- Lily! Lily, ti prego, dimmi che stai
bene. Ti prego, perché su Merlino che se ti ha torto un capello io lo ammazzo.
James si piegò su Lily, che si reggeva
malamente in piedi appoggiata al muro di marmo gelato. La giovane aveva il
respiro affannoso e sudava freddo, la pelle perlacea e gli occhi sgranati dal
terrore e dalla rabbia, ma finalmente vivi, liberi da quella patina che li
ricopriva quando si era trovata sotto Imperius.
James la squadrò con attenzione maniacale, la fronte corrugata dalla
preoccupazione, le mani che la sfioravano leggermente ma costantemente,
incapaci di trattenersi, quasi a volersi accertare che tutto fosse al suo
posto, che le sue guance fossero ancora calde, che le sue mani non tremassero,
che le sue spalle non cedessero. Le prese il visino delicato fra le mani calde
e la costrinse ad alzare lo sguardo, pretendendo una risposta. Con i pollici le
accarezzava le guance morbide, asciugandole le lacrime.
- Lily…
Non potendo più evitare quegli occhi
nocciola che minacciavano di farla crollare definitivamente, Lily prese il
coraggio a due mani e si abbandonò alla corrente del dolore, lasciandosi
trascinare dalle onde. Senza più riflettere, rinunciando per una volta alla sua
forza, alla sua indipendenza, alle sue maschere, alla sua perfezione, alla
sua sicurezza… Rinunciando per un minuto
alla sua amata distanza, che con tanto impegno ogni giorno cercava di costruire
fra sé e gli altri – e a quel punto, chi poteva biasimarla? – Lily si gettò fra
le braccia di James, singhiozzando senza freno. Il ragazzo, se ne fu sorpreso,
lo nascose splendidamente. Forse, la sua sorpresa era svanita sotto il sollievo
di poterla stringere a sé, un bisogno quasi fisico che lo stava logorando
internamente da quando aveva letto quel secco messaggio lasciato sul tavolo
della biblioteca. Non aveva bisogno di altro se non sentirla sotto le proprie
dita, sapere che era lì, che poteva proteggerla, che poteva salvarla, che
poteva aggiustare le cose, che nessuno le avrebbe fatto del male perché era
arrivato in tempo, per una volta aveva fatto la cosa giusta, e adesso lei era
lì e in quel momento, era sua. Quella magnifica, maestosa, invincibile piccola
forza della natura, così fragile adesso, così bambina, così distrutta… Così innocente, così inerme. James non
l’aveva mai vista senza veli, senza maschere: credeva fosse indomabile ed
eterna: non aveva mai pensato che persino Lily Evans dovesse avere una piccola
ragazzina insicura dentro di se, che dava fiducia alle persone sbagliate e poi
se ne disperava, incapace di liberarsi del peso dei sentimenti.
Fu con questi pensieri, mentre la
stringeva fra le braccia, con Piton che nel
frattempo si era messo a sedere e in silenzio, con lo sguardo vitreo, li
osservava, gli occhi negli occhi di James in una silenziosa conversazione in
cui quest’ultimo gli comunicava, senza possibilità di esser frainteso, che gli
sarebbe saltato alla gola quanto prima, con questi pensieri, mentre le
accarezzava i capelli, mentre sentiva il suo naso strofinarsi lievemente sul
suo petto e le sue mani strette a pugno, le lacrime scendere ancora e ancora
inzuppandogli la camicia, e nel frattempo pensava a quando l’aveva vista alla
spiaggia quell’estate, con quegli occhiali da sole rotondi e la sigaretta in
bilico fra le labbra, a come sembrava rude e provocante e forte, a come rideva
a bocca sguaiata così poco elegantemente, e pensava ai suoi orecchini
stravaganti e a tutti quei piccoli particolari che la rendevano così aldilà di
qualsiasi altra ragazza avesse mai incontrato, così donna… Eppure
adesso così piccola, piccola, piccola. Fu con questi pensieri, che si rese
conto, in un secondo e per sempre, di esser perduto.
- Sssshhhh… E’ tutto ok, è tutto ok. Ci sono io.
Lily
si allontanò da lui lentamente, asciugandosi le lacrime con le maniche della
giacca e tirando leggermente su col naso. Non guardò James negli occhi – non
poteva. Non poteva gestire la sua preoccupazione adesso, la sua pietà, la sua
commiserazione, o qualsiasi cosa fosse che provava per cui adesso sentiva il
bisogno di trattarla come una bambina. In un attimo, si pentì di aver ceduto,
di essersi lasciata abbracciare, di aver pianto davanti a lui. L’aveva vista
debole; quindi sapeva di poterla ferire.
E lo
avrebbe fatto, se lei glielo avesse permesso. Lo avrebbe fatto perché è questo
che fanno, le persone, quando permetti loro di entrarti dentro. Occupano
spazio, stanno lì buttati sul divano nel tuo cuore, mangiano pop corn, si fanno i loro porci comodi, si sentono padroni, si
comportano come se fosse casa loro e poi, a un tratto, si annoiano e se ne
vanno sbattendo la porta, e tutto quello che ti rimane, dentro, è un divano
sporco che odora di birra, con una coperta scozzese abbandonata, vuoto e
freddo, mentre il film della tua vita continua ad andare avanti senza di loro.
Ma
adesso basta. Aveva chiuso. Nessuno si sarebbe più seduto sul suo bel divano.
Nessuno se ne sarebbe più andato.
Lentamente,
si ricompose. Si sistemò la camicia, si asciugò meglio gli occhi, si legò i
capelli e montò un’espressione di fredda indifferenza. No, non la montò: la creò,
la dipinse con una maestria e un’efficacia indicibili. Fu un attimo: e non
sembrava più neppure lei. Aveva la mascella tesa, gli occhi freddi come il
ghiaccio. James la osservò trasformarsi sotto il suo sguardo esterrefatto, non
sapendo che dire. Vide tutto il calore andare via dalle sue guance e dai suoi
occhi, quegli occhi di foresta solitamente così caldi.
Istintivamente,
si riavvicinò a lei, come se fosse la sua lontananza ad averla resa
improvvisamente così fredda. Le mise una mano sulla guancia, e ancora una volta
cercò di catturare il suo sguardo.
-
Qualsiasi cosa tu stia pensando – disse seriamente – smettila.
- Sto
pensando – ribattè lei con voce forzatamente neutra –
che le Maledizioni senza Perdono sono illegali, e possono essere punite anche
con mesi di prigionia ad Azkaban. Sto pensando, che
utilizzare la magia su un altro studente non è permesso in questa scuola a meno
che non si tratti di un duello regolare, approvato e supervisionato da un
insegnante. Sto pensando…
Si
voltò verso Severus, che per tutto quel tempo non
aveva emesso un fiato. Era seduto a terra, con la schiena appoggiata al muro, e
si abbracciava le ginocchia, muovendosi avanti e indietro ossessivamente e
fissando il vuoto. Sembrava sotto shock. A tratti muoveva le labbra, ma nulla
ne usciva.
- …
che potrei rovinarti la vita per quello che hai fatto. C’è un testimone. E’ la
nostra parola contro la tua.
Ma Severus non rispose. Non osava perdere il ritmo del suo
psicotico ondeggiare: aveva paura che se si fosse fermato, se si fosse
costretto ad alzarsi, a guardarla, ad affrontare quello che era appena successo… Non ce l’avrebbe fatta. Non poteva.
- Severus Piton. Guardami. Adesso.
La
voce di Lily lo raggiunse da lontano, con una potenza devastante. Non poteva
guardarla, non poteva. Doveva, ma non poteva. Non poteva vedere il dolore che
le aveva causato, la delusione, la rabbia, il disgusto, il giudizio dei suoi
occhi, non poteva distruggersi in questo modo. Per giunta, non davanti a
Potter. Potter che un giorno gli aveva salvato la vita, e un altro gliel’aveva
disintegrata.
Un’altra
voce, una che non si aspettava, interruppe il filo dei suoi pensieri.
- Severus? – era appena un sussurro, quello di Reg – che diavolo… che succede
qui?
Lily
si asciugò velocemente le lacrime con la manica della giacca, e montò
un’espressione neutra prima di voltarsi verso il giovane, innocente nuovo
arrivato.
- Ciao
Black. Saresti un tesoro e porteresti via Severus? Ha appena eseguito una Maledizione Senza Perdono.
Normalmente lo riporterei subito a Silente, ma temo che mi sia molto più utile
tenere questa informazione per me e usarla come garanzia di una tacita
ordinanza restrittiva – lo sguardo della giovane si affinò, in un’espressione
sorniona e quasi lasciva. James la osservava, attento a captare qualsiasi segno
di cedimento. Quella durezza, quella patina che in qualche misterioso modo Lily
era riuscita a mettersi addosso in mezzo allo shock e al dolore diffuso, lo
preoccupava più di tutto. L’aveva vista, distrutta fra le sue braccia, e poi la
vedeva adesso, e sembrava di stare guardando due individui diversi.
-
Dovrai spiegare tu tutto al tuo amico, perché credo che al momento non sia
capace di capire l’importanza delle mie parole – continuò spicciamente la
giovane, con un tono pratico – fai in modo che non ci siano dubbi sul
significato di ciò che sto per dire.
Reg
ingoiò rumorosamente, paralizzato dalla sorpresa, confuso sul da farsi. Da
tutta la vita aveva sempre preso quel ruolo. Il ruolo di mediano, di
osservatore silenzioso, di collegamento invisibile fra le parti in lotta. Era
abituato a ricevere ordini, eseguirli mestamente, senza che gli venisse chiesto
mai il permesso.
Così
annuì, sconfitto in partenza. Colse lo sguardo della giovane donna di fronte a
lui, e per quanto tentasse di rimanere gravemente fermo, un brivido gli scosse
visibilmente la colonna vertebrale, risalendogli fino alle spalle. In quello
sguardo verde, furioso e invincibile, vide la stessa luce che un giorno lo
avrebbe ucciso.
-
Bene. Severus non si avvicinerà mai più a me. Non
tenterà di parlarmi. Non tenterà di comunicare con me in alcun modo, neppure
per lettera. Non tenterà di avvicinare i miei amici o di mandare messaggi
tramite loro. Non farà del male alle persone a me vicine. Non dirà quello che è
successo a nessuno dei suoi amichetti, e non lo farai neanche tu – Lily si
fermò un attimo, per lasciare penetrare il messaggio a fondo, osservando il piccolo
Regulus annuire mesto e confuso, gli occhi che
saettavano frenetici da lei a Severus, da Severus a James, e da James a lei, di nuovo, cercando di
comprendere, cercando una soluzione che non c’era.
Si
avvicinò a Severus e gli mise una mano sulla spalla,
piegandosi.
- Severus… Andiamo. Andiamo in sala comune…
O fuori… Fuori è meglio, forse. Si?
Chiedeva
il permesso, Reg, anche per proporre l’idea di
un’idea.
Severus
annuì, piano, stanco. Non guardò Lily mentre si alzava barcollando, non la
guardò mentre Reg gli metteva un braccio attorno alle
spalle e lo conduceva lentamente via, non la guardò mentre attraversava il corridoio,
non si voltò, sentiva il cuore svuotarsi di tutto il sangue, ma non si voltò,
sentì gli occhi di Potter sulla nuca per tutto il tempo, non si voltò, assaporò
il suo odore che gli era rimasto appiccicato addosso, ma non si voltò, non si
voltò mai più.
Fu in
quel momento. Fu in quel momento che Severus Piton capì che nella sua vita, la felicità semplicemente
non era contemplata. Capì che aveva perso l’unica cosa pura che potesse in
qualche modo salvarlo. Capì che l’avrebbe amata, sempre, ma che non si sarebbe
voltato mai.
Quello
che non sapeva, forse, e che furono due cuori, forse tre, a spezzarsi quel
giorno a causa sua.
- Lily…
- Sto
bene, Potter.
James
alzò un sopracciglio, preso in contropiede dal tono incolore, come se fra lui e
Regulus Black non ci fosse
alcuna differenza. Lily si lisciò con cura la gonna sulle gambe, si sistemò con
movimenti netti e sicuri i polsini della camicetta, la cravatta tenuta lenta,
le maniche della giacca. Si slegò i capelli e li ravvivò con naturalezza. Dopo
minuti infiniti di silenzio, si voltò verso James con un sorriso spettrale, gli
occhi morti.
-
Grazie per essere intervenuto. Hai avuto un ottimo tempismo. Adesso, se non ti
dispiace, io tornerei nella mia camera. Vorrei fare una doccia.
James
non riusciva neanche a credere che quello era tutto ciò che aveva da dire sulla
scena alla quale aveva appena assistito. Non poteva credere che dopo gli ultimi
mesi, questo era tutto ciò che aveva da concedergli, dopo la conversazione di
quella mattina, dopo tutti i suoi sforzi. Dopo che l’aveva salvata. Sapevano
bene entrambi che se non fosse stato per la premura di tenerle compagnia quella
mattina, le cose sarebbero andate diversamente. Eppure lei sembrava aver
dimenticato tutto, quel fragile, invisibile, forse immaginario legame che così
faticosamente lui aveva lottato per creare.
- Non
farmi questo, ti prego – sussurrò James, frustrato, portandosi entrambe le mani
ai capelli e scuotendo la testa.
-
Farti cosa, scusa? – Lily sembrava improvvisamente interessatissima alle
mattonelle in marmo del pavimento.
-
Trattarmi come uno sconosciuto, come se fosse capitato qui per caso il primo Tassorosso che non avevi mai visto prima e che per pura
fortuna si è fermato a controllare che fosse tutto apposto mentre tu subivi una
Maledizione Imperius. Non trattarmi come un fottuto
fantasma. Cristo, Lily! Non chiudermi fuori! Sono qui per te, sono stato qui
solo e unicamente per te, lo sai benissimo! Non fare pagare a me quello che non
vuoi far pagare a lui, solo perché temi che potrei farti la stessa cosa! Solo
perché sei stata così ingenua da credere che Severus Piton potesse davvero essere tuo amico, non significa che
adesso ogni altra persona sulla faccia della terra è pericolosa come quello
squilibrato! E non me ne frega niente di quello che hai detto, io vado seduta
stante da Silente, non può passarla liscia…
-
Taci. – ringhiò la rossa, mettendogli una mano sul petto e spingendolo
indietro, inviperita – chi sei tu, eh? Chi sei per me? Perché ti ostini a
trattarmi come se te ne importasse davvero qualcosa, come se mi conoscessi? Ti
ho lasciato entrare nella mia vita da cinque minuti e già pensi di poter
dettare legge. Sei il solito presuntuoso, il solito maniaco del controllo,
pallone gonfiato! Forse non ci siamo capiti, Potter. Se ti ho dato la
possibilità di conoscermi e farti conoscere non significa che siamo amici e
ancor di meno che tu abbia qualche diritto su di me. Tu non hai diritti, non
hai voce in capitolo, non sei niente per me! Sei solo un barbaro bulletto che
ha deciso di trasformarmi nel suo trofeo di buona condotta, perché anche per
fare la cosa giusta ha bisogno di un tornaconto che lo faccia mettere in
mostra! Il che, per la cronaca, distrugge completamente il buon proposito di
partenza! Gira a largo, Potter. Lasciami in pace. Non so neanche perché Cristo
tu sia venuto, stamattina! Cosa stai cercando di dimostrare?
James
si lasciò spingere indietro, allontanandosi da lei di scatto e guardandola con
gli occhi sbarrati. Sentiva la rabbia crescergli in bocca, mentre un ghigno
amaro gli tagliava il viso in un’espressione beffarda e infelice, che tuttavia
non poteva mascherare una punta evidente di incredulo disappunto.
- Cosa
sto cercando… Cosa sto cercando di dimostrare?
Andiamo, Evans! Vai a sputare veleno su chi se lo merita, non su quello che ti
ha salvato il culo! Chi sono io? Sono il coglione che stamattina si è buttato
giù dal letto per farti compagnia! Sono il coglione che dopo una tua sfuriata
ha messo tutta la sua presunzione in discussione, è sceso dal piedistallo e si
sta facendo il culo per cambiare! Sono il coglione che mai in vita sua ha avuto
un pensiero sulla differenza di sangue e che costantemente si sente messo sullo
stesso piano di quel fottuto mangiamorte! E tutto questo perché sei così ottenebrata dal
pregiudizio, così sicura delle tue opinioni e così presuntuosa dall’alto della
tua purezza morale, che non ti sei mai presa il disturbo di renderti conto che
l’unico motivo per cui il tuo caro migliore amico non ti ha ancora sputato
addosso è perché vuole entrarti nelle mutande, e che c’è una differenza di
fondo fra delle bravate infantili e la cattiveria che hai appena subito. Ma
niente di tutto questo è contemplabile nella tua mentalità ristretta, perché
come potrebbe mai James Potter essere una persona degna di anche solo un tuo sguardo… Vai a farti
violentare da Mocciosus, Evans. Vai a farti fottere.
Lily
sentì la valanga di risentimento e delusione travolgerla, e non fece niente per
fermarla, né per fermare James, che girò i tacchi e si allontanò senza voltarsi,
come aveva fatto Piton pochi minuti prima. Non si
mosse di un millimetro, la piccola, testarda Lily Evans. Non cambiò
espressione. Non tremò. Non aprì la bocca per parlare. Non allungò una mano in
un mero tentativo di raggiungere ciò che sentiva stava perdendo. Non fece
niente. Rimase ferma, immobile, quasi paralizzata.
Dentro,
il caos.
Regulus condusse Severus al Lago. Lo fece sedere, in silenzio, e poi si mise
un po’ distante, e non lo guardò. Per tutto il tempo aveva finto di non vedere
le lacrime di Severus scendere, e scendere, e
scendere, senza un fiato; e anche adesso che si erano fermati, non lo fissò mai
in viso, e Piton se ne accorse, e ne fu immensamente
grato.
Stettero
in silenzio, per un po’. Non c’era proprio niente da dire, si capisce, e
comunque non era certo che sarebbe mai stato in grado di emettere un suono in
vita sua. Le ultime parole che aveva pronunciato erano state la sua vita e la
sua disgrazia, tutte insieme. La sua parte migliore, e la sua parte peggiore.
La sua felicità e la sua distruzione. Una, una era il suo nome. E l’altra…
L’oscurità.
- Sono
innamorato di una ragazza mezzosangue. Si chiama… No,
forse è meglio di no. Non importa come si chiama. E’ una Corvonero.
E’ strana… Non parla molto, come me. Non ha molti
amici. Ma ha degli occhi… E sembra vivere in un mondo
diverso da quello in cui viviamo noi. Sembra vedere tutto in modo diverso. E’
qualcosa nell’espressione che ha quando ti guarda…
Come se ti vedesse dentro, capisci? E fa dei disegni bellissimi. Una volta la stavo
osservando in classe, a Storia della Magia, e la vedevo scrivere, e scrivere, e
scrivere. Merlino sa che nessuno ha mai preso appunti a Storia della Magia… Mi aveva incuriosito, e volevo chiederle gli
appunti, così, per attaccare bottone. Mi sono avvicinato a fine lezione. Le ho
chiesto gli appunti, e lei me li ha dati, sorridendo. C’erano tantissimi disegni…
La sua
voce sfumò, e Regulus, arrossendo, abbassò lo
sguardo.
- Non
so cosa fare per proteggerla.
Severus
osservò il lago, sospirò, chiuse gli occhi, li riaprì, si grattò la fronte.
Voleva tacere, voleva ignorare la voce di Regulus e
tentare di morire di dolore, voleva estraniarsi. Ma lo shock di ciò che era
appena successo premeva sulle sue labbra e il suo autocontrollo fallì.
-
Stalle lontano – la voce gli uscì gracchiante, come quando si parla dopo essere
stati in silenzio a lungo. A Severus sembrava di
tacere da sempre… - stalle lontano. Sai cosa sei
destinato a diventare. Sai qual è il nostro ruolo. L’unico modo che hai per
proteggerla, e per amarla, è fare ciò che devi e tenerla lontano da te stesso.
Puoi offrirti a loro, a Lui, in cambio della sua protezione. Puoi offrire i
tuoi servigi ed essere abbastanza bravo da strappare questa concessione, se
riesci a entrare nelle loro grazie. Puoi tentare di proteggerla dall’interno.
Ma non l’avrai mai. Non possiamo averle, capisci? Siamo noi il male, Regulus. Noi siamo la causa di quello che di male potrebbe
succedergli. Noi siamo quelli che un giorno non lontano faranno del male ai
loro amici, alle loro famiglie. Non potremo averle mai. Possiamo cercare di
salvarle di nascosto, forse. Ma nessuno lo deve sapere. Tieni nascosta questa
parte di te, tieni nascosta questa debolezza. A nessuno piace un uomo debole, e
ancora meno un cattivo debole.
- E’
l’unica parte di me che mi piace – sussurrò Reg,
flebile, un tremito nella voce – dovrei tenere nascosta la parte migliore di
me?
Severus non
rispose.
Non ne
riparlarono mai più.
-
Quella stronza! Pazza psicopatica, ingrata, vuole vedere lanciarmi dalla Torre
di Astronomia prima di rendersi conto che… Merlino, e
quel fottuto bastardo…
James
entrò nel dormitorio urlando, gli occhi quasi gli uscivano fuori dalle orbite,
il viso vermiglio, i capelli disastrati.
Sirius e Remus, impegnati in una partita di scacchi particolarmente
difficoltosa, videro esterrefatti James capovolgere il loro dormitorio, in
preda ad un’irrefrenabile rabbia omicida. In pochi minuti fece fuori tutto
quello che si ritrovava davanti, scaraventando libri, cuscini, calderoni,
prendendo a calci il comodino, e quasi fracassando a terra il walkman che Lily
aveva regalato a Sirius. Lo strinse tra le mani, gli
prudevano dalla voglia di distruggerlo, come se potesse tramite esso
distruggere quel pensiero ossessivo che volente o nolente la riconduceva sempre
a lei.
L’aveva
lasciata lì, ed era appena stata vittima di una Maledizione Senza Perdono.
Sarebbe stata bene? Forse avrebbe dovuto accompagnarla in infermieria…
Si
riscosse, e la consapevolezza del sentimento che provava, così intenso da adombrare
persino la sua furia, lo colpì e lo spaventò, intensificando l’irrazionale
impulso di distruggere ogni cosa, di cercare una via d’uscita da quella che
ormai gli sembrava una condanna al dolore eterno, a un eterno anelare verso il
nulla. Aspettava di potersi concedere una speranza che non avrebbe mai visto la
luce. Si sentiva respinto, rifiutato, maltrattato, incompreso, svalutato,
sminuito. Ma era solo la buccia.
Era
solo la superficie.
La
verità è che era terrorizzato e orripilato dal
pensiero di quello che sarebbe successo se non fosse arrivato in tempo. La
verità è che aveva visto Severus Piton
scagliare l’Imperius contro Lily Evans e poi quasi
baciarla; aveva assistito a una delle magie più oscure della storia della
magia, ed era stata Lily, la sua Lily, ad esserne la vittima. Aveva visto
quegli occhi verdi spegnersi.
L’odio
che il ricordo di quel momento gli irrorava nel cervello – sembrava ci fosse
come una diga, una diga che il suo super-io aveva eretto per frenare i suoi
istinti più remoti e animaleschi. Beh, quella diga era andata a farsi fottere.
Non
era neppure sua. Lily. Non era la sua Lily.
Cristo,
se non si fosse alzato per lei. Se lei non gli avesse rivelato quel segreto. Se
lui non l’avesse rincorsa per il corridoio. Se lei non gli avesse sorriso sul
treno. Se lui non l’avesse così profondamente, così teneramente, così
evidentemente, così sommessamente e rumorosamente e perdutamente…
Si
rese conto, a un tratto, che non si pentiva affatto di tutto ciò che provava e
aveva provato per Lily Evans, né di tutto ciò che in conseguenza di ciò aveva
fatto.
L’aveva
salvata.
Che
Lily Evans fosse una stronza ingrata, importava solo a un secondo livello di
analisi.
Appoggiò
il walkman sul comodino.
Sirius e Remus lo fissavano, ancora ammutoliti. Sapevano bene che
era meglio aspettare che James si schiarisse le idee prima di vuotare il sacco,
se volevano ricevere una spiegazione razionale e non una serie di sproloqui
coloriti e senza senso.
Ma
James non parlò. Accese il walkman e si lasciò crollare a terra, con la testa
abbandonata sulle ginocchia e le braccia a circondare le gambe, facendosi
piccolo piccolo, e chiudendo il mondo fuori. Pensò a
Lily fra le sue braccia, al suo viso nelle sue mani, alla sua commovente
fierezza e anche alla sua insopportabile superiorità, pensò a come l’aveva
vista distruggersi e ricomporsi, sotto i suoi occhi, in una figura deformata,
che lui non voleva riconoscere.
Era
come Sirius, quando si parlava della sua famiglia.
Un’ombra gli scuriva gli occhi e in un attimo diventava una statua di ferma
indifferenza, che solo un occhio allenato e attento come quello di James
interpretava per ciò che era davvero: una sfacciata maschera di cera.
In un
attimo, capì cosa era accaduto, e cosa avrebbe dovuto fare.
Ah, you fake just like a woman, yes you do, and you
make love just like a woman, yes you do
Then you ache just like a woman… But you break just like a little girl.
- Devo… devo
andare.
-
James, aspetta, che diavolo è successo? – Sirius lo
seguì alla porta e gli mise un braccio sulla spalla, ma James corse via
inciampando, come in trance. Incespicando e sbattendo contro visi senza nome,
si precipitò fuori dalla sala comune in preda a un’impazienza indefinibile.
Finalmente,
arrivato all’entrata della biblioteca, si fermò, guardandosi intorno mentre il
cuore cercava di recuperare un ritmo umano, le spalle e il petto che si
alzavano e abbassavano freneticamente in preda al fiatone.
Lei
era ancora lì, seduta a terra, la schiena e il capo appoggiati allo stesso muro
di marmo, le braccia abbandonate tese mollemente sulle ginocchia, in una
posizione semirilassata, che a uno sguardo più
attento sarebbe risultata apatica più che tranquilla. Lo sguardo era perso nel
vuoto, ma gli occhi erano un caos di colore liquido, di sofferenza, rabbia,
delusione, abbandono, dolore, ma oh, così vivo.
La
potenza di quello sguardo lo confortò.
Si
sedette accanto a lei in silenzio.
Lei lo
fissò stupita, e per un secondo, il grumo di sofferenza che aveva in gola si
sciolse. Le lacrime ripresero a scendere, silenziose e implacabili. Si chiese
perché, appena sentiva la sua presenza accanto, ogni maschera cadeva, e ogni
difesa pareva inutile e inopportuna. Si chiese perché il suo corpo, contro la
sua volontà, si ammorbidisse al contatto della sua spalla con la propria, si
rilassava, e ogni tensione si liberava stiracchiandosi come una lucertola sotto
un potente sole.
- Sei
tornato. – mormorò, indecisa su come interpretare la cosa. Aveva avuto pena per
lei? Gli importava davvero? Voleva un secondo round?
Si
fissarono, e James tirò fuori, dal fondo di quella mattinata infernale, il suo
sorriso trasparente, un po’ sghembo, e con la stessa naturalezza con cui quella
mattina si era buttato sulla sedia accanto alla sua in biblioteca; fece
spallucce e scrollò di dosso a entrambi la tensione di una tonnellata di
bagaglio emotivo autodistruttivo.
- Si.
– disse semplicemente. Come se fosse ovvio.
-
Perché? Ci siamo detti cose orribili.
- Ah
si? Mentre salivo in dormitorio, prima, sono inciampato sulle scale. Credo di
aver sbattuto la testa. Ho i ricordi ancora confusi. So solo di aver preso a
pugni Mocciosus, ed è un caro ricordo che tengo a
conservare per la vita. E’ successo qualcos’altro degno di nota, dopo?
Lily
scosse il capo, sconvolta dal sentire le labbra tendersi in un accenno di
sorriso.
- No… Niente degno di nota.
-
Bene. Non vorrei essermi perso i tuoi profusi ringraziamenti per essere stato
un cavaliere dal tempismo impeccabile.
- Non
te li sei persi, devono ancora arrivare. Sto preparando un discorso giusto ora,
vorrei leggerlo in Sala Grande a cena e chiedere che tu venga subito eletto
paladino della giustizia di Hogwarts. Magari con
un’uniforme speciale. E una targa.
- Fai
in modo di ricordarti di descrivere le mie fattezze affascinanti, i miei occhi
brillanti e il mio irresistibile savoir faire. Oh, e ovviamente il tuo immenso amore per me, il tuo
salvatore. Nel dettaglio, grazie. E poi fammi avere una copia del discorso, lo
voglio incorniciare e appendere accanto al letto.
A quel
punto, stavano entrambi sghignazzando come dei bambini. Era quasi grottesco,
vista la situazione.
Dopo
un po’, calò il silenzio. Non si riusciva a distrarsi troppo a lungo, infondo.
- James…
- Shh – James agitò la mano in senso di diniego, scuotendo la
testa, come a non voler sentire una parola di quello che aveva da dire. Era lì,
erano insieme. Non poteva sopportare nient’altro, per ora.
-
Dimmi perché sei tornato.
- No.
-
Perché no?
James
alzò gli occhi al cielo, spazientito. Quella donna sarebbe stata la sua rovina…
- Evans,
Cristo santo, certo che sei proprio ottusa a volte. Come fai a essere la più
brava della classe e poi a cadere come un pesce lesso sulle basi?
- …
-…
-
Fottiti, Potter.
- Sai,
credo tu confonda la parola “fottiti” con “grazie”. I tuoi genitori non ti hanno
insegnato le buone maniere inglesi, signorinella? Hai la lingua di uno
scaricatore di porto.
-
Credevo non ricordassi niente di quello che ci siamo detti prima.
- A
tratti mi tornano dei flash, il tuo linguaggio colorito mi riporta alla mente
dolci ricordi.
- Mi
dispiace. Credo che dopo questa non sarò più in grado di comportarmi civilmente
con le persone. A che pro? Presto o tardi ti pugnalano tutti alla schiena.
-
Forse. O forse no. Perquisiscimi, se vuoi. Io non ho coltelli.
-
Adesso.
- Non
ti farò mai del male. Mai nella vita, Lily Evans. Ci puoi scommettere la
bacchetta. – la serietà che evaporava dalla sua voce aveva un che di
definitivo, talmente risoluto e sicuro che Lily fu tentata di crederci. Ma era
troppo, e troppo presto. Si rese conto che voleva, voleva davvero fidarsi di
quella voce calma, di quegli occhi limpidi. Ma non ne era capace.
Lily
scosse la testa, sconfitta, e James capì di stare sbattendo contro un muro duro
come il marmo a cui erano appoggiati. Fece mentalmente un passo indietro.
- Un
giorno ci crederai. E’ una promessa.
-
Sembra più una minaccia.
-
Forse lo è, Evans. Forse un po’ lo è.