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Autore: Miss Dumbledore    26/01/2014    4 recensioni
                        maybe a smile will save us ~
Lily Luna Potter: ecco come si chiamava quella piccola creaturina dai capelli rossi che urlava in mezzo al parco della scuola come un'assatanata. Sembrava ce l'avesse con un ragazzo biondo che la guardava scocciato mentre sfogava la sua furia assassina su di lui per chissà quale motivo.
« Scorpius Hyperion Malfoy, razza di lurida serpe strisciante che cazzo avevi in mente?! »
Urlò infervorata in faccia al biondino che la guardava in un misto di dispetto e stizza.
« Vorrei ricordarti, Potter, che non sono fatti tuoi » rispose calmissimo, anche se gli occhi plumbei brillavano in modo strano, diverso dal solito come se fosse.. impaziente?
« Grande idiota che non sei altro, lei è mia cugina quindi io c'entro eccome. E' una questione di famiglia» alzò la voce infervorata mentre le gote si tingevano dello stesso colore dei capelli.
« Non è colpa mia se voi proliferate come topi, prima o poi è inevitabile andare a sbattere contro un tuo parente pel di carota. »
(Attualmente in revisione.)
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: James Sirius/Dominique, Lily/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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;SIXTEENTH CHAPTER

Quando si agisce cresce il coraggio, quando si rimanda cresce la paura.
Publilio Siro

Forse era sveglia, forse stava ancora sognando. I corpi senz'anima sognavano? No, senz'altro no, i sogni erano frammenti d'anima -lo diceva sempre qualcuno, anche se non ricordava chi, un autore famoso comunque- dovevano essere salve per forza.
Sentiva delle voci, di sottofondo, ma era come se non fosse abbastanza forte per catturare le parole, come una radio sintonizzata male, coglieva solo a pezzi le parole interrotte da un brusio incessante di diverse voci che si fondevano assieme.
Lentamente aprì gli occhi, solo un poco e venne accecata dal bianco. Li richiuse subito.
Poi cominciò a prendere coscienza dell'odore che l'avvolgeva. Pozioni medicinali.
O era in Infermeria o al St. Mungo.
«Si sta— ando.» percepiva le frasi sconnesse, a pezzi. Le faceva male la testa, come dopo una brutta sbronza.
«Mhm..» mugugnò infastidita, troppi rumori, aveva bisogno di silenzio, li avrebbe abbracciati dopo. O picchiati, non importava, bastava solo che potesse essere fatto tassativamente dopo.
«Al— va a chia— Chips.»
Rumore di una sedia spostata, forse, e uno scalpiccio e poi— una voce le era famigliare.
Il suo pensiero felice.
Il calore e il terrore che comportavano quella certezza, quella scoperta l'avvolsero spingendola ad aprire gli occhi sbattendoli ripetutamente. Merlino se faceva male la luce, non potevano spegnerla?
Ci mise un po' a distinguere i colori, non è che la visuale migliorò tanto, ma si concentrò, si concentrò sull'unica figura che voleva vedere.
«Scorpius..» il suo nome le uscì dalle labbra con tanta naturalezza da provocarle un brivido lungo la schiena e il dilatarsi dello sguardo di lui, «Scorpius sorridi.»
Ci provò anche lei, ma dalle facce attorno a lei intuì che doveva essere sembrata più una smorfia di estremo dolore.
Mentre Scorpius s'irrigidì a quelle due parole Zabini la guardò con tanto d'occhi.
«Lils, ma sei sicura di star bene?»
Lo ignorò, non aveva occhi né attenzione a sufficienza per contere altro che lui e quel grigio che mai le era sembrato così caldo.
«Sorridere, sai— non si sa mai— un sorriso,» balbettò incerta, debolmente, sentiva la testa girarle, mentre il sonno stava per riprendersela, «forse.. forse un sorriso ci può salvare.»
L'ultima cosa che vide mentre abbassava le palpebre fu il suo sguardo e le sue labbra, perfettamente immobili.
Non aveva sorriso.
Eppure era importante.
Il sorriso di Scorpius era il suo pensiero felice.

La prima cosa che la colpì fu il silenzio. Che ci fossero i suoi cugini, fratelli o il gruppetto Serpeverde attorno a lei non contava, c'era sempre qualche voce. Invece ora l'avvolgeva il silenzio come una coperta opprimente. In effetti sentiva caldo, ma era per la mole industriale di coperte -letteralmente- che aveva addosso.
Le scalciò con un gesto impaziente, senza nemmeno aprire gli occhi, memore dell'ultima volta quando la luce l'aveva quasi accecata.. o forse l'aveva solo sognato? Gli arti, a dire il vero tutto il corpo, le dolevano, muoversi così in fretta forse non era stata una buona idea.
Aprì pian piano un occhio e lo vide, vide la trasformazione sul volto dell'uomo più importante della sua vita. Le rughe sulla fronte che si distendevano, gli occhiali che gli scivolavano un po' sul naso e la mascella che si rilassava. Vide suo padre sorridere con delicatezza -la sua delicatezza- non appena intravide un occhio blu della sua bambina.
«Hey.»
Aprì la bocca, ma si ritrovò incapace anche solo di dire qualcosa. In un attimo, si sentì calare addosso gli eventi del prima -non sapeva esattamente quanto prima- e pesavano come piombo.
«Papà..» la voce le tremava inverosimilmente, tutto il coraggio che l'aveva fatta tener duro fino a poco prima di perdere i sensi si era consumato. Sentiva quasi la paura riavvolgerla. Il freddo.
«Bambina mia.»
Le si buttò praticamente addosso, stringendosela al petto ancora un po' impacciato, dopo tutti quegli anni non sapeva ancora come gestirla una femmina, anche in quei momenti.
Anche il suo profumo, di papà, non era cambiato, notò con sollievo col viso immerso nel suo maglione. Dopotutto qualcosa rimaneva immobile nello spazio tempo, immutabile e sicuro. Un punto fermo.
«Ho— ho avuto paura e— e tutti i ricordi felici— Kim, Kim era in pericolo— piangeva—» farfugliò sconnessamente mentre tremava con una foglia. Era come se piangesse senza lacrime; se le sentiva dentro, scorrere come lava e marchiarla sotto pelle, ma non riuscivano ad uscire. Era stato troppo anche per piangere, eppure si sentiva così disorientata.
«Shh,» le accarezzava i capelli cullandola proprio quando era piccola e correva da lui dopo essersi fatta male, uno dei ricordi felici che non aveva funzionato, «va tutto bene. Tu stai bene, Kim sta bene. Abbiamo già catturato il dissennatore. Va tutto bene.»
«Tu— James, io—io non volevo—Kim è svenuta—» tremò incontrollabile mentre il padre la cullava, seduto sul bordo del letto e la figlia in un pigiama di flanella dell'infermeria accucciata fra le sue braccia che voleva piangere, ma non aveva sollievo da tirare fuori.
«Shh— l'importante è che tu stia bene, stanno tutti bene.» la voce aveva avuto un leggero tremore, come se volesse dire qualcosa, ma avesse pensato che non fosse il momento.
Passare una vita piena di felicità -con le dovute delusioni adolescenziali certo, ma niente di catastrofico- e poi ritrovarsi davanti ogni paura le aveva fatto capire quanto poco coraggio avesse dentro davvero, non per affrontare la situazione, perchè per quanta paura avesse avuto si era aggrappata al suo pensiero felice, ma era stato il dopo che l'aveva distrutta. Il realizzare cos'era successo, tutto assieme, troppo pesante per una ragazzina di sedici anni. Realizzare che ogni cosa che aveva ricevuto, ed era stato così tanto, non era bastato per renderla felice davvero.
«Beh, si è capito perchè non sono finita in Grifondoro..» commentò col viso immerso nel petto del padre mentre faceva respiri profondi per calmarsi.
«Non dire sciocchezze tesoro, essere coraggiosi non vuol dire non avere paura.» le accarezzò i capelli annodati Harry con dolcezza.
«Lo so, ma io ora ho paura e basta.» tremò ancora.
Harry la scostò un po' da sé in modo da poterla guardare negli occhi; «Sei umana piccola mia e poco più che una bambina, sarebbe strano se non ne avessi.» La guardava intensamente negli occhi e quel mare verde le si avvolgeva attorno in una morbida coperta. «Sei anche stata fin troppo coraggiosa.»
Non disse niente, entrambi i Potter sapevano che non serviva altro oltre al piccolo cenno della testa della rossa. Harry Potter aveva il dono di compensare la sua goffaggine con le parole con gli sguardi, da dietro quegli occhiali malconci riusciva a darti la pace.
Lily si staccò gentilmente dal padre soffermandosi sui letti occupati attorno a cui erano state tirate le tende chiedendosi quali nascondessero l'amica.
«Kim si è già svegliata, l'hai mancata di poco, si è rimessa a dormire mezz'oretta prima che tu ti svegliassi.» rispose alla sua domanda muta il padre. «Non ho mai visto il furetto così pallido, che è tutto dire.» Aggiunse strappandole un mezzo sorriso mentre riportava lo sguardo su di lui. Ancora qualche istante di silenzio mentre la mente della ragazza elaborava una domanda così ovvia che evidentemente era stata soppressa fino a quel momento.
«Cosa ci facevano dei Dissennatori a Hogsmeade?»
Il padre, lo vide chiaramente, esitò un po', come se cercasse il modo più giusto per risponderle.
«Vedi, pur essendo in tempi di pace c'è sempre qualcuno, che, diciamo— non è d'accordo. Ero in paese per quello: un piccolo gruppo di.. puristi del sangue, se vogliamo chiamarli così, hanno fatto un reid nell'isola in cui il Ministero li aveva isolati subito dopo che Voldemort è caduto. Ero lì appunto per indagare, quando--» piccola pausa, ma lei rimase zitta ricambiando lo sguardo del padre, sapeva che stava solo prendendo tempo e non aveva ancora finito. «Volevano colpire me, non ci è ancora ben chiaro come abbiano fatto, ma li abbiamo presi e sono già in custodia e gli Auror li stanno interrogando.»
«Volevano colpire te..» commentò solamente distogliendo di nuovo lo sguardo per non mostrare la preoccupazione che l'aveva presa mentre i suoi neuroni Corvonero erano in piena attività, «ma essendo tu un Auror esperto hanno pensato bene di colpirti al cuore scegliendo obbiettivi più deboli. Come me.»
Il suo ragionamento venne accolto dal silenzio.
«Beh, sì— ma è tutto a posto, li abbiamo presi, non c'è più nulla di cui aver paura.» si affrettò a rassicurarla. Lily prese un respiro profondo e riportò gli occhi blu sul padre.
«Certo che è tutto a posto, ci hai pensato tu.» accennò un sorriso.
«Ci ho pensato io, sì.» si aprì in un piccolo sorriso anche lui. «Ma anche tu sei stata brava, un patronus alla tua età è una bella impresa.»
«Tu lo sapevi fare già a tredici anni e con molti meno ricordi felici di me, pa'.» ribattè passandosi una mano fra i capelli scombinati e finendo intricata nei suoi stessi nodi.
«Erano tempi diversi, ma tu sei stata brava. Da quant'è che sai farlo?» era orgoglioso ed evidentemente sollevato di essere passato da argomenti più pesanti all'elogiare la figlia.
«Beh, da quando l'ho fatto immagino..» rispose ancora un po' disorientata sui tempi.
«L'ho sempre detto che sei la mia piccola Corvonero.» sotto lo sguardo orgoglioso del padre sentì le guance infiammarsi e diventare di un leggero color rosaceo, troppo evidente in contrasto con la pelle candida.
«Vado a dire a tua madre che ti sei svegliata e stai bene.» si alzò posandole una mano fra i capelli e posandole un bacio leggero sulla fronte.
«Va bene, io ne approfitterò per dormire un altro po'.» sorrise a sua volta al padre, con rinnovata tranquillità che le sembrava quasi irreale.
«Tu e la tua amica siete troppo simili, stava quasi per cacciare fuori a calci suo padre dopo un po' perchè non la lasciava dormire.» ridacchiò l'uomo prima di voltarle le spalle e uscire dall'infermeria. Non appena sparì alla sua vista si lasciò cadere sui cuscini, troppo sveglia per voler dormire davvero. Trovò la sua bacchetta sul comodino accanto al letto, accanto a un moccino di candela ormai prossimo all'estinzione e con un gesto leggero della mano chiuse le tende intorno a sé, rimanendo con gli occhi sbarrati a fissare il candore attorno a lei e il soffitto in pietra.
Ormai era irrimediabilmente sveglia, concluse dopo quella che le sembrò un infinità di tempo, così, per istinto si alzò e con delicatezza scostò le tende ritrovandosi nel buio quasi più totale con la bacchetta stretta in mano. Represse un brivido per il contatto dei piedi nudi sulla pietra del pavimento e sussurrò un lumos. Dopo aver lanciato occhiate furtive all'interno dei primi due letti occupati e trovandovi rispettivamente un primino minuscolo e una ragazza piuttosto corpulenta raggiunse l'ultimo occupato scostando le tende sicura. Lì dormiva profondamente la sua migliore amica in una posizione dall'angolatura innaturale, con la bocca semiaperta e i capelli scompigliati sul cuscino. Lo diceva sempre lei, che il contegno dei Malfoy era solo una montatura e che quando dormiva diventava la vera sé stessa. Con passo felpato la raggiunse, spense la bacchetta e la posò sul comodino accanto a quella della Serpeverde, dopodichè scostò le coperte e si fece spazio a forza nel letto.
La sentì mugugnare un bel po', improperi o forse semplicemente grugniti finchè senza nemmeno aprire gli occhi fece un mezzo sospiro che somigliava molto a un “che vuoi rompipluffe?
«Kim.. non voglio dormire da sola.»
«Mhm, sempre a rubarmi il mio spazio vitale.» fu l'unico commento che riuscì ad ottenere mentre le faceva spazio senza nemmeno degnarsi di aprire gli occhi. Al sicuro, sentendo il calore amico al suo fianco scoprì ben presto che la paura l'aveva sfiancata. Così, mentre si addormentava anche lei, soffiò “Grazie” a Kimberly, anche se non era sicura l'avrebbe recepito.

James si muoveva avanti e indietro come sollecitato da migliaia di Doxy inferociti -quella immagine mentale avrebbe sollecitato se non in sua sorella almeno in suo fratello la memoria di un girone dell'inferno della Divina Commedia, opera di un babbano, e l'immagine si applicava a pennello al suo stato d'animo. Più semplicemente suo zio Ron avrebbe detto che continuando a camminare avanti e indietro avrebbe presto consumato il tappeto chiaro di Dominique.
Quando un gufo quasi si schiantò contro la finestra sobbalzò e si precipitò ad aprire prima che il volatile ritentasse incosciamente il suicidio; il gufo -che riconobbe come uno di quelli della scuola- entrò scuotendo le ali un po' altezzoso, portandosi dietro gli odori e rumori in lontananza della città, assieme al profumo che c'era poco prima che piovesse. Ovvero quasi sempre.
In effetti le ali del pennuto erano già umide, segno che le prime goccie avevano iniziato a cadere, oppure era solo nebbia, in ogni caso in quel momento non se ne preoccupava, dato che aveva riconosciuto la scrittura sulla lettera ancora del tutto integra. Tipico di Al, che sebbene fosse il mezzano si comportava come il perfetto fratello maggiore, sempre attento e previdente e gettava sempre un semplice incantesimo impermealizzante per evitare che i viaggi via aerea in Gran Bretagna -in cui era ovvio aspettarsi che piovesse sei giorni e mezzo su sette- potessero distruggere le sue missive. Probabilmente gettava quell'incantesimo anche solo quando mandava un bigliettino da una parte all'altra del castello. James era già tanto se si ricordava di spedirle, le lettere.
Si voltò per dire a Dominique qualcosa, non sapeva nemmeno cosa, e si accorse di essere solo in casa. Sì, era decisamente il più distratto dei fratelli Potter.
Aprì freneticamente la busta, quasi stracciandola e leggendo avidamente. La lettera era, a differenza del solito, un po' trascurata, scritta un po' storta e con qualche sbavatura qua e là dove immaginava il fratello colto dalla stanchezza aveva accidentalmente trascinato la mano. Ed era breve, ulteriore segno della stanchezza del fratello, o forse anche-- del disgusto verso il maggiore? Quel pensiero gli raffreddò il sangue nelle vene.
Era abituato alla disapprovazione del fratellino minore per almeno la metà delle cose che faceva -spesso guai in cui anche Lily era parte attiva,- ma quella volta, pensò con amarezza, era diverso. Lily aveva rischiato qualcosa di più di qualche sbucciatura o una punizione a lucidare i Trofei, qualcosa di più prezioso della vita ed era tutta colpa sua. Era inutile che l'accusassero -naturalmente suo padre non aveva perso l'occasione ugualmente prima di correre via intimandogli di tornarsene a casa e che ne avrebbero “parlato dopo”- si sentiva già abbastanza in colpa da solo. Sentì l'aria fuoriuscire di colpo -rendendosi conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento- quando lesse che Lily era illesa nell'infermeria che dormiva beata e che i Dissennatori erano stati catturati e rimandati nell'isola in cui erano stati confinati alla fine della Seconda Guerra Magica.
C'erano parecchie cancellature, parole riscritte anche tre, quattro volte, ma non traspariva nulla né del risentimento che Albus avrebbe potuto provare né del suo sostegno. In sostanza era quasi una fredda rassicurazione, fatta forse un po' perchè suo fratello era troppo buono o perchè si sentiva in dovere dopo aver visto la sua faccia prima di seguire il padre verso Lily, dove lui non poteva andare. A dire il vero aveva anche aggiunto che il padre gli aveva riferito che se voleva poteva andare a visitarla, era davvero troppo buono per vietare al fratello di vedere la sorella, ma se stava meglio avrebbe capito anche se ci fosse andato. Al momento non aveva la forza di affrontare gli sguardi di rimprovero e disprezzo della sua famiglia.
Il gufo era già ripartito, -probabilmente si era reso conto che non avrebbe ricevuto nessuna ricompensa- quindi richiuse la finestra distrattamente lasciandosi cadere sulla poltroncina imbottita del salottino/cucina di Dominique mentre la lettera le scivolava dalla mano lasciata molle a pendere dal bracciolo e la testa reclinata all'indietro sulla testiera.
Era stato orribile, quando Avery, un collega del padre che aveva incontrato a qualche grigliata alla Tana per dei piccoli raduni di Auror, era corso verso di loro bianco come un cencio dicendo che c'erano dei Dissennatori che giravano intorno a Lily e ad una ragazzina bionda, che identificò senza alcun dubbio come Kimberly -erano corse via assieme- e solo un piccolo strano patronus si frapponeva fra le creature e le ragazzine svenute. Ne aveva detto anche la forma, del patronus, ma nel caos non la ricordava, ricordava solo di aver pensato che era tipico della sorella, come in un lapsus subito soffocato dal terrore. Ovviamente Harry era corso subito verso la sua bambina, intimandogli prima di non seguirlo -evidentemente James non era l'unico Potter a incolpare lui dell'accaduto- e Albus gli aveva lanciato uno sguardo prima che il padre lo chiamasse. Ricordava che Al aveva mormorato qualcosa come “Scorpius” e “devo avvertirlo” a sé stesso mentre gli voltava le spalle e seguiva il padre di gran carriera, mentre lui e Dominique si tenevano quasi in piedi a vicenda.

Ma è mia sorella..” ma nessuno l'aveva sentito, ormai tutti lontani.
Avevano ragione, era tutta colpa sua, lei era lì per colpa sua e dei suoi stupidi guai. Si faceva sempre male da piccola, perchè lo seguiva ovunque, lo imitava molto più di Albus data la sua natura irrequieta, con quel legame così speciale. All'inizio detestava quella pulce che lo intralciava ovunque, lamentandosi con loro madre, poi, lo ricordava come se fosse stato solo poche ore prima, una gnoma da giardino con due sbarazzini codini rossi gli aveva proposto di rubare la scopa di loro padre dal casotto, con gli occhi blu che scintillavano. Era stata la prima volta che aveva volato davvero, lei aveva tre anni e lui cinque e il risultato era stato ovviamente disastroso. Dopo qualche metro di urla e libertà, troppo piccoli per governarla, la scopa si era schiantata nella siepe dei vicini. Quello che l'aveva consacrata come sua compagna di scherzi e giochi, però, non era stata la proposta iniziale, -quell'idea l'aveva avuta mille volte anche lui, solo che lei era riuscita a rubare la chiave del casotto con più agilità- ma la reazione che aveva avuto, con tutt'e due le ginocchia sbucciate che spuntavano dai buchi dei jeans rotti, la maglia macchiata di verde e foglie fra i capelli. Si era messa a ridere, felice come non aveva mai visto nessuno e lui, come fratello grande aveva ricacciato indietro le lacrime nonostante il polso slogato. Perchè voleva essere forte come lei. Questo non glielo aveva mai detto.
Naturalmente quando i genitori li avevano trovati a ridersela nella siepe, incastrati con la scopa miracolosamente ancora intera li avevano sgridati tanto che il ricordo sarebbe rimasto vivido per l'eternità. In quell'occasione piena di nuove scoperte aveva anche capito che Lily faceva da deterrente per le punizioni severe, con quel suo faccino angelico e il sorriso sincero.
Probabilmente era per quello che anche da adulto cercava la sua collaborazione, forse la usava ancora incosciamente come scudo, quando avrebbe dovuto proteggerla.
Sentì il frusciò delle buste di carta e la porta chiudersi strapparlo dai ricordi con violenza. Ah, ecco dov'era andata Dom, a fare la spesa. Forse glielo aveva anche accennato, ma non era certo, non era più certo di nulla.

«Potter, mi spieghi perchè nel letto dell'infermeria in cui ci dovrebbe essere mia figlia c'è anche tua figlia?» la soave voce di Draco Malfoy era l'ultima sveglia che Lily avrebbe mai voluto.
«Ringrazi che non c'è mio fratello,» borbottò ancora mezza intontita mentre si strofinava gli occhi, ricevendo una violenta gomitata nelle costole. «Ahi! Che ho dett—? Oh.» Spalancò gli occhi chiedendosi quanto potesse essere stupida da uno a dieci. Di sicuro Kimberly pensava che superasse direttamente l'infinito. «Ahem, buongiorno Mr. Malfoy.» cercò di fare il suo sorriso più convincente.
Non era colpa sua se la disturbavano mentre era ancora mezza addormentata.
«Buongiorno Lily, ti prego di continuare quello che stavi dicendo su tuo fratello. Specificando di qualche dei due si tratta, magari.»
«Non ascoltarla papino, evidentemente i Dissennatori non sono riusciti ad asportarle l'anima, ma il cervello sì.»
Due Malfoy, la mattina. Appena sveglia. Che disquisivano sulla presenza del suo cervello. Quello doveva essere un incubo.
«Sei simpatica come un bolide nel—» si bloccò in tempo ricordando la presenza degli adulti attorno a lei. «—la traiettoria di volo.» concluse candidamente guadagnandosi sguardi scettici.
«Buongiorno piccola, come ti senti stamattina?» la salutò il padre evitando di fare commenti, finchè c'era di mezzo uno dei maschi e non la sua bambina poteva anche andare bene. Più o meno.
«Splendidamente papà, direi che posso anche andarmene, vedo più l'Infermeria che il mio dormitorio ultimamente.»
«Questa non è una novità per i Potter.» sogghignò Draco Malfoy con la figlia che gli faceva eco, in un modo davvero inquietante considerando che era seduta nel letto accanto a lei.
«Oh stia tranquillo, Kimbry sta battendo il mio record quest'anno.» sorrise tranquilla la rossa, riflettendo come il padre somigliasse al maggiore dei figli.
«Ho parlato con Madama Chips –che, fra parentesi, non era per niente contenta di questa tua incursione nei letti altrui- e ha detto che dopo un ultimo controllo siete entrambe libere di tornare a distruggere la scuola.» nascose un mezzo sorriso alla risposta della figlia.
«Io non distruggo niente, sono le cose che sono fragili.» storse il naso la rossa passandosi una mano nella matassa disordinata che aveva in testa.
«Lils, la scuola è fatta di pietra.» non tardò a puntualizzare la vocina della sua coscienza proprio accanto a lei. Una coscienza troppo bionda e ghignante per i suoi gusti.
«Pietra molto vecchia.» sbuffò alzando gli occhi al cielo.
Dopo poco le raggiunse Madama Chips, che le controllò accuratamente una per una mentre i loro padri si punzecchiavano manco fossero tornati ad avere undici anni. Grate all'infermiera scattarono in piedi non appena disse che potevano uscire a patto che non si agitassero troppo, mentre loro volevano solo fuggire di gran carriera dallo spettacolo raccapricciante dei due ultraquarantenni a un metro dal loro letto. Lily andò a quello che avrebbe dovuto essere il suo, trovando la divisa pulita lasciatele dagli elfi. Legò i capelli decisamente irrecuperabili per il momento e raggiunse l'amica che evidentemente la pensava come lei sul fatto di filaserla, magari davanti a un bel camino in una Sala Comune verde-argento..
«Ti devo accompagnare alla Torre?» le domandò gentilmente il padre facendola sobbalzare, impaurita che le avesse letto nel pensiero.
«No, no pa', grazie.. io e Kim adesso facciamo un giro.» svicolò dalle raccomandazioni di suo padre e quando finalmente riuscirono a liberarsi dei due uomini le spalle di entrambe le ragazze si rilassarono.
«Ma sei rincitrullita? Dire quella cosa davanti a mio padre!» esclamò mollandole una sberla sulla spalla Kimberly non appena furono lontani. Evidentemente l'aveva covata per fargliela pagare con calma, la vipera. Tipico atteggiamento da Slytherin.
«Oh andiamo, non l'ho fatto apposta e almeno ha impedito a mio padre di fermarsi per parlare dell'argomento James-Dominique.» alzò le mani in segno di discolpa.
«Odio tuo fratello.» borbottò la bionda rossa in viso.
«Mi premurerò di farlo sapere ad Al al più presto.» fece un sorriso birichino facendo spuntare una smorfia assurda sul viso diafano dell'amica che in breve tempo era diventato bordeaux.
Sembrava non fosse successo nulla, come sparito, assorbito dalla normalità, dalle piccole cose, eppure entrambe sapevano che sepolte dentro avevano stampate a chiare lettere le loro paure più grandi. Ciò che poteva potenzialmente distruggerle.
Non ne parlarono, nessuna delle due voleva. Entrambe speravano solo di essere riassorbite dalla routine, dal calore degli amici e dai dettagli che facevano ogni giornata diversa dall'altra, lì a Hogwarts. Senza contare, ricordò Lily con orrore, che di lì a poco ci sarebbero stati i G.U.F.O. e lei non aveva letteralmente aperto libro.

«Potter, chi non muore si rivede.»
La voce, alle sue spalle le fece venire i brividi lungo la spina dorsale. Non era preparata a incontrarlo, non dopo quello che era successo, soprattutto non se quel che aveva creduto un sogno era stato davvero reale perchè avrebbe voluto dire farneticare un po' troppo. Sembrava quasi che aspettasse i momenti in cui era più debole, ubriaca o non troppo presente per farle dire cose imbarazzanti, quel maledetto biondo.
«A quanto pare se mi tocca rivederti la mia ora giungerà un po' troppo tardi.» rispose senza voltarsi, con fare tetro. Era tutto sbagliato, non avrebbe dovuto fare così. In fondo, se lui era il suo pensiero felice doveva pur contare qualcosa. Invece no, semplicemente non riusciva a trattenersi dal palesare quanto in realtà le desse fastidio la sua presenza. Perchè le dava fastidio, vero? Si riavviò i capelli dietro le spalle con un gesto brusco, continuando a guardare davanti a sé. Era seduta a gambe a penzoloni sugli spalti del campo da Quidditch, la scopa appoggiata accanto a lei. Non sapeva bene come mai si era rifugiata lì, in cerca di pace e del vento sulla faccia, si era solo messa dei leggins e una felpa al posto della divisa ed era scesa in campo. Peccato che da quando era arrivata era rimasta a fissare il cielo pensosa, da là in cima, senza nemmeno pensare di montare sulla scopa.
«Come siamo tetri oggi, cos'è i Dissennatori ti hanno succhiato via il senso dell'umorismo?» sentì i suoi passi rimbombare sugli spalti di legno vuoti, mentre le si avvicinava fino ad arrivare accanto a lei. «Non che ne avessi molto prima, quindi non è poi questa gran perdita.»
Si era lasciato cadere seduto mollemente vicino a lei, con noncuranza nonostante la ragazza si ostinasse a tenere lo sguardo fisso davanti a sé. Peccato che sentiva quei due pozzi grigi traforarle il craneo da parte a parte.
«Non hai mai pensato che potesse essere il tuo -di senso dell'umorismo- ad essere completamente assente?» arricciò il naso infastidita. Non che lui le rendesse facile il compito di non attacar briga per un nonnulla.
«Impossibile, io sono Scorpius Malfoy.» sentì, più che vederlo -come aveva sentito il tono serafico mentre pronunciava quelle parole- il ghignetto che gli si disegnava sulle labbra.
«Mi duole essere io a dirtelo, ma è esattamente questo il probl--» la risposta acida le si bloccò in gola, quando sentì la mano di lui che le prendeva i capelli, facendola sobbalzare e girare di scatto. Con gli enormi occhi blu spalancati sentì il fiato fermarsi, gonfiandole il petto. Doveva sembrare davvero ridicola.
«Perchè per una volta non ti rilassi Lily?»
Era lì, che giocherellava con una ciocca dei suoi capelli vermigli che rilucevano di mille riflessi sotto il sole tiepido di Maggio e la guardava serafico. Dal canto suo, riusciva a malapena a capire cosa stesse succedendo per poter rispondere o minimamente pensare di rilassarsi.
C'era una leggera brezza, che rendeva ancora il clima mite e scompigliava leggero i capelli biondissimi del ragazzo davanti a lei. Brillavano, pensò scioccamente guardandolo con attenzione. Al sole, notò, gli occhi grigi diventavano talmente chiari da sembrare quasi azzurrini, come un laghetto ghiacciato. Ed erano belli.
Lui, era bello.
Merlino, il cervello le stava andando in corto circuito per pensarlo, ma era dannatamente bello. E l'avrebbe portata alla pazzia.
Si sporse di scatto, bloccandolo contro il muro degli spalti dietro di loro e lo baciò. Razionalmente stava studiando il modo più lungo e doloroso per uccidersi per quello che stava facendo e l'altra parte di lei, beh.. stava affondando le mani nei suoi capelli morbidi e sottili per sentirselo più vicino, del tutto dimentica di avere ancora un cervello più o meno funzionante. All'inizio lo sentì irrigidirsi sotto le sue mani -una dietro la nuca e una poggiata leggermente alla sua spalla per tenersi in equilibrio- i muscoli gli si tesero come un animale pronto alla fuga, ma fu solo il primo attimo di incredulità, perchè un secondo dopo sentì le sue labbra muoversi contro le proprie e le mani di lui che andavano ad avvolgersi attorno alla sua vita spingedosela contro al petto.
Non capiva, non capiva davvero perchè l'aveva fatto, ma era stato come un lampo, nella sua testa, una scintilla aveva fatto balenare l'idea che voleva baciarlo e ancora prima di rendersene conto lo stava facendo. E sembrava così naturale, così giusto, che le mani di lui le scorressero sulla schiena, nei capelli, sotto la felpa dove aveva ancora la camicetta leggera della divisa estiva. Le sembrava così giusto, sentirsi invadere le narici del suo profumo, completamente inebriata dal suo profumo sotto quello di shampoo alla menta e tabacco. Una piccola parte del suo cervello completamente scollegato recepì che lui aveva solo la camicia, con le maniche arrotolate mentre gli passava la mano sulle spalle, sul petto, sulle braccia, come se ogni parte di lui fosse indispensabile, come se ne avesse bisogno. Reincontrare il suo sapore, il suo calore, le faceva girare la testa, mentre lo sentiva che la attirava a sé portandosela sopra e lei docilmente seguiva la guida delle sue mani sui fianchi, perchè lo voleva anche lei, quel contatto in più. Non le bastava, non le bastava, non le bastava.
Si staccò quando si ritrovò in assenza di ossigeno, ricordandosi di respirare, col fiatone, come se avesse finito una fase intensiva di allenamenti. Si sentiva avvolta in uno strano torpore, le mani di lui -una sotto la felpa dietro la sua schiena che la schiacciava contro il suo torace e l'atra fra i capelli aggrovigliati- non le davano fastidio, le sembrava, anzi, che spandessero a raggiera un calore piacevole per tutto il corpo. Teneva ancora le mani nei capelli fini di lui e si guardavano. Era seduta su di lui, ma a quello ci avrebbe pensato dopo. A gambe aperte. Sì, decisamente meglio pensarci dopo.
Notò con piacere di non essere l'unica ad avere il fiato corto e le guance calde, che sulla pelle così chiara di Scorpius erano subito evidenti, piccoli fiori rosa sbocciati sul candore. Era bello, così dannatamente bello. E in quel momento le bastavano solo quegli occhi grigi, lucidi, che la fissavano di rimando per farla stare bene, anche se lo sapeva che se ne sarebbe pentita presto.
C'era qualcosa di profondamente sbagliato nel fatto che lei trovasse quella situazione così giusta.
Perchè se anche lei aveva cambiato modo di vederlo questo non implicava che lo avesse fatto anche lui, si ripetè per arginare preventimanente ogni danno.
Il sorriso di Scorpius era il suo pensiero felice.
Quel ricordo, così vivido, la fece rabbrividire. Non poteva più mentire a sé stessa, non dopo quello che era successo con i Dissennatori, non poteva più dirsi che lo odiava e basta, perchè era stato così naturale pensare a lui in quel momento, come unico appiglio, un punto fermo a cui aggrapparsi.
«È così che di solito di rilassi?» prese finalmente parola lui, «sarà meglio non dirlo ad Albus o gli verrebbe un colpo apoplettico.»
Ci mise un po' a capire da dove se ne fosse uscito fuori con quella affermazione, per poi ricordare di corsa stavano parlando prima che lei gli saltasse addosso come una ninfomane. Non che lui avesse disprezzato la cosa, eh.
«Tirare fuori mio fratello in questo momento non è decisamente una delle tue trovate più brillanti.» sbuffò infastidita, senza però muoversi di un millimetro. Che volesse prenderla in giro per quello che aveva appena fatto non l'aveva preventivato, non davvero e non sapeva se sarebbe riuscita a gestirlo. Quei sentimenti, appena sbocciati -o forse era meglio dire, appena scoperti, perchè erano lì da molto, forse troppo tempo- erano troppo fragili e non avrebbero retto nessun colpo. Lei sarebbe potuta crollare. Ed improvvisamente, si sentì immensamente fragile.
«Hai ragione.» estremamente serio mentre faceva scivolare la sua mano dai capelli di alla sua guancia piena di lentiggini.
Ma non si mosse, nonostante avesse paura, così tanta da farle battere il cuore all'impazzata, combattè con lo spirito di sopravvivenza che le gridava a gran voce di fuggire, di tenersi il cuore stretto e scappare prima che potesse essere spezzato. Prima di donarlo irreparabilmente.
Da quando pensava a lui in quei termini? Da quando era diventato il suo pensiero felice, insinuandosi in una parte di lei che non sapeva nemmeno di possedere, occupando tutto lo spazio disponibile? Da quando?
Continuava a farsi le domande sbagliate, loro erano una serie di domande sbagliate. Perchè lui c'era sempre stato, il suo personale antagonista, il migliore amico di suo fratello, il fratello della sua migliore amica, il conoscente. Il nemico che aveva sempre preferito tenersi stretta, piuttosto che evitare. Lui c'era sempre stato e non riusciva a capire, a capire quale fosse la domanda giusta da porsi per risolvere quel guazzabuglio. Non era come -litigando e prendendosi in giro- né quando -da sempre- né dove -dentro di lei, sotto pelle- e neanche perchè, semplicemente perchè non c'era un perchè, era così e basta.
«Tu hai un pensiero felice?» la domanda le scivolò fuori dalle labbra prima ancora di riuscire a frenarla, liscia come seta era decisamente la domanda sbagliata, quella che l'avrebbe portata ad un passo dallo scoprirsi troppo, ad un punto di non ritorno.
«Un pensiero felice?» inarcò un sopracciglio chiaro, rimanendo però per il resto impassibile.
«Sì, sai— qualcosa che ti faccia sentire a posto, a casa.» non sapeva nemmeno lei cosa stesse dicendo, dove volesse andare a parare. Un brivido le corse lungo la schiena, quando, per un istante soltanto, così velocemente da farle pensare di averlo sognato, il braccio di Scorpius la strinse un po' più a sé. Come un sussulto.
Ci pensò un po', senza distogliere lo sguardo dal suo, sembrava aver preso la domanda così seriamente che lei si chiese che significato nascosto ci avesse trovato dentro. Se ci era arrivato, a capire quale fosse il pensiero felice che l'aveva fatta tremare.
«Sì.» quella volta non se lo sognò, il leggero tremito della mano da pianista di lui contro la propria guancia. Con quel tono serio e quella espressione indecifrabile sembrava quasi avesse detto qualcosa di troppo, forse si era persa qualcosa..
«Anch'io.» rispose così, giusto per non lasciar cadere il discorso in un punto che sembrava agitarlo, posandogli leggera entrambe le mani coi palmi aperti sul viso.
In silenzio, si guardavano, cercando ognuno di raggiungere l'altro senza riuscirci davvero. Schiacciati l'uno contro l'altra lo sentiva distante chilometri.
«In infermeria deliravi su una cosa, sai..»
Oh..Oh—OH! No, non poteva essere, lei aveva sognato, non poteva essere successo davvero. Un conto era baciarlo, un conto era poter ancora far finta che fosse meramente un istinto fisico, un altro era farneticare sul suo sorriso. Lei non poteva averlo fatto, no davvero.
Fece uno scatto, almeno ci provò, intenzionata a fuggire verso la propria scopa e addurre qualche scusa sullo studio o il sonno o un'invasione di folletti da sgominare, tutto pur di allontanarsi di lui, ma fece solo un piccolo salto, quasi un rimbalzo finendo malamente contro il petto di lui. Lo guardò confusa prima di rendersi conto di quanto velocemente le sue mani fossero passate dal suo viso ai suoi fianchi sottili, trattenendola.
Merda.
«Non dovreste essere voi Potter, quelli coraggiosi?» si sentì avvampare sotto lo sguardo di lui, che come al solito non riusciva a decifrare. Anche la voce sembrava talmente piatta da farle temere che tutta l'emozioni che l'aveva venata poco prima fosse stata semplicemente un'illusione.
«Perchè?» cercò di dissumulare il tremolio nella voce, ma aveva il respiro quasi mozzato. E sì, aveva paura.
«Perchè stavi scappando, lo fai ogni volta.» sentì le dita lunghe e sottili che le affondavano nei fianchi, unico indizio della rabbia che sembrava crescere in lui, perchè il resto rimaneva terribilmente piatto, immobile.
«Io non stavo scappando, solo che ho da fare.» era una pessima bugiarda, pessima. Soprattutto con gli occhi grigi di lui che sembravano trapassarle il cranio.
«E menti, tanto spesso che ho perso il conto.» continuò lui, con la presa su lei che si faceva sempre più salda.
«Non è vero,» come sei intelligente Lily, soprattutto di darei E per gli ottimi argomenti in tua difesa. La voce sarcastica della sua coscienza le risuonò nel cervello con la voce di Kim.
«Perchè deve essere tutto così difficile con te?» la domanda giunse inaspettata, il tono del ragazzo si era addolcito mentre distoglieva lo sguardo da lei e lasciava ricadere entrambe le mani ai suoi fianchi, improvvisamente stanco. La colse talmente di sorpresa che rimase lì, seduta a cavalcioni su di lui del tutto dimentica della sua fuga.
«Cosa? Ma fai sul serio? Tu?» fece una smorfia, cominciando ad irritarsi per quella sua-- non sapeva nemmeno come definirlo quel sentimento che sembrava trasparire appena sul viso diafano davanti a lei, fra le crepe di una maschera di cui nemmeno sapeva l'esistenza. «Tu dici a me che complico le cose? Ti sei mai fatto un esame di coscienza negli ultimi diciasette anni?»
«Sì,» riportò lo sguardo su di lei e la prima cosa che le venne in mente e che forse non avrebbe potuto reggerlo tanto a lungo. «tu—tu—tu sei un demonio, per Salazar! Complichi tutto, sei testarda, urli ovunque, non stai mai attenta a dove metti i piedi, menti, scappi, scappi in continuazione e ridi troppo.» Sembrava agitato, mentre due leggere chiazze rosse gli spuntavano sugli zigomi spigolosi.
«Rido troppo?» lo guardò basita.
«Hai recepito solo questo di tutto il discorso? Ti sto dicendo che mi hai complicato la vita da quando hai messo piede nella mia vita e tu capisci solo questo? Allora lasciami aggiungere ottusa, alla lista.» sembrava completamente un'altra persona, era infervorato, gesticolava e il tono non era amaro come al solito, era di un tipo diverso. Come se fosse mischiata a troppi sentimenti per essere decifrati. «Merlino e tu dovresti essere una Corvonero!»
Rimaneva zitta, ad osservarlo, profondamente indispettita da tutto quello che diceva e allo stesso tempo incapace di staccargli gli occhi di dosso o di rispondere a tono.
«Stupido Serpeverde, tu sei un egocentrico, viziato, egomaniaco stupido idiota che pensa che il sole si sia messo a brillare solo perchè era nato e poi sarei io quella che crea problemi? Vuoi che ti elenchi quello che mi è successo nell'ultimo anno per colpa tua? Hai fatto uno scherzo a mia cugina che mi ha portata a non parlare più con Amy, mi hai baciata quando stavo con Lorcan, facendo sì che lui mi odiasse e poi l'hai rifatto ancora solo Merlino sa perchè, mi hai confusa, persa in giro, insultata e us--» si fermò, con il respiro spezzato prima di completare la parola. Usata. Perchè le era venuta in mentre proprio quella parola? Perchè un momento prima si trovava a riflettere su quello che provava per lui, lo baciava e ora, ancora a cavalcioni su di lui si stavano insultando facendola sentire usata? «Me ne vado, così non invado più i tuoi spazi vitali.» Si alzò di scatto prima che le mancasse il coraggio, il fiato, l'energia.. perchè ad ogni battito del cuore sentiva la paura soffocarla.
«Brava, scappa, è quello che sai fare meglio.» il tono acido la colpì, sommandosi alle migliaia di crepe dell'atteggiamento forte e strafottente che aveva eretto attorno a sé per nascondere una ragazzina inn—no, quello no, quello mai. Non lo era, non di lui, non—mai.
«Credi quello che vuoi.» Afferrò la scopa con rabbia e ci saltò su, senza guardarlo, perchè se le avesse visto l'espressione che aveva in volto lui avrebbe capito quanto male le facesse. Un colpo di tacco e si librò in aria, puntando alla Torre dei Corvonero, cercando solo un angolo buio dove nascondersi finchè il suo cuore non avrebbe ripreso a battere normalmente e reimparato a respirare non come una che avvea appena rischiato di annegare. Da quando? Da quando Scorpius Malfoy contava così tanto? Perchè aveva il potere di farle questo? Perchè? Perchè lui e non qualcuno che si sarebbe preso cura di lei, che problemi aveva il suo cervello per considerarlo una persona degna di amore?

Se ne stava zitto, tetro, fissava il fuoco davanti a sé come se fosse un criminale della peggior specie, in grembo un giornale che non faceva nemmeno il tentativo di fingere di leggere e le braccia abbandonate sui braccioli della poltrona con le mani che gli formicolavano ancora di lei. Con rabbia si alzò di scatto, il giornale cadde con un tonfo leggero sul tappeto mentre gli voltava le spalle del tutto dimentico e si dirigeva a grandi passi verso il dormitorio. Quasi non notò gli sguardi di qualche spaventato primino e quello accigliato di Zabini e Amy che sedevano ad un tavolino a studiare assieme. Da quando si ved—? Ah, che si fottessero tutti quegli stronzi. Salì ogni gradino sbattendo i piedi e si sbattè con altrettanta violenza la porta dietro di sé.
«È di cattivo umore, di nuovo.» constatò Amy portandosi una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio mentre fissava la porta stupendosi di non vedere attorno agli stipiti delle crepe nella pietra.
«E da quando questa sarebbe una novità?» sospirò il moro di fronte a lei.
«Da quando non si tratta di crisi premestruale, ma c'entra una certa rossa.» constatò abbandonandosi allo schienale della sedia.
Zabini aprì la bocca come se volesse dire qualcosa, ma la richiuse in fretta. «Meglio che non dica quello che stavo per dire, sarebbe stata davvero una battuta infelice.»
«Su cosa?» lo guardò accigliata.
«Sul rosso.»
Lo guardò qualche istante prima che un barlume di comprensione non le apparve sul volto truccato leggermente. «Ah, sei disgustoso, lasciatelo dire.»
«Lo so, per quello non l'ho detto,» si difese. «comunque che facciamo? Gli andiamo a parlare sperando che non ci cruci sul momento?
«Di sicuro con te lo farebbe solo sentendo il rumore dei tuoi passi,» sbuffò chiudendo il libro di fronte a sé. «vado io.»
«Non ti credevo così propensa al suicidio, Lily deve mancarti proprio.» le fece un sorrisetto Ares mentre la sedia di lei sfregava all'indietro sul pavimento. Non ci avrebbe potuto giurare, ma quando gli passò accanto oltre al famigliare profumo lo raggiunse anche il debole mormorio della ragazza, che sembrava tanto a “non ti immagini quanto.”
«Scorp? Scorpius?» la porta del dormitorio era chiusa a chiave e la sua bacchetta l'aveva lasciata sul tavolino dove stava studiando con Zabini. Quindi addio Alohomora o Reducto. «Hyperion del cazzo, aprimi e smettila di fare la prima donna!» sbottò spazientita continuando a bussare violentemente. Nessuna risposta.
Poi la porta si aprì, con un leggero scatto e un cigolio sinistro che non fece che aumentare la sua impressione di buttarsi a capofitto nella tana del drago. Spinse con la punta delle dita la porta notando che l'unico occupante della stanza era steso sul letto, con il braccio ancora teso e la bacchetta in mano puntata verso di lei. Fissava il soffitto del suo baldacchino con lo stesso astio con lo faceva qualche minuto prima col fuoco. Forse aveva bisogno solo di un cambio di paesaggio, insomma, incenerire qualcosa con gli occhi per molto tempo alla lunga doveva diventare noioso. Fece un passo avanti, chiudendosi la porta alle spalle.
«Senti--»
«Quante volte ti ho detto che non devi chiamarmi Hyperion? È come se ti chiamassi Mildred, dimmi, ti piacerebbe?» il tono aggressivo presagiva un bel lavoro prima di estorcergli qualunque informazione che non somigliasse ad un insulto malcelato.
«Ma io non mi chiamo Mildred, Hyperion invece è il tuo nome.» ribattè, avendo imparato in tutti quegli anni che ci voleva la giusta dose di accondiscendenza e contrattacco per poter superare la sua fase di odio verso il mondo e arrivare al nocciolo del problema.
«Era solo un'ipotesi.» borbottò tagliente. «Che vuoi? Ti avverto, se sei qua per farci le trecce a vicenda e raccontarci la nostra vita amorosa non sono dell'umore giusto.»
«Per carità, non sapresti nemmeno dove iniziarla una treccia e poi quello che ha una vita amorosa che va raccontata fra i due non sono certo io.» finse di inorridire mentre gli si avvicinava lasciandosi cadere sul letto di Albus accanto a quello dell'amico.
«Spiacente, non sono interessato alla divulgazione del mio diario segreto.»
«Intendi quello rosa con sopra gli unicorni? Quello l'ho già letto.» lo fissava con determinazione, mentre lui si ostinava a mantenere i propri occhi sul soffitto.
«Emily, non sono dell'umore, perchè non ripassi tipo..» finse di pensarci. «Ah, ecco: mai.»
«Appunto, tu non sei mai dell'umore giusto. Smettila di fare il melorammatico e dimmi che ha fatto Lily questa volta.»
«Lily non ha fatto ass—» parve rendersi conto a metà della frase automatica che gli stava uscendo dalle labbra quale fosse l'argomento del discorso, voltandosi di scatto verso l'amica a cavallo fra l'incredulo e l'inquieto. «E lei che c'entra adesso?»
«Andiamo, non crederai che non si sia capito che la causa dei tuoi sbalzi d'umore più frequenti del solito è lei. Davvero, sei tipo un libro aperto.» sorrise sorniona godendo intimamente per la sua espressione stralunata.
«E chi l'avrebbe capito?»
«Io, Zab, gli Scamander.. e sono sicura che la lista si allunghi a dismisura ogni ora. Solo Al e tua sorella sono così ciechi da non vederlo, forse perchè sono persi nel loro mondo fatato fatto di occhi a cuoricino e arcobaleni.» finse di rabbrividire.
«Non è che tu abbia citato fonti così attendibili, ora mi dirai che Merlino in realtà era un babbano particolarmente bravo nei giochi di prestigio immagino.» il tono tagliente tradiva l'ansia che si era impossessata di lui, il timore di essere scoperto. Lo conosceva così bene che non avrebbe potuto ingannarla nemmeno fra cent'anni.
«Non fare il coglione Malfoy, mi fai incazzare quando neghi l'evidenza solo per rimanere nel tuo stato di grazia in cui sei incazzato col mondo perchè non gira nel senso che vuoi tu.» incrociò le braccia al petto ricambiando lo sguardo truce con uno, se possibile, ancora più truce. «Non hai motivo di essere incazzato per Salazar, lei ancora ti parla! Ti rendi conto che ha chiuso un'amicizia con me per una cazzata e invece con tutto quello che le hai fatto ancora ti parla?»
«Si diverte ad attacar briga e io non posso resistere nel darle fastidio, tutto qui. Mi parla per darmi fastidio, non si aspetta nulla da me.» il tono che usò le sembrò quasi desolato, vuoto. Il rancore diventato solo un'ombra, come se si stesse sgonfiando di colpo.
«Dai tanto del tonto ad Albus e poi tu sei ancora peggio.» fu l'unica risposta inacidita della bionda, che non lo perse d'occhio mentre si alzava e cominciava a camminare per la stanza.
«E questo cosa vorrebbe dire?» domandò nervosamente passandosi una mano fra i capelli. Distrattamente Amy si chiese quando Al gli avesse passato quel vizio essenzialmente Potter.
«Vorrebbe dire che a malapena ti accorgi dei tuoi sentimenti, di come la guardi, le parli, respiri la sua stessa aria figurarsi accorgerti che lei fa lo stesso.»
«Cosa farei io?» si fermò di botto, in centro alla stanza, ritto come un fuso le sembrò ancora più alto di quello che era.
«Porco Godric, a volte avrei voglia di aprirti la testa per vedere se sotto quei capelli platinati c'è un cervello!» sbuffò esasperata allargando le braccia. «Vuoi che ti dica cosa ho visto, osservando dall'esterno negli ultimi tempi? Non mi è mai stato così chiaro da quando mi sono allontanata da voi e vi ho osservato. È come se gravitassi attorno a lei. Ah! Zitto, ora lasciami finire.» si alzò anche lei in piedi alzando la mano per frenare la protesta che stava nascendo in gola al biondo. «In Sala Grande ogni volta che pensi che non ti guardi quasi la trapassi con lo sguardo, quando stava con quel Corvonero.. sembrava che volessi cruciarlo con la sola forza del pensiero ogni volta che stava nel raggio di cinquanta metri da lei, sembravi odiarlo. Ogni volta che si è fatta male sei stato il primo ad accorrere e la tua espressione, sembrava che avessi paura che scomparisse, morisse. Io ti osservo e ti conosco come le tasche del mio mantello, lo sai e se ti dico che da quando la conosci sta operando una lenta e radicale trasformazione in te, soprattutto quest'ultimo anno, credimi.»
«Dovresti cambiare spacciatore Em, le unghie di drago devono averti dato alla testa.»
«In quel caso avrebbero fatto il loro dovere e avrei perso il freno che m'impedisce di strozzarti.» ribattè tagliente la ragazza e si avvicinò a lui. Nonostante non fosse bassa, doveva sempre alzare la testa per guardarlo in faccia. «Smettila di farti del male, lei.. lei ci tiene a te, più di quello che pensi. Si vede, Salazar, lo vedo io che negli ultimi mesi neanche le ho parlato. Dimmi, Scor, ti ho mai mentito?»
«Non c'entra questo adesso, solo perchè tu credi che sia vero non vuol dire che lo sia.» sembrava ritornato alla calma glaciale di sempre, sembrava che volesse soltanto scomparire dietro quella maschera per non darsi una speranza.
«C'entra e tu lo sai che ti sto dicendo la verità. Smettila di fare il Serpeverde e per una volta buttatti, sii coraggioso, fallo per te.»
«Il problema è che quel cencioso cappello ci ha buttatti tutti e due qua per un motivo, non trovi? Non sono l'unico a non essere abbastanza coraggioso in questa stanza.»
«No, non sei l'unico, ma non puoi aspettarti che lei abbia abbastanza coraggio per entrambi, perchè non lo avrà. Non sarà abbastanza forte da capire cosa provi e lascerà perdere, pensandola come ad una strana avventura capitata negli anni di scuola e tu, fra poco, te ne andrai da Hogwarts per sempre e lei avrà tutto il tempo di andare avanti. Non ti aspetterà in eterno, in realtà non credo lo faccia nemmeno ora, probabilmente è già tanto se ha capito cosa prova realmente.» il tono di Emily si era addolcito e gli aveva poggiato una mano sulla spalla stringendo con delicatezza. Il suo profumo alle rose minacciava di soffocare quello di Lily che si sentiva ancora addosso, -violetta e Lily- l'unica traccia di lei. «Per una volta sii quello che non sei, perchè è l'unico modo per poter essere quello che sei veramente.»
«Non ha molto senso.»
«Non deve averlo, Morgana, non può! Stiamo parlando di Lily Potter.»
«Non ho mai ammesso che fosse lei il problema, magari papà potrebbe avermi scritto dicendo che non potrò avere un ippogrifo.»
«Non ho mai capito questa sua avversione per gli ippogrifi.»
«Beh, ci sono cose più assurde da capire, come il fatto che io sia invischiato in questa situazione con la Potter.»
«Semplice, lei è Lily.» E ci ha cambiati entrambi tanto profondamente che non so se riusciremo mai a tornare indietro. Pensò, ma non lo disse.






Note di un'autrice che si fustiga per il ritardo.
Lo so, due mesi di assoluto silenzio. Lo so, credetemi. Sono imperdonabile e ho anche poco tempo per lasciarvi un commento decente, ma vi assicuro che per quanto odierete questo capitolo non lo farete mai quanto me. Fa schifo, è di passaggio per il prossimo, certo, ma fa schifo uguale. L'ho tenuto nel computer quest'ultima settimana sperando di migliorarlo un po', già completo, ma.. niente, fa schifo.
Vi ringrazio tutti, di cuore se avrete il coraggio di pazientare per arrivare al prossimo, già scritto per metà fra fogliettini e il documento word.
Whit love. :)

   
 
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