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Autore: RobiSmolderhalder    26/01/2014    4 recensioni
SOSPESA A TEMPO DETERMINATO!
C'era tanto...troppo silenzio. C'era dolore. C'erano le tenebre che premevano contro il suo cuore. Lo vedevo, lo sentivo fino alle ossa. Mi trascinava dentro di sé, nelle tenebre, non c'era il sole, c'era solo buio, solo giornate di eterne nuvole. Il sole era ricoperto dal suo strato di dolore. Tante volte, nel corso di quel percorso, mi ero detta "chi me lo ha fatto fare?" Eppure adesso non sarei qui. Non sarei la stessa Isabella Swan.
-
Ragazze, questa è una sfida per me. E' una storia che tratta di mente malata, di dolore fino al confine del sole.
Tutti umani.
Roby
Genere: Erotico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carlisle Cullen, Charlie Swan, Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun libro/film
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In the mosaic.

 

Because I see in you what you yourself do not see.

 

 

 

 

 

Quella mattina Amsterdam aveva ospitato la neve assieme ai suoi soliti passanti, raggelati e di fretta. Amsterdam non era la città che tutti raccontavano, ma come ogni città che esiste al mondo; non per niente la gente dice “ogni città è paese”. Amsterdam aveva parecchie storie da raccontare…come me ad esempio. Era domenica quella volta e con un sonoro sbuffo scesi i gradini e salii in macchina con malavoglia. Amavo i miei genitori, nonostante erano consapevoli di rubarmi l’unico giorno libero a mia disposizione. Il mio problema era sempre stato il non sapere dire di no, avevo sempre accontentato tutti e questo mio difetto, ebbene lo consideravo un difetto di quelli peggiori e ne avevo molti, molte volte mi aveva portato in un punto finito, dove non c’era nulla che io potessi fare o dire, dove mi ero persa nel mio famoso bicchiere d’acqua. Odiavo quel lato di me, odiavo anche me stessa il più delle volte. Arrivai a casa di mia madre alle undici, nonostante dovevo solo pranzarci, non mi era mai piaciuto arrivare a casa della gente per l’ora di pranzo, potevo dare l’impressione che fossi lì soltanto per mangiare. Mia madre era, come sempre, indaffarata a cucinare per un regimento di soldati, quando ogni volta eravamo sempre i soliti, io, lei, papà e Rose. Nemmeno Rose riusciva a dire di no a mia madre, il più delle volte persuasiva rivolto nei suoi confronti era un eufemismo fatto e finito. Mio padre era stravaccato sul divano a guardare i programmi sportivi, salii le scale e andai in quella che una volta era camera mia. C’erano ancora le fotografie dei miei vecchi amici, quelli che ho perso a causa dello studio, altri si sono trasferiti e altri ancora hanno preso strade opposte alla mia. Sfiorai con l’indice una foto che ritraeva me e Allyson, io lei e Rose eravamo ottime amiche, almeno fino al primo superiore. Ci rimasi di merda quando si allontanò definitivamente…e il mio cuore perse un battito quando venni a conoscenza di quello che fece della sua vita. Aveva abbandonato gli studi, nonostante io e Rosalie continuavamo a volerle stare accanto, anche se aveva uno spinello tra le mani, anche se lei ci guardava come se fossimo delle scolarette per il quale bisognava stare alla larga. Allyson batteva nella strada principale vicino all’aeroporto, Allyson aveva abortito tre volte nel giro di quattro anni, Allyson aveva perso l’orientamento che conduce alla retta via, Allyson amava la droga, lo sballo, Allyson si era allontanata da noi e aveva inconsapevolmente rovinato la sua vita. Ogni tanto la vedevo girare nel parco dove si affacciava il mio studio e, quelle poche volte, che il nostro sguardo si incontrava nei suoi occhi c’era puro odio. Mi voltai vicino alla finestra e mi incantai a guardare i fiocchi di neve che amabilmente scendevano dal cielo. Chissà perché in quel preciso istante mi venne in mente Edward Cullen. L’avevo visto solo due volte ed ero assolutamente consapevole che fossero poche, ma a essere sincera in lui non ci avevo ancora capito una mazza. Avevo solo capito che gli piaceva starsene in silenzio ed era in quei momenti che mi veniva in mente che pensavo: “che diavolo viene a fare nel mio studio se non parla?” non potevo fare niente con lui, fin quando non mi diceva cosa in realtà lo turbasse, avevo le mani legate. Il padre non si era fatto vivo e con lui nemmeno i suoi soldi, ma era amico di mio padre e quindi mi fidavo. Anche se, molte volte i soldi mi importavano meno di zero. In pochissime ore mi ero accorta di quanto quel ragazzo mi attraeva. Non appena si muoveva, il mio corpo era percosso da brividi, le sue mani…Dio le sue mani riuscivano a scaturire in me pensieri davvero poco puri che molte volte non facevano che farmi vergognare di me stessa. Edward mi piaceva e non poco, forse era anche per quello che volevo assolutamente sapere cosa c’era che non andava in lui, dentro il suo cuore e alla sua mente soprattutto. Scesi le scale con l’espressione più imbronciata che potessi fare e raggiunsi mio padre. Mi sedetti sul divano al suo fianco, nonostante lo spazio fosse ridotto a causa della sua posizione da “oggi sono libero e non mi va di fare nulla” e lo guardai, come facevo sempre quando volevo ottenere qualcosa da lui. La regola per volere qualcosa da mio padre era: pretendilo ma non farglielo capire.
«Dimmi Bells.» Infatti mormorò, con il sorriso sulle labbra.
«Come va a lavoro? »
«Può sempre andare peggio…» Disse sorridendomi. La maggior parte dei clienti di mio padre avevano casi da grattacapo…si vociferava che lui fosse uno degli avvocati migliori della città e, in automatico, tutte le persone che avevano cause difficili da affrontare si rivolgevano a lui.
«Senti papà…»
«Bella, Carlisle mi ha detto che domani sul tuo conto avrai mille euro accreditati, per le due sedute e per quelle che avverranno in futuro…»
«Ma papà…sono venti sedute!»
«E?»
«Sono troppe! Soprattutto se la persona in questione non fa nulla per risolvere dei problemi che in certi momenti non crede di avere, e in altri invece sì!» Sbottai arrabbiata! Ero io, sempre e solo io, che decidevo il numero delle sedute necessarie, soltanto io potevo rendermi conto se il paziente fosse in parte tornato in sé. Potevano passare settimane, mesi, anni…e per Edward che non voleva essere aiutato, tendendo presente ciò che lui stesso mi aveva fatto intendere. Non costringevo nessuno, erano gli altri a volere il mio aiuto.
«Bella, ascolta…Carlisle ha bisogno di essere aiutato con Edward…vedi sono anni che è così…così…disturbato…»
«Papà! Edward è sano! È tranquillo! Cosa diamine vi fa credere che lui non sia normale?» Urlai alzandomi di fronte a lui che aveva spento la tv e si era rivolto completamente verso di me.
«Bella…sua madre è morta quando lui era piccolo, aveva solo nove anni. Suo padre all’inizio sapeva che poteva prenderla come uno shock, così come per la sorella, Alice…fino ai tredici anni Edward si comportava in modo normale…ma non appena cominciarono le scuole medie, il ragazzo cambiò. Ricordo ancora quando all’inizio di tutto questo Carlisle si confidava con me…Edward aveva smesso di mangiare all’inizio, tant’è che parecchie volte finì in ospedale. Non parlava più, ogni tanto lo sentivano mormorare nella sua camera ma, mai sentirono realmente la sua voce, solamente i professori riuscivano a parlare con lui e, gli stessi, dicevano a Carlisle che non c’era nulla di cui preoccuparsi, che Edward era un ragazzo come molti, almeno nell’ambiente scolastico. Ricominciò a parlare con la sua famiglia il giorno della sua Laurea, il giorno dopo fece un disastroso tentativo di suicidarsi. Carlisle da quel giorno, oltre ad essere stato costretto dal primario del reparto in cui Edward era stato ricoverato a causa dei suoi maldestri tagli sui polsi, decise che comunque Edward aveva bisogno di uno psicologo. Ne girarono un’infinità e ogni volta che Carlisle mi avvertiva di aver fallito l’ennesima volta io mi sentivo in colpa. Conosco mia figlia, conosco il suo lavoro e, soprattutto, sono sicuro che solamente tu riuscirai ad aiutare realmente Edward. Bella, io la vedo in te, la voglia di aiutare la gente che ti parte dal profondo del cuore, la vedo la delusione quando pensi che qualcosa con i tuoi pazienti potrebbe andare storto…e la vedo anche adesso…la voglia che hai di rompermi un vaso in faccia perché sto affermando la verità. Consigliai te a Carlisle e ora siamo qui.» Disse con una strana agitazione in volto.
«Papà…io non credevo che…senti, non ti prometto nulla…solo…ci proverò.»
«Bene.» Mormorò.
«Cerca di conoscerlo anche fuori dal lavoro…tipo una cena…un drink o…»
«Papà! »
«Insomma! Non puoi dire che sia un brutto ragazzo » Esclamò con la faccia fintamente inorridita.
«No…Edward è bellissimo…» Sussurrai rendendomene conto solo dopo colorando la mia faccia di rosso peperone. Mio padre si schiarì la voce imbarazzata e si alzò nello stesso tempo in cui suonò il campanello. Sarà Rosalie, pensai mentre andai in cucina. C’era il caos totale: piatti impilati per essere portati a tavola dappertutto, i bicchieri di cristallo che mia madre usava solo ed esclusivamente per ospiti speciali, teglie di cannelloni ripieni sul bancone, tre torte diverse, un tacchino intero con contorno di patate e wurstel, spinaci con mozzarella, pesce marinato.
«Mamma!» Esclamai con la tentazione di aggrappare le mie dita ai capelli.
«Bella, ascolta, abbiamo ospiti non possiamo fare certe figure.»
«Mamma, è solo Rose.» Dissi prendendola in giro mentre afferrai una patata calda con le dita, bruciandomele assieme alla lingua.
«No! Non so come mai non te l’abbia detto, Rose non viene. Abbiamo Carlisle Cullen e i suoi figli a pranzo…» Mi sentì raggelare il sangue senza conoscerne esattamente il motivo. Insomma cosa c’era da preoccuparsi tanto? Forse solo il fatto che vedere Edward in un posto che non era il mio studio era la cosa più eccitante del mondo? Sì, forse era per quello. Sentii la voce di Carlisle e feci un respiro profondo, una parte di me voleva passare l’intera giornata a contemplare la magnifica bellezza di quell’uomo…un’altra parte invece sperava che lui non ci fosse. Mi affacciai dalla soglia della cucina e lo vidi; era di spalle, indossava un paio di Jeans e una camicia di seta bianca che racchiudeva i muscoli delle sue braccia in modo meraviglioso. Il solito calore che mi coglieva di sorpresa ogni qualvolta che la mia mente vedeva o immaginava Edward mi colse anche quel giorno, in quel preciso istante. Avevo una voglia tremenda di fare la pipì, ma, ovviamente non era quello il mio problema. Mi avvicinai agli ospiti, tanto valeva farlo subito.
«Benvenuti!» Esclamai con finto entusiasmo, che, dal sorriso di mio padre significò messo in scena perfettamente.
«Isabella…» Sussurrò Edward sorridendomi, sempre con quel suo modo strano…quel modo che non contagia gli occhi, quel modo che ha di voler sorridere con tutto se stesso ma non poterlo potenzialmente fare. Erano quelli i momenti che il mio corpo e la mia mente erano ipnotizzati da lui, ero sicura al cento per cento che se in quel preciso istante mi avesse chiesto di saltellare per tutta la stanza con una gamba sola io l’avrei fatto.  Abbassai lo sguardo imbarazzata e mi avvicinai al padre e a quella che doveva essere sua sorella: Alice.
«Che piacere dottoressa Swan.» Si inchinò Carlisle io lo guardai lusingata ma subito mi ridestai, non amavo quei trattamenti, o forse sì, solo che non riuscivo ad accettarlo. Alzai gli occhi al cielo, rendendomi conto ancora una volta della potenza della presenza di Edward in me, avevo il cervello in panne, non riuscivo a controllare i miei sentimenti e, soprattutto, non riuscivo a decidere cosa voler fare, era l’istinto che comandava, ed io ero pro alla ragione, su tutti i campi.
«Isabella, fuori dallo studio.» Mormorai tornando in me. Alice si presentò con il suo sorriso genuino e la sua voce squillante, assolutamente diversa dal fratello. Durante il pranzo, il quale ero seduta affianco a Edward, mi chiesi più volte se fossero davvero fratelli. Lei era molto diversa, lei era una persona apparentemente felice, tranquilla. Sorrideva, parlava continuamente, si interessava alle conversazioni intervenendo con la sua mente brillante…Edward, dal suo canto, se ne stava seduto in silenzio…fin quando, mia madre, -che non sapeva assolutamente nulla del nostro rapporto poiché, mio padre mi aveva assolutamente proibito di parlarne con lei con un motivo a me sconosciuto – parlò direttamente con lui.
«Cosa fai tu nella vita?» Chiese con la sua voce calda e affettuosa.
«Niente. Non mi chieda il perché. Non mi chieda come mai non lavoro se sono laureato in medicina, lo chieda a mio padre, invece…» Disse con la sua voce gelida, facendo tramortire mia madre, cosa che non accadeva mai se non una volta ogni cento anni.
«Scusami…io…non…» Balbettò lei, avevamo consumato anche il dessert, il pranzo era totalmente finito, mi venne la geniale idea di alzarmi dal tavolo, ma restai pietrificata, forse era solo la curiosità…o forse era solo il polo Edward ed io la calamita Bella.
«No. Mi scusi lei…ecco io…» Balbettò anche lui che aveva perso la sicurezza di poco prima. Vidi suo padre guardarlo torvo, mentre lui aveva la testa china, come se volesse scoppiare a piangere da un momento all’altro. Non so dove presi una certa sicurezza ma accadde, presi la mano di Edward invitandolo ad alzarsi e lo fece, come se fosse un cagnolino al guinzaglio, salimmo le scale e lo portai in quel posto dove potevo sentirmi me stessa, potente, dove riuscivo a calmarmi e a razionalizzare i miei pensieri quando ero solo un’adolescente. Questo era Edward per me, era un adolescente con una crisi adolescenziale in corso, sembrava un pulcino abbandonato e mai come quella volta mi fece tanta tenerezza. Accarezzai il suo braccio ed entrammo dentro la piccola mansarda che ospitava i miei vecchi giocattoli, libri, patti e bicchieri in eccesso, coperte, stufe…c’era anche una piccola panca e ci accomodammo restò in silenzio fin quando non mi colse alla sprovvista. Mi abbracciò così forte che mi parve di soffocare per un istante, accarezzai i suoi capelli che solleticavano il mio collo e poi lo sentii, quel rumore che mi lacerò il cuore quella e, tante altre volte, i suoi singhiozzi, suoni acuti e terribili, sentii la mia gola ardere di rabbia senza averne motivo alcuno, e una lacrima solcò il mio viso. Rimanemmo in quella posizione per quelle che parvero due ore e non appena si fu calmato si addormentò con la testa sulle mie gambe. Non capii subito il perché, ma sentivo che forse questa non era la mia sconfitta, che forse potevo aiutare quest’uomo, che insieme ce l’avremmo fatta, che gli sarebbe bastato dirmi solo una piccola parte di ciò che lo tormentava e insieme saremmo riusciti a farlo uscire da questo limbo che non conosceva la pace. Edward era un uomo internamente solo, Edward non sapeva camminare eppure già pretendeva di correre, Edward, ne ero sicura, non aveva un semplice disturbo, c’era qualcosa all’interno del suo cuore che lo aveva marchiato, la sua mente possedeva un tarlo più grande della sua anima.
«Ce la faremo…» Mormorai bagnando il suo bellissimo volto con una lacrima. Avevo paura, lo avevo ammesso a me stessa…eppure qualcosa mi diceva che valeva la pena aiutarlo, lottare, andare avanti. Edward non viveva adesso, Edward più avanti lo avrebbe fatto. Ero più tranquilla…ma, ovviamente non ero consapevole che Edward sì che ce l’avrebbe fatta, ma alzandosi lui avrebbe fatto cadere qualcun altro.
I suoi occhi si aprirono e ci trovammo faccia a faccia, con gli sguardi mescolati. Vedevo il suo tormento, vedevo che il sole da quelle parti non esisteva più, vedevo la felicità lasciarlo solo in un prato, vedevo il suo sorriso, quello vero, ormai estinto.
«Non dormivo…» Sussurrò tranquillo. Lo guardai e non mi preoccupai di quel piccolo dettaglio.
«Devi aprirti con me Edward, devi farlo. Se vuoi mettere fino a questa situazione confusionale, devi farlo…se non ti piaccio io puoi sempre cambiare, ma ti prego, permetti a qualcuno di aiutarti!» Dissi mentre la mia voce si affievoliva piano piano.
«Con te non posso.» Disse spezzandomi il cuore facendomi intendere che non si fidava per niente di me e non riuscii ad arrabbiarmi.
«Perché non puoi?» una lacrima solcò il mio viso.
«Perché, sembra strano, sei importante Isabella…»
«Bella chiamami Bella…» Pentendomi immediatamente di averlo interrotto, quando, forse, finalmente stava dicendo qualcosa che poteva tirarmi su il morale.
«Bella, non voglio trascinarti in questo schifo.»
«Non c’è niente di te che fa schifo.»
«Sì…ma tu se testarda, me ne sono reso conto subito, la prima volta che ti ho visto.»
«Edward…io voglio aiutarti, io credo in te.»
«Come fai a credere in me se nemmeno io ci credo?»
«Sai perché?» Dissi sicura come mai nella mia vita, prendendogli il viso tra le mani. «Perché io vedo in te quello che tu stesso non riesci a vedere.»

 

 

 

 

 

Eccomi!!! Perdonate il ritardo, sono una cogliona -.-
Purtroppo ho avuto una settimana difficile, un lutto e cose varie che non sto lì a buttar giù, annoiandovi più di quanto non abbia già fatto il capitolo :D

 

 

 

Spero con tutto il cuore che continuerete a seguire questa storia, per me davvero importante.

A venerdì…I promise.

Roby <3

   
 
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