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Autore: Kiki87    24/01/2014    3 recensioni
Ognuna di loro era una principessa e sapeva che le avrebbero insegnato qualcosa, seppur ancora non fosse abbastanza grande da considerarsi una di loro. Ma un giorno, le ripeteva la stessa melodica e soffusa voce, anche lei lo sarebbe stata e, finalmente, avrebbe compreso tutto.
Da sempre amante delle favole, Brittany deve affrontare una nuova realtà ben diversa da quella conosciuta e rassicurante. Con le presenze rassicuranti della madre e di Lord Tubbington, incontrerà nuove persone e inizierà una nuova vita. Sarà duro il cammino per sentirsi come le sue principesse preferite? Troverà, infine, quel principe di cui sognava da bambina?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Brittany Pierce, Hunter Clarington, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10
(…) “Perché non importa dove vai o cosa vedi,
vorrai sempre essere nel luogo in cui appartieni,” disse Lucy.
“La tua casa è dove più ti senti a tuo agio ed amata,” disse Wendy.
“E' una parte di te,” aggiunse Alice. “E' dove si trova la tua famiglia”.
“Non c'è nessun posto come casa,” disse Dorothy, come se
non avesse mai pronunciato quelle parole.
(The Land Of Stories: The Enchantress Returns1 - Chris Colfer)


Capitolo 10


Dopo aver vissuto tutta la sua vita a New York, nella stessa casa, era al quanto strano trovarsi nuovamente da capo: un secondo trasloco e una nuova dimora ad accoglierla. Il tutto era avvenuto in un periodo molto più breve.
Il viaggio in aereo non era stato particolarmente entusiasmante: suo padre si era immerso in pratiche di lavoro per quasi tutto il tempo, scritto sulla sua agenda con l'immancabile penna stilografica, trascritto documenti al computer2 o letto fascicoli interi che avevano un'aria molto noiosa, a suo modesto giudizio.
Brittany aveva diviso la sua attenzione tra la vista al di fuori del finestrino (non che ci fosse molto da scorgere, dopo aver trascorso mezzora ad indovinare le forme delle nuvole, a dirla tutta) e l'indugiare sulla presa salda dell'uomo sulla penna. Lo stesso modello di quella con cui aveva trascritto la dedica sul suo libro: si era chiesta, le guance rosate, se una volta giunti a Washington, sarebbe stato disponibile a leggerle nuovamente qualche favola della buonanotte. O se lui stesso ricordasse quei momenti con la sua stessa emozione e nostalgia.
Ci sarebbero state così tante domande da formulare su quel lungo periodo di lontananza, sulla sua nuova famiglia e su come avevano accolto la notizia del desiderio di condurla con sé. Stava cercando di farsi coraggio per rivolgergli parola, e magari riscuoterlo dalla lettura, quando l’hostess della business class chiese solo se avessero voluto favorire di qualche piatto o una bevanda.
Solo allora suo padre si era ridestato, aveva sorriso con la sua solita sicurezza e aveva ordinato due bicchieri di champagne: ne porse uno a Brittany che lo guardò con aria dubbiosa.
“Un brindisi è d'obbligo, direi”, le aveva sorriso, allungando il calice verso il suo per far cozzare i loro bicchieri. “Ad un nuovo inizio”, aveva sussurrato.
Aveva sorriso, Brittany, e seppure lo champagne le avesse scaldato lo stomaco (un po' amaro per i suoi gusti. E poi Neal, per festeggiare qualcosa, le avrebbe offerto una torta e le avrebbe ceduto tutte le fragole. Si era sorpresa per qual paragone, ma aveva scosso il capo), presto le procurò una lieve emicrania che la indusse ad appoggiare il capo contro il finestrino. Con la coda dell'occhio si accorse che l'uomo al suo fianco era nuovamente immerso nella sua lettura e aveva anche inforcato un paio d’occhiali.
Sospirò. Non era il viaggio che aveva sperato, ma avrebbe dovuto pazientare e sperare che Lord Tubbington dormisse per quasi tutto il tempo.


La villa che aveva di fronte era qualcosa di davvero... fiabesco. Contrariamente a quanto si era aspettata, dalle fotografie riportate in vecchi libri di scuola, suo padre non abitava nel centro urbano, ma in una zona di campagna i cui colori naturali davano al luogo un sapore più simile ad un giardino spropositato. Pareva di trovarsi al di fuori di un castello, pur con tocchi moderni come la piscina, il gazebo di legno con poltrone di un delicato color avorio. La struttura, in stile coloniale, ricordava per location la casa dei Nani di Biancaneve, per quanto molto più prestigiosa. Aveva una facciata di mattoni, sormontata dall'edera che sembrava essere parte stessa della bellezza, un'ampia porta ad arco con vetri trasparenti dava la vista sull'ampio giardino che doveva essere un bel ristoro durante le giornate estive. 3
Era rimasta molto sorpresa all'idea che il padre, tipico uomo d'affari che si recava sempre a lavoro in metropolitana, potesse adattarsi a quell'ambiente più rurale, ma, a quanto aveva appreso, si trattava di un'abitazione che la moglie Chloe, di famiglia benestante, aveva ereditato. Sembrava comunque ben avvezzo, a giudicare da come fosse naturale per lui rivolgersi ad un autista di limousine, con tono spiccio e formale, dicendogli semplicemente di ricondurli a casa, dopo averli presentati brevemente all'uscita dell'aeroporto.
Quest'ultimo, un uomo robusto ma dal sorriso bonario, le aveva aperto la portiera e, con sua gran sorpresa, aveva estratto la valigia del padre e il suo trolley. Quasi si vergognava di quel colore così vivace che sembrava spiccare rispetto a quella del padre, così elegante e dal colore più sobrio, soprattutto confrontandola con l'ambiente raffinato che si trovava di fronte.
“Posso portarla da sola”, aveva commentato, ma il padre le aveva stretto la spalla, ridendo come se avesse appena proferito una battuta di spirito.
“E' il suo lavoro, Brittany, lascialo fare: tu hai cose più importanti a cui pensare”, aveva scrutato il trolley con le sopracciglia appena inarcate.
Aveva annuito, Brittany, ma aveva osservato preoccupata l'uomo, mentre sollevava la gabbietta nella quale Lord Tubbington era sveglio e parecchio contrariato, a giudicare da come aveva rizzato il pelo e stava soffiando minacciosamente.
“Va tutto bene, Tubby”, cercò di carezzarlo dai fori della porticina che lo teneva chiuso all’interno.
“Viaggi leggera: Chloe e Vivian portano come minimo cinque valige a testa, quando andiamo in vacanza”, aveva commentato suo padre in tono distratto.
Brittany aveva sgranato gli occhi: soltanto nelle fiction aveva potuto contemplare simili lussi, ma non era qualcosa di troppo difficile da immaginare, se quella villa che avevano di fronte era per loro qualcosa di tanto abituale.
Sembrò in procinto di aggiungere altro, William, ma la suoneria dell'iPhone lo sorprese e, facendole cenno di seguirlo, si affrettò a rispondere e dirigersi lungo il vialetto acciottolato per entrare.
Brittany indugiò ancora qualche istante: sentiva una nuova agitazione pervaderla, all'idea di essere sottoposta al vaglio degli sguardi estranei e di ciò che avrebbero potuto pensare di lei e del suo stile di vita molto più semplice.
“Non vuole entrare?”, l'autista le aveva nuovamente sorriso. “Mi permetta di darle il benvenuto, Miss Pierce: è molto diversa da come l'avevo immaginata”, sembrava essere un complimento, visto quel sorriso caloroso. Chinò il capo, premendo la mano contro la visiera del berretto. “Conti su di me se desidera andare in città o avere qualcuno che le mostri i dintorni”.
Lo aveva ringraziato con gran fervore. Ed era stato davvero curioso constatare che era stato un estraneo a farla sentire finalmente benvenuta. Si vergognò, l'attimo dopo, per un pensiero così poco lusinghiero nei confronti del padre, soprattutto, quando quest'ultimo si era affacciato all'ingresso, richiamandola affinché lo raggiungesse.



La sensazione di stordimento non sembrò affatto placarsi, quando le mostrò la camera dove avrebbe alloggiato e che sembrava quella di un albergo. Il letto era ampio almeno una piazza e mezzo e tutte le pareti erano decorate di una sfumatura d'azzurro chiaro: vi erano quadri raffiguranti la campagna di Washington affissi alla parete, una scrivania e una libreria piena di libri (nessuno di favole, aveva constatato a primo colpo d'occhio). Un ampio armadio a tre ante che era pronto ad accogliere tutti i suoi abiti e il suo trolley rosa che aveva un'aria particolarmente dimessa, rispetto a quello scenario.
“E' il tuo colore preferito, vero?”, suo padre aveva alluso a quella sfumatura che era ridondante in quelle pareti e aveva un'espressione tanto orgogliosa e sicura di sé, che Brittany non aveva osato contraddirlo. “Immagino che vorrai riposare e dovrai disfare la valigia: devo assolutamente passare dall'ufficio ma Chloe e la servitù saranno a tua disposizione, se avrai bisogno di qualcosa”.
“A più tardi”, lo aveva salutato ed aveva atteso che la porta fosse chiusa alle sue spalle, prima di rilasciare il respiro.
Tutto faceva sembrare quella situazione persino più irreale e Brittany continuò a studiare quell'ambiente, domandandosi se sarebbe mai riuscita a personalizzarlo, quando sembrava avere uno stile già deciso e le incuteva il timore di poterlo in qualche modo rovinare. Fu quando lo sguardo cadde sul grande specchio d'avorio e scrutò il proprio riflesso che contemplò la sua espressione.
Tutt'altro che entusiasta, sembrava spaventata e smarrita. Si sentì esattamente come si era sentita durante il the in salotto, in compagnia della nuova famiglia di suo padre: assolutamente fuori posto. E sicuramente non aveva giovato il modo in cui gli sguardi di Chloe e di Vivian, la figlia maggiore (doveva avere più o meno la sua età), avevano indugiato sui suoi jeans scoloriti, la camicetta stropicciata dopo il viaggio e i capelli spettinati. Un imbarazzo che era divenuto qualcosa di dolorosamente simile ad una mortificazione persino per chi, come lei, non aveva avuto particolari occasioni per voler sfoggiare un look particolarmente curato. Ma aveva l'impressione che persino l'abito del ballo all'Accademia non avrebbe fatto loro batter ciglio.
Chloe era una donna nobile ed aggraziata ma in modo quasi suggestivo: si muoveva con tale cadenza da far sembrare le sue mosse una sorta di danza o probabilmente era il portamento che persino dopo anni di danza classica, avrebbe potuto difficilmente emulare. Seppur le ricordasse vagamente la madre (per i capelli biondi e la silhouette slanciata), il severo chignon e quella fronte sempre liscia, nonché il sorriso che non faceva che arricciare appena gli angoli della bocca, i suoi lineamenti erano più spigolosi. O forse era dovuto al fatto che non sembrava quasi mai scomporsi. Sicuramente una donna di classe ed affascinante, ma persino la sua stretta di mano era parsa fredda.
Vivian, in compenso, era incredibilmente bella: lo aveva pensato con ulteriore disagio e non l'aveva consolata che la sua evidente avvenenza avrebbe potuto far apparire scialba persino una ragazza con buona autostima. Aveva la pelle soffice, un profumo ammaliante, una bella bocca carnosa ritoccata dal rossetto, i capelli di un biondo fulvo, lievemente arricciati sulle punte e persino nella sua espressione appena più imbronciata, appariva perfetta. Era poco più bassa di lei, ma i vestiti eleganti e il tacco alto ne slanciavano la figura, facendola sentire persino più assoggettata. 4
Alyson, invece, aveva i capelli legati in due trecce, una lieve spruzzata d’efelidi sul naso ma un sorriso adorabile e spontaneo e, lo aveva notato con una certa emozione, la forma degli occhi molto simile alla propria, lievemente allungata.
Ho una sorella, aveva pensato istintivamente, riuscendo quasi a sovrapporre i propri tratti di infanzia a quelli della bambina. Si domandò se lei stessa avesse notato quel particolare, visto che la propria curiosità era seconda soltanto alla sua.

Sbrigate le presentazioni e formalità, Brittany si era seduta con loro per il the e aveva dovuto fare del suo meglio per imitare la postura corretta degli altri commensali e il suo timore si accrebbe quando, involontariamente, qualche goccia di the le cadde sulla tovaglia candida, nel tentativo di versarne nella propria tazza.
Nonostante il sorriso bonario del cameriere o il sorridente: “succede anche a me!” di Alyson, Brittany si era persino più irrigidita e aveva dovuto cercare di prendere un bel respiro, come se si fosse nuovamente trovata di fronte una giuria ad un saggio di danza.
Allora, Brittany,” aveva esordito Chloe, guardandola, “tuo padre ci ha raccontato dell'Accademia: è davvero una scelta... curiosa”, le sue labbra si erano arricciate e le sopracciglia finissime erano così inarcate, che Brittany aveva avuto la sensazione che volesse usare ben altro aggettivo.
Oltretutto, la sola menzione, le aveva procurato un istantaneo collegamento che le aveva innestato una fastidiosa fitta allo stomaco. Ma si schiarì la voce, indugiando con il biscotto che non aveva ancora finito di mangiucchiare (non le piacevano molto le mandorle, ma non era il caso di apparire maleducata o ingrata).
Credo sia stata molto istruttiva: ho imparato molte cose”, aveva risposto, malgrado tutto, con un impeto di orgoglio al ricordo dei suoi progressi nel famigerato percorso ad ostacoli o alla corsa mattutina prima di colazione o persino alla pulizia degli stivali o dei pavimenti.
Davvero?”, era parsa educatamente sorpresa ma le aveva sorriso nuovamente con aria condiscendente. “Ma immagino che tu aspiri a qualcosa di più... femminile”.
Il pensiero di come Kitty avrebbe reagito a quelle parole, l'aveva rincuorata, ma si era affrettata ad annuire. Non era riuscita del tutto a scacciare quella sensazione di mero fastidio: anche se la vita in Accademia non le si confaceva molto, provava un sentimento di lealtà nei confronti di Neal, Jonathan Clarington, persino del suo dispotico Capitano.
Ballare è la mia passione”, aveva risposto dopo un istante di silenzio nel quale aveva dovuto ricordarsi che si era allontanata da Colorado Springs per lasciarsi tutto alle spalle.
Oh,” aveva commentato la donna che non era parsa minimamente impressionata, “deve essere una piacevole... frivolezza per passare il tempo libero, ma io mi riferivo ai tuoi progetti per il futuro”.
Chloe,” l'aveva richiamata William con aria bonaria, “ è appena arrivata: lasciala respirare”.
Il sorriso si era gelato sulle labbra della donna e vi era una nota di freddezza nel rivolgersi al marito. “Non era certo mia intenzione essere invadente: stavo solo cercando di fare conversazione con la nostra ospite e sono sicura che a Brittany non dispiaccia”.
Non aveva potuto fare a meno di notare come avesse sottolineato il sostantivo “ospite”, quasi ad alludere al fatto che la sua permanenza sarebbe stata transitoria. Ma era stata lieta dell'interruzione. Se doveva ammettere con una certa riluttanza che, più che mai, non aveva certezze sul suo futuro professionale o meno, aveva la sconcertante sensazione che nulla che ciò avrebbe detto, sarebbe mai parso soddisfacente per la donna, neppure se avesse alluso ad un'attività di beneficenza. Ma fu al suo sguardo insistente che si affrettò a scuotere il capo e sorridere. “No, certo che no”, aveva pigolato. Non che fosse il caso, comunque, di esternare un'opinione diversa.
Vivian potrebbe portarti in città con le sue amiche: sono sicura che sarà un modo molto piacevole di ambientarti e cominciare a conoscere la città”.
Si era voltava verso la ragazza, quasi a cercarne la conferma: questa le aveva sorriso ma, come nel caso della madre, non era stato un gesto tale da scaldarle il cuore. “Sarà divertente,” aveva commentato la ragazza, dopo un istante di silenzio, “come due sorelle”. Aveva sottolineato il termine, ma lo sguardo divertito era stato scoccato in direzione di William.
Posso andare anche io?”, aveva chiesto Alyson: le labbra sporche di cioccolato e Brittany non aveva potuto fare a meno di sorridere.
La madre si era affrettata a pulirle il viso con aria quasi rassegnata. “Sei soltanto una bambina: perché per il momento non cerchi di imparare a mangiare senza sporcarti?”.
Uffa”, si era imbronciata con cipiglio così sincero che Brittany non aveva potuto fare a meno di concentrarsi su di lei, il viso inclinato di un lato.
Potrei portarti dei pasticcini al mio ritorno, così mi mostrerai i giardini”, le aveva proposto e la bambina le aveva rivolto uno sguardo così entusiasta e sinceramente grato che Brittany aveva sentito un dolce moto di calore farne scalpitare il cuore.
Alyson non mangia dolci fuori pasto”, era stata la secca replica di Chloe e Brittany si era morsa il labbro e non aveva osato ribattere.
Lanciò un'occhiata in direzione del padre che aveva nuovamente estratto il suo iPhone ed era concentrato a scrivere rapidamente una e-mail. “Magnifico,” aveva detto distrattamente, “scusatemi, devo fare una telefonata”.
Immagino che vorrai riguardare il tuo guardaroba prima di cena: posso chiedere alla domestica di accompagnarti alla tua camera, se tuo padre sarà ancora impegnato”, le aveva proposto, Chloe, non appena il marito si era allontanato.
Si era stretta nelle spalle, Brittany con un sorriso. “Posso aspettare papà: non ho molte cose con me”.
Immagino che allora avrai bisogno di qualcosa di nuovo, per stare con noi”, lo sguardo aveva perforato la sua mise con aria alquanto eloquente. Evidentemente vivere in quella casa aveva delle regole concernenti persino l'abbigliamento.
Oh, andremo a fare shopping?”, aveva domandato in un moto puerile, immaginando che lei e Vivian avessero un rituale simile a quello che suo madre chiamava “shopping day”.
Chloe aveva storto le labbra. “Non ho tempo da perdere: forse William non ti ha detto che sono molto occupata con la mia fondazione benefica. Ma chiamerò il nostro sarto e sono sicura che potrà cucire qualcosa di... appropriato anche per te”.
Oh, la ringrazio”, aveva sussurrato con sussiego: persino quella che sembrava una gentilezza spontanea, sembrava dover essere meritata.
Imparerai che le cose qui funzionano diversamente da quanto sei abituata. Con permesso, Alyson, andiamo a prepararci per le tue lezioni di pianoforte”.
La bambina l'aveva salutata allegramente con la mano e Brittany aveva sorriso per poi seguirle con lo sguardo. Non appena furono uscite, Vivian saltò in piedi, il cellulare tra le mani. “Ciao Stacy, no niente di che”, l'aveva sentita cicalare mentre usciva, camminando rapidamente, malgrado i tacchi alti.
Rimasta sola, Brittany, si morsicò il labbro ed osservò la tavola vuota.
Gradisce altro the, Miss Pierce?”.
No, grazie”, si era alzata, concedendo ai camerieri di sparecchiare: non osando avventurarsi nella casa senza indicazioni o il permesso, si era fermata di fronte alla vetrata che dava la vista sul giardino.
Aveva sospirato con aria sgomenta: non era proprio l'inizio in cui aveva sperato.
Ancora qui?”, le aveva chiesto suo padre una decina di minuti dopo. “Vieni, ti mostro la tua camera”.

Si era appoggiata al proprio letto e si era lasciata stendere a rimirare il soffitto: era come se la sua vita a Colorado Springs fosse lontana anni luce e, ancora una volta, dovesse ricominciare tutto da capo.

~

Non ricordava di aver mai dormito su un letto più comodo: nessuna tromba a suonare a mo’ di sveglia, nel mezzo della notte, strappandola dai suoi sogni e riportandola mestamente alla realtà.
Ci mise qualche istante, quando schiuse gli occhi, a riconoscere la stanza dagli arredi e la mobilia eleganti. Sospirò e si raddrizzò con il busto prima di osservare la debole luce del sole.
Constatò che erano da poco passate le sette del mattino – in Accademia già sarebbe stata in ritardo – e cercò di rilassarsi nel morbido lettone. Si domandò come sua madre stesse dormendo e se fosse ancora molto triste o Neal avesse tutto sotto controllo. Sorrise all’immagine del micio addormentato beatamente accanto a lei e ne sfiorò il pelo con aria assorta.
Quando ormai il sonno sembrò dimentico, si alzò: avrebbe approfittato del tempo a disposizione per cercare qualcosa di abbastanza carino, o almeno il più vicino agli standard della padrona di casa, tra i pochi abiti che aveva condotto con sé. Ne scese uno molto semplice dal colore rosa e pettinò con cura i capelli che poi legò in una treccia a spiga, lasciandone qualche ciocca libera sulla fronte e ai lati del viso. Quando la cameriera giunse a chiamarla sembrò più che sorpresa di scorgerla già in piedi, ma Brittany le sorrise allegramente, mentre cercava qualche molletta con cui fissare le ciocche ribelli.
“La colazione sarà servita a breve, ma può accomodarsi di sotto: la signora è già seduta a tavola”.
Aveva annuito, Brittany, cercando di insinuare gli orecchini. “E mio padre?”, le chiese guardandola dallo specchio mentre ella rassettava il suo letto, dopo aver indotto Lord Tubbington – il pelo dritto e un’occhiata di puro biasimo – ad accontentarsi del tappeto.
“Il signor Pierce è partito questa mattina per incontrare un importante cliente europeo”, pareva sorpresa che non lo sapesse.
“Oh”, aveva sgranato gli occhi, sorpresa e confusa: non avevano ancora avuto modo di parlare seriamente dopotutto, anche se erano concordi che avrebbe passato del tempo a Washington.
“Tornerà tra una settimana”, aggiunse la ragazza con un sorriso gentile, ma Brittany parve preoccupata alla prospettiva di tanto tempo in sua assenza, in una casa che non le apparteneva e in balia della padrona e delle figlie. Della maggiore soprattutto che sembrava amichevole almeno quanto Kitty nei giorni del suo “migliore” umore. Si morsicò le labbra, ma decise di scendere per non farsi attendere troppo, soprattutto se dovevano essere tutte presenti per la colazione.
Stava scendendo le scale verso il piano inferiore, il brusio di voci concitate: gli ultimi bisbigli di una conversazione che non avrebbe dovuto udire.

Quanto andrà avanti questa pagliacciata?”, aveva chiesto Vivian, a mo’ di buongiorno una volta giunta a tavola. Neppure guardando la madre, aveva estratto la cipria per gli ultimi ritocchi al viso.
Chloe, che le aveva tolto il cosmetico e lo aveva richiuso con un gesto secco, le aveva rivolto un’occhiata ammonitrice. Avrebbe dovuto comunque ringraziare il botulino se la sua fronte sarebbe rimasta liscia, anche di fronte all’argomento più spinoso. “Vivian, abbassa la voce per favore: niente isterismi”.
Aveva incrociato le braccia al petto, la ragazza, con aria tutt’altro che distesa: “A quale gioco sta giocando tuo marito con questa storia della figlia ritrovata?”.
Chloe, pur preoccupandosi di poter avere sgraditi ascoltatori, le rivolse un’altra occhiata di pura esasperazione. “Credi che a me faccia piacere? Speravo che almeno portasse una signorina con un minimo di classe. Non mi sorprende che si sentisse a suo agio in un’Accademia promiscua, a rotolarsi nel fango”.
Bella classe,” aveva commentato l’altra ridacchiando, “mettere incinta una liceale, sposarla per accontentare la suocera e poi andarsene e piantare in asso lei e la figlia”.
Aveva stretto le labbra, Chloe. “Non è il caso di essere sarcastici: è stato un errore di diciotto anni fa”.
Sì, diciotto anni che camminano, parlano e vengono a vivere in casa nostra”, fu l’ulteriore replica sferzante.
Devi solo avere pazienza”, aveva sospirato la madre, cingendole la mano. “Non durerà molto questa storia: ce lo vedi a recuperare dieci anni di rapporto? A farle da balia o trattarla come fosse la gemella di Alyson. Rinsavirà, ma intanto ha lasciato a noi il piacere per una settimana”.
Si era incupita alla precisazione. “Non ho affatto voglia di portarla in giro con le mie amiche: penseranno che stia facendo della beneficenza. E’ così scialba”.
Sospirò ulteriormente, Chloe che tambureggiò con le unghie smaltate sulla tovaglia candida. “Non parlarmene: non ci metterà molto tempo a capire che non è del nostro mondo. Vorrei sperare che lo avesse già fatto, ma è meglio non illudersi troppo”.
Non sembra troppo sveglia”, fu la replica dell’altra che scrollò le spalle con un vago sorriso e riprese la cipria.
Shh, sta arrivando”.

Era un sorriso fin troppo repentino quello che apparve sul volto di Chloe, quando la vide: ne squadrò la figura e sembrò scovare i molteplici difetti che dovevano essere evidenti al suo sguardo. Il fatto che il vestito non fosse stirato e fosse dozzinale se paragonato al loro, il trucco appena visibile, le unghie corte e sminuzzate e le ballerine ai piedi.
Chloe dovette probabilmente ricorrere ad uno sforzo disumano per non dimostrare il proprio disappunto. “Spero tu abbia dormito bene”.
“Buongiorno”, la ragazza indugiò con le mani strette in grembo ma sorrise ed annuì. “Molto bene, grazie, spero anche voi”.
“Accomodati”, le indicò il posto accanto a quello della figlia maggiore che le concesse appena un sorriso stirato.
Poco dopo apparve Alyson che, dopo aver baciato la guancia della madre, ignorò il posto che solitamente occupava William, andò a sedersi accanto a Brittany, dopo averle rivolto un bel sorriso che la ragazza ricambiò. Si era sporta verso di lei. “Ti va di prendere il the con me, dopo?”, le aveva chiesto con voce esitante.
“Tesoro, sono sicura che Brittany abbia cose più serie a cui pensare”, si era intromessa Chloe, mentre la cameriera disponeva le loro tazze e serviva qualche pietanza per la colazione: nulla di più casereccio come tost o cerali ma un'accurata selezione di cibi che Brittany non avrebbe neppure saputo identificare, nella maggioranza dei casi.
“Volentieri”, era stata la pronta risposta di Brittany e la bambina parve illuminarsi.
Chloe tacque, la linea delle labbra incredibilmente stirata.


Non fu una sorpresa constatare quanto si sentisse molto più a suo agio nella cameretta della bambina, fingendo di prendere del the con vassoi e piattini di plastica, circondate da bambole delle più svariate taglie. Alyson era dolce e piena d’energia: aveva almeno una decina di domande da rivolgerle per ogni cosa che le dicesse o raccontasse, ma Brittany si divertì a rispondere ad ognuna e anche ad aiutarla a trovare un nome da duchessa per intrattenere quel gioco di ruolo, o atteggiarsi a gran signora parlando di cavalli, di castelli o di viaggi in Europa.
Fu quando, dopo più di un’ora di finto salotto, Alyson tacque che Brittany si preoccupò dei pensieri che dovevano attraversarle la mente.
“Stai bene?”, le chiese dopo aver posato la tazza di plastica.
Sembrò indugiare la bambina, prima di riuscire a dire qualcosa, ma infine si decise, il viso inclinato di un lato e lo sguardo acceso di speranza, malgrado l’esitazione evidente. “Tu sei mia sorella, vero?”.
Aveva sentito un dolce calore in petto e il tambureggiare più emozionato del suo cuore. Aveva annuito, il sorriso più dolce. “Abbiamo una mamma diversa, ma non mi piace dire sorellastra, ” spiegò raggrinzendo appena il naso in una smorfia che fece sorridere la bambina, “ma potrei essere tua sorella, se vuoi”.
Aveva sorriso ulteriormente la bambina, continuando a scrutarla. “Sei diversa da Vivian”, aveva infine proferito.
Sospirò, Brittany, ed annuì con aria appena più mesta. “Lo so: lei è davvero elegante e sarebbe perfetta per questo gioco”.
Ed è bellissima, aggiunse mentalmente con un sospiro.
“Ma tu mi piaci,” l’aveva contraddetta la bambina: le sopracciglia corrugate e il sorriso nel cingerle la mano, “sono contenta che sei qui”.
E per la prima volta dal suo arrivo, sentì di potersi davvero sentire a casa. Almeno per qualche istante di piacevole immersione nel mondo della bambina.

Non voleva dubitare delle buone intenzioni in quel tentativo di aiutarla ad inserirsi meglio, ma non avrebbe potuto trovare le parole per esprimerle, senza offenderla, che quel look non era proprio adatto a lei. Alyson, seduta sul suo letto mentre carezzava Lord Tubbington, l'aveva guardata con aria sconvolta: gli occhioni sgranati e le labbra schiuse che osservò dal riflesso dello specchio.
“Stai malissimo”, aveva detto così serenamente che Brittany aveva persino riso, per poi annuire con la stessa aria perplessa.
Le mani sui fianchi, studiò ancora una volta la sua figura: indossava un abito nero ed austero nella sua sobrietà: sprovvisto di maniche e dalla gonna a tubino a stringerle i fianchi, collant (che odiava) e scarpe di vernice con tacco sottile e una giacca blu che le arrivava alla vita. I capelli le erano stati acconciati in una crocchia persino più stretta di quella di Kitty, al suo primo giorno d’addestramento.
“Devo solo... abituarmi”, ma neppure lei sembrava particolarmente convinta mentre studiava le unghie finte che le erano state applicate, di una tonalità fiammeggiante di rosso. Come si poteva usare le dita senza romperle? Ed erano davvero così indispensabili?
“Sembri vecchia”, fu il commento di Alyson, coronato da una smorfia.
Sì, Brittany, non avrebbe saputo trovare un aggettivo migliore per l'eccessiva serietà dell'abito, soprattutto con quegli occhiali dalla finta montatura, che avrebbe dovuto attribuirle, a detta di Chloe, un'aria più intellettuale.
Sospirò: era soltanto un modo di adattarsi, come indossare un'altra orribile uniforme in Accademia, dopotutto.
Vivian fece capolino dalla porta, con espressione evidentemente annoiata: “Sei pronta?”, le chiese.
Brittany non poté fare a meno di notare che il suo look non avrebbe potuto essere diverso dal proprio, anche se probabilmente sarebbe riuscita ad indossare lo stesso outfit senza un risultato similmente disastroso. Probabilmente lo stava pensando anche lei, perché lo sguardo che le rivolse era qualcosa di simile allo schifato.
Le sorrise l'attimo dopo. “Sei molto... elegante”, disse con le labbra percosse da un tremito. “Andiamo, le mie amiche non vedono l'ora di conoscerti”, aveva sorriso, infine, con un'incrinatura più melliflua.
“Fammi gli auguri”, sussurrò Brittany alla bambina ma quest'ultima, per risposta, si era imbronciata. “Non prenderai più il the con me, vero?”, aveva pigolato.
“Ma certo che lo farò: preferirei restare con te,” ammise con un sospiro, sfiorandone i capelli e accertandosi che Vivian non sentisse, “ma al mio ritorno, ti racconterò tutto quanto”.
“Promesso?”, una scintilla d'entusiasmo era tornato a farne baluginare gli occhioni, sottolineato da quel sorriso repentino.
“Promesso”.
“Allora?”, la voce sferzante di Vivian le riscosse e Brittany si affrettò a prendere la borsa (anche quella tristemente nera e fin troppo grande per i suoi gusti) e raggiungerla.


Trovarsi di fronte alle amiche di Vivian fu come essere la (sfortunata) comparsa di una fiction con ragazze ricche quanto affascinanti che gettavano occhiate sprezzanti a chi non consideravano degno di loro, chi non poteva permettersi abiti come i loro o chi non aveva le stesse origini.
Si sentiva intimidita, Brittany, se i vestiti che indossava normalmente non erano abbastanza eleganti, il completo che le era stato confezionato era ancora più lontano dalla sua personalità.
Nel viaggio in limousine aveva osservato il gruppetto ridere e scherzare, apparentemente come se lei fosse invisibile, tanto da avere quasi il timore che persino respirare, potesse sottoporla di nuovo ad un'attenzione poco lusinghiera.
Strinse le labbra, ma il suo disagio non migliorò, quando le seguì in un negozio d’abbigliamento e le osservò scegliere diversi capi delle migliori griffe sul mercato: avevano persino a disposizione uno stender appendiabiti.
“Non provi nulla?”, le aveva chiesto una delle ragazze.
Era arrossita. Non aveva minimamente pensato di portare con sé tutti i suoi risparmi, ma dubitava che sarebbero stati sufficienti a comprare qualcosa di più di un foulard.
Aveva scosso il capo. “No, ma voi fate pure: aspetterò qui”, aveva commentato in tono affabile, fingendo di curiosare a sua volta tra gli scaffali e i reparti.
Le tende del camerino dietro il quale si era rifugiata Vivian, furono aperte e la giovane la richiamò. “Ti dispiacerebbe prendermi la cintura in vetrina? Voglio vedere come si abbina a questo vestito”, le aveva sorriso.
Non ebbe neppure tempo di rispondere perché le altre ragazze fecero capolino dagli altri cubicoli.
“E a me le scarpe azzurre con gli strass: stai lontana da quelle di vernice”.
“Il vestito bianco per me”
“Gli occhiali da sole per me: quelli a goccia”.
“E anche una pochette per me”, aveva aggiunto Vivian annuendo al suo riflesso. “Avanti,” l'aveva esortata, vedendone l'espressione smarrita e corrugata nel tentativo di memorizzare le istruzioni di ognuna, mascherando il tono insolente con un sorriso, “non abbiamo tutto il giorno: è solo il primo negozio”.
Sbigottita e non poco preoccupata all'idea di dover ricordare ogni futile dettaglio (che cos'era una pochette, a proposito?!), Brittany si era allontanata in fretta, cercando con lo sguardo una commessa libera che potesse aiutarla a rintracciare tutti gli articoli. Sentiva l'ansia divorarla e il disagio crescente per le scarpe troppo strette.
Era riuscita a recuperare le scarpe e gli occhiali da sole (chissà se erano quelli giusti), ma avrebbe dovuto chiedere a Vivian, sperando di non farsi udire dalle altre, dove fosse la pochette che le aveva chiesto. Si affrettò a tornare nell'area dei camerini, attenta a non far cadere gli articoli tra le braccia.
“Bella sorpresa i tuoi, Vi, io avrei preferito un bel soldato dell'Accademia a questo punto”, sentì la voce di una delle ragazze, prima che riuscisse a palesare la sua presenza al di fuori delle tende.
Era arrossita e la menzione le aveva procurato una stretta al cuore, senza contare l'umiliazione all'idea d’essere oggetto dei loro scherni. Scosse il capo e si decise a richiamare la ragazza, ma fu la sua risposta ad anticiparla.
“Non parlarmene: dovreste vederla girare per casa con quell'aria da cane bastonato. Patetica ed insopportabile”.
Sentì il cuore fermarsi in gola, un nodo stretto che le rese difficile articolare un suono, mentre lentamente la vergogna le procurava un brivido gelido a discendere lungo la spina dorsale.
“Davvero crede di potersi adattare alla vita di qui?”.
“Crederebbe di vedere un unicorno, se le mostrassi un manifesto: è davvero imbarazzante. Speravo che s’inventasse una scusa, dopo che William è partito per risparmiarci la sua presenza. Insomma, neppure i suoi genitori la vogliono tra i piedi, un motivo deve pur esserci”, era stata la sferzante replica, in tono crudelmente divertito che aveva fatto ridere le altre.
“Ma dov'è finita?”, l’aveva incalzata una delle altre.
Aveva sbuffato, Vivian. “Sarà meglio vada a recuperarla o chi la sente mia madr-”, schiuse le tende per poi sussultare alla vista della ragazza. “Brittany!”.
Non parve imbarazzata, al contrario, un'espressione di disappunto la fece accigliare: “Stavi origliando?”.
“Mi dispiace di non essere abbastanza stupida da non capire”, replicò in tono stizzito, lasciando cadere a terra gli accessori e i capi d'abbigliamento che aveva tra le braccia, prima di togliere anche la falsa montatura degli occhiali e la molletta che teneva legati i capelli. “Magari mio padre non mi ha voluta, ma almeno adesso so che la colpa non è mia, se preferisce una figlia viscida come te”.
L'aveva vista sgranare gli occhi, aveva ignorato lo sguardo incredulo delle amiche e degli avventori più vicini e si era affrettata ad uscire dal negozio, ignorandone i richiami: gli occhi gonfi, le labbra tremanti e il cuore ancora in gola per quell'agitazione improvvisa.
Cercò di regolarizzare il respiro, ma la rabbia aveva presto ceduto il posto ad un dolore fin troppo intenso alle parole di Vivian e all'idea che vi fosse un fondo di verità.
Cosa stava facendo? L'Accademia non era stata la sua casa, ma era evidente che la villa di Chloe lo sarebbe stata ancora meno. Cosa avrebbe fatto fino al ritorno del padre? Era evidente che non fosse mai stata la benvenuta: ad eccezione della piccola Alyson, nessuno si era dato la pena di provare a darle un'occasione.
O tanto meno suo padre era sembrato ansioso di parlare con lei o anteporre la loro riconciliazione ai suoi impegni di lavoro, se neppure gli era sembrato opportuno informarla dei suoi impegni. Non era mai stata una sua priorità e questo non sarebbe cambiato.
Trasse un profondo respiro, scostò le lacrime dal viso, e camminò lungo la strada al di fuori del centro commerciale, incurante della pioggia. Soltanto un sorriso nostalgico al ricordo di un temporale su un campo d'addestramento di Colorado Springs, di un Principe Soldato a trarla in salvo. Chissà cosa stava facendo in quello stesso istante o se avesse mai pensato a lei, dalla sua partenza e da quell'addio quasi frettoloso ed inevitabile.
“Miss Pierce”, si riscosse e trasalì, quando un uomo si affiancò, ma riconobbe l'autista che la stava riparando con il suo ombrello e le aveva rivolto un'occhiata preoccupata. “Prenderà freddo: salga in auto, la riporterò a casa”.
“Ma Vivian?”, chiese con voce confusa seppur confortata da quella traccia di gentilezza del tutto disinteressata e sincera.
“Non avrà problemi,” rispose in tono composto, ma sembrava indifferente alla prospettiva del contrario, “la prego, insisto”.
Gli sorrise con aria grata, Brittany, ed entrò nell'auto ed affondò contro il confortevole abitacolo caldo, mentre l'uomo le porgeva una salvietta con cui asciugarsi, ma neppure si stupì di quella sorprendente presenza dei comfort di qualunque tipo.
Le fu persino di compagnia durante il viaggio, indicandole di tanto in tanto qualche monumento o qualche piazza famosa, ma fu quando giunsero fuori dalla villa che la trattenne.
“Perché cerca di diventare come loro, quando è evidente che lei vale molto di più?”.
Sorrise con aria mesta, Brittany, per quanto simili parole sembrassero fin troppo pregne di una gentilezza che sembrava dimentica tra quelle mura lussuose. “Ho tante domande”, aveva sussurrato per risposta, sperando che potesse comprenderla, pur non conoscendone la storia.
“Credo abbia già le risposte: deve solo avere il coraggio di accettarle e di essere se stessa”, aveva alluso ai suoi abiti con una vaga smorfia. “Tra parentesi, quel trolley è il bagaglio più bello che io abbia mai trasportato”, aveva aggiunto con un guizzo divertito che le aveva strappato una risata.
Era tornato serio. “Cambiare la sua natura, la sta solo allontanando dalla sua vera vita, non se lo dimentichi”.

Rimuginò a lungo su quelle parole, Brittany, lo sguardo che vagava al paesaggio che riusciva a contemplare dalla sua finestra, Lord Tubbington rannicchiato tra le sue braccia.
Trasalì quando l'uscio della sua camera fu schiuso ed apparve Chloe con aria di gran disappunto.
“Ho avuto una spiacevole conversazione con Vivian su quello che è successo questo pomeriggio e sulla tua intollerabile condotta”, aveva esordito con tono petulante e risentito.
Sbatté le palpebre, Brittany, prima di stringersi nelle spalle. “Non disturberò più Vivian”, replicò in tono composto.
Non pareva soddisfatta la donna il cui sguardo si accigliò ulteriormente (o almeno le parti di viso non ritoccate) e così la postura rigida. “Vorrei che le porgessi le tue sincere scuse: non è così che mi aspetto che si comporti un'ospite”.
Sorrise, Brittany, quasi divertita dalla situazione. “Mi dispiace,” commentò con lo stesso tono pacato e sembrò che il cipiglio della donna si attenuasse, “mi dispiace aver impiegato così tanto tempo a capire la verità e aver fatto soffrire le persone che amo”.
Sbatté le palpebre, Chloe, evidentemente perplessa per poi incupirsi ulteriormente. “Voglio che tu chieda scusa a Vivian, per quello che le hai detto questo pomeriggio”, precisò come se la ritenesse dura di comprendonio.
“Lo farei, se avessi mentito o se ritenessi di aver sbagliato”. Probabilmente valeva la pena dimostrarsi così incuranti soltanto per osservarne l'espressione mutare e quell'arrossamento del volto.
“Insolente testarda, ” lo sguardo era divenuto glaciale, “solo perché tuo padre vorrebbe rimediare al passato, non significa che tu abbia alcun diritto di venire qui ed occuparti con aria così sfrontata ed ingrata. Se tua madre non ti ha insegnato neppure cosa sia il rispetto, allora-”.
Si era bloccata alla vista del mutamento del volto della ragazza: gli occhi fiammeggianti, aveva abbandonato il gatto sul materasso per poi stringere i pugni lungo i fianchi. “Non dica una sola parola su mia madre e, per favore, esca. Dopotutto questa resterà la mia camera, fino a quando non tornerà mio padre”.
Probabilmente perché totalmente spiazzata, probabilmente perché una grande signora non avrebbe mai dovuto alzare il tono, ma Chloe indietreggiò con le labbra ancora strette. “Lo informerò personalmente e lo esorterò a tornare prima del previsto”.
Inclinò il viso di un lato, Brittany, rilasciò il respiro e si concesse di nuovo un sorriso educato. “Gliene sarei molto grata: ho davvero bisogno di parlare con lui e sono stanca di rimandare”.
“Ti farò portare un vassoio per i pasti: non ho intenzione di vederti nuovamente in giro per casa”, e prima di darle occasione di replica, aveva sbattuto la porta alle sue spalle.
Brittany rilasciò il respiro e si lasciò cadere sul proprio letto: lasciò che Lord Tubbington le si appallottolasse in grembo e ne sfiorò il pelo, lo sguardo volto al soffitto.
L'attimo dopo si ritrovò a sorridere: era riuscita a tenere testa a Vivian e Chloe in una sola giornata. E, dopotutto, se lei poteva considerarsi la Cenerentola malcapitata, entrambe sarebbero state perfette per il ruolo di sorellastra e matrigna.

~

Trascorse i giorni seguenti nella propria camera: non aveva alcun desiderio di unirsi alla famiglia del padre (a prescindere dal divieto di Chloe) ed era piuttosto grata che anche loro desiderassero lasciarla sola, ad eccezione di Alyson la cui compagnia era stata l'unica fonte di gioia in quel contesto.
“Sei triste”, osservò la bambina dopo che ebbero inscenato una cena formale sul tappeto, coinvolgendo persino Lord Tubbington a cui era stato legato un tovagliolo intorno al collo, ma che aveva preferito continuare a dormire.
Sorrise, Brittany, nello sfiorarne i capelli e realizzare quanto fosse in grado di capirla con un semplice sguardo. “Mi manca la mia famiglia”, sussurrò in risposta.
Aveva spiegato brevemente alla madre della partenza del padre, ma senza porvi particolare enfasi perché non si preoccupasse. Checché la sua reazione fosse piena di indignazione, Shirley non lo aveva manifestato dal telefono e aveva cercato di ricondurre la conversazione su aspetti più familiari, come l'avvicinamento del matrimonio e persino alludendo alle questioni dell'Accademia ma senza mai riferirsi esplicitamente al giovane il cui volto era sempre più presente nei suoi sogni.
“Credevo che fossimo noi la tua famiglia”, aveva pigolato la bambina e Brittany si era affrettata a cingerla e appoggiare il mento tra i suoi capelli.
“Tu ne fai parte”, aveva precisato. “E ne farai sempre parte, se lo vorrai, ovunque io sarò”.
“Ma non vuoi restare”, aveva obiettato la bambina, guardandola con aria afflitta. “E' perché papà è stato cattivo con te?”.
Per quanto la domanda fosse stata pronunciata con tono pigolante e quasi timoroso, Brittany aveva sentito una dolorosa contrazione all'altezza del petto, ma le aveva sorriso e ne aveva sfiorato la guancia. Aveva scosso lentamente il capo: non avrebbe permesso che la bambina perdesse fiducia nell'uomo o la sua vita si tingesse di sfumature più malinconiche. “Sono sicura che ha sempre fatto del suo meglio e che ti ama più d’ogni altra cosa”.
Quasi invocato da quelle parole, la porta si schiuse e l'uomo fece capolino con il suo sorriso più pacato.
“Papà!”, aveva gridato Alyson che si era alzata per corrergli incontro.
Brittany restò a contemplarli con un vago sorriso, prima di alzarsi in piedi e rilasciare il respiro, consapevole che il momento stava finalmente giungendo.
“Come stanno le mie bambine?”, aveva chiesto l'uomo, baciando la guancia della piccola ma guardando la primogenita.
“Non siamo bambine, ” aveva protestato Alyson, guardando la sorella, “diglielo, Britt!”.
“Non lo sono”, si sentì dire e William la guardò a lungo prima di rilasciare il respiro.
“Sto per leggerle la favola della buonanotte: vuoi venire?”.
Suo malgrado aveva sorriso ed annuito con reale emozione. “Mi piacerebbe molto”.

C'era qualcosa di dolce e struggente nel sentirlo nuovamente leggere: la sua voce era persino più profonda di come la ricordasse in quei frammenti del passato. Ma continuò ad assistere, ignorando quella fitta al cuore, soprattutto alla rivelazione di quale volume stesse attualmente leggendo alla bambina.
Quelle parole, soprattutto, sembrarono continuare a ronzarle in testa come pungolandola, affinché non le ponesse da parte.
« Belle era accanto a suo padre: ciò che aveva disperatamente desiderato dalla loro triste separazione nel castello dell'orribile Bestia. Eppure, adesso che poteva scorgerlo coi suoi stessi occhi, si sentiva distante come non mai. Era come se la gioia di quel ritrovamento non potesse essere compensata dalla perdita. Come se non potesse più gioire con tutto l'amore che provava per lui. Perché il suo cuore, lo sapeva, era rimasto in quel castello lasciatosi alle spalle, per quella che credeva sarebbe stata l'ultima volta. »”.
Suo padre si era interrotto alla vista della bambina addormentata: chiuse il libro e levò lo sguardo alla ragazza, ma si accigliò alla vista delle lacrime sul suo volto. “Stai bene?”, le chiese in un sussurro.
“Perché non mi hai voluto?”.
Un silenzio gravoso scese sulla stanza e William, lentamente, tolse gli occhiali prima di scuotere il capo. Le fece cenno di seguirlo e, dopo aver spento la luce e rimboccato le coperte della bambina, la condusse nuovamente nella camera assegnata alla ragazza.
Brittany sedette sul letto, le ginocchia strette al petto e l'uomo si accomodò accanto con espressione pensierosa: sembrava aver perso quel sorriso accattivante con cui aveva cercato di blandirla fino a quel momento.
“Non c'è un solo giorno in cui non mi penta di quello che ti ho fatto, Brittany”, esordì infine con voce quasi stanca nel ricercarne lo sguardo.
Non parve battere ciglio la ragazza, il viso inclinato di un lato. “Amavi la mia mamma?”, non pareva volerne sentire giustificazioni, ma la voce era spenta come lo sguardo e distante, quasi una parte di sé già si stesse nuovamente staccando dalla realtà circostante.
“Sì,” rispose senza esitazione, “l'ho amata: quando sei nata, ero certo che l'avrei amata per tutta la vita”.
Un vago sorriso sulle labbra della ragazza, una mera consolazione circa le circostanze della sua nascita, una piccola gratificazione per aver spezzato il cuore della moglie.
“Non eri felice però”, dedusse senza alcuna sfumatura di biasimo o di stizza.
“Avevo trent'anni: un'opportunità di lavoro a cui non volevo rinunciare e una vita davanti. Tua madre era incredibilmente protettiva nei tuoi confronti e non voleva neppure considerare l'idea di un trasferimento... almeno allora”, si era concesso di sorridere, ma la ragazza non aveva minimamente ricambiato il gesto. Scosse il capo, William. “Quello che voglio dire è che ci ho provato, Brittany, con tutto me stesso, ma non ero pronto a rinunciare alle mie aspirazioni. Mi sentivo in trappola e con il terrore che avrei trascorso la mia vita odiando chi avrei incolpato del mio più grande successo mancato. Non avrei potuto essere il marito e il padre che avreste meritato, non a quelle condizioni”.
Sentì le lacrime scorrere sul volto, Brittany: se aveva sperato che quelle risposte rendessero tutto più comprensibile, la consapevolezza era persino più straziante e l'ammissione di aver anteposto se stesso e il suo bisogno alla famiglia che aveva infranto.
Scosse il capo. “Mi dispiace avervi complicato la vita: forse se non fossi nata, non avreste dovuto sposarvi e avreste avuto ciò che volevate entrambi, senza che accadesse tutto questo”, se non era mai stata in grado di pronunciare quelle parole nel terrore di procurare un dolore alla madre, in quel momento sgorgarono dai meandri dei suoi ricordi, dei suoi tormenti e delle sue paure più recondite.
Aveva scosso il capo, William, che le aveva cinto il mento, scostandole le lacrime. “Non devi pensare neppure per un istante che sia stata una tua colpa: darti alla luce è stata la cosa migliore che io e tua madre potessimo fare e le si spezzerebbe il cuore sentirti parlare in questo modo”.
“Non ma era abbastanza evidentemente,” aveva ribattuto con una nuova sfrontatezza. “Non eri felice ed hai preferito scappare”. Malgrado il tono lacrimoso, vi era una nuova energia a riscuoterla e darle l'impulso di lasciar andare tutto quanto, senza pentirsene.
Aveva sospirato, William, ma non aveva cercato ulteriori giustificazioni. Aveva annuito. “Forse un giorno potrai capirmi, ma non ti biasimerei. Non posso pretendere un perdono che non merito”.
Aveva scosso il capo, Brittany, lo sguardo volto alla vetrata della finestra. “E' quello che ho fatto anche io: sono scappata”, ammise dopo un lungo istante di silenzio. “Dalla madre che ama sua figlia più di ogni altra cosa al mondo, dall'uomo che non chiede altro che essere mio padre e che io ho continuato a respingere e... da lui”. Aveva rimosso le ultime lacrime per tornare ad osservarlo. “E tutto questo perché non mi sono mai sentita abbastanza per nessuno di loro”.
Suo padre sembrò voler ribattere, ma Brittany lo fermò: si alzò e prese il libro che le aveva regalato. Ne aveva ignorato lo sguardo sorpreso e lo aveva schiuso tra le pagine nelle quali aveva lasciato il segnalibro e aveva letto, con voce tremante e la vista annebbiata:
« Non importava quanto Belle cercasse di ricordarsi che quello era il luogo cui era destinata: la sua casa. La sua casa, comprese tra le lacrime che l'accompagnarono al sonno quella notte, non era un luogo fisico, ma l'abbraccio a cui anelava più d’ogni altra cosa.
La sua casa era nello sguardo dell'uomo a cui aveva destinato il suo cuore: un Principe camuffato da Bestia »”.
Aveva sorriso amaramente, William e, per la prima volta, Brittany fu certa che i loro pensieri e ricordi fossero gli stessi. “Hai trovato il tuo Principe, quindi”, le aveva chiesto come se non fosse passato un lungo intervallo tra l'innocente domanda di una bambina e la giovane donna che aveva di fronte in quel momento.
Aveva stretto il libro al petto, Brittany, e aveva annuito. Levò lo sguardo su di lui: “Avrei voluto che fossi il primo a saperlo”.
“Lo avrei voluto anche io”, aveva sussurrato.
Altrettanto certa era che sapessero entrambi ciò che quelle parole sottintendevano: quell'addio in sospeso da dieci anni.
Si alzò in piedi, William, ma Brittany lo trattenne e levò la mano. “Sono felice che tu adesso sia il padre che avresti voluto essere anche allora. Ma non spezzare il cuore di Alyson: non ti chiedo altro e non ho più nulla da perdonarti”, non vi sarebbero stati dubbi circa la sincerità di quelle parole malgrado il viso esangue, gli occhi lucidi e le labbra tremanti.
“Vorrei ancora poter essere il tuo”, aveva ammesso con un sorriso amaro.
Aveva scosso il capo, Brittany, un vago sorriso. “Sei andato avanti ed è ciò che devo fare anche io, ma ero bloccata”, replicò con la medesima semplicità.
“A causa mia”, specificò l'uomo.
“Dovevo perdonarti e dovevo perdonare me”.
Malgrado tutto, quella consapevolezza, sembrava darle nuove respiro e alleggerirle il cuore, dopo segreti rimpianti e domande senza risposta.
Superò quella distanza, William, e la strinse al petto e, dopo un istante di lungo oblio, Brittany lasciò che i singhiozzi infrangessero il silenzio e pianse.
Pianse per quella bambina smarrita che era stata per lungo tempo, per la donna che stava ancora faticando ad emergere, per la donna che avrebbe desiderato essere e la famiglia e l'amore che sperava l'attendessero ancora con lo stesso bisogno.
“Andrà tutto bene”, le aveva sussurrato William prima di baciarne la fronte, sfiorandone i capelli e trattenendola contro di sé, per un altro lungo istante, quando il pianto si calmò.
E, finalmente, Brittany gli credette e poté sorridere in quell'ultimo abbraccio.
Aveva capito quale era la sua casa e, da quel momento, nulla avrebbe più potuto ostacolarla.


To be continued…





Ed eccoci alla conclusione di questo capitolo del tutto innovativo per location e personaggi. Devo ammettere di essermi abbastanza divertita nel caratterizzare la nuova famiglia di William e spero di aver sciolto i dubbi circa il suo precedente matrimonio con Shirley e il modo in cui l’abbandono abbia avuto ripercussioni su Brittany.
Ma è tempo di guardare avanti come la nostra protagonista:

(…) era all’aeroporto quel giorno ma non ha avuto tempo di parlarti”.
Ho capito che eri una piantagrane dal primo momento in cui ti ho vista, e lo penso ancora”.
Credevo che la Bestia smettesse di essere tale, dopo la dichiarazione di Belle”.


Spero di avervi fatto tornare il sorriso e avervi reso abbastanza curiosi per il prossimo capitolo. Come sempre, vi ringrazio della partecipazione, soprattutto nel rendermi sempre partecipe dei vostri feedback ed emozioni <3
Un abbracciane a tutti e buon weekend,
Kiki87





1 Chiedo scusa a chi ancora non abbia letto questo splendido libro in inglese e anche a chi aspetterà eventualmente la traduzione “ufficiale”, ma non ho trovato citazione migliore per questo capitolo. Senza contare che è sempre un gran piacere poter citare Chris Colfer :)

2 Perdonate la mia ignoranza: non ho mai preso l'aereo e tanto meno condotto con me il notebook a bordo. Da quanto ho letto su internet, l'aereo non dovrebbe schiantarsi perché William ha aperto un documento di scrittura, in caso mi diciate il contrario, provvederò a correggere :D
3 Per aiutarvi a visualizzare meglio la casa, ecco il link di qualche fotografia a cui mi sono ispirata per la descrizione: ammetto che non sia il mio forte descrivere le abitazioni, ma sicuramente un'immagine è di gran supporto. Si tratta, nello specifico, di un hotel di lusso nello scenario della campagna di Washington: 
foto 1
foto 2
foto 3
4 Per la nuova moglie e la figlia adottiva di William, non potevo che ispirarmi ad altri due personaggi di Gossip Girl: Lily Wan Der Woodsen per Chloe: Chloe  E per Vivian, ho immaginato colei che si è spacciata per la nipote di Lily, Ivy Dickens: Vivian
   
 
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