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Autore: Alex Wolf    29/01/2014    5 recensioni
Ringil (stella fredda), è una giovane "cambia pelle" affidata alle cure di Gandalf già da quando è in fasce. La sua famiglia, il clan del nord, è stata distrutta da Azog il profanatore e lei è determinata a vendicarsi; ma, per riuscire a rivendicare le sue terre, e riprende il posto di regina che le è stato sottratto, sarà costretta ad accompagnare Thorin e la sua compagnia nell'avventura che li attende. I due non si sopportano, infatti, prima di conoscere la vera natura della ragazza, Thorin le da la caccia dopo che ha quasi staccato il braccio al nipote Fili. Assieme incontreranno ostacoli e pericoli; e Ringil si troverà a dover abbassare tutte le proprie difese davanti a Re Thranduil. Cosa accadrà dopo che la battaglia contro Azog sarà conclusa (Apparentemente) e il suo regno riconquistato? Aiuterà Thorin a riconquistare Erebor?
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Thranduil, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il richiamo del lupo
 
 
“I mostri peggiori sono nascosti dietro i sorrisi più dolci”
 
— Malkavian Madness Network.
 



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Il cielo azzurro sovrastava la terra, verde e rigogliosa. Poco dietro le alte spalle dello stregone, che andava a inoltrarsi nel fitto del bosco, la gente parlava e lo additava. C’era stata festa quel giorno perché presto la “bestia”, come la chiamavano gli abitanti della città, sarebbe morta.
 Tutto era cominciato quando Gandalf aveva messo piede in quella piccola cittadina, ogni persona l’aveva pregato di uccidere il lupo che da mesi ormai si aggirava nei dintorni e ammazzava il bestiame; all’inizio, lo stregone aveva rifiutato, pensando che si trattasse solo di un animale qualsiasi, ma, poi, una notte aveva udito il suo ululato ergersi sopra le chiome fronzute degli alberi, combattere contro il silenzio e venire trasportato dal vento estivo nell’aria. Un acuto e, al tempo stesso, doloroso ululato che era rivolto alla luna. L’uomo aveva chiuso gli occhi ed era rimasto in silenzio ad ascoltare, nel suo caldo letto; molto tempo era passato da quando non aveva udito più nulla di simile. Talmente tanti anni che aveva iniziato a pensare non l’avrebbe più ritrovata; che le loro strade non si sarebbero mai più incrociate. E invece, il destino volle che la riascoltasse almeno una volta. Il canto ancora vibrava nell’aria quando lo stregone si era deciso ad affacciarsi alla finestra e le stelle lo aveva accolto con un sorriso. Aveva chiuso gli occhi e lasciato che la brezza delle montagne gli accarezzasse i lunghi capelli e la barba, e che quel canto, che ormai andava a scemare, gli rimbombasse nel petto.
Ora, Gandalf si aggirava fra i tronchi degli alberi in fiore. Il sole tagliava le fronde e, di tanto in tanto, lame di luce gialla e calda cadevano sul terreno del sottobosco; l’aria era fresca e pizzicava la pelle dell’uomo. Con i suoi occhi chiari cercava la sagoma del lupo in tutte le direzioni, senza riuscire mai a vederlo. Il suo cuore batteva forte: non vedeva l’ora di rivedere la giovane ragazza, che l’aveva lasciato solo quattro anni prima per seguire la sua strada. Si chiedeva quanto fosse cresciuta, quanto le sue idee di riconquistare il suo regno si fossero intensificate e se la sua sete di vendetta contro Azog si fosse calmata. In particolare, l’ultima cosa lo metteva alquanto a disagio con se stesso: in fin dei conti era colpa sua se la vendetta aveva accecato la giovane ragazza. Se lui non le avesse raccontato il perché le era stata affidata lei non sarebbe fuggita in cerca dell’orco pallido. Si malediceva per aver fatto quella scelta, ma al tempo stesso era, ancora, fermamente convinto di non aver sbagliato a dirglielo. Era sempre stato dell’idea che la verità, in questi casi, fosse la strada migliore su cui procedere, anche se a volte poteva dividere le strade, com’era successo a loro due. Proprio mentre si apprestava a fare un altro passo, con la tunica che rasentava il suolo, un’ombra gli saltò sul petto atterrandolo. Una grossa nube di polvere e terra si alzò e, come nebbia scura, evaporò poco dopo lasciando spazio alla chioma di alberi verdi. Il mago si trovava steso a terra, con le ossa doloranti e un peso sul petto, dovuto a un grosso animale poggiatoci sopra. Due occhi scuri, neri come il carbone, lo stavano osservando molto da vicino e il pelo morbido dell’animale gli solleticava il viso. Un guizzo attraversò le iridi del lupo bianco e, in men che non si dica, questo saltò giù dal petto magro dell’uomo e cominciò a scodinzolare. Allora, Gandalf si alzò tossendo e passandosi le mani sulla tunica impolverata, e successivamente lanciò un occhiata alla lupa.
« Potresti tornare te, per favore? » Chiese con gentilezza, alzando un sopracciglio folto e grigio. L’animale piegò la testa e lasciò penzolare la lingua fuori dalla bocca per qualche secondo. Poi, come se fosse la cosa più normale del mondo, Gandalf si girò e si slegò il mantello gettandoselo oltre le spalle. Una mano lo prese velocemente e quando il mago si fu voltato sorrise. Il suo grande mantello grigio era avvolto attorno il corpo di una ragazza. Lunghi capelli castano scuro le ricadevano sulle spalle, andando a creare un contrasto notevole con la pelle candida; le labbra rosee erano piegate verso l’alto e gli occhi neri, freddi e lontani, come un cielo invernale senza stelle l’osservavano. Le lunghe dita affusolate si strinsero ancora sulla stoffa, stringendola un po’ di più attorno al corpo nudo.
 
 
 

°    °
 
 


« Gandalf! » Esclamai sorridente. Era da molto che non tornavo umana, perciò sentire la mia voce mi fece restare immobile per un secondo. Subito dopo, i miei occhi andarono a cercare quelli del mago e sorrisero: erano quattro anni che non lo vedevo, eppure non era cambiato di una virgola al contrario di me. Era sempre alto, e la lunga barba grigia cadeva sul suo petto magro. Il cappello teneva a bada, per quant’era possibile, la folta chioma mentre le mani stringevano il suo bastone grigio. Sbattei le palpebre ed entrambi restammo immobili. Santo cielo, erano anni che aspettavo di rincontrarlo e ora che c’è l’avevo davanti non sapevo cosa dire. Attorno a noi il silenzio della foresta era interrotto, ogni tanto, dal cinguettio o dal battito d’ali degli uccelli e dalla corse delle lepri. Riuscii a sentire persino i passi leggeri di un cervo, poco distante da noi. Il mio cuore correva veloce, come le mie iridi che avevano iniziato a osservarsi attorno. Mi ero dimenticata com’era stare su due gambe, invece che su quattro zampe. Mi ero dimenticata com’era guardare il mondo con quegli occhi, invece che con quelli del lupo con cui avevo vissuto per quattro anni. Era tutto così diverso in quelle vesti, persino la carezza del vento sulla palle e fra i capelli.
« Sei cresciuta. » Spezzò il silenzio Gandalf, facendo un passo in avanti. Gli sorrisi e piegai leggermente la testa verso sinistra, alzando le spalle come se quella sua affermazione non mi avesse fatto piacere.
« Tu sei lo stesso, invece. Non sei cambiato di una virgola. » Affermai, facendo schioccare le labbra come quand’ero bambina. Il volto dell’uomo si ravvivò, le rughe vennero accentuate quando la sua bocca si erse verso l’alto e dalle labbra scaturì una profonda risata. Il suono inebriò le mie orecchie e, quando chiusi gli occhi, miriadi di ricordi invasero la mia mente. Sorrisi e mi avvicinai, così che le braccia dell’uomo potessero circondarmi. Mi crogiolai in quell’abbraccio paterno per molto, beandomi del profumo di menta di Gandalf e poi lo lasciai allontanarsi.
« Andiamo, abbiamo molto di cui parlare. » M’informò, dandomi le spalle e cominciando a camminare nella foresta. I raggi del sole che svettavano fra le fronde lo colpirono più volte, colorando i suoi capelli grigi di biondo.
« Andiamo dove? » Sussurrai, irrigidendo la mascella. Non avevo intenzione di muovermi dalla foresta, se non quando il cibo scarseggiava ed ero costretta a uccidere gli animali della città. Ma più volte ero stata avvistata e, ultimamente, tendevo a stare più alla larga possibile da quel posto. Come se non bastasse, poi, la notte non riuscivo più a dormire a causa degli incubi: gli occhi blu di quel nano mi rincorrevano nel sonno, agitandolo come mai prima mi era successo. Sentivo ancora le urla del giovane ragazzo biondo rimbombarmi nelle orecchie, le mani del nano moro che mi spingevano via erano ancora come impresse sul mio petto. Sentivo ancora l’adrenalina che mi era corsa nelle ossa quel giorno, quando ero scappata. Ricordavo perfettamente come le mie zanne si erano attaccate alla carne del nano, trapassando con facilità gli spessi vestiti, e infilzandolo. « Io in città non ci vengo. » Gandalf s’immobilizzò e voltò il capo verso di me: le sopracciglia arcuate in una muta domanda. Scrocchiai le dita delle mani e presi un bel respiro. Socchiusi le labbra pronta a spiegarmi, quando un movimento attirò la mia attenzione. Di scatto mi voltai digrignando i denti e ringhiai. La nana che avevo difronte si fermò colta alla sprovvista e io mi bloccai: non ero un lupo, non facevo paura, adesso sembravo solo una pazza dai capelli arruffati e bisognosa di un bagno.
« Oh, Dis! Che piacere vederti. » Esclamò Gandalf, tornando sui suoi passi. Lanciai un occhiata assassina all’uomo, che ignorandomi si era avvicinato alla piccola donna dai capelli scuri. Si abbassò fino a raggiungere la sua altezza e le bacio la mano con garbo, prima di voltarsi verso di me. « Ringil, lei è Dis, principessa di Erebor. »
« Piacere. » Borbottai, immaginandomi già come sarebbe finita la faccenda.
 
 


°    °
 
 


Quando uscii dalla vasca, mi avvolsi in un asciugamano che si dimostrò molto corto per me che non ero un nano. L’acqua gocciolava scivolava dalle punte dei miei lunghi capelli, appiccicati alla schiena, e solcava il mio corpo con sinuosa eleganza andando a raggrupparsi in pozze sul pavimento. Mi guardai un po’ attorno, analizzando le mensole ricche di sali da bagno e saponi, e poi il mio sguardo cadde sullo specchio dove si rifletteva la mia figura. La osservai per un attimo: guardai le mie gambe magre, i miei lunghi capelli,  le profonde occhiaie viola sotto gli occhi e la grande cicatrice che attraversava la mia spalla sinistra. Quattro tagli perfetti, degni di quel nome, fatti dal mannaro di Azog durante il nostro primo incontro tre anni fa. Ricordavo perfettamente quella sera; il modo in cui il vento ululava e i pini scricchiolavano sulle alte montagne e il suo viso pieno di cicatrici rosse. Non avrei mai dimenticato il modo in cui mi ero avventata sul suo mannaro, e gli avevo inferto tutti quei tagli. L’avevo marchiato come lui aveva marchiato me. Potevo ancora sentire i suoi artigli lacerarmi la pelle e le mie stesse urla rimbombare nel buio tetro e desolato. Riuscivo ancora a vedere gli occhi bianchi dell’orco puntarsi nei miei.
Sospirai e mi accarezzai la ferita, gemendo leggermente: faceva ancora male, nonostante gli anni passati. Trassi un respiro profondo e mi allungai a prendere i vestiti che Dis mi aveva procurato; nulla di più di una camicia bianca e un paio di pantaloni neri, assieme a un paio di stivali. L’essenziale. Strinsi le bende attorno al torace e i fianchi, e successivamente mi vestii. Asciugai i capelli con un asciugamano, ci misi abbastanza tempo, poi scesi di sotto. La casa non era molto grande, ma nemmeno misera: una modesta dimora borghese. La luce entrava dalle finestre illuminando l’abitacolo, le voci serene della gente entravano animando le stanze vuote e dando ad ogni cosa un sentore di vivo. I miei stivali scricchiolarono sul parquet della cucina, dove la padrona di casa era impegnata a versare thè in delle tazze, poggiate su un piccolo tavolino. Restai immobile sulla porta, muovendo il collo per scrocchiarlo e agitando le dita stressata. Odiavo sentirmi un ospite, detestavo entrare in casa di qualcuno che non conoscevo e usufruire della sua ospitalità. Mi sentivo come un giocatore d’azzardo che chiede cose pur sapendo che non potrà ripagare i debiti. Passai una mano fra i capelli, slegando i nodi, e poi mi decisi a entrare. Il pavimento protestò sotto il mio peso, emettendo un cigolio, ma non ci feci molto caso e continuai imperterrita nella mia direzione. Quando raggiunsi il tavolo, Gandalf mi fece cenno di sedermi e così mi accomodai. La sedia era molto piccola per me, ma non era questo quello a cui pensavo: ora dovevo chiarire con Gandalf il motivo della sua visita, perché c’è n’era uno di sicuro. Quello stregone, tutti lo sapevano, ovunque andasse non era mai per caso; c’era sempre qualcosa che frullava nella sua mente contorta. Lancia uno sguardo a Dis, che si era accomodata con noi a capotavola e si rigirava la sua tazza fra le piccole mani: aveva gli occhi scuri e spenti, quasi dentro fosse vuota.
« Perché sei di nuovo qui, Gandalf? » Chiese ad un tratto, con una voce tagliente che credevo non potesse avere.  Lo stregone bevve un sorso di thè e si pulì la bocca, poi congiunse le mani sopra il tavolo e si sistemò meglio. Poggiai la schiena allo schienale, cominciando a far girare il cucchiaino nella tazza, in attesa di una risposta. « C’entrano i miei figli? O mio fratello? »
« Oh, cara Dis, no. Certo che no! A proposito come stanno? Sono partiti? »
« Sono partiti quattro giorni fa, dopo che Fili si è ripreso dall’attacco di quel lupo che gironzola libero nei boschi. » I miei sensi si accentuarono non appena la nana finì di parlare. Rizzai la schiena di scatto, spingendomi in avanti, e tesi le orecchie. Quindi lei era la madre del ragazzo a cui avevo quasi lacerato il braccio. Il cacciatore biondo. Ingoiai un fiotto di saliva e scrocchiai le nocche; era un gesto abitudinario, mi faceva stare bene. « Ma, se non sei qui per loro perché sei venuto? »
« Per lei. » Lo stregone puntò un dito verso di me e i loro occhi si voltarono accorgendosi della mia presenza. La nana si grattò una guancia e ridusse gli occhi a due fessure, per analizzarmi.
« E chi sarebbe questa ragazza, per te, dunque? » Sussurrò la principessa di Erebor a Gandalf. Non mi era nuovo quel nome, sebbene non ricordassi dove l’avevo già sentito nominare e perché.
« Lei è Ringil, una ragazza che mi è stata affidata da quando era piccola. E’ come una figlia per me. »
« E cosa ci faceva in giro per i boschi? »
« Le nostre strade si sono divise dopo l’incontro con degli orchi. Ho saputo che vagava per queste montagne non molto tempo fa, dopo essere riuscita a fuggire, e così sono venuta a cercarla. L’ho trovata che scappava dal lupo. » Gandalf mi rivolse uno sguardo d’intesa, prima di tornare a bere la sua bevanda e osservare Dis. La donna aveva poggiato la tazza sul piattino abbinato e aveva spostato le iridi sullo stregone.
« Quell’animale è un pericolo. Povera ragazza, chissà come ti devi essere spaventata. » Allungò un braccio verso di me e la sua mano si chiuse per qualche istante sulla mia.
« Si, è stato traumatico. » Sussurrai per tenere il gioco. Gli occhi di Dis si addolcirono. Con un salto, poi, toccò terra e mise tutte le tazzine su un vassoio che portò all’acquaio, cominciando a lavarle. « Ma che diavolo stai combinando!? » Sbraitai silenziosamente all’uomo, allungando il busto sul tavolo e lanciando un occhiata alla nana.
« Fidati di me. Dobbiamo solo prendere tempo. » Mi disse, mettendo su un broncio da bambino. Sbuffai e infilzai il tavolo con le unghie.
« Come posso fidarmi di te, Gandalf, quando mi porti nella casa del nemico? I suoi figli sono venuti nella foresta e hanno tentato di uccidermi! »
« Reggimi solo il gioco. Poco ancora e saremo fuori di qui! » Irrigidii la mascella e mi rigettai indietro, senza dimenticare di rigare il tavolo con le unghie artigliate che mi ritrovavo. Il mago mi fissò severamente e toccò la superfice ruvida facendola tornare come nuova, giusto in tempo, prima che Dis si voltasse. Gli lanciai un ultimo sguardo assassino e poi tornai a fingere; andò avanti così per quasi un ora: Dis si dimostrò molto gentile dopo aver sentito il mio racconto, inventato. Sebbene fingere non fosse una delle cose che preferivo non mi riusciva male. Quando finalmente ci congedammo e uscimmo in strada, avevamo un cestino di viveri a testa e io persino un mantello nuovo di un rosso rubino splendente. Salutammo Dis e ci incamminammo lontano dalla città. Il sole brillava e non c’erano nuvole in agguato, nessun pericolo di alcun tipo all’orizzonte, senza contare me.
« Ora cosa facciamo? » Chiesi, facendo dondolare il mio cestino avanti e indietro. Per poco non rischiai di far volare una mela addosso a Gandalf, che la schivò.
« Ci dirigiamo alla contea, c’è un mio vecchio amico Hobbit che non vedo da un po’ e a cui ho promesso un’avventura.»
« Contea? Hobbit? Avventura? Ci ? » Lo afferrai per la tunica e lo voltai verso di me. « No, no, no Gandalf. Io non partirò per nessuna avventura, con nessuno Hobbit. Ho altro a cui pensare, altre priorità. » Misi subito in chiaro, aumentando la velocità della mia camminata. Il vecchio stregone mi seguì senza problemi, affiancandomisi. Era incredibile quanta forza avesse.
« E quali sarebbero le “altre priorità”? Trovare Azog e ucciderlo? » Mi morsi l’interno delle guance e continuai a camminare; quasi correvo per la voglia di concludere quella discussione.
« Se proprio lo vuoi sapere: SI. » Affermai, passandomi una mano fra i capelli per gettarli indietro. Il sole mi colpì in viso, costringendomi a spostare la testa di lato e strusciarmi gli occhi con le mani. Macchie scure si addensarono davanti alla mia vista per poi sparire poco dopo.
« Non potrai passare la vita a rincorrerlo, Ringil! » Mi riprese imbestialito.
« Tre anni fa ero quasi riuscita a ucciderlo, Gandalf! » Confessai, bloccandomi nel bel mezzo del sentiero che stavamo percorrendo. « C’ero così vicina: potevo sentire il sapore del suo sangue nella gola. Lo sentivo colare giù, e udivo il suo gorgoglio che mi diceva che stava per morire. » Le immagini del mio attacco ritornarono alla mente: li avevo osservati e poi ero scattata cogliendoli di sorpresa. La mia mascella si era chiusa attorno alla gola di Azog, ma poi ero stata disarcionata e il resto, beh, la mia cicatrice racconta il resto.
« E’ ora che tu ti lasci questa storia alle spalle, Ringil figlia di Magnus. » Serrai le palpebre e gettai il viso verso l’alto per non pensare a come aveva pronunciato il nome di mio padre. Mio padre non l’avevo mai conosciuto e l’unica cosa che mi restava per ricordare mia madre era un piccolo e sottile cerchio d’argento con un rubino incastonatoci dentro.
« Non posso Gandalf. Azog ha ucciso la mia famiglia, il mio clan, e ha deturpato le mie terre. Ho 24 anni ed è ora che io faccia qualcosa come staccargli la testa e riprendere i miei domini.  »
« Allora ti propongo un accordo, Ringil: accompagnaci in quest’avventura e potrai riavere le tue terre. Il percorso che ho predestinato attraversa Bosco Atro e, se non vado errato, le tue terre lo costeggiano. Beorn abita appena fuori il reame boscoso, è l’ultimo mutatore di pelle, orso, rimasto. Di sicuro ti aiuterà nella tua impresa se glielo chiederai. » I suoi occhi azzurri attanagliarono i miei e mi tennero stretta. Il mio cuore prese a battere forte a quel barlume di speranza. Dunque, almeno un altro mutatore di pelle era rimasto a osservare le mie terre. Trassi un profondo respiro e feci schioccare le labbra.
 
« Non posso credere che sto per dirlo ancora una volta. » Sospirai. « Dove ci vediamo, Gandalf? » Lui sorrise sotto la barba e poggiò entrambe le mani al bastone.
« Contea, Bilbo Bagghins, sottocolle. Hai bisogno solo di queste informazioni. Non sono nemmeno 7 giorni di marcia da qui, se cammini velocemente e so che tu lo farai. Non prendere scorciatoie e, quando arriverai, mantieni il segreto. Nessuno deve sapere che sei l’erede di Magnus o il lupo che ha aggredito Fili. Ok? »
« Fra sette giorni, sottocolle, Bilbo Bagghins, niente informazioni sul mio passato: capito. » Sospirai.
« A presto allora. Mi raccomando, segui sempre questo sentiero. » Mi salutò il mago, prendendo una direzione diversa dalla mia. Lo salutai e ripresi il cammino, maledicendomi per avergli permesso di abbindolarmi così. Speravo davvero che avrebbe mantenuto le sue promesse, ma, lo sapevo bene, con Gandalf non si poteva mai essere certi di molto.
  
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