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Autore: Marlene Ludovikovna    28/01/2014    3 recensioni
1943 - Parigi
Ester Stradsberg; the Swan. Giovane, bella e annoiata moglie di un ricco imprenditore. Ciò che più vuole é la libertà di disinteressarsi a tutto.
Hans Wesemann; the Hunter. Spietato Colonnello delle SS, la sua giacca e ornata da medaglie e i suoi occhi mostrano solo ghiaccio.
Emilie Kaltenbatch; the Hawk. Giovane pittrice pronta a tutto per sfondare e dagli istinti creativi repressi a causa della dittatura a cui sottostà il suo paese. Affascinante, crudele, ambiziosa e, per tutti, indimenticabile.
Jean Russeau; the Treacherous. Ricco, bello ed egocentrico è il re della vita mondana parigina. Ereditiere di un'immensa fortuna dedito al lusso e all'amore per se stesso.
Delle vite vissute a metà come se aspettassero di essere esaurite, così cariche di emozioni e prive di valori da essere memorabili. Anime distrutte al centro della ricchezza, della miseria e della follia. Vite distrutte dallo sfarzo del Terzo Reich.
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Spring: Part 11


 

Ester aveva uno sguardo fastidiosamente colpevole con gli occhi lucidi rivolti verso il basso, le gote rosse. 
Si sarebbe detto che era una piccola e povera vittima in quel vestitino, adesso stropicciato, con il piccolo viso bagnato di lacrime e i capelli spettinati. 
Forse lo era, forse no. Solo in seguito avrebbe capito quanto l'età non l'avrebbe mai giustificata in un'esistenza passiva e dedita al vizio in quanto tale. Non al vizio con lo scopo finale del piacere, ma alla costrinzione della dimostrazione di esso. 
Ester aprì una scatola di cartone rosa con un fiocco azzurro. 
Macarons. 
Quei deliziosi dolcetti colorati la invitavano ad essere mangiati, così lasciò che la sua bocca venisse riempita dal sapore del dolce e le lacrime poco a poco svanirono anche loro. 
Perché stavo piangendo? Si chiese, sentendosi come una bambina viziata a cui non è concesso un privilegio. 
Era un segreto talmente profondo che non avrebbe potuto sussurrarlo nemmeno a se stessa, tanto era oscuro. 
Lei temeva Hans, le reazioni che suscitava in lei quel pulsare nel suo ventre quando lui la torturava facendola sentire piccola e insulsa nella sua presunta grandezza di uomo maturo. 
Quella era forse anche una delle ragione che la legava inesorabilmente a Wolfgang, di cui ora s'era quasi dimenticata con tutti gli avvenimenti recenti. 
Eppure suo marito non doveva essere sempre al primo posto? Avrebbe dovuto esserlo, ma se l'era dimenticato completamente per lasciare spazio a pensieri e realtà più importanti e completamente distanti da lui. Adesso ciò che avrebbe dovuto dominare dentro di lei era la colpa, ma il sentimento prevalente era un'irresistibile voglia di macarons alla violetta che si spezzavano sotto i suoi denti con un movimento morbido e dal suono sordo.  
Emilie scese le scale poco dopo, adesso vestita con solo degli ampi pantaloni di lino e una camicetta bianca come secondo la moda francese. Il suo collo dalla pelle di porcellana - proprio come quella di Ester - era decorato da una semplice collana di perle e il suo viso aveva l'unico trucco del rossetto che non serviva ad altro se non ad evidenziare le sue labbra già belle. 
Per la prima volta Ester si ritrovò ad ammirare sua cugina che tanto disapprovava, ma a cui tanto era grata. Per la prima volta si soffermò a trovare della bellezza in ciò che non era etichettata come tale dai ministri del Reich. 
Ammirò il modo in cui portava i capelli boccolosi, sciolti e semplici tenuti indietro solo da un fermaglio. 
Ammirò il modo in cui la sua figura elevata e snella si muoveva nella sala agghindata di mobili costosi e amabilmente superflui. 
Ammirò quella consapevolezza di sé che Emilie aveva, ma da cui Ester era spaventata. 
Forse aveva ragione Daisy, nel suo proibito Grande Gatbsy, a dire che fosse meglio che una ragazza nascesse stupida. Una bella piccola stupida. 
Ad Emilie questa grazia non era toccata e adesso si trovava bella a modo suo, consapevole e dall'indipendenza così agognata e che non sempre le veniva concessa.  
Ester non aveva nulla di tutto questo e se ne vergognò, ma al tempo stesso capì quanti problemi le avesse evitato essere nata così come si definiva. Sciocca. Anche se forse il solo ammetterlo significava che non lo fosse, ma nemmeno questo poteva dirlo a sé. 
Wolfgang tornerà tra poco, è meglio che io vada a mettere a posto le cose in biblioteca.... Mormorò Ester alzandosi. 
Emilie la fermò con un leggero sorriso.
Ho già fatto tutto io e mi sono anche ripresa i miei libri. 
L'altra restò per un attimo interdetta; si stirò la gonna. 
Perché l'hai fatto? Disse.
Sono miei e poi a cosa serve un libro se poi non si trova in esso la libertà intellettuale di dire a Wesemann che se vuole giocherellare con qualcuno può anche fottersi? 
Emilie! Urlò Ester istericamente. 
Non sono cose che si possono dire, non... Venne interrotta da un improvviso singhiozzo.
Non credi nemmeno a ciò che dici tu stessa. Credo che potremmo mettere fine a questa farsa per consolidare una sorta di segreto femminile... Disse Emilie maliziosa, non trovandosi poi tanto diversa dal suo nemico come armi e sotterfugi.
Ester si volse verso il giradischi e mise su uno degli amati dischi di Benny Goodman posseduti segretamente dalla cugina. 
Cugina cara, io ti amo come membro della mia famiglia. Iniziò melensa lei, con la sua voce così armoniosa e da bimba che Emilie per un istante la odiò. 
Ma sappi che qui nessuno ha il coltello nella parte del manico, nè tu nè io. 
Mentre sferrrava il primo colpo consapevole della sua vita "Stompin' at the Savoy" riempiva la sala dei suoi suoni così esotici per una ragazzetta nazista che aveva passato la sua infanzia tra Bach - senza alcuna offesa per il musicista - e coretti di Heil Hitler. 
Dopo un momento di stordimento la melodiosa e fredda risata di Emilie arricchì il ritmo swing. 
Senti, prenditi pure tutti i libri che vuoi, ma comunque devi assolutamente sapere una cosa. E te lo dico perché voglio aiutarti, non per altro. Un giorno in treno ho visto una povera ragazzetta francese a cui serviva aiuto, è lei che ti ha consegnato il pacco. In cambio le ho promesso pietà per suo padre, caduto nelle amorevoli cure della Gestapo - sorrise -, la sventurata fanciulla pensò che io in quanto austriaca abbia potere in tutto ciò, ma la verità è che l'unica cosa che ci ha guadagnato è stata la mia promessa. Probabilmente suo padre è morto, anzi di sicuro. 
Ester aggrottò le sopracciglia in un'espressione confusa. Una rete intricata si stava sciogliendo davanti a lei ma stava facendo di tutto per non notarlo, tanto da soffermarsi sulla musica, sull'arredamento, su quanto amasse suo marito. Tutto pur di non pensare alla realtà. Quella vera, non quella creata dalla propaganda e più sarebbe passato il tempo, più si sarebbe accorta quanto le due cose fossero differenti. 
Perché mi dici questo? Sicuramente se la Gestapo lo aveva incarcerato sarà stato perché aveva commesso un qualche reato. Disse lei, con un leggero fremito. 
Ti dico questo, semplicemente perché le promesse sono utili, Ester. Danno speranza alla gente e ti aiutano ad ottenere i tuoi scopi. La svastica che io porto, che tutti portiamo, mi dà dei privilegi... Per cui Heil Hitler e lunga vita al Terzo Reich, però devi sapere che... Non c'è alcuna morale in quello che ti ho detto e... Cazzo, ho perso il filo del discorso. Ah... Si, ecco. Per cui smettiamola di essere carini e remissivi, voglio essere sincera con te; la Germania non è solo quella che conosci tu, una certa Celine e molti altri francesi possono dimostrartelo, prova a chiedere in giro... No, anzi, non farlo. Biascicava leggermente, ma era brillante e splendida nella sua irriverenza, così tanto che Ester si sentì ancora inferiore a lei. Tutto quel vino era servito solo a renderla più bella e sincera, sicché al momento desiderava terribilmente uno scontro con Wesemann. 
Ester sapeva che ciò che faceva la cugina era sbagliato e che lei era nel giusto, ma non poteva fare a meno di sentirsi insoddisfatta di sé. Sapeva che il suo Fuehrer l'avrebbe apprezzata, che sarebbe arrivata una ricompensa, un giorno, anche se quelle certezze iniziavano a sgretolarsi. 
La Germania ha bisogno del suo spazio vitale. Disse con voce che pretendeva di essere fredda, ma il suo labbro tremava e i suoi occhi erano lucidi. Una di quelle frasi già sentite così tanto da aver perso il loro senso. 
Anch'io ne ho bisogno, mein liebe. E detto questo, ti saluto. Rise Emilie, poi infilatasi una giacca imboccò la soglia della porta. 
Heil Hitler a te, cugina! Disse, sempre ridendo. 
Dopo lunghi istanti Ester si alzò trasognata, con lo sguardo vacuo, come se non stesse pensando a nulla. Come se non stesse vivendo quel momento. 
Poi si risvegliò e allora fu stupita della reazione inaspettata della cugina. 
La conosceva, ma non abbastanza e questo glielo aveva dimostrato. Il mondo era pieno di persone che conosceva ma non abbastanza e le cene e le feste in cui avrebbe incontrato gente e gente non sarebbero mai servite a renderla meno sola. 
Quei pensieri irruppero in lei e furono accettati, per la prima volta.
Sono sola. Si disse, nel mentre un amaro sorriso le tinse le labbra e, per la prima volta, comprese. 
Poi andò di sopra, si preparò un bagno caldo; tutto con estrema lentezza. 
Una volta dentro, con l'acqua che avvolgeva la sua pelle chiara si sentì sollevata. Non sapeva cosa aspettarsi da niente, ma la reazione di sua cugina l'aveva scossa. 
L'aveva scossa vedere come lei ammetteva a modo suo di non credere nel Fuehrer. 
Eppure una parte di lei aveva sempre percepito quanto Emilie fosse diversa da tutti loro. Sorrideva così raramente, ma quando lo faceva poteva dare il colpo finale e la sua risata era così cattiva e lacerante a volte. Poi un giorno lo aveva capito ed era diventata quella che ora era Emilie Kaltenbatch. 
Ester se ne rendeva conto solo ora e i fatti iniziavano ad essere belli e chiari. Le piaceva la chiarezza, le piaceva l'ordine. 
Si immerse completamente nella vasca. 
 La sera stessa ci sarebbe stata una cena. Una di quelle cene in cui si conosceva gente. In quel momento si odiava, voleva trovare un modo per punirsi pur non sapendo nemmeno perché e poi all'improvviso nel pieno del suo masochismo intellettuale si ritrovò a pensare ad Hans Wesemann. 
Aveva un che d'ambiguo e crudele nei suoi confronti, ma era anche vero che lei voleva essere ingenua, bella, cordiale. 
Doveva pur trovare qualcosa da dire, prima che lui la salutasse, prima che andasse via. 
Lui, con la sua divisa nera e la sua autorità che la faceva sentire così piccola. 
.... Eppure al tempo stesso lo incolpava di questo...  
Per questo l'aveva invitato. 

 
Angolo Autrice.

Ebbene sì, ho dedicato un intero capitolo all'introspezione di Ester e presto vedrete cosa combina Emilie e la cena... 
Inanzitutto però  mi scuso per questo infinito ritardo, sono una persona terribile e con troppe cose da studiare. :')
Con questo capitolo ho voluto rendervi partecipi delle vicende di Ester dato che precedentemente la protagonista assoluta era sembrata Emilie ma non è vero :3 lei è solo una gnoccona splendida e stronzissima. AHAHAHHAH. Ma come sono professionale.
Comunque si, le ho fatto fare una scenata alla Walter del Grande Lebowski/Jack Sparrow/barbone ubriaco. Amatemi. lol.
Ebbene ora mi ritiro sotto le coperte che sto morendo.
Auf Wiedersehen; 

Marlene
   
 
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