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Autore: Pearlice    24/01/2014    6 recensioni
Prima classificata al contest "Una sana risata!" indetto da Amahy sul forum di EFP.
“Oh sì, Aragorn vecchio mio sei proprio nei guai…” si autocommiserò tra sé e sé, dopo essersi reso conto, per qualcosa come la ventesima volta in quella giornata, che i suoi occhi erano rimasti fissi sul didietro di Legolas per un arco di tempo che aveva iniziato ad essere quantomeno imbarazzante. Certo, anche l’Elfo non gli facilitava la vita chiedendogli di guardargli le spalle quando si allontanava dal gruppo per aprire il sentiero, ovvio che se gli porgeva l’occasione così su un piatto d’argento il suo sguardo scivolasse ben più in basso delle spalle.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Aragorn, Boromir, Gimli, Legolas
Note: Missing Moments, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando Aragorn raggiunse finalmente il resto della compagnia, dovette suo malgrado ammettere che la rapidità delle sue gambe che gli era valsa in passato l’appellativo di Grampasso, nulla aveva potuto contro quella della lingua di Pipino.
Difatti aveva il forte sospetto che fosse stato proprio il recente racconto del compagno a causare le ilari risate degli altri tre hobbit, risate che inspiegabilmente si erano spente proprio al suo sopraggiungere.
Ergendosi finalmente davanti a loro in tutta la sua ragguardevole altezza, dapprima trucidò Pipino con lo sguardo, poi passò in rassegna gli occhi colpevoli e sconvolti degli altri tre e solo quando arrivò a Frodo, che sembrava sull’orlo delle lacrime, comprese che forse li stava spaventando davvero.
Tornando rapidamente in sé, si convinse che sarebbe stato meglio non ingigantire la questione e che in ogni caso sarebbe stato terribilmente imbarazzante trovarsi a dover spiegare per quale motivo Legolas si trovasse spalmato sopra di lui come la marmellata sul pan di via.  Davvero, più imbarazzante di quando aveva dovuto giustificarsi con un offesissimo Elrond su cosa fossero quelle “riprovevoli rime da vaccaro” quando quello si era ritrovato fra le mani una sua poesia dedicata alla figlia.
Quindi, ostentando la miglior nonchalance che uno appena arrivato correndo come un forsennato e con uno sguardo da pazzo omicida potesse offrire, rantolò «Abbiamo trovato una caverna… per di là» per poi fare un meccanico mezzo giro su se stesso ed allontanarsi tentando di assumere un’andatura che non generasse sospetti circa l’ubicazione della sua spada.
«M-ma che diamine aveva Grampasso?» balbettò dopo qualche secondo Sam, il primo ad essersi ripreso, mentre con una manica asciugava il sudore sulla fronte del suo padron Frodo.
«Non lo so… ma per un attimo ho temuto come la prima volta che l’ho incontrato…» bisbigliò quest’ultimo, col cuore che ancora batteva più rapidamente del dovuto contro la cassa toracica.
«Io l’avevo detto dall’inizio che non ci si poteva fidare di lui» commentò Merry, guardandosi intorno con circospezione nel timore che quelle parole potessero arrivare alle orecchie del Ramingo.
L’unico che, stranamente, si astenne dal dire la sua fu proprio Pipino, che al contrario abbassò gli occhi in un atteggiamento composto che, se gli altri non fossero stati ancora tutti sconvolti, l’avrebbe immediatamente smascherato.
«Ad ogni modo Merry, dicci come andò a finire quella volta con Lobelia Sackville-Baggins!» lo esortò Sam, aiutando un tremante Frodo a sollevarsi e sperando di riuscire a distrarlo dallo spavento con l’epilogo del divertente aneddoto con cui il loro amico li stava intrattenendo.
«Uhm, non ricordo più di quale episodio stessi parlando…» ammise quello, incamminandosi nella direzione indicata loro dal ramingo «Grampasso mi ha fatto prendere una paura tale che per un momento ho dimenticato anche il mio nome!» aggiunse poi grattandosi la folta chioma ricciuta con una risatina nervosa.
 Aragorn si sedette su di un masso, proprio al di fuori dell’antro dove gli altri si stavano organizzando per la notte, cercando di far tornare il respiro a livelli che non somigliassero a quelli di Gimli al primo accenno di corsa e tirando fuori la pipa per cercare di tranquillizzarsi un po’. Al quarto tentativo di infilarvi il tabacco, in cui questo si andò piuttosto ad infilare nei recessi più nascosti della sua tunica, dovette arrendersi all’evidenza che era decisamente troppo teso per compiere un gesto che richiedesse una tale precisione.
Doveva calmarsi, in fondo non era successo nulla. Okay probabilmente vederli emergere dalle fratte uno sopra all’alto non doveva aver lasciato molti dubbi nella mente di Pipino e okay, quasi sicuramente era andato a raccontare il fatto, condito di particolari osceni più o meno inventati, agli altri tre, ma anche se così fosse stato dov’era il problema? Lui e Legolas avrebbero smentito prontamente. Se però quelli non gli avessero creduto?
Sarebbe stato maledettamente umiliante, ecco cosa! Si vergognava con se stesso di esser preda di passioni così innaturali, figuriamoci quanto poteva provarne pudore con gli altri! Nella sua lunga vita di Dùnedain aveva messo le mani solo su profumate carni di fanciulle e ne andava fiero! Se anche solo si fosse concesso -e non l’avrebbe fatto- di accarezzare anche per una sola notte le toniche membra dell’elfo, l’avrebbe custodito gelosamente come il più nascosto dei segreti. E a nessuno sarebbe stato permesso di mettere in dubbio la virilità di Aragorn, figlio di Arathorn, erede di Isildur!
Invece in quel modo, il loro presunto amplesso sarebbe stato sulla bocca di tutti, con lo scherno aggiuntivo di non esser nemmeno esser stato consumato e la sua autorevole nomea  di legittimo aspirante al trono di Gondor sarebbe felicemente andata a meretrici.
Il passaggio della frusciante veste di Gandalf che, per qualche motivo, minacciava Peregrino Tuc di una tecnica di tortura che non comprese bene ma che in quel momento avrebbe sicuramente approvato, lo fece scendere dalle epiche vette di delirio raggiunte, riportandolo alla realtà.
Si portò le mani tra i capelli, sospirando abbattuto dal peso di tutte quelle considerazioni. L’unica verità era che se non si fosse invaghito -perché solo di quello di trattava- davvero dell’elfo non avrebbe mai reagito a quel modo. Anzi probabilmente ci avrebbe riso su e mai sarebbe andato a pensare che da un semplice gioco potesse nascere tutto quell’equivoco. Non avrebbe spaventato gli hobbit, né avrebbe maltrattato Legolas com’era accaduto, se la sua coscienza fosse stata davvero cristallina.
Legolas
Il modo sdegnato in cui l’elfo gli camminò davanti, passandogli al largo quasi fosse un escremento di goblin particolarmente fetido che era ben deciso ad evitare di calpestare, gli suggerì che forse si era leggermente offeso per come era finita la loro precedente discussione.
Ancor prima di concretizzare il pensiero nella sua mente, arrivò una sensazione angosciosa, che partiva da una regione imprecisata tra lo stomaco ed i polmoni, ad avvertirlo che la cosa lo faceva star male.
Non avevano mai litigato prima di quel momento, ma sapeva  che Legolas era di buon carattere e solitamente incline al perdono, quindi forse non avrebbe dovuto far altro che attendere ed aveva un’aspettativa abbastanza ottimistica di quelli che sarebbero stati i tempi di sbollitura dell’elfo.

*** 

Giorni dopo quando, apprestandosi a salire sul picco di Caradhras, non era ancora riuscito ad ottenere parole di perdono dall’amico, dovette ammettere che forse la sua aspettativa era stata fin troppo ottimistica.
Mentre avanzavano sullo strato friabile delle prime nevi, si rese conto che, come troppo spesso succedeva ultimamente, si trovava proprio dietro l’oggetto delle sue preoccupazioni. La discussione ancora irrisolta però, l’aveva addolorato a tal punto da non fargli venire nemmeno per una volta la tentazione di accarezzare con gli occhi zone al di sotto del suo punto vita e così proseguiva, con lo sguardo basso ed un’aria ancor più cupa e squilibrata del solito.
Tanto era perso a commiserare la sua triste condizione, che non considerò la singolarità di come un semplice battibecco con quello che ancora perseverava a considerare solo un amico, seppur sessualmente appetibile, fosse stato in grado di gettarlo in un simile sconforto e di sconfiggere qualunque sua velleità copulativa. D’altronde però, il suo grado di alienazione era tale da non farlo avvedere nemmeno di particolari ben più prosaici, come quell’ascia di nanica fattura, presumibilmente indirizzata all’elfo, che mancò di poco il suo padiglione auricolare.
Non seppe esattamente per quante ore si protrasse quell’allegra escursione prima che lui venisse a riscuoterlo dal suo torpore, ma a giudicare dal fatto che perfino il cicaleccio di Pipino si era arrestato, il tempo trascorso a quelle temperature così rigide doveva aver superato di molto l’umana sopportazione.
«Posso sapere cosa ti tormenta?» sussurrò una volta affiancatolo, facendogli sollevare la testa e sbattere le palpebre confuso, come chi per troppo tempo recluso al buio si fosse trovato improvvisamente un Legolas accecante davanti agli occhi. Valar, solo in quel momento, quando finalmente giunse alle sue orecchie più melodiosa di una sonata in re maggiore, si rese conto di quanto quella voce gli fosse mancata.
«Legolas…» piccola pausa necessaria a far smettere di rimbombare l’eco delle tanto attese parole dell’altro nel vuoto cosmico che era improvvisamente diventata la sua scatola cranica «Non eri adirato con me?» indagò, tenendo il tono basso per evitare di farsi sentire dai loro compagni di viaggio.
«Io sono adirato con te,» ci tenne a puntualizzare quello, «ma non abbastanza da non preoccuparmi quando vedo il sorriso del mio mellon sbiadire» aggiunse poi corrugando le sopracciglia con dolcezza ed abbandonando qualunque rimanenza di ostilità.
Oh, cos’era quello che sentiva? Suono di campane? Cori di angeli? E perché la neve e l’aria circostanti avevano assunto quell’improbabile colorazione rosata ed un Gimli provvisto di soffici ali piumate arpeggiava attorno a loro come il più grottesco dei puttini?
Scuotendo il capo per riportare la sua immaginazione entro i limiti del buon gusto e tentando di mantenere un minimo di contegno, anche se probabilmente anche Saruman dalla lontana Isengard aveva notato il suo compiacimento, rispose a mezza bocca:
«Non preoccuparti, amico mio, ero solo impensierito dal nostro litigio e… insomma non puoi essere ancora arrabbiato per una capocciata, in fondo abbiamo avuto incidenti ben peggiori in passato e tu mi hai quasi fatto la pelle quella volta in cui ti sono saltato alle spalle per salutarti ed…»
«Io non sono arrabbiato per la capocciata!» lo interruppe quello con un sibilo stizzito. Poi, dopo aver atteso che Boromir, voltatosi a guardarli, tornasse a farsi i corni di Gondor suoi, proseguì, nuovamente raddolcito. «È solo che c’è qualcosa che mi nascondi e prima non era mai successo. Il tuo atteggiamento è assai strano ultimamente e non ne comprendo il motivo. Prima temevi che potessi leggerti nel pensiero come se stessi nascondendo il più terribile degli omicidi, poi sei scappato via da me come inseguito da un troll… sono arrabbiato perché mi sembra che tu abbia perso la fiducia in quello che era il tuo più caro amico, ecco cosa» concluse, guardandolo con degli occhi così contriti che per un momento ad Aragorn venne quasi la tentazione di spiattellare tutto, pur di non vederlo più tanto afflitto.
«Anche se ti informo che Gimli si è beffato di me in molteplici modi per questo» aggiunse poi per sdrammatizzare, indicando un bernoccolo che faceva bella mostra di sé sul profilo altrimenti perfetto della sua fronte. «E forse dovrei avercela un po’ con te anche per aver messo in ridicolo la mia dignità di elfo» ritrattò, sollevando un sopracciglio e sorridendo sardonico.
«Mellon nin…» rispose con un debole sorriso a quel tentativo di dare un tono più leggero alla loro conversazione. «Ti sbagli, io non potrei mai perdere la fiducia in te. Sei tu che…» “… la perderesti in me se sapessi ciò che mi passa per la testa”, avrebbe voluto dire, ma il rimbrotto di Gandalf arrivò giusto in tempo per frenare la sua avventatezza.
«Voi compari! Smettetela di ciarlare come due vecchie nane e prendete in braccio gli hobbit! La neve inizia ad essere troppo alta per loro!» A quelle parole, e alle seguenti esclamazioni offese che giunsero da parte di Gimli, Aragorn era dovuto scendere dall’idillio che stava vivendo, per accorgersi che in effetti la strada era diventata molto più impervia dall’ultima volta che vi aveva prestato attenzione, qualche miglio prima.
Dopo che i due si furono scambiati una breve occhiata in cui si erano tacitamente accordati a rimandare le questioni personali per assumersi i loro doveri di compagni del Portatore, Legolas scattò in avanti come un corridore sul suo terreno ideale, mentre Aragorn arrancò goffamente tra la neve nel tentativo di raggiungere Frodo.
«Certo che l’elfo ha proprio un gran culo.»
Oh se ce l’ha…
Aspetta un attimo ma chi…?!
Il Dùnedain sollevò lo sguardo a metà tra l’incredulo ed il profondamente oltraggiato e si rese conto che a pronunciare quella frase era stato Boromir in persona, il cui sguardo era giustappunto puntato su Legolas, che li aveva staccati di un bel pezzo.
L’erede di Isildur deglutì nervosamente: certo Boromir non li aveva mia stupiti per raffinatezza, ma quel commento così scurrile nei confronti del loro compagno maschio proprio non se lo sarebbe aspettato! Insomma era quello lo stesso uomo che aveva intervallato le assillanti richieste di passare per Minas Tirith solo con le recriminazioni sulla carenza di quote rosa in quella compagnia? 
La cosa gli parve così sospetta che subito la sua mente giunse alla conclusione che quella frase non era stata buttata lì per caso. Oh no, era da quando si erano incontrati la prima volta che Boromir non faceva altro che lanciargli frecciatine e lo provocava col chiaro intento di finire alle mani con lui per qualche suo bisogno represso sul quale non si era sentito troppo di indagare. E “Gondor non ha bisogno di un re”, e “Aragorn ha le piattole” e “Ramingo ripulito, rimane un gran fallito”, troppe cose aveva dovuto sentire!
Alla luce delle recenti riflessioni, nuovo scopo acquisiva il commento dell’uomo ai suoi occhi: voleva sicuramente provocarlo. I perfidi hobbit dovevano averlo tradito e dovevano aver spifferato anche a Boromir del loro presunto accoppiamento campestre e quello, forte di quella consapevolezza, si stava divertendo a mettere ancora una volta alla prova la sua pazienza. Ma non gli avrebbe dato soddisfazione, decise, stringendo i pugni e rimuginando ad una risposta che lo zittisse una volta per tutte, senza tuttavia rendere manifesta la sua irritazione per il fatto che qualcun altro avesse osato fare apprezzamenti sull’oggetto dei suoi desideri sessuali.
Nel perdersi però in queste e più folli constatazioni, il Dùnedain non si era minimamente accorto del fatto che Boromir l’aveva ormai distanziato di un bel pezzo e di certo non poté udire, come invece fecero Merry e Pipino tra le sue braccia, la frase che completava il suo precedente discorso:
«Insomma, lui ha la fortuna di poter correre leggiadro su questa maledetta neve e noi qui ad arrancare come idioti!» sbottò il gondoriano con stizza, chiarendo ai due hobbit tremanti appesi ai suoi possenti avambracci il vero significato delle sue precedenti parole.
Significato che Aragorn aveva leggermente travisato.
«Erede di Isildur che ti prende? Muoviti invece di restartene lì come uno stoccafisso» lo richiamò all’ordine quando, voltatosi per controllare che la compagnia rimanesse unita, lo trovò fin troppi passi indietro. Ovviamente non si risparmiò di infierire indirizzandogli, en passant, un ghigno derisorio dei suoi, che per Aragorn fu chiaro indice di colpevolezza.
Lo stoccafisso di cui sopra, infatti, non si era mosso di mezzo millimetro da quando aveva udito lo sconveniente apprezzamento di Boromir, in parte preda dell’ira repressa, in parte esterrefatto ed altresì mortificato quasi fosse stato umiliato nel peggiore dei modi. Nel complesso, l’espressione che per qualche minuto rimase sul suo volto non rendeva davvero onore alla sua intelligenza. In effetti, nemmeno le considerazioni su cui si era intestardito gliene rendevano troppo. Nonostante infatti la sua parte razionale si stesse crudelmente beffando di lui e dell’improponibile grado di paranoia raggiunto, l’altra giurava e spergiurava che Boromir avesse detto quella frase proprio perché a conoscenza dei fatti di cui Pipino era stato testimone.
Il momento in cui si riscosse, fu quando Frodo, che l’aveva pazientemente atteso per esser preso in braccio, gli tirò timidamente una manica della tunica, per fargli notare, non senza un certo timore nella voce, che il resto della compagnia era ormai sparita alla loro vista.

  
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