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Autore: Hiroponchi    26/01/2014    6 recensioni
E' il continuo dopo la fine. Gli assassini Misa e Light si ritrovano in ospedale, con ancora una vita. Non lunga quella di Misa, disperata quella di Light. Deciso a prendersi finalmente cura di lei, Light si imbatte in una nuova avventura: quella di amare. Ma la dolce Aiko, fotografa, scatta una foto al cuore di Light, invadendo la sua vita. Ce la farà l'ex assassino, impotente senza quaderno, a capire qual'è la sua donna?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri personaggi, Light/Raito, Misa Amane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Passai dei bellissimi mesi con Misa. La primavera mutò nel caldo estivo e lei desiderò andare al mare. Affittai una casetta sulla riva, con una vista stupenda, e ci trasferimmo lì alcuni giorni. Lei, in abito bianco,  sandali e cappello, era splendida. Rideva sempre, tenendosi la pancia, ed era ingrassata. Spesso mi chiedeva se la trovassi brutta ma per me non esisteva donna più bella. Una notte mi alzai per prendermi da bere, con il rumore delle onde nelle orecchie, e la sentii parlare a telefono. Non volle mai dirmi con chi parlava, e mi fece riaddormentare con mille dubbi. Poi capii che mi aveva fatto una sorpresa e infatti, il giorno dopo, mentre lei era a raccogliere conchiglie, bussarono alla porta. Andai ad aprire, convinto che fossi lei, e mi ritrovai a fissare un volto più vecchio, stupendo, il volto che amavo di più al mondo. Mia madre. Lei mi disse che non c’era perdono per ciò che avevo fatto; per aver ucciso papà e tutte quelle altre persone; mi disse senza versare alcuna lacrima che non c’era assassino che meritava la pena di morte più di me. Ma poi scoppiò a piangere e mi disse che quando ero nato l’avevo resa la donna più felice al mondo. Senza dire nulla, le poggiai la testa sulle gambe, desiderando tornare bambino, e piansi sul suo grembo, finchè non mi fui assicurato il suo perdono. La mamma andò via dicendo di voler essere informata sulla gravidanza. Misa rientrò con un barattolo pieno di conchiglie che posò su una mensola. “Sei felice?”, mi disse.
“Molto”, risposi. “Ti amo”.
La baciai, carezzandole la pancia, e sperai che il tempo si fermasse. Quando l’estate finì tornammo a casa, trovando un mucchio di lavoro da sbrigare. Presi incarico presso Ishida-san, come assistente manager. Mi divertivo molto sui set e mi piaceva rispondere al telefono con la frase pre-studiata “Misa Amane è in maternità. Le farò sapere quando ritornerà a posare”.
Per quanto riguarda Aiko, veniva a trovarci spesso. Per fortuna non ricordava Ryuk e ogni volta che veniva ci chiedeva del bambino. Suo padre si era finalmente ricoverato in una clinica per alcolizzati e lei aveva ripreso gli studi. L’autunno si presentò freddino, ma soleggiato. Pioveva di rado ed era un bene perché quando il tempo era buio, Misa era di pessimo umore, tanto da picchiarmi con i cuscini del divano.
Le visite ginecologiche erano sempre più frequenti. La placenta sembrava essersi normalizzata ma le precauzioni restavano. Misa non poteva mangiare determinati cibi né bere il caffè. In quel periodo facemmo molte cose insieme. Andammo al tempio, a fare picnic sul prato, o semplicemente a passeggiare e fermarci in un pub. Poi tornavamo a casa, facevamo il bagno, e ci mettevamo sul letto a leggere. Leggevo per Misa senza mai stancarmi, di come Cenerentola perdesse la scarpetta di cristallo, o di come Splendore del Giorno* volesse essere libera. Dopo un’oretta lei si addormentava al suono della mia voce e allora mi accoccolavo accanto a lei, facendo sogni meno disastrosi.
“Light”, mi sussurrò lei una sera, quando aprii il libro.
“Si?”.
“Il mio bambino non sarà maledetto perché sono stata un’assassina, vero?”.
La guardai con affetto e vidi la paura impressa nel suo viso. “No”, le risposi. “Perché sarà amato dai suoi genitori, sarà un bambino dolcissimo, e vivrà bene. Vedrai, Misa, sarà felice”.
Lei mi prese la mano e l’accarezzò delicatamente come se fosse la zampa di un gatto. “Mi prometti che gli vorrai bene e che lo renderai sempre felice?”.
“Lo faremo insieme”.
“Light”. Misa si era messa a sedere e aveva portato la mia mano sul suo pancione. “Non so quando ancora ce la farò. Il Death Note ha in mano la mia vita. Ed è breve. Ti prego, quando accadrà, quando me ne sarò andata, non dire nulla a Lawliet. Digli che… ero debole o che avevo un brutto malore. Non dirgli mai che sua madre ha ucciso!”.
“Ma, anche io…”.
Misa mi baciò sulla guancia. “Promettimelo, Light. Non dirglielo mai”.
Con le lacrime agli occhi e il cuore in subbuglio, annuii. Poi ripresi il libro e ricominciai la storia da dove eravamo rimasti, riuscendole finalmente a leggerle la fine e desiderando che fosse tale la nostra vita insieme. “E così Cenerentola sposò il principe. E vissero per sempre felici e contenti…”.
 
Quel giorno mi svegliai all’improvviso, completamente sveglio. Allungai una mano al mio fianco ma Misa non era accanto a me. Preoccupandomi, mi alzai. Il pentolino del latte era sul fornello acceso, la luce era accesa in cucina sebbene fuori ci fosse il sole. Misa era accasciata sul pavimento, reggendosi al tavolo.
Le andai speditamente incontro e la vidi soffrire.
“Light, ho i dolori. Si sono rotte le acque”, mi sussurrò.
Chiamai l’ambulanza ma i minuti scorrevano lenti. Il tempo sembrava non trascorrere e non sentivo nessuna sirena nelle vicinanze. Ma sentivo le urla di Misa che non riusciva neanche a sollevarsi. Con la fronte imperlata di sudore e ormai il panico in ogni parte di me, bussai alla porta del vicino. Era un ragazzo dell’università, un po’ scemo ma buono. Mi consegnò le chiavi della sua Ford. Presi Misa tra le braccia, che pesava il doppio, e la sistemai sul sedile del passeggero. Salii al volante e misi in moto.
“Light, ma sai guidare?”, mi chiese Misa spaventata.
“Certo”, risposi, non troppo convinto.
“Quand’è l’ultima volta che l’hai fatto?”
“Boh”.
Pigiai sull’acceleratore e partii a tutta velocità. La mia mente pensava convulsamente alla placenta. E se qualcosa fosse andato storto? Se Lawliet, così piccolo e innocente, non ce l’avrebbe fatta? Cosa avrei dovuto dire alla mia Misa in qualità di padre fallito? La città era sveglissima nonostante l’ora. Non rispettai le strisce pedonali né i semafori. In quel momento ce n’erano troppi per i miei gusti. Misa piangeva dal dolore. Le fitte erano lancinanti. Si era spaccata il labbro inferiore a furia di morderlo.
L’ospedale mi parve una fonte di salvezza. Misa non riusciva a camminare. L’infermiera mi portò una sedia a rotelle e l’aiutò a sedersi. La seguii all’interno e vidi un medico di mezza età che sembrava stare senza far niente.
“La prego faccia qualcosa”, gli dissi. “Mia moglie sta partorendo”.
Portarono Misa oltre quelle porte verdi della sala parto e io rimasi fuori, terrorizzato e solo. Caddi carponi sul pavimento per chissà quanto tempo! Le mie orecchie non udivano altro se non quelle urla bestiali. Ricordo di aver pianto rannicchiato lì per terra. Avevo inghiottito l’intera paura in un corpo solo. Non riuscivo a immaginare un futuro. Quelle grida mi laceravano. Ma nulla fu più spaventoso e orrendo del silenzio dopo l’ultimo grido. Il cuore mi punse. ‘urla di nuovo, ti prego’, le dissi tra me e mè. ‘fammi sentire la tua voce’. Ma l’unica cosa che sentii fu il pianto di un neonato appena venuto al mondo. Ma nessuno si azzardava ad uscire da quella stanza, nessuno apriva quelle maledette porte. E il buio mi avvolse.
 
Camminavo come uno zombie, col medico accanto che aveva gli occhi umidi dietro le lenti sottili. Mi erano sbucate le occhiaie di un viola sfocato e le gambe mi dolevano ad ogni movimento. Era finito tutto. Non avevo più una ragione per cui valeva la pena di vivere. “Mi dispiace tanto”, stava borbottando il medico. “Il parto è stato normale e abbastanza veloce. Non so come sia potuto accadere. Era una donna molto fragile”.
Una lacrima, la prima da quando l’avevo saputo, scese finalmente sul mio viso e l’uomo sconosciuto mi posò una mano sulla spalla. “Si faccia forza. Mi segua”.
Non so dove mi stesse portando e non volevo saperlo. I corridoi erano così lunghi e bianchi, insensibili e insopportabili da vedere. La luce era così forte! O forse troppo fioca! Sembrava che stessi andando all’Inferno e che quella era l’unica strada prima della fine. “Ce la fa ad entrare?”, mi disse il medico. Guardai dentro. Mi chiesi quando fossimo scesi all’obitorio. Pensai che fosse ridicolo per l’ex Kira avere paura dei morti, eppure…
Avanzai pochi passi. Il medico rimase sulla soglia a guardarmi. Il corpo di Misa giaceva silenzioso e immobile, bianco e marmoreo, sul letto di ferro. Le presi la mano, piangendo, e gliela strinsi. “Perdonami”, le dissi. “Per tutto ciò che ti ho fatto! Non avrei mai dovuto uccidere quel criminale e tu non saresti mai venuta a cercarmi! Non avresti mai dovuto guardarmi, sorridermi, non avresti mai dovuto innamorarti di me. Ma l’hai fatto! E io ti ho fatto del male! È tutta colpa mia, Misa. Perdonami! Sono certo che andrai in paradiso. Non è vero che il possessore del Death Note non ha accesso né a paradiso né inferno. Non crederci, è una bugia. Tu eri già un angelo. Adesso ti hanno solo messo le ali! Vola in alto, Misa! Non ti dimenticherò mai”.
Le baciai la mano, bagnandola di lacrime amare. Guardai meglio il suo viso e trasalii. Stava sorridendo.
 
La seconda stanza in cui entrai era colorata e piena di movimenti. C’erano una ventina di cullette, ciasciuna con un numero e un nome, e c’era anche il mio bambino. Lawliet aveva un ciuffo di capelli corvini, una faccia paffuta, e dei piedini minuscoli. Era l’unico bambino sveglio nella nursery e quando mi vide smise di succhiarsi il pollice. L’infermiera arrivò a passo rapido, raccolse il piccino dalla culla e me lo ficcò praticamente tra le costole. Mi ritrovai a stringerlo prima ancora che fossi pronto a farlo e lo guardai ridere. Mi teneva il dito stretto nella sua manina. Aveva un naso così piccolo e degli occhi così grandi! Gli sorrisi.
“E così sei tornato da me, L. Hai trovato il modo per farlo, eh? Ma vedrai, stavolta sarà diverso! Ti terrò vicino a me, e ti darò tutto l’amore che posso. Non farò mai curvare la tua schiena, non sopporterai alcun peso. Sarai felice e io lo sarò quando ti vedrò crescere e farti sempre più simile alla mamma. Sei la mia unica ragione di vita, L. Questa volta, lo prometto, non ti deluderò”.
 
Angolo autrice: eh si, è finita. Piaciuta? Mi spiace per la morte di Misa ma era già stato progettato sin dall’inizio. Ammetto che all’ultimo avevo preso in considerazione di far vivere lei e far morire Light ma non avevo una scusante per farlo. E poi desideravo troppo concluderla con quella frase. Spero che tutto sommato vi sia piaciuta; scusate eventuali errori di punteggiatura o grammatica: ho sempre scritto dalle 23:30 in poi. Ringrazio tutte le persone che hanno recensito e che hanno letto la mia storia. Grazie di cuore, alla prossima! 
  
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