronando il
destriero. Non si curò degli urli isterici della donna, stringendo invece una
ferita che aveva iniziato a pulsargli nel petto.
Una ferita che non si sarebbe mai
rimarginata.
Fine ottavo capitolo!
Nome Capitolo: Abisso
Angolo dell’autrice:
Eccoci di nuovo qui! Dopo aver
affrontato Giganti ferocissimi (quali il mio profe di latino e di greco), oggi
volevo scrivere non di musica, non di curiosità, non di pezzi del background.
Bensì una mia demenza unica, dovuta ad una sclerata di un tardo pomeriggio con
una mia amica.
Tutto è nato dalla fatidica
domanda “E se Shingeki fosse un gioco di ruolo?”. La discussione è
proseguita con le cose più dementi, tanto che da qualche parte nella mia
cartella ho scritto anche qualcosa al riguardo, puro for fun, niente che mai
pubblicherò.
Ho giocato diversi anni a un videogioco
online della cara Blizzard (quanti soldi mi hai spillato XD), anche se
ormai l’ho abbandonato completamente,
perché non ho più schei ( ç.ç la mia
povertà), né voglia, né tempo per giocarci.
Però un piccolo tributo volevo ugualmente scriverlo (per alcuni
termini mi sono
fatta aiutare, lo ammetto, perché ho la memoria di un Gigante
comune).
Così... ecco qua, la mia pazzia
inizio interrogazioni! Buona lettura!
Esistevano
warrior, tantissimi warrior, ma nessuno di essi era IL warrior. IL warrior
infatti era un personaggio mistico, l’incontro tra un nano e un comodino Ikea
(per l’ampia espressività), con l’incazzatura tale da essere soprannominato
uomo-bestemmia.
Il nome del
giocatore era Levi. Il nome del personaggio che giocava era Heichō,
semplificato in Levi.
Giocava ovviamente
come Officer in una delle migliori gilde del server, la prima a fare le
first-kill dei boss e a fare achivement ai comuni mortali pressoché impossibili
senza abbondante gear.
In PVP, in ogni
luogo dove passava lui, non cresceva più l’erba.
Anche perché aveva
herbalism.
O perché aveva
dietro al culo Nanaba, il farmer di Gilda.
Asfaltava la gente
persino con le battaglie tra companion, con il suo cazzutissimo drago Rivaille.
Insomma, era perfetto. Nessun warrior Fury era come lui.
E giocava in una
gilda di menomati mentali.
Warrior: Guerriero
(un tipo di personaggio che si può giocare).
Officer: un
personaggio nella gilda normalmente poco sotto il capo, che ha il compito di
aiutare a gestire.
First-kill: prima
uccisione
Achibement: premi
che si conseguono dopo vari obbiettivi.
Gear:
equipaggiamento.
PVP: player vs
player, ovvero luoghi dove i personaggi si possono scannare.
Herbalism:
oddio... la traduzione italiana precisa non saprei (o perlomeno, la prima che
mi viene sarebbe raccoglitore di erba, ma suona abbastanza male). Sarebbe una
professione che permettere di raccogliere le piante per poi usarle per creare
pozioni o pergamene o...
Farmer:
personaggio che passa tutto il tempo a raccogliere materie prime.
Companion:
animaletto domestico che segue un personaggio.
Fury:
specializzazione del Guerriero.
Bon, e qui vi
saluto al prossimo capitolo! Probabilmente con il secondo quadrimestre sarò
meno presente... perché è il secondo quadrimestre, dopotutto. Anzi, se vogliamo
proprio essere fiscali, pentamestre. Quindi nulla, alla prossima! Un bacione a
tutti quelli che mi seguono!