Le fiamme del camino danzano pigre nel tentativo di spegnersi, riempiendo di bizzarri riflessi il bicchiere semivuoto che reggo in mano ormai da ore, perso nei miei pensieri.
Fuori piove.
E’ stata una primavera fredda, questa che sta volgendo al termine.
Quasi un anno…
Porto il calice alle labbra e subito l’aroma intenso del brandy invecchiato mi assale le narici, mentre il gusto violento dell’alcool mi riporta alla realtà.
Una fotografia in più tra le tante…
Una medaglia in più, ma questa e quella hanno posti d’onore tra le decine che affollano quell’angolo di sala.
Mi soffermo a fissarle.
Il fuoco si riflette sull’oggetto dorato rendendolo vivo, facendone confondere la superficie cesellata con mille calde sfumature.
Abbandono il bicchiere sul tavolo accanto a me e mi levo in piedi, attirato da quel bagliore. Il contatto col freddo metallo risveglia altri ricordi.
Sogni.
Desideri realizzati.
Amici.
Amori…
Lo sguardo corre all’immagine lì accanto. Il compimento di un sogno.
“La fine di una vita e l’inizio di un’altra. Sarai sempre un campione, qualunque cosa tu faccia.” E una firma. Non ho bisogno di avvicinarmi per leggere, conosco quella dedica a memoria.
Stasera, decido, ho voglia di farmi del male.
Sfioro con le dita le copertine dei dvd che affollano la mia libreria. Eccolo: una custodia bianca; sulla costa, il mio nome, il simbolo del sol levate e la bandiera tedesca.
Soppeso un attimo se torturarmi ancora un poco, prima di decidermi a sfilarla dal suo posto.
Un regalo di Natale.
Sorrido ripensando alla faccia che fece Oliver quando scartai quel pacchettino rosso, sotto l’albero a casa sua ormai più di un anno fa.
Tutta la mia carriera, tutta la mia vita...
Le immagini iniziano a susseguirsi lente seguendo il crescere di quel brano di musica metal che è tra i miei preferiti.
Goditi il silenzio, dice.
Il silenzio.
Mi manca.
Mi concentro sul video che avanza ora incalzante davanti ai miei occhi.
Oliver, Tom,
Mark, Ed, Bruce…
E poi ancora Karl, Hermann, Dieter, Napoleon, Sho, Stefan….
Sono tutti lì. Raccolti in pochi minuti di musica e immagini.
L’ultima, l’assegnazione del Fifa World Player. Le ultime note si spengono, lo schermo diventa buio per pochi secondi. Poi lo sfondo nero viene improvvisamente graffiato da una calligrafia tagliente, che scrive in bianco una sola parola: “Continua…”
Socchiudo gli occhi, fissando ancora una volta lo sguardo su quella foto, su quei volti.
Come fosse ieri.
La partenza per Cape Town, le prime partite, la pioggia violenta sui quarti di finale…
Il suo arrivo improvviso.
E la
semifinale, contro
Eravamo euforici, ma anche molto
tesi. L’Italia di quei Mondiali era una gran squadra, migliore, sotto molti
aspetti, di quella che aveva vinto
Il tempo sembrava voler essere clemente. Non pioveva più da due giorni e un pallido sole fece capolino sul campo.
Il sorteggio diede la palla ai
nostri avversari che non si fecero attendere. Passaggi brevi, veloci, precisi.
Oliver e Tom accettarono immediatamente la sfida degli attaccanti azzurri. L’ebbero vinta
ma la loro progressione venne fermata sul nascere dall’onnipresente Gentile. Mark, che stava
per ricevere il pallone, dovette rientrare. Cominciammo subito a ritmo sostenuto. Dopo pochi minuti
Julian e Clifford si trovarono in area il trio di punta avversario.
Gli italiani sfondarono la difesa di Peterson ed Everett ma dovettero soccombere alla classe di Ross e
alla grinta di Yuma, il quale rinviò lungo per il nostro
capitano. Oliver non perse tempo, si diresse verso l’area avversaria trascinandosi
Lenders e Denton. Hutton passò a Rob che si trovò marcato stretto. Per poco il
suo passaggio per Mark non venne vanificato dall’intervento di Gentile, che
non lasciava respirare Lenders un solo secondo. Oliver era scattato verso l’area, gli
italiani si apprestavano a mettere in atto il fuorigioco ma
Non ero l’unico in grado
di bloccare quel tiro.
Il rinvio lungo arrivò direttamente
nella nostra area ma la classe del Principe dal cuore di cristallo non
fallì. Giocammo così per tre quarti del primo tempo. Due conclusioni per
l’Italia e la palla che terminava sempre fermamente nelle mie mani, ma neppure
noi riuscivamo a segnare. Hernandez era un muro. Il Tiger Shot per lui non era
uno sconosciuto e pure il tiro di Oliver, inoltre la loro difesa era quasi
impenetrabile. Così le occasioni di tiro venivano a mancare ed il gioco era
incentrato tutto a centrocampo, in una battaglia sfiancante.
Poi la tensione ebbe la meglio. L’ultimo
rinvio di Clifford diede il via ad un’azione scombinata, disordinata. Tom
ricevette il pallone e iniziò un’avanzata disperata in accoppiata con Oliver.
Fu assurdo quello che accadde: Mark chiamò la palla, Becker la passò ma
Gridai ad Holly di
non farlo, di passarla a Philip che era in posizione migliore della sua.
Ma
non mi udì, o non volle ed il Drive Shot si spense tra le braccia di uno
sprezzante Hernandez. Il rinvio fu, al solito, lunghissimo,
direttamente sui piedi di Sandri. La nostra difesa si sciolse come neve al sole,
sbigottita e frastornata. Julian non riuscì a mettere ordine mentre Patrick non
mi diede retta e si fece fregare da Rossi.
Un assist preciso e Levati appena dentro l’area. Il tiro fu potente
ma non imprendibile. In una frazione di secondo mi avvidi
di un’ ombra alla mia destra ed il mio istinto che mi disse
di aspettare. Gregari era passato inosservato e si era lanciato di testa a modificare
quella traiettoria che avrei sicuramente preso. Ma non aveva fatto i
conti con l’SGGK. Spostai velocemente il peso a sinistra ed
arrivai al pallone in extremis. Yuma recuperò prontamente ma, nella fretta,
scaraventò verso Gentile che era salito ed effettuò un passaggio
precisissimo per Rossi che, ancora in area e smarcato, si girò effettuando uno
splendido tiro al volo. Avevo appena fatto in tempo a rialzarmi ma mi lanciai
verso quella palla, afferrandola saldamente.
In quell’istante finì il primo
tempo. Marshall era furioso. Riprese Mark, Patrik, Clifford ed, in ultimo,
anche il nostro capitano.
“Da te, Oliver, non mi sarei mai aspettato un comportamento del genere!” Conoscevo molto bene quel tono, fermo e pacato ma che feriva come una lama affilata. L'avevo provato molte volte nel corso della mia carriera...
Un silenzio teso e drammatico calò in spogliatoio. Vidi lo scoramento sui volti dei miei amici, vidi la tensione averla vinta sul coraggio e la determinazione ed in quell'istante sentii la rabbia montarmi dentro.
Non poteva
finire così.
Non
potevamo crollare a quel modo!
“Si stanno prendendo gioco di noi.” Dissi a voce bassa ma ferma ed i ragazzi si voltarono, come se quella mia affermazione li avesse ridestati dal sonno.
Ero seduto su una panca, non li guardavo, tenevo il viso coperto dalla visiera del cappello. Alzai gli occhi e li fissai uno ad uno. Erano i miei amici, erano stati per tanto tempo la mia famiglia. Per anni avevamo dato il tutto per tutto gli uni per gli altri. Decisi che toccava a me dare loro un motivo di più per vincere.
Mi alzai e cominciai a parlare scandendo le parole “Sanno quanto sia importate per noi questa partita e giocano di nervi. Gino ti ha volutamente provocato, Oliver! Rendendoti prevedibile in un momento in cui la squadra ha ceduto. Siamo arrivati qui per vincere! Abbiamo giocato come una squadra affiatata fino ad ora, non possiamo cedere ai protagonismi proprio adesso!”
“Benjiamin…”
“Hai ragione….”
Il capitano mi si avvicinò, tendendomi una mano e sorridendo, col suo solito sorriso aperto, negli occhi di nuovo la ferma determinazione che lo avevano reso quello che era “Sei sempre tu a rimetterci in riga in queste situazioni, fino dai tempi dalle elementari!”
“Non ci faremo battere! Arriveremo in finale!”
Un “Sì!” corale riempì la stanza, mentre Marshall ci guardavo soddisfatto a braccia conserte.
“Ragazzi, devo dirvi una cosa importante…” Era il momento giusto, pensai, l'affetto che, sapevo, provavano per me avrebbe dato loro un motivo in più di riscossa. Infatti si immobilizzarono e mi fissarono stupiti, preoccupati dal mio tono serio.
“Qualcosa non va, Benji?” mi chiese il solito, gentile Tom. Incrociai lo sguardo con Lenders e Warner. Ed mi fece cenno di "sì" col capo, Mark si limitò a fissarmi, incrociando le braccia.
“Questo sarà il mio ultimo Mondiale.”
Un silenzio ancora più profondo del precedente gelò il piccolo ambiente. Oliver lo spezzò, parlando adagio “Cosa stai dicendo, Benjiamin?!”
“La mia carriera finisce qui, capitano. La finale sarà la mia ultima partita ufficiale. Quindi…” li guardai nuovamente tutti “vi prego di fare di tutto per vincere questa semifinale!”
“E’ una scelta definitiva la tua?” vidi la tristezza velare il volto del mio vecchio amico e rivale.
Feci cenno col capo e gli posai una mano sulla spalla, rivolgendomi con lo sguardo agli altri "Non c'è tempo per darvi spiegazioni. E' così, e vi sto chiedendo di vincere anche per me!"
“Allora…” Holly si voltò verso la squadra, il pugno destro stretto “ visto che è il tuo ultimo Mondiale, abbiamo una ragione di più per vincerlo assolutamente! Giusto, ragazzi?”
Di nuovo il coro dei miei compagni riempì l'aria, unito al fischio che ci richiamava per il secondo tempo.
Scendemmo in campo decisi e determinati. Mentre rientravamo ricevetti pacche sulle spalle e sorrisi tristi ma incoraggianti. Sapevo di poter contare su di loro.
Ricominciammo. Di nuovo l’Italia in avanti, ma il loro
attacco si frantumò contro la difesa ferrea di Philip e Julian. Oliver, Tom,
Mark e Rob si catapultarono verso l’area avversaria. Né Gentile né gli
altri difensori riuscirono nell’intento di fermare Oliver e Tom, che si
trovarono in area in un baleno. Oliver fintò il tiro, passando invece a Mark.
Hernandez era pronto ma Lenders passò inaspettatamente a Denton in arrivo sulla
destra. Gino dimostrò di essere un fuoriclasse: anticipò l’intervento di Rob e
bloccò con sicurezza la palla.
In quel momento una goccia mi bagnò il
viso: stava ricominciando a piovere. Nel giro di pochi
minuti il campo fu letteralmente fradicio. Il gioco divenne difficile, le traiettorie imprevedibili.
L’Italia salì con impeto, decisa a batterci ad ogni costo. Rossi e Levati
travolsero Callaghan e Yuma. Il tiro di Rossi fu non molto potente ma
carico d’effetto. Arrivai a malapena all’ incrocio dei pali prima che s’infilasse
in rete. Peterson allontanò ma venne intercettato da Morandi. Di nuovo l’Italia nella
nostra area e di nuovo un tiro in porta che bloccai in
sicurezza e rinviai direttamente su Mark che partì alla
carica. Fu nuovamente una bella dimostrazione di gioco di squadra ma la sfortuna era con
noi.
Vidi un ghigno beffardo disegnarsi sulle labbra di
Hernadez. Tornarono alla carica, la nostra difesa li fermò una, due, tre volte…
Poi passarono. Ci fu ressa davanti alla porta e la palla andò alta, altissima.
Rossi saltò al di sopra del mucchio.
Saltai anch’io.
E la presi. Per un
soffio.
Nuovamente il nostro assalto alla loro area, di nuovo la sfortuna:
Oliver costretto a tirare da fuori, il Drive Shot che si spegneva tra le braccia
di Hernandez.
Tornarono, attaccarono e li respinsi. Sempre. Ma non riuscivamo a segnare. A due minuti alla fine la pioggia non cessava, anzi, rinforzava. Vidi lo sguardo irato di Oliver e quello un poco smarrito degli altri. Di tutti, tranne uno.
“Avanti ragazzi!" udii tuonare da oltre la metà campo "Ci facciamo abbattere da un po’ di sfortuna?! Abbiamo un Mondiale da vincere!” e così dicendo Mark si voltò verso la mia porta, un sorriso sicuro sulle labbra e il sacro fuoco della Tigre nello sguardo. Sapevo di potermi fidare di lui.
Lo vidi parlare con Oliver e scambiarsi gesti di assenso. Erano intenzionati a segnare.
Il gioco riprese, mancava un minuto. Gino effettuò un rinvio lunghissimo, per Morandi che si era portato a centro campo. La triangolazione con Rossi vanificata da Julian. Becker, Hutton e Lenders partirono all’attacco. Per gli avversari non ci fu nulla da fare, la difesa italiana non resse. Cross di Tom per Mark. Un tiro veloce, potente, da fuori, diretto nell’angolo in alto a sinistra. Hernandez si tuffò ma la palla rimbalzò violenta all’incrocio dei pali. Gino era a terra e Oliver non aspettava altro. Saltò a prendere la palla al volo, effettuando il tiro da mezz’aria. In quell’attimo il triplice fischio dell’arbitro. La palla che si insaccò in rete, alle spalle di un Hernandez battuto.
“Goal!” decretò l’arbitro.
Era finita, finalmente. Eravamo in finale!
La pioggia continuava a colpirci imperterrita, ma ormai non ci facevamo più caso.
Restammo immobili per alcuni secondi, tutti e undici. Poi un grido di vittoria dagli spalti e lo stadio in delirio.
Il giorno
seguente lo vivemmo tutti quanti come in un limbo, eravamo ad un passo dal
Paradiso ma la sua conquista richiedeva ancora uno sforzo. E che sforzo! Karl e
i suoi avevano superato il Brasile di Naturezza e Santana.
Il Kaiser era più forte che mai.
Quella sera
camminavo solo per i vialetti alberati del villaggio sportivo. Non avevo voglia
di dormire, volevo godermi il più possibile ancora quell’atmosfera inebriante
che permea le occasioni importanti.
Qualcun altro la pensava come me. Lo riconobbi da
lontano, e lui riconobbe me.
“Cos’è, SGGK, il pensiero di batterti finalmente con me non ti fa dormire?” Vidi un lampo divertito passare negli occhi di ghiaccio. Mi sarebbe mancato. Lo consideravo più di un amico, praticamente un fratello. Lui era stato il primo, l'unico a darmi fiducia quando ero arrivato in Germania. E sì, pensai in quel momento sorridendo tra me, se ero diventato il SGGK per molta parte lo dovevo a lui.
"Senti chi parla!" replicai ironico "Mi pare che il nostro Kaiser non sia molto tranquillo al pensiero di affrontarmi!” gli sorrisi malizioso, incrociando il mio sguardo col suo.
Ci mettemmo a
camminare in silenzio, l’uno accanto all’altro.
All’intersezione di due vialetti una piccola
fontana illuminata doveva servire a portare ristoro
agli atleti che si ritrovavano in quel luogo nella calda estate africana. Mi
fermai al bordo, fissando lo zampillio dell’acqua.
Non c’era più
motivo di tacere.
“Karl...”
“Mhm?” si voltò a guardarmi con aria interrogativa, dando la schiena alla fontana, appoggiato al muretto di marmo candido.
“Quella di dopodomani sarà la mia ultima partita.” dissi d'un fiato, quasi sottovoce ma abbastanza forte perché mi potesse udire chiaramente.
Silenzio. Per un attimo, mi accorsi, aveva smesso di respirare mentre sentivo il suo sguardo fisso su di me.
“Stai scherzando, vero?” chiese d'un tratto, anch'egli quasi sussurrando.
“No.”
Chiuse gli
occhi e sospirò “Lo sapevo che c’era sotto qualcosa. Ti conosco troppo
bene. Ora si spiegano molte cose.” Li riaprì e puntò le iridi di ghiaccio
nuovamente su di me “Perché?” mi chiese semplicemente.
Non ricambiai il suo sguardo, semplicemente
continuai ad osservare le gocce che allegre si spegnevano nello specchio limpido che rifletteva la mia
immagine distorcendola leggermente.
“Oramai più di tre anni fa, prima che Kim se ne andasse, promisi a mio padre che quest’anno, dopo i Mondiali, avrei abbandonato il calcio. Stavo scendendo ad un compromesso: avrei terminato la mia carriera all’apice della gloria per poi vivere il resto della mia vita accanto alla donna che amavo e sostenendo mio padre che chiedeva il mio aiuto. Una volta ogni tanto senza pretenderlo.”
“Kim non c’è più, Benjiamin…”
Chiusi gli occhi, cercando di ricacciare quel dolore che mi portavo dentro. Avvertii il suo profumo, vidi il suo sorriso, il verde immenso del suo sguardo nel quale amavo perdermi e che a volte ancora pervadeva i miei sogni.
“Lo so, Karl. " risposi trattenendo un sospiro amaro "Io e lei parlammo anche di questo, quando si ammalò. Ho fuggito le responsabilità verso mio padre per molto tempo, rinunciando a capire le sue ragioni, accusandolo di avermi abbandonato. Ma, in fondo, devo anche a lui di essere quello che sono. E ora ha bisogno di me. Allora feci una promessa, ho intenzione di mantenerla. Non ho rimpianti, te lo giuro. La mia carriera è al culmine, Karl e ho tutta l’intenzione di portarla a termine in trionfo!” mi voltai verso di lui, incrociando finalmente il suo sguardo. Un sorriso deciso gli piegò le labbra, mentre l’azzurro degli occhi si faceva d’acciaio.
“Sarà la partita più dura che tu abbia mai giocato, SGGK. E finirà sicuramente in un trionfo. Anche se mi spiacerà vederti concludere la carriera con una sconfitta!”
Avevo ottenuto quello che desideravo: Karl avrebbe fatto di tutto per rendere quegli ultimi novanta minuti indimenticabili.
Lo so, lo so...
Vi aspettavate
qualcosina di più romantico XD
Mi dispiace, "Angelo", come vi dissi ai tempi,
è una storia che vuole cogliere anche l'animo calcistico di Capitan Tsubasa e, a
parer mio, il rapporto di Benjiamin coi suoi compagni è fondamentale per
delineare il suo personaggio.
Grazie a
tutte di cuore per le recensioni, per aver messo la storia tra i preferiti, per
averla anche solo letta.
Grazie.
Manca poco, pochissimo alla fine, giuro
che non vi tedierò ancora per molto e che il prossimo aggiornamento sarà più
rapido.
Per chi ha voglia di seguirmi, alla
prossima!