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Autore: Fenio394Sparrow    28/01/2014    5 recensioni
{OCs||Felix Felicis and Jack Finnigan||District 3||69th Hunger Games}
Trovate la versione migliorata e rimodernata nella serie VITTIMA DELLA MIA VITTORIA, di Superkattiveh, su EFP.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beetee, Favoriti, Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate, Wiress
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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«Non mi diventare troppo silenziosa, Felix.» Le disse Jack. Sembrava  … non triste. Deluso, piuttosto. Felix lo guardò con aria interrogativa, prima di alzare gli occhi al cielo e rispondere: «Mi pareva che avessi detto di non voler morire per l’eco. Se non te ne sei accorto, parlando si crea eco.» Lo trovava molto strano. In fondo aveva fatto la cosa più logica per risolvere il loro problema. Se parlando, muovendo sassi o facendo rumore in generale si creava eco, stando zitti non se ne creava. Ergo, niente eco niente morte. Semplice no? Felix credeva di sì. Aveva esaudito il suo desiderio. E allora perché non gli andava bene? «Ci siamo già dentro Felix. Nel migliore dei casi solo uno di noi uscirà vivo da questa Arena. Almeno, vorrei poter condividere con qualcuno i miei pensieri prima di andarmene. Tu no?» Le chiese, girandosi verso di lei. Gli occhi nocciola erano incorniciati dagli occhiali blu notte. Anche Felix portava gli occhiali, la stessa montatura squadrata di lui, solo che i suoi erano bianchi come la neve e i suoi occhi erano verde muschio, o grigio acciaio, dipendeva dalla luce. A differenza di quelli di Jack, però, che erano allegri, perfino nei momenti come quelli, i suoi erano tristi, seriosi, e sebbene la tonalità fosse più accesa, quelli che risaltavano di più erano gli occhi di Jack, non i suoi.

Dieci colpi di cannone risuonarono nell’Arena, dieci vite portate via. Una di queste, era Melania. Le era sembrata una ragazza altezzosa, tipica del Distretto 2, ed era convinta che vederla in cielo le avrebbe dato un senso di trionfo, o almeno di contentezza. Dopotutto, una Favorita in meno. Eppure non provò niente. Assolutamente niente. Seguirono Sebastian – con un fremito Felix riconobbe il suo quasi-assassino - e la compagna di distretto, entrambi quelli del 7, dell’otto, il ragazzo del 9, la ragazza del 10 e Alec, il dodicenne del dodici. Si sentì triste per il bambino, perché aveva grandi occhi azzurro ghiaccio, che comunque trasmettevano calore. Ed erano dolci, troppo dolci. Per questo Felix non gli aveva mai rivolto la parola: provava l’insensato desiderio di proteggerlo, di cullare quel dolce ragazzino del dodici. E aveva inveito contro la Capitale, perchè era colpa loro se Alec era morto. Era colpa loro se dei ragazzini si erano macchiati le mani di sangue, per colpa loro porteranno il marchio di assassini a vita. Era per quello che Jack le aveva chiesto se qualcosa non andava. Felix era arrabbiata. Peggio, furiosa. Ma aveva taciuto, limitandosi ad aumentare il ritmo della camminata. Se avesse parlato, avrebbe detto cose che avrebbero attirato l’attenzione degli Strateghi su di loro, avrebbero terminato la loro vita tirando un semplice leva o premendo un tasto. Tacere era la cosa più logica da fare.

«No, Jack, non posso condividere i miei pensieri.» Affermò gravemente la ragazza. Stavano camminando nel corridoio di basalto e marmo da ore. E il paesaggio – se così si poteva chiamare- non cambiava mai. Il tetto sopra di loro era identico alle pareti e al pavimento, anche se mano a mano che avanzavano da blu, le sfumature si facevano verdi. I cambiamenti di sfumature erano così impercettibili che se accorsero più tardi. Le pareti non erano piatte e uniformi: creavano archi, enormi, immense finestre che davano sui corridoi adiacenti, o su infiniti saloni, vuoti o straripanti di oro, gioielli e argenteria. Era tanto, troppo oro, gettava baluginii luminosi sulle pareti, creava spettrali ombre sulle pareti, e i ragazzi tenevano la guardia alta. Si sentivano osservati, spiati. Buffo, visto che erano tenuti sotto controllo ventiquattro ore su ventiquattro. «Non mi piace, Felix.» Disse ad un certo punto Jack. Si erano fermati davanti ad un arco immenso, di almeno venticinque metri di altezza e quindici di larghezza. Era affacciato sull’ennesimo salone – immenso- traboccante di tesori. Si vedevano delle scale – senza ringhiera- che portavano ai piani superiori. «Credo che dovremmo attraversare il salone, Jack. Se procediamo troppo rettilinei prima o poi ci troveranno. Sarà una giornata che camminiamo lungo questo corridoio.» Lui la guardò pensieroso prima di rispondere: « Ma quando finirà l’acqua non riusciremo a ritrovare la strada per la Cornucopia. Moriremo di sete entro pochi giorni.» La ragazza di sedette sugli scalini che portavano al salone. «Io dico che mi ricordo la strada. » Affermò  gelida. Non sopportava che venissero sottovalutate le sue capacità. Lei era la ragazza che si era imparata a memoria la piantina del Distretto 3 e la più grande giocatrice di scacchi del distretto. Forse di tutta Panem. «Non c’è bisogno di alterarsi. Facciamo così: noi facciamo come vuoi tu, però non fare la muta, ti prego. E’ già abbastanza deprimente così, senza che ti ci metti tu che non parli. Ok?» Si sedette accanto a lei. Sospirò, ma si concesse un sorrisino furbo, le labbra sottili appena increspate. Era raro che lei concedesse dei sorrisi. Perfino al ragazzo che amava: «Va bene.» rispose. Le offrì un po’ di cioccolato, che lei addentò senza pensare. Osservava il salone alla ricerca di qualcosa che le potesse tornare utile. «Felix.» La chiamò Jack con voce grave. «Questo non è cioccolato.»

Boom.

«Correte ragazzi!L’ho vista, sta andando di là!» Strillava Alicia, le lunghe trecce bionde svolazzavano dietro alla sua figura slanciata. Brandiva un tridente dalla lunga lama cristallina, e incitava gli altri a seguirla. Cassiel correva a perdifiato, salendo una rampa di scale verdognole e svoltando in un corridoio laterale. Stava per morire, tallonata dai Favoriti. Che stupida era stata, a restare nei pressi della Cornucopia, con il branco alle calcagna! Lo avrebbe rimpianto per tutto il resto della sua vita. Non che ne avesse poi molta da vivere. Carica d’adrenalina, girò a destra, buttandosi in un altro corridoio. La sua mente registrò un sibilo, ma non fece in tempo a spostarsi che venne buttata all’indietro, andando a cozzare con il muro. Un singulto le uscì dalle labbra: una freccia trasparente spuntava sul braccio sinistro, affondata fino all’osso. La percepiva, sentiva la punta fredda nella carne. Alzò terrorizzata lo sguardo, e riconobbe la figura della ragazza dell’1, piegata sulle ginocchia, pronta ad incoccare un’altra freccia, che la squadrava dall’alto, un corridoio adiacente al quale si sarebbe potuto accedere mediante una lunga scalinata. Non c’era pietà nel suo sguardo, solo una fredda determinazione, ma non percepì alcuna crudeltà in lei. Si spostò e iniziò a correre, tenendosi stretta i braccio al corpo, mentre si buttava a capofitto verso un ponte. «E’ là ragazzi!» Strillavano Ania e Alicia. Cassiel si girò e si spostò appena in tempo a sinistra. Piantata al terreno c’era un freccia trasparente, esattamente dove era stata lei qualche secondo fa. Ma correndo era giunta alla fine del ponte- che dava su uno strapiombo oscuro e senza fine- e svoltò a sinistra, trepidante. Era arrivata in un corridoio dagli intarsi d’orati e già credeva di avercela fatta, quando capì che aveva commesso l’errore più grande della sua vita.

«Ciao.» Ammiccò Uriel, sorridendo crudelmente, prima di fare un movimento fulmineo col braccio, e Cassiel sentì un dolore lancinante alla bocca dello stomaco. Barcollò all’indietro, e come al rallentatore, abbassò lo sguardo, e vide la cosa più raccapricciante della sua vita: un tridente, di un bell’azzurro pallido era sprofondato fino all’asta nella sua pancia, la mirabile fattura rovinata dal sangue scarlatto. Spalancò la bocca, quasi sorpresa, e un fiotto rosso colò giù dalle labbra già esangui. Barcollò all’indietro e cacciò un urlo terribile, inarcando la schiena all’insù, quando una lunga spada affilata la trapassò da parte a parte. Vincent le sussurrò all’orecchio: «Salutami tuo fratello da parte mia.» alludendo alla disgrazia che era successa alla ragazza: l’anno scorso suo fratello era morto alla Cornucopia.  Lei riuscì soltanto a dire, prima che la vita scorresse via da lei: « Va' all’Inferno .. » e il cannone suonò.

Il biondo del due estrasse la spada con uno strattone dal corpo della ragazza, che si afflosciò con un tonfo sonoro sul pavimento. Uriel arrivò al cadavere e recuperò il Tridente, pulendo disgustato il sangue sulla giacca della loro vittima. «Bleah!» esclamò divertita Alicia, dando un calcetto al cadavere. Aveva il fiatone per la corsa, sapeva che la ragazza del cinque fosse quella più veloce, quell’anno, ma non credeva che potesse esserlo fino a quel punto. Lei avrebbe voluto finirla, ma si era dovuta fermare a prendere aria, e lo stesso valeva per le due Alleate. «L’avete fatta soffrire?» Chiese invece la timida voce di Lucy, facendo capolino fra i Favoriti. Aveva due falci come armai. Non molto ortodosse, ma piuttosto comode da usare, della grandezza di una corta spada, corte con spietate lame ricurve. Rigorosamente fatte di cristallo. Aveva passato una vita nel 9 a falciare il grano, e lo stesso principio, ne era sicura e l’aveva già dimostrato alla Cornucopia,  valeva per le teste degli avversari. «Andiamocene prima che cominci a puzzare.» Dissero all’unisono i due dell’1. Si voltarono e il resto del gruppo fece altrettanto, procedendo a ritroso verso il ponte. «Cosa ci trovi di tanto divertente, Alicia?» Le chiese sottovoce Lucy. Del gruppo dei Favoriti, la ragazza del 4 era quella che preferiva di gran lunga agli altri. Forse perché era così infantile, forse perché sorrideva sempre. «Ma è così divertente giocare! Io mi sono offerta volontaria per questo!» le rispose sorridente la ragazza, un sorriso così ingenuo e sincero. Lei non ebbe il cuore di contraddirla e rispose con un sorriso poco convinto e stiracchiato. Era finita in una gabbia di matti e ci si era infilata da sola.

 
   
 
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