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Autore: ChiiCat92    30/01/2014    6 recensioni
"- Bene Sora, hai appena ottenuto un buono per una cerimonia di benvenuto offerta dalla Vanitas Incorporated. - Riku e il biondo ridacchiarono sommessamente, scuotendo la testa - In realtà, dovrei essere io a ringraziarti, sai? Mi stavo annoiando, e sono mesi che non vediamo una matricola. Sembra che il destino ti abbia voluto portare da me. - Vanitas poggiò le mani sulle spalle di Sora, e si abbassò un poco, in modo che i loro occhi fossero allo stesso livello - Nessuno ti ha accolto nel giusto modo, vero? -" dal cap. 1
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è la prima FF che scrivo su KH, volevo un po' sperimentare!
mi sono chiesta cosa succederebbe se i personaggi di KH fossero studenti di un istituto prestigioso...e questo è il risultato!
Il raiting in alcuni capitoli oscilla verso l'arancione con sfumature di rosso, cercherò di avvertire prima nel qual caso dovesse succedere.
probabilmente la pubblicazione sarà settimanale, il giovedì :3
leggete e, se vi va, lasciatemi un commento!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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26

Non esiste separazione definitiva fino a quando c'è il ricordo.

 

- Sora, Sora ti prego calmati! -

Ventus aveva le lacrime agli occhi mentre l'amico si contorceva e urlava come un ossesso, steso sul pavimento.

Il biondo provò ad avvicinarlo per dargli conforto, ma l'unica cosa che guadagna è un calcio in faccia...e poté capire che cosa aveva provato Terra.

Cadde all'indietro e sbatté la schiena sul pavimento. Almeno non gli aveva spaccato il naso.

Si tirò indietro con una smorfia dolorante, cercando di uscire dalla traiettoria dei colpi di Sora.

Sembrava indemoniato, e singhiozzava disperatamente.

Ci vollero diversi minuti prima che il bruno si calmasse.

Ventus non aveva più il coraggio di avvicinarsi, sia perché si sentiva orrendamente in colpa, sia perché voleva evitare di essere colpito di nuovo.

Sora respirò a fondo, ingoiando tutta l'aria che poteva, e poi si accasciò inerme sule pavimento.

Gli occhi straripavano di lacrime senza che lui potesse farci niente, e non aveva neanche la forza di opporsi a quella cascata dolorosa.

Nella sua mente diverse immagini si inseguivano.

Ventus, il suo bacio, e poi qualcosa di doloroso, qualcosa di orribile, che non riusciva a mettere a fuoco e che gli dava un'emicrania al solo pensiero.

Quando fu calmo, il biondi si arrischiò ad avvicinarsi a lui, gattonando.

- Sora...è tutto apposto? -

Sul volto aveva un'espressione così preoccupata, così carica di emozione.

Gli occhi di Sora scivolarono sulle sue labbra.

Da una parte desiderò di poterlo baciare ancora, dall'altra si odiò per quel pensiero e un altro singhiozzo lo scosse, tanto forte da farlo tremare tutto.

Ventus cercò di non avvicinarsi troppo, spaventato all'idea che Sora potesse reagire di nuovo male.

Il ragazzino si tirò in piedi, senza dire una parola.

Si asciugò gli occhi con il dorso della mano, sotto lo sguardo attento di Ventus, e si diresse verso la porta.

Ventus sentì un dolore prendergli lo stomaco. Si alzò anche lui, confuso.

- Vattene. -

Disse solo Sora. Per quanto ci avesse provato, le lacrime continuavano comunque a ricoprirgli il volto.

- Non ho...non ho dove andare. -

Sussurrò Ventus, adesso cominciava a sentire le lacrime pungergli gli occhi anche lui.

L'angoscia che stringeva il suo petto gli mozzava quasi il fiato.

Si sentiva morire, risucchiato dalle iridi cerulee di Sora.

- Non mi interessa. - scosse la testa il bruno, i capelli seguirono il movimento - Non mi interessa, vattene. - lo guardò con tristezza immane. C'era qualcosa di incomprensibile nel suo sguardo, qualcosa che neanche lui stesso avrebbe saputo spiegare. - Per favore. -

Quella sembrava una supplica, un'accorata e intensa supplica.

Ventus inghiottì un gemito, trattenne un singhiozzo. Prese il suo zaino da terra e si avvicinò alla porta.

Anche se dentro di sé soffriva e si disperava per quel gesto, non disse una sola parola mentre usciva di casa.

Né si voltò indietro quando sentì il rumore della porta che gli sbatteva alle spalle.

Sora si accasciò sul pavimento e cominciò a singhiozzare sommessamente, il volto schiacciato contro le ginocchia.

Non sapeva neanche per cosa stava piangendo.

Per quello che gli era successo?

Per il bacio tra lui e Ventus?

Non lo capiva.

Era troppo giovane per riuscire a capire che cosa stesse provando, tutte quelle sensazioni non gli erano familiari e non facevano altro che gettarlo in confusione.

Strisciò piangendo fino alla sua stanza e si accasciò a letto, tutto rannicchiato in se stesso.

 

Non seppe quanto tempo rimase in quella posizione, gli sembrò un'eternità.

Tutto il corpo era intorpidito e gli occhi erano gonfi e asciutti per quante lacrime aveva versato. In compenso il cuscino era zuppo e il volto incrostato di sale.

I suoi genitori rincasarono in quel momento, tutti sorridenti e felici.

Certamente non gli importava che il loro unico figlio avesse avuto un incidente di non ben nota natura che l'aveva tenuto lontano da casa per una notte intera, no.

La frustrazione di Sora si riversò completamente su sua madre e suo padre, che odiò come non aveva mai odiato in vita sua.

Con un gemito si voltò per dare le spalle alla porta.

Non voleva che loro, entrando nella sua stanza, vedessero in che condizioni era ridotto.

Sua madre accese la luce in corridoio, come era suo solito fare se non voleva disturbarlo, ed entrò nella sua stanza.

Si sedette su una sponda del letto e gli poggiò una mano sulla spalla.

- Ciao tesoro. Come va? -

Andava meglio quando non c'eri” pensò con astio, ma quel pensiero non arrivò alle labbra, si espresse solo con una scrollata di spalle e un basso mugolio.

La donna non si prese neanche la briga di indagare, né di dire qualcosa che potesse farlo sentire meglio...non fece niente di quello che ci si aspetti che una madre faccia.

Non gli diede neanche un bacio.

Si alzò e basta, dopo aver annuito. Doveva aver constatato che Sora stava bene e che non era il caso di preoccuparsi oltre.

Che idiota.

Sì, per la prima volta Sora pensò che era proprio idiota.

Una stupida che non lo capiva e che non l'avrebbe mai capito.

Pianse ancora mentre la donna lasciava la stanza.

Suo padre non provò neanche ad entrare.

Il ragazzino sentì da lontano che si scambiavano qualche confidenza del tipo “sta bene?” “sì sta bene”.

E nient'altro.

Come potevano essere così menefreghisti?

Sora si sentì tradito.

Se non poteva fidarsi della sua famiglia per chi altro avrebbe potuto provare fiducia?

Aspettò un po', giusto per consentire ai suoi di cambiarsi e di infilarsi nella loro stanza per il consueto riposino pomeridiano, dopo di che si alzò, tremando sulle gambe instabili.

Non voleva rimanere in quella casa un minuto di più.

Non aveva nessuno motivo per stare lì, d'altronde.

I suoi genitori l'avevano trascinato via dalla sua casa, dai suoi amici e dai suoi affetti senza neanche chiedergli che cosa ne pensasse.

“Sora a te va bene se ti portiamo in città, dove verrai trattato malissimo sin dal primo giorno e dove incontrerai solo persone orribili?”.

No di certo!

No!

Se solo glielo avessero detto...

Sì, che cosa avrebbe potuto fare? Puntare i piedi e rimanere da solo alle Isole del Destino?

Come se glielo avessero mai permesso!

Era un vicolo cieco sin dall'inizio, e lui non se n'era neanche accorto.

Infilò con rabbia tutto quello che poté dentro lo zaino di scuola, dopo aver gettato i libri e i quaderni in un angolo.

Si mise addosso una giacca pesante e poi si gettò sulle spalle lo zaino.

Quando uscì fuori di casa, in punta di piedi, piangeva ancora.

Traverse Town era immersa in un silenzio guardingo, Sora si sentiva osservato da tutto quella tranquillità, come se ad ogni finestra ci fossero occhi nascosti che seguivano ogni suo movimento.

Un brivido gli percorse la schiena e si pentì di non aver preso anche una giacca. Ma ormai era andata e non aveva di certo intenzione di tornare indietro.

Il punto era che non aveva neanche idea di dove andare.

Forse, in modo inconscio, il suo continuare a camminare voleva essere un modo per raggiungere Ventus.

Davvero non gli interessava niente di lui?

Davvero gli aveva chiuso la porta alle spalle lasciandolo solo in strada?

Lui non poteva tornare a casa.

Lui proprio non aveva una casa in cui tornare.

Il senso di colpa fece capolino per un istante nella sua mente, aumentando il flusso di lacrime sul suo volto.

Doveva essere arrabbiato col biondo...o cos'altro?

C'era così tanta confusione dentro di sé che non riusciva neanche a vedere l'inizio di quell'ammasso di sentimenti che era diventato il suo cuore.

Tirò su col naso, desiderando qualcosa di caldo.

Una tazza di cioccolata fumante.

Una coperta.

Un abbraccio.

Ventus.

Sbatté forte le palpebre cercando di liberare la vista di tutte quelle stupide lacrime.

Entrò in un bar, la campanella sulla porta emise un grazioso suono di benvenuto...che in quel momento gli sembrò una condanna, dato che tutti i clienti del locale si volsero a guardarlo.

Si sentì come se fosse uscito da un terribile film dell'orrore, e per un attimo si guardò, aspettandosi di trovare al posto delle sue mani degli artigli coperti di sangue.

Ma no, erano le sue solite mani, e lui era il solito Sora, solo che adesso era spaventato e in lacrime.

Una cameriera gli venne incontro, sorridendo.

- Ciao. Posso esserti di aiuto? -

Il ragazzino annuì, cercando di darsi un certo tono.

Che cosa avrebbe pensato la cameriera vedendolo ridotto in quello stato?

Uno zaino strapieno sulle spalle, il viso coperto di lacrime...qualsiasi cosa in lui urlava: scappato di casa.

Voleva evitare al massimo ogni intromissione della polizia, o di aduli generici, per cui si forzò di sorridere alla ragazza, che sembrava giovane e gentile (e non dava l'idea di essere una ficcanaso).

- Sì, grazie. Vorrei mangiare qualcosa. La fate la cioccolata calda, vero? -

La ragazza si stupì, e Sora sapeva bene il perché: anche se aveva sorriso, i suoi occhi continuavano ad essere pieni di lacrime, lucidi, e probabilmente gonfi.

- Certo, vieni ti trovo un tavolo. -

Per fortuna non aveva sbagliato sulla ragazza: non era una ficcanaso, e lo lasciò in pace dopo averlo portato al tavolo. Nessuna domanda, nessuna strana occhiata, solo un sorriso sincero e la promessa di fare presto con il suo ordine.

Sora sospirò. Non aveva molti soldi con sé, sia perché non era mai stato un gran risparmiatore, sia perché i suoi non gli consentivano di tenere i soldi che gli regalavano i parenti per il suo compleanno e per le feste varie a causa di quello che loro chiamavano “sindrome della mano bucata”: se aveva soldi, correva a spenderli.

Quindi la sua fuga era destinata a non durare molto.

Anzi, era probabile che quella stessa sera sarebbe tornato a casa, infreddolito e impaurito con il solo bisogno di scoppiare in lacrime tra le braccia di sua madre.

Una cosa molto infantile, una cosa molto da Sora...

Scosse la testa, come per darsi coraggio.

Stavolta sarebbe stato diverso. Non avrebbe permesso a nessuno di dargli del bambino piagnone che non ha il coraggio di stare neanche un giorno lontano da casa.

No, avrebbe puntato i piedi, e se ne sarebbero accorti di quanto era forte e deciso.

La cameriera gli portò la cioccolata, insieme con una serie di biscotti al cioccolato che gli fecero subito gorgogliare lo stomaco.

Poteva anche aver finito di mangiare da poco, ma per i biscotti al cioccolato avrebbe sempre avuto dello spazio.

Ringraziò amabilmente, fingendosi molto più entusiasta di quanto non fosse, e la ragazza se ne andò, dicendogli di andare a pagare alla cassa quando fosse uscito.

Per prima cosa, Sora rese ancor più dolce la cioccolata svuotandoci dentro due bustine di zucchero, poi cominciò a sorseggiarla come fosse qualcosa di prezioso, da non sprecare in inutili atti di ingordigia.

Anche se era difficile contenere la sua gola.

I clienti del bar erano tornati alle loro mansioni.

C'era chi prendeva il caffè e chiacchierava con un amico, c'erano gli studenti che consumavano un veloce spuntino prima di tornare alle loro lezioni, e c'era anche un volto noto...che subito saltò all'occhio di Sora.

Anche nascosto dietro la frangetta di capelli grigio acciaio, con gli occhi bassi su un notebook, l'espressione concentrata e la sua piccola stazza tutta compressa in se stessa, Zexion era ben riconoscibile a Sora, che aveva sempre avuto una naturale propensione all'amicizia per le persone che lo trattavano bene.

Il tavolo a cui era seduto Zexion era proprio di fronte al suo, quindi non molto distante, visto che il bar era piccolo e poteva contenere a stento trenta persone.

Si sarebbe sicuramente accorto di Sora, se non fosse stato tutto affaccendato a scrivere sul suo notebook.

Se Sora si fosse concentrato su di lui avrebbe sentito il tic tic provocato dalle sue dita frenetiche sulla tastiera.

Il ragazzino si chiese se fosse il caso di disturbarlo...ma vista l'intensità che ci stava mettendo nella scrittura capì subito che non era il caso.

Sora era molesto, a volte, ma ciò non significava che non fosse in grado di capire quando era giusto esserlo e quando no.

Sospirò, continuando a sorseggiare la sua cioccolata finché non arrivò a finirla e non gli rimase che leccarsi i baffi.

Per qualche strana ragione non poteva staccare gli occhi da Zexion.

Era curioso, e concentrarsi su di lui gli dava modo di dimenticare i suoi pensieri e le sue preoccupazione.

Era come uno scudo per la sua tristezza, e le lacrime finalmente avevano smesso di scendere.

Si chiese che cosa mai quel ragazzo potesse scrivere con tanto ardore, da quanto tempo fosse lì a farlo, se si concedeva una pausa ogni tanto o se rimaneva lì al bar a scrivere per ore ed ore, magari fino al momento di chiudere, e la cameriera gentile di poco prima gli offriva un caffè e lo invitava a tornare il giorno dopo.

Poi si chiese anche perché non fosse rimasto a scuola, magari in biblioteca, a scrivere, piuttosto che gettarsi in un bar affollato da un via vai incessante di persone che avrebbero potuto distrarlo.

Insomma, si fece ogni domanda possibile immaginabile, che lo impegnò per una buona mezz'ora e tenne lontano i pensieri dolorosi.

Inaspettatamente, ad un tratto, Zexion alzò gli occhi dal notebook e li fissò in quelli di Sora.

La frangetta copriva, al solito, l'occhio destro, per cui lo sguardo perse una parte della sua intensità...ma fu comunque in grado di far saltare il ragazzino sulla sedia.

Che si fosse accorto di essere osservato? O avrebbe comunque alzato lo sguardo?

Zexion abbandonò quell'espressione truce per rivolgere a Sora un sorrisetto timido.

Gli fece un cenno di saluto con la mano a cui il bruno prontamente rispose.

Sora riuscì a staccare gli occhi cerulei da quelli ardesia di Zexion e li piazzò sulla tazza ormai vuota di cioccolata e sul piattino con i biscotti al cioccolato.

Finse di essere tutto impegnato a mangiarne uno mentre Zexion si alzava dal suo tavolo, portandosi dietro tutte le sue cose, e si avvicinò a lui.

- Ciao. - esordì, la voce sottile e timida, simile ad un sussurro. Per un attimo Sora si chiese se avesse parlato davvero o se fosse stata la sua immaginazione a creare quella voce. - Posso sedermi con te? -

Non sembrava una frase che Zexion usasse molto durante il corso delle sue giornate. Forse le parole prese singolarmente sì, ma messe insieme per formare quella domanda...no, probabilmente no. Sembrava così arrugginita e poco convinta che anche stavolta Sora si chiese se non fosse merito della propria immaginazione.

E d'altronde neanche Zexion stesso sapeva per quale motivo aveva affrontato se stesso e si era alzato per raggiungere quel ragazzino.

Lui che infrangeva volontariamente il proprio isolamento sociale per andare a fare conversazione con qualcuno che conosceva appena interrompendo il suo lavoro?

Doveva essere impazzito.

Eppure si ritrovò inspiegabilmente in ansia quando il brunetto tardò a rispondere.

- Ehm...certo. -

Spostò di un po' la sedia per permettere ad uno Zexion sollevato e contento di accomodarsi liberamente.

- Sora...giusto? -

Anche se l'espressione del ragazzo era neutra, l'occhio ardesia brillava...di contentezza? Di sorpresa? In ogni caso doveva essere qualcosa di positivo, perché Sora se ne sentì rassicurato

- Sora, sì. - annuì lui, aprendosi in un sorriso - E tu sei Zexion. - lui dovette sentirsi enormemente imbarazzato del fatto che qualcuno ricordasse il suo nome dopo un solo incontro, imbarazzato e...anche lusingato: non gli succedeva spesso. Solitamente la gente tendeva a considerarlo parte della tappezzeria, un oggetto di scena che si distingueva appena dallo sfondo. - Come mai qui? -

Provò a chiedere Sora, visto che era genuinamente curioso di sapere che cosa stesse facendo.

Un'altra cosa che stupì parecchio Zexion, tanto che arrossì appena e nascose il volto dietro la frangetta per un attimo.

- Scrivevo. -

Gli mostra il notebook che tiene tra le mani, come fosse una reliquia.

- Sei uno scrittore? -

Gli occhi di Sora si illuminarono di curiosità infantile...e quella morbosità molesta di cui era capace venne tutta fuori all'improvviso.

Non poteva proprio farne a meno.

Zexion arrossì e scosse forte la testa.

- È...s-solo un hobby... -

Bisbigliò, tanto piano che Sora dovette sporgersi per sentire cosa aveva detto.

- È un bell'hobby. - gli sorrise in risposta - Io non sono proprio in grado di scrivere niente... - fece una faccia strana che fece sorridere Zexion - ...e cosa scrivi? Una storia d'avventura? Una storia d'amore? -

- N-no...niente del genere... - fu la mormorante risposta - ...è un genere...che non credo sia molto comune... -

- Bhè dimmelo lo stesso! -

Lo incitò Sora, che quasi avrebbe voluto scuoterlo per un braccio per convincerlo a rispondere.

- È...una storia...uhm...postapocalittica, con un po' di fantascienza... -

- Wow, sembra figo. - Zexion si sentì morire. Nessuno aveva mai definito figo niente di quello che faceva, per non parlare di quello che scriveva! - E poi lo pubblicherai? Magari ci faranno un film! -

- Oh...no...non...vale la pena... -

Fu la timida risposta.

- Come non vale la pena! Devi provarci! - il bruno gli rivolse un sorriso ampio, innocente e luminoso, tanto che Zexion si sentì aprire il cuore - Scommetto che sei bravissimo. -

- U-uh...sono normale. - cercò qualcosa a cui appendersi per evitare di continuare quella conversazione imbarazzante. Non avrebbe potuto sopportare un'altra dose di sincero apprezzamento: non ci era abituato. - Tu che fai qui? -

Sora sentì il sorriso morire dentro di sé, anche se non abbandonò mai le sue labbra.

Si strinse nelle spalle, con un'espressione con sfaccettature su cui si sarebbe potuto indagare.

- Faccio merenda. I miei non sono a casa, e avevo ancora fame. Mi sono offerto una cioccolata calda. -

- Sei solo? -

- Sì, non so quando torneranno. -

È una delle bugie più grosse che abbia mai detto nella sua vita, e sicuramente se Zexion l'avesse conosciuto un po' di più se ne sarebbe accorto.

Invece ci cascò con tutte le scarpe.

- Io adesso...mi vedo con dei compagni per...studiare insieme...se vuoi puoi venire con me... -

Da un lato c'era Sora, che non credeva di poter davvero avere tanta fortuna di trovare un posto dove nascondersi mentre era in fuga, dall'altro c'era Zexion che non credeva possibile di aver invitato un quasi sconosciuto ad andare a casa sua.

Ma c'era qualcosa in quel ragazzino che rendeva impossibile non fidarsi: emanava proprio fiducia da tutti i pori.

- Oh...davvero? Posso venire? Sul serio? - Zexion annuì in risposta e Sora sorrise con tutti i denti che aveva a disposizione, e se ne avesse avuti altri avrebbe usato anche quelli - Allora okay, volentieri. Grazie per l'invito. -

- Figurati. -

I due si alzarono per andare a pagare ciascuno quello che avevano preso e poi uscirono dal bar, accompagnati dalla campanella.

Stavolta a Sora suonò come qualcosa di allegro, e non come la condanna di quando era entrato.

 

*

 

- Stupido. - si ripeteva - Stupido, stupido, stupido. -

E intanto singhiozzi asciutti gli scuotevano il petto.

Avrebbe voluto sciogliersi in lacrime, ma non ci riusciva, ed era anche uno dei motivi per cui si dava dello stupido.

Ventus camminò finché le gambe glielo consentirono, dopo di che poggiò le spalle stanche contro un muro.

Si odiava, profondamente. Si odiava per molte ragioni.

Aveva rovinato ufficialmente l'amicizia con Sora. Era di certo il motivo per cui si odiava maggiormente.

Forse aveva ragione suo padre quando lo picchiava e lo torturava, dicendogli che non aveva diritto di vivere, che sarebbe stato meglio se fosse morto lui e non sua moglie.

Aveva ragione, di certo.

Portò le mani al volto, nascondendolo, come a voler sfuggire dagli sguardi indagatori della gente.

Un ragazzino sconvolto in mezzo alla folla non passava di certo inosservato.

Si sentiva sporco e colpevole, e triste, infinitamente triste.

Non avrebbe dovuto fare quello che aveva fatto, mai, per nessuna ragione, anche con il cuore in fiamme, non avrebbe dovuto fare del male a Sora in quel modo, soprattutto dopo quello che aveva passato...e anche considerando quello che gli stava nascondendo.

Era stato perfettamente legittimo che l'avesse cacciato via, non meritava di rimanere con lui.

Non c'era nessun posto al mondo per lui, in quel momento.

Che cosa poteva fare se non continuare a camminare?

Ed è proprio quello che fece, anche se era stanco.

Pensò a come si era ridotta la sua famiglia, pensò al rifiuto che sentiva di essere, pensò a come aveva distrutto la sua unica amicizia.

Ma quasi se lo aspettava: lui non era in grado di tenersi stretto nessuno.

Non potendo tornare a casa era destinato a non fermarsi mai.

Forse avrebbe dovuto cercare di contattare Roxas, forse no.

In ogni caso non si sentiva in grado di sopportare niente, ora come ora.

Vuoto e abbandonato a se stesso non faceva che rimpiangere e recriminare e riempirsi di ogni genere di sento di colpa.

Infilò le mani in tasca, rabbrividendo per una folata di vento che l'aveva colpito in pieno.

Come sarebbe sopravvissuto alla notte?

Certo, nessuno avrebbe pianto la sua scomparsa, quindi a conti fatti avrebbe anche potuto non sopravvivere affatto.

La cosa in qualche modo lo confortò, e gli diede la voglia di continuare a camminare.

Non amava molto Traverse Town, se avesse potuto scegliere un posto dove andare sarebbe sicuramente andato a Radiant Garden...sì, lì sarebbe stato perfetto.

Si crogiolò per un attimo in quel pensiero, al ricordo di quanto era bella quella cittadina così luminosa e pura, e quasi deviò il suo tragitto verso la stazione, intenzionato a prendere il primo treno che l'avesse portato là...

Ma c'era una voce nel fondo di quel baratro che lo stava chiamando.

Cercò di ignorarla sulle prime, anche se era una voce particolarmente insistente...e snervante.

La conosceva, e desiderava davvero che la smettesse di gridare il suo nome in quel modo severo.

Poi fu strattonato per un braccio e i suoi occhi blu furono costretti a girarsi in direzione di un paio di iridi grigio azzurre che lo fissavano con rabbia.

- Ventus! -

Chiamò ancora, anche se ce l'aveva in pugno ad un palmo dal naso e quel tono sarebbe solo giovato a mettergli fuori uso i timpani.

- Che cosa vuoi! -

Sbottò lui per tutta risposta.

Aqua alzò gli occhi al cielo e strinse di più la presa sul suo braccio.

- Dove stai andando? Perché non sei a casa? -

Gli chiese la donna, senza mai abbandonare quel tono da professoressa qual era.

- Da nessuna parte, e non sono affari tuoi. -

- Da quando non sono affari miei? - s'imbronciò lei - Io sono tua amica, lo sai. -

- Ma perché non potete solo lasciarmi in pace tu e Terra? - il tono di voce di Ventus era quasi supplicante - Perché non potete lasciarmi in pace tutti quanti, ne ho abbastanza, ne ho davvero abbastanza...! -

Forse fu la presenza di Aqua, forse fu perché non ne poteva più di trattenersi, fatto sta che scoppiò il lacrime e l'unica cosa che poté fare fu aggrapparsi disperatamente alla donna che non ci pensò due volte a sostenerlo.

- Che cosa è successo, Ven? - provò a chiedergli, accarezzandogli gentilmente i capelli.

Il ragazzino scosse la testa, non intenzionato a dirle una parola. Non poteva, altrimenti avrebbe dovuto raccontarle tutto e proprio non ne aveva la forza. - Vuoi venire con me? Vieni a casa con me? -

Stavolta lui annuì e Aqua si sentì infinitamente meglio: finché era nei limiti del suo campo visivo poteva avere l'impressione di potergli essere d'aiuto.

Aveva sofferto troppo la sua mancanza, la sua assenza, come se fossero stati relegati in due mondi lontani, come se quell'estate li avesse separati molto più che fisicamente.

Aqua si definiva una donna adulta da quando aveva sedici anni, ma con Ventus le tornavano in mente tutte le paure infantili e tutti i turbamenti emotivi che aveva pensato di aver superato.

Era forse il senso di protezione che lui le ispirava a ridurla in quello stato, ma tutta la sua stabilità emotiva spariva all'improvviso.

Con lui e con Roxas.

Dentro di sé li sentiva come figli suoi, e come madre non poteva non preoccuparsi per loro.

Aqua lo prese per mano, impedendogli così la fuga: dalla sua stretta non avrebbe mai potuto liberarsi.

E dal canto suo Ventus, che non teneva veramente più a niente, non aveva neanche sfiorato l'idea di scappare via: a quel punto, un posto valeva l'altro; la strada o l'appartamento di Aqua, che differenza c'era?

Era comunque un fuggitivo.


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The Corner

Ciao a tutti! 
Sono appena tornata e già sono sul punto di sparire...sigh.
Febbraio sarà un mese orribile per me e credo di non poter garantire una data per la pubblicazione. Per vedere gli aggiornamenti controllate sulla mia pagina personale qui su EFP!  
Detto ciò...non c'è niente di certo...ma d'altronde è la vita(?) 
Spero di sentirci presto, alla prossima!

Chii

Chii

   
 
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