Trattato di Pace
Niha e Yara si mossero veloci e raggiunsero il limitare del villaggio, dove gruppi di donne fuggivano, mentre gli assalitori, tutti uomini, cercavano di strappare le bambine dalle braccia delle madri, mentre altri davano fuoco alle case fatte con rami e paglia ed altri ancora combattevano contro le amazzoni a difesa.
Al comando vi era un giovane: era alto, molto forte, i capelli neri, lunghi e lisci, gli incorniciavano il volto contratto in una dura espressione battagliera. Gli occhi scuri erano pozzi neri d’odio e in mano teneva un arco.
“Avanti, guerrieri! Mostriamo alle amazzoni come dev’essere veramente questa foresta! Loro pensano che noi dobbiamo stare separati!? Sciocchezze! Riprendiamoci i nostri figli e le nostre case! Vendichiamo i nostri morti!”
Gli altri guerrieri gli fecero eco ed iniziarono a combattere. Dovevano aver colto le guerriere di sorpresa, dato che molte erano già a terra, anche se nessuna sembrava morta.
“Oh no… di nuovo.” Sussurrò, rabbiosa, la signora delle amazzoni, prendendo l’arco e colpendo un guerriero poco lontano alla spalla, come se fosse restia a ferirli.
“Chi sono!?” Chiese Niha spaventata da tanta violenza: pensava che in quel mondo non esistesse una cosa del genere.
“Una tribù di nemici del mio regno. Sono convinti che noi siamo la causa di tutti i loro mali. Continuoano ad attaccarci. Il loro capo è Vannak.” Spiegò Yara scoccando un’altra freccia, dopodiché si alzò in piedi su una piattaforma di guardia ed iniziò a radunare le sue guerriere.
“Anche tu!” Urlò, rivolta a Niha. “Aiutaci,.. porta i feriti al sicuro!”
Subito, le amazzoni si riorganizzarono, spinte dalla loro principessa, contro i nemici. Il giovane Vannak tentava di radunare i suoi che, però, nella baldanza iniziale si erano separati, rimanendo isolati. Yara ne approfittò subito e attaccò i piccoli gruppi che furono costretti a scappare. Alla fine tutti furono costretti a ritirarsi.
“Mi vendicherò, Yara! Avrò le vostre teste!” Urlò il ragazzo, adirato, mentre fuggiva saltando di ramo in ramo.
Nessuno, però, lo ascoltava più. Yara e le sue compagne stavano esultando per la facile vittoria, sbeffeggiando i guerrieri maschi per la loro disfatta. Dovettero, però, smettere subito, dato che molte di loro erano state ferite e Niha non riusciva a curare tutti, nonostante avesse avuto un’educazione da infermiera.
La povera ragazza non si era aspettata tanta violenza nel Mondo Infinito. Pensava che lì fiorisse la pace e l’amicizia. Ma quello che aveva visto, l’aveva scossa. Voleva pensare ad altro, magari che c’era una possibilità di pace: dopotutto se ci si credeva veramente, poteva esserci un accordo.
“Yara… perché combattete?” Chiese, qualche ora dopo, mentre osservava una giovane ferita a terra.
“Loro… be’, noi non combattiamo. Ci difendiamo e basta. Loro dicono che noi siamo colpa di molti loro mali. Ci attaccano di continuo. Cercano di rapire le bambine e di distruggere il villaggio.” Spiegò la giovane signora, come se si sentisse improvvisamente in colpa.
Lo sguardo di Niha vagò tristemente sulle ragazze e le donne ferite. Le bambine piangevano per strada, cercando le amiche, spaventate dalla possibilità che fossero state rapite. Altre cercavano le madri, ferite o disperse. Il villaggio, che le era apparso così pacifico e così bello, era per metà, incenerito e le amazzoni si davano da fare per ricostruirlo. I loro sguardi, però, erano tristi e affranti, come se avessero ripetuto quell’azione troppe volte.
“Scusa se lo dico… ma non credi che sia meglio parlare? Ci deve pur essere un motivo per cui combattono. Qualcosa che li spinge. Se trovaste un accordo, forse, potreste porre fine a questa guerra una volta per tutte.” Cercò di spiegare, senza offendere la Principessa. Era convinta che anche lei lo volesse.
“Io lo vorrei… ma il loro capo non vuole sentire ragioni. Ho provato a parlarci, una volta. Ma ha iniziato a dire cavolate. Io non ho niente di personale, contro di lui. Ma lui se l’è presa con me e non so perché.” Fu la secca risposta di Yara che incrociò le braccia testardamente.
Anche i suoi occhi, però, erano tristi. Vagavano sul suo villaggio ormai distrutto e sperava che le cose andassero meglio.
“Senti… prova a parlargli di nuovo… magari, se cerchi di essere calma, ti ascolterà.” Niha aveva parlato in modo calmo e tranquillo, come se volesse rassicurare la compagna. Ma la verità era che anche lei non era sicura al cento per cento.
Yara si alzò, incrociando le braccia, restia. Era evidentemente in imbarazzo, ma cercava di non darlo a vedere. Era abituata a comandare e farsi ubbidire, non a parlamentare o discutere.
“Il fatto… è… che diavolo! Io non sono una brava ambasciatrice! L’ultima volta che ho ricevuto una delegazione ho tirato uno schiaffo all’ambasciatore! Rischio di fare più danni che altro.” Spiegò sulla difensiva. Non era abituata a giustificarsi.
“Allora potrei parlare io. Tu manda il messaggio e io ti farò da portavoce. Dopotutto non voglio che la tua gente si massacri per nulla, probabilmente è solo un malinteso. Dai una possibilità a questo Vannak, potrebbe sorprenderti.” Fu la dolce risposta della più giovane, anche se, in realtà, era piuttosto terrorizzata all’idea di fare da ambasciatrice.
“Come mai ci tieni tanto? Alla mia gente, intendo?”
“Perché…? Non lo so, sinceramente, ma a me piace pensare che un mondo così bello non debba perdersi in un inutile conflitto. Oggi siamo stati fortunati che non abbia perso la vita nessuno. Ma domani? Se una bambina perdesse la madre? Non sarebbe giusto, non qui. Voglio fermare questi scontri.” Spiegò decisa Niha. Non sapeva perché, ma sentiva di dover aiutare quella gente: si sentiva molto più coraggiosa e risoluta, lì, al fianco di Yara.
“D’accordo…” Concesse, infine, la signora delle amazzoni. Dette ordine ad una delle sue guerriere di recapitare un messaggio a distanza alla tribù di uomini di Vannak. “Sei molto saggia, per essere così giovane.” Aggiunse, tornando nella sua tenda.
Niha arrossì molto per quel complimento, ma riuscì comunque a rispondere: “Io… penso solo a ciò che sia meglio per tutti, dopotutto la pace vi farebbe bene. E sono certa che loro abbiano dei motivi. Basta ascoltarli.”
La cena fu servita al calar del sole e la più giovane mangiò poco e solo verdure e frutta, dato che la carne le rimaneva sullo stomaco. Anche il sonno venne con molta difficoltà: infatti, benché il letto fosse comodo, i pensieri per l’ambasceria del giorno dopo la tormentavano. Temeva di provocare problemi o di peggiorare le cose, invece che migliorarle. Alla fine, però, la stanchezza ebbe la meglio e lei si lasciò cadere tra i cuscini.
La mattina arrivò troppo veloce. La luce del sole le solleticò gli occhi, costringendola ad aprirli e chiudere rapidamente, infastidita.
Si alzò di subito, ricordando l’importante compito che la attendeva. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma Yara contava su di lei.
Mentre mangiavano una leggera colazione, la Principessa la informò: “Vannak ha accettato di incontrarci. Ieri sera ha risposto al messaggio. Accetterà di incontrarci alle Cascate Bianche, sul confine tra il territorio delle tribù maschili e femminili. Lo farà solo se siamo disarmati e se sarò presente io stessa.”
“Allora andremo insieme. Basterà che tu sia presente, mi occuperò io di parlargli.” Provò a rassicurarla Niha, cercando di non far trasparire il nervosismo. Yara era in ansia, lei si sentiva molto più sicura con l’arco. Probabilmente si sarebbe sentita abbattuta, senza di esso.
Alla fine, però, fu costretta a dare ragione all’amica. Annuì e affidò l’arco ad una sua guerriera.
“Mia signora! Se mi è concesso di parlare, dovremmo approfittare dell’occasione per uccidere il loro capo! Sono da sempre nostri nemici, non si può parlare con loro!” Protestò una ragazza dall’aria agguerrita. I lunghi capelli biondo scuro le incorniciavano il viso affilato che ricordava quello di una volpe.
“Stai al tuo posto, Amira! Potremmo avere la possibilità di porre fine alla guerra senza altro sangue. Direi che vale la pena tentare.” La redarguì Yara, cercando di rimanere calma.
“So come andrà! Gli uomini inizieranno a prenderci con la forza, costringendoci ad essere loro schiave! Principessa! Questa pace non porterà a nulla di buono!” Sbottò l’amazzone, inviperita.
“Ho preso la mia decisione. Ora fa silenzio!” Sentenziò duramente, la signora delle amazzoni.
Dopo un po’ partirono, scortate da altre guerriere, imboccando un sentiero nella verdeggiante foresta, ma, al limite del loro territorio Yara ordinò loro di fermarsi.
“Andremo solo io e Niha voi rimanete qui e, qualsiasi cosa accada, non intervenite.”
Le altre non sembravano entusiaste di lasciar da sola la loro sovrana, ma lei sembrava decisa a pensarci da sola e nessuno osò contraddirla.
Le due avanzarono disarmate
verso le cascate con il loro rombo che copriva ogni cosa.
L’acqua cadeva per
oltre cento metri, in tutta la sua potenza.
“Eccoli.” Sussurrò sottovoce Yara,
indicando tre uomini che avanzavano. I due uomini ai lati erano sui
trent’anni,
abituati alla dura vita nella foresta, abbronzati e ben piazzati. Erano
vestiti
con pantaloni e maglie leggere, in modo da non subire gli effetti del
caldo. Il
loro capo, però, era molto giovane, appena diciannovenne.
Indossava solo un
paio di pantaloni leggeri che gli arrivavano poco sotto il ginocchio.
Il viso
triangolare, ma poco spigoloso era incorniciato da lisci spaghetti neri
che
erano i suoi capelli. Gli occhi erano verdi come la foresta profonda e
accesi
di una strana luce di rabbia e dolore. Era sorprendentemente giovane,
per
essere un capo. Non doveva avere più di diciannove anni,
eppure emanava un aura
di rispetto e comando. Niha non poté non ammirare il suo
fiero portamento e la
decisione che incarnava. Come promesso, anche loro erano disarmati.
Impossibile
che nascondessero armi con quei leggeri vestiti. Avevano mantenuto la
parola.
“Come mi avete chiesto, Principessa… io sono qui,
volete ancora continuare con
le vostre ipocrite richieste di pace, o vi siete decisa a
ragionare?” Chiese il
giovane, con voce dura, quando furono a meno di un metro
l’uno dall’altra.
Lei sembrò pronta
a rispondere a
tono, ma si ricordò di evitare di parlare e di lasciare
tutto nelle mani di
Niha.
“La
principessa Yara si appoggia a me come portavoce. Lei desidera la pace,
non la
desiderate anche voi?” Chiese la più giovane di
tutta facendosi avanti. Cercò
di mantenere un atteggiamento distaccato e duro.
“Quindi
la signora delle amazzoni non sa combattere le sua
battaglie?” Chiese
sprezzante Vannak, provocando Yara. Lei non reagì e questo
costrinse il giovane
a proseguire. “Sì, desidero la pace, ma ho delle
condizioni da chiedere. Il
falso gioco delle amazzoni deve finire! Loro hanno istituito un solo
giorno per
unirsi e la divisione dei figli! Desidero che le famiglie siano riunite
e che
il Giorno dell’Unione sia tolto! Queste ipocrisie devono
finire!” Annunciò
Vannak duramente, accompagnato da cenni di assenso dai suoi
accompagnatori.
“Credo
che ciò sia possibile…”
Iniziò Niha, dubbiosa. Non aveva capito molto delle
usanze del luogo, ma quelle regole non sembravano fisse.
“Inoltre,
desidero che la Principessa Yara rinunci al trono e si faccia giudicare
dagli
anziani della mia tribù per l’omicidio di Venned,
mio fratello, che le sue
stupide leggi hanno ucciso!” Concluse il giovane, incrociando
le braccia.
“Cosa!?
Io… non capisco… Yara non vorrebbe mai la morte
di qualcuno!” Sussurrò Niha a
disagio. Davvero stava sostenendo un’assassina? Non lo
credeva possibile.
“Non
è vero, è falso!” Non ho ucciso io
vostro fratello!” Sbottò la principessa
furibonda.
“Bugiarda
e ipocrita! Le vostre leggi hanno ucciso mio fratello! Avete bandito la
donna
che amava, dicendo che era indegna, solo perché si era unita
a lui al di fuori
del Giorno dell’Unione! Lei si è suicidata per la
vergogna e lui, preso dalla
disperazione, l’ha seguita, gettandosi da queste stesse
cascate! Non osate
negare ciò!” Urlò Vannak furibondo, con
gli occhi iniettati di sangue dalla
rabbia.
“Io…
non ho mai fatto nulla del genere… quelle… quelle
leggi non sono fisse! Non
avrei mai giudicato una cosa del genere… io..
credevo… mi avevano detto che era
successo qualcosa del genere… ma all’epoca ero in
visita da mia sorella Samah!”
Balbettò Yara, evidentemente a disagio. Non le piaceva
essere accusata di
omicidio e, sentendo quelle parole, si sentì in parte
responsabile. Forse non
aveva messo per iscritto quelle leggi, ma forse, alcune delle sue
guerriere
l’avevano fatto per lei, in un eccesso di zelo.
Niha,
però, mantenne la calma, nonostante la confusione e si fece
avanti: “Se davvero
sono leggi scritte, posso vederle?”
“Certo…
se proprio volete… noi non abbiamo nulla da
nascondere.” Rispose il giovane
capo facendo un cenno ad uno dei suoi accompagnatori che gli porse una
tavoletta di pietra incisa.
Stava
per passarlo alla piccola Niha quando un sibilo acuto tagliò
l’aria.
Gli
uccelli appollaiati sugli alberi si alzarono in volo e una freccia
dalla nera
ombra sottile e dal candido piumaggio rosso, colpì Vannak al
petto.