;SEVENTEENTH CHAPTER
La
paura si vince non col coraggio ma con una paura più grande.
Tutti
gli eroi ne fanno esperienza.
—Carlo
Gragnani
«Notizie?»
il viso pallido della ragazza entrò nella sua visuale,
mentre si
raddrizzava sulla poltrona. Seguendo lo sguardo di lei si
ritrovò ad
osservare la pergamena per terra.
«Sì,
sta bene.» annuì riportando gli occhi su di lei.
Persino il dolore
e la stanchezza sembravano donarle, cosicchè i capelli
spettinati e
umidi sembrassero una nuova chiara di morbidezza, profumati di
vaniglia e città. Gli occhi azzurri spenti e tristi erano
circondati
da occhiaie.
«È
una ragazza forte, era ovvio che fosse così.»
annuì a sua volta
tornando al tavolo dove aveva appoggiato la spesa e cominciando a
tirar fuori le compere per riporle negli scaffali, avrebbe potuto
farlo con la magia -osservò silenziosamente James senza
però osare
dirlo ad alta voce- sospettava che quei gesti automatici e la
manualità la aiutassero a non perdere il controllo. Fare
qualsiasi
cosa pur di non pensare.
Con
un sospirò torno a guardare il soffitto con la testa
appoggiata allo
schienale. Lui invece non riusciva a fare nulla senza che gli cadesse
qualcosa. Quando era nervoso era totalmente inutile.
Si
passò una mano fra i capelli neri, ma rimase fermo col
braccio
alzato quando udì la voce di lei rompere il silenzio.
«Che
cosa facciamo adesso?» aveva solo espresso i suoi stessi
pensieri,
ma questo non gli impedì di sentire un brivido lungo la
spina
dorsale. Non voleva fare quel discorso, sebbene ce ne fosse bisogno,
non si sentiva ancora pronto. Probabilmente non ci si sarebbe mai
sentito.
«James?»
richiamò la sua attenzione con la voce venata da un leggero
nervosismo, palpabile nell'aria tesa. Fuori infuriava il temporale.
Silenzio.
Un tuono. Un forte tonfo e un crack, qualcosa che si rompeva nel
lavello.
«James..
io-io così non ce la faccio più, non
così.» la voce le tremò e
quando voltò la testa verso l'angolo cottura la vide con le
spalle
sottili incurvate appoggiata al lavello. Il collo scoperto mentre la
marea di capelli biondi le ricadevano ai lati del viso e le scapole
sotto la maglia leggera come ali che spingevano per uscire.
«Cosa
possiamo fare ora?» mormorò, guardandola tremare
desiderando
abbracciarla e dirle che sarebbe andato tutto bene, confortarla, ma
non era più possibile. Non ci credeva nemmeno lui e
probabilmente
lei l'avrebbe respinto.
La
amava, lei amava lui, si amavano, ma non era comunque abbastanza.
Non
lo sarebbe mai stato e sebbene si fossero illusi fino a quel momento
che potesse bastare, non era così.
Si
alzò e la raggiunse silenziosamente, avvicinandosi a lei, ma
senza
toccarla si appoggio al piano cottura, anch'esso con la testa bassa
guardandola.
«Nicky—io
ti amo.» la vide irrigidirsi, mentre il tremore cessava.
Probabilmente era arrivata anche lei alle sue stesse conclusioni,
oppure aveva semplicemente intuito tutto dal suo tono di voce
sconfitto.
«Jam
io—ti amo anch'io.» sembrava che avesse da dire
qualcosa, come se
fosse fermo sulla punta della lingua pronto a rotolorare fuori e
distruggerli. Forse lo erano già, distrutti.
Con
un gesto della bacchetta fece andare tutto al suo posto negli
scaffali.
Lo
sguardo gli cadde sulla mano di lei, aggrappata al lavabo tanto
tenacemente che le nocche erano sbiancate. Poggiò la sua
grande
sulle piccole e sottili di lei e sentì la tensione del polso
quando
la ragazza si trattenne dall'indietreggiare.
«Tu—tu
ci vedi nel futuro? Fra cinque, dieci anni? Ci vedi?» il
mormorio fu
così sommesso che quasi non riuscì a sentirla.
Per un attimo pensò
di fingere di non averlo fatto. Perchè no, non li vedeva.
Per quando
si sforzasse non li vedeva nemmeno fra un anno, c'era solo il buio.
A
dire il vero non è che lui avesse mai pensato al futuro
-anche prima
di lei- era sempre stato un po' infantile e si diceva che vivere alla
giornata rendesse fighi. Ora invece gli mancava, voleva vedere,
eppure non ne era capace.
«Nemmeno
io,» sussurrò sconfitta interpretando
correttamente il suo
silenzio. «non vedo case, figli, lavoro. Niente,
assolutamente
niente, c'è solo buio. È come cadere in un
baratro senza fine.»
«Beh
lo sai che non sono mai stato un gran pensatore..»
abbassò la testa
guardandosi i piedi, stringendo la mano della ragazza.
«Sei
intelligente, anche se tenti di nasconderlo in tutti i modi, lo
sai.»
lo rimproverò senza forza appoggiando la testa bionda alla
sua
spalla.
«Andiamo
a dormire.» la esortò gentilmente sapendo bene che
nessuno dei due
avrebbe mangiato nulla quella sera.
Dominique
si lasciò trascinare docilmente fino al letto. Una volta
raggiunto,
sciolse la sua mano dalla quella del ragazzo per prenderlo per la
maglietta e attirarlo a sé baciandolo con dolcezza.
Finirono
stesi l'uno sopra l'altra, baciandosi e sfiorandosi quasi con paura.
Lo sapevano, o sapevano che serebbero stati completi, assieme.
Una
volta Dominique gli aveva letto una poesia, oppure una semplice
storia, era difficile ricordarsene in quel momento. Parlava di dei e
di uomini e di come i secondi all'inizio del mondo avessero due
cuori, due teste, quattro braccia e gambe e di come i primi fossero
gelosi della loro completezza. Così avevano diviso gli
uomini,
punendoli per la loro felicità a cercare per tutta la vita
la metà
combaciante della propria anima perduta. Ma nel loro caso erano stati
doppiamente crudeli, pensò mentre baciava una ad una le
palpebre
chiuse di Dominique, perchè oltre ad averli condannati a
cercarsi li
avevano messi in posizione di non potersi riunire.
Baciò
li zigomi salati di lacrime silenziose mentre intonavano la loro
personale preghiera silenziosa di redenzione a dei che non li
avrebbero mai ascoltati, baciandosi e sfiorandosi con cautela che non
avevano mai avuto.
Ognuno
voleva memorizzare ogni dettaglio dell'altro.
I
baci erano salati delle lacrime della ragazza, sapevano di mare, lo
stesso mare che si stagliava fino all'orizzonte a Villa Conchiglia
sulla quale spiaggia nelle notti soffocanti d'estate si erano
scambiati tante innocenti speranze, promesse e baci.
Era
tutto falso, lo sapevano anche loro, ma speravano di poter far
diventare tutto vero.
Pregava,
James, di poter ricordare tutto, qualunque dettaglio, parola,
insulto, carezza.
Pregava,
Dominique, che non fosse possibile farlo, che un giorno potesse far
sparire tutto perchè ogni ricordo era come un chiodo
conficcato in
gola.
Si
sentiva bruciare ad pogni tocco del ragazzo steso su di lei che
lentamente la spogliava come l'aveva spogliata della corazza
protettiva che era solita indossare, del suo orgoglio, della sua
stanchezza.
Si
sentiva come un guscio che conteneva sentimenti non suoi, troppi,
troppi, troppi per un corpo solo e infatti, pensò con
sollievo
ritrovando le labbra di lui che avevano percorso tutta la curva del
collo, erano in due a contenere quell'amore che gli graffiava la
pelle e lasciava solo ferite aperte.
Ogni
ferita, un ricordo felice.
Rimanevano,
le ferite, non sembrava possibile che potessero diventare cicatrici,
fare meno male.
Si
sentiva nel petto il dolore di ogni osso rotto e le sembrava ancora
poco come paragone.
Dolore.
Da quando quella parola aveva assunto un suono così dolce?
Da quando
era sinonimo di amore?
Mentre
si spogliavano e rotolavano nel letto sfatto ogni domanda scivolava
via assieme ai capi d'abbigliamento che li dividevano.. e si
ritrovarono nudi, l'una sopra l'altro. Lei aveva smesso di piangere
da tempo ormai e gli sorrideva con la tristezza e la più
profonda
felicità negli occhi che aveva mai visto.
Erano
felici perchè erano assieme, perchè si amavano di
un amore così
forte che certe persone non l'avevano mai nemmeno immaginato.
Erano
felici perchè avevano trovato la parte migliore di loro
stessi
nell'altro, colmando i vuoi, salvandosi e condannandosi da soli.
Erano
tristi perchè faceva male rimanere assieme ricordando chi
erano, ma
forse faceva più male dirsi addio, consapevoli che non
sarebbero mai
tornati indietro.
Erano
tristi perchè sapevano che nessuno dei due avrebbe mai
dimenticato
l'altro e sapevano che sarebbero stati male sia a sapere di essere
stati dimenticati sia che entrambi ricordassero -perchè
ognuno di
loro credeva che non avrebbe mai potuto dimenticare- sarebbe stato
troppo doloroso. Sapere che entrambi si volevano, ma che non potevano
aversi era più doloroso di un amore non corrisposto.
Dolore.
Dolore. Dolore.
Amore.
Amore. Amore.
Avevano
quasi lo stesso suono.
Le
mani di James cercarono quelle di Dominique, intrecciandosi in un
incastro perfetto così che perdessero la cognizione di dove
iniziava
uno e finiva l'altro. Dolorosamente consapevoli che la mattina dopo e
per il resto del futuro lo avrebbero saputo con straziante certezza.
Ti
rendi conto delle piccole cose che compongono una persona vivendola
per l'ultima volta, si disse Dominique inalando il profumo del
ragazzo sudato su di lei, attorno a lei, dentro di lei.
Forse
funzionava così solo con loro che avevano sempre fatto
-creato-
l'amore sulle ceneri dei loro mondi che andavano in pezzi nelle
fiamme della consapevolezza.
Si
erano fatti a pezi e poi ricostruiti, pensò prima di
chiudere gli
occhi, fuori era quasi l'alba e il cielo stava lentamente mutando in
blu più chiaro attraverso le nubi che si diradavano.
Era
impossibile tornare a quella di prima, neppure lo voleva, in
realtà.
Si erano amati e sapeva che quello era un addio, che quando si
sarebbe svegliata ogni traccia di lui sarebbe sparita dal suo
appartamento a parte il suo profumo. Si schiacciò contro il
petto
muscoloso e inspirò profondamente, con le labbra che lo
sfioravano.
Lo sentì rabbrividire.
Avrebbero
dovuto dirsi un'ultima volta che si amavano, lo sapeva, ma era
inutile perchè ne erano già a conoscenza entrambi
e dirlo una volta
di troppo li avrebbe uccisi. Sarebbe stato peggio, separarsi.
“Ti
amo, sei l'unica persona che mi abbia mai vista davvero.”
pensò,
pregando che, un giorno magari, i suoi pensieri l'avrebbero
raggiunto.
“Sei
tutto ciò che ho.” pensò lui
stringendosela addosso e rubando
quegli ultimi attimi prima dell'alba. Aspettando. Se di prendere
sonno o il coraggio di andarsene non l'avrebbe saputo dire, ma
aspettò.
Passare
una serata a litigare col proprio cervello perchè ricordasse
gli
ingredienti di stramaledette Pozioni non era esattamente la
distrazione di cui Lily necessitava per dimenticare cosa fosse
successo quel pomeriggio. Se contava poi che aveva tentato di
studiare con Kim, con Albus che tentava di aiutarle e invece finiva a
lanciare occhiate intense alla sua migliore amica con gli occhi a
forma di cuore la situazione decisamente non migliorava.
Era
riuscita a studiare ben poco, figurarsi capire cosa dicessero quelle
ricette che le sembrava nominassero per la prima volta ingredienti
esotici e mai sentiti. “Probabilmente è
perchè nelle ore di
Pozioni dormi sempre, sai?” le aveva risposto da brava voce
della
coscienza Kimberly quando glielo aveva fatto notare. La odiava quando
aveva ragione e odiava i suoi genitori che l'odio per quella
stramaledetta materia ce l'avevano nel sangue, solo Al sembrava aver
preso il famoso talento di loro nonna (quello di loro padre non era
valido, avevano scoperto già da tempo del libro modificato
dell'omonimo di Albus dallo zio Ron).
Quando
era andata a dormire assieme alla migliore amica -ringraziando il
cielo che la serata fosse finita che nella Sala Comune Serpeverde
Scorpius non si fosse visto- aveva pregato che almeno un po' di mal
di testa se ne andasse per lasciare posto almeno ad una ricetta, ma
la mattina dopo fu evidente che era una realtà
universalmente
conosciuta che lei e Pozioni non sarebbero mai andate d'accordo come
il fatto che i suoi capelli rossi la mattina sarebbero sempre
sembrati una criniera in cui dei folletti avevano fatto festa.
Si
stava ancora guardando tristemente allo specchio mentre si lavava i
denti che Kim la raggiunse nel suo solito stato di
tranche-post-sveglia borbottando un buongiorno soffocato da uno
sbadiglio.
«Gio—no»
mugugnò prima di sputare il dentifricio nel lavandino e
sciaquarsi
la bocca facendo gargarismi che ai primi tempi l'amica non perdeva
occasione di definire fastidiosi e a cui dopo anni ci si era
abituata.
«Che
facciamo oggi?» chiese Kim dopo aver finito di fare
pipì tirandosi
su i pantaloni del pigiama e avvicinandosi al lavandino per lavarsi
le mani.
«Studiamo?»
alzò un sopracciglio mentre cominciava a cercare di
sistemare il
cespuglio che aveva in testa. «Non è che abbiamo
molto
alternative.»
«Cosa?
No, non ho voglia di aprire un libro oggi, è
sabato.» la guardò
storto mentre si legava i capelli biondi in una crocchia disordinata
per lavarsi la faccia. Ormai la loro routine era quasi sincronizzata
e sembrava organizzata per come nessuna delle due invadeva troppo lo
spazio dell'altra riuscendo a dividersi il bagno piuttosto piccolo.
«Nemmeno
io—AHI!» si bloccò a metà
frase quando un nodo più resistente
le fece quasi strappare via mezza cute.
«Quante
volte ti ho detto che basterebbe un incantesimo per districare i
nodi?» la voce di Kimberly giunse soffocata dall'asciugamano
in cui
aveva affondato il viso.
«Lo
sai benissimo che non me lo ricordo e che tanto è tutto
inutile,
tanto fra mezz'ora saremmo punto e a capo.»
borbottò la rossa
lasciando stare la spazzola e passando le mani fra le ciocche
cercando di darvi un ordine.
«In
effetti stamattina sono peggio del solito, vestiti che ti faccio una
treccia.» la osservò in modo critico la bionda
prima di sciogliere
con un gesto distratto la chioma biondo grano che le ricadde
morbidamente sulle spalle come per ricordarle che lei aveva dei
capelli normali e non un nido d'uccello in testa.
«Okay.»
borbottò lanciando spostando uno sguardo
sull'oblò che mostrava il
fondo torbido del lago nero prima di voltarsi e uscire dalla stanza.
Anche nel dormitorio, come in quello Corvonero c'erano delle finestre
fra i letti, c'erano degli oblò che ogni tanto facevano
intravedere
le figure di Avvicini piuttosto socievoli o sirene intente a sbrigare
chissà quale affare. Nessuna creatura lacustre prestava
molta
attenzione ai Serpeverde, probabilmente abituati dagli anni di
convivenza a farsi i fatti propri. Con uno sbuffò raggiunse
il letto
di Kimberly, in fondo ad esso c'era appoggiato il baule dell'amica
con dentro anche i cambi della rossa. Si sfilò dalla testa
la maglia
enorme che usava come pigiama e nell'intimo spaiato si mise a cercare
qualcosa che si addicesse al suo umore di quel giorno.
«Il
tuo culo in faccia ornato di mucche volanti non è
esattamente lo
spettacolo che vorrei avere di prima mattina, pensavo più ad
un
altro fondoschiena Potter.» la voce di Kimberly quasi la fece
sobbalzare, si voltò di scatto facendosi male al collo.
«Spero che tu non
intenda quello di mio padre, sarebbe uno shock per me dovermi
abituare ad una nuova mamma.» commentò lanciandole
un'occhiataccia
prima di ritornare alla ricerca nel baule. Finalmente trovò
un
maglione largo grigio e morbido cucito all'uncinetto con un motivo di
tecce in evidenza e anche se non era sicura che fosse suo decise che
era decisamente lo stile che più le si addiceva.
«Perchè ti porti giù
la tua roba se finisce quasi sempre che usi la mia?»
ignorò il
precedente commento dell'amica guardando critica il suo maglione che
veniva indossato da qualcuno che non era lei. Kimberly aveva scatti
estremamente altruisti a volte, ma sostanzialmente era molto gelosa
delle proprie cose. Forse possessiva era la parola giusta.
«Ma se è da una vita
che non mi presti niente.» le sorrise mentre si infilava il
paio di
jeans chiari che aveva anche la sera prima.
«Questo lo dici tu, di
questo passo il mio armadio diventerà vuoto.»
assunse un tono
critico la Malfoy mentre si toglieva la camicia da notte -era forse
l'ultima persona al mondo a dormire in camicia da notte, ma lei
diceva che era di classe e probabilmente non avrebbe mai cambiato
idea- e le si avvicinava prendendo dal baule notevolmente
più
disordinato dopo l'ispezione della rossa prendendo calzamaglie
colorate, una magliettina carina, un golfino e dei pantaloncini. Lily
si chiese come facesse a usare tutta quella roba senza perdere
qualcosa in giro, mentre lei sopportava a malapena una canottiera.
«Allora, che facciamo
oggi?» ripetè la domanda di poco prima mentre
saltellava per
infilarsi i collant.
«Mhm, non lo so, per
prima cosa colazione.» alzò le spalle noncurante
la rossa per poi
gettarsi sul letto sfatto.
«Quello mi sembra
ovvio, anche se deve essere tardi ormai,» la
rimbrottò la bionda
che ora si stava infilando i pantaloncini. «intendevo
dopo.»
«Sono
le..» girò la testa sul letto per lanciare uno
sguardo alla sveglia
sul comodino della bionda. «undici. A questo punto ci
conviene
chiamare un elfo domestico o andare in cucina, a pancia piena si
ragiona meglio.»
«Chiamiamo
un elfo, non ho voglia di uscire, fa freddo.»
sentenziò la bionda
da sotto la maglia prima che spuntasse la testa.
«Come
se qui facesse più caldo.» alzò gli
occhi al cielo mettendosi
seduta sul letto mentre l'altra una volta infilatasi il golfino la
raggiunse alle spalle.
«Passami
la bacchetta, devo districarti un po' questo disastro prima di farti
la treccia.» le diede un leggero colpetto alla schiena
incitandola
ad allungarsi sul letto a gambe incrociate e recuperando la bacchetta
dal comodino, per poi raddrizzare la schiena e porgerla alle sue
spalle.
«Ai
suoi ordini altezza.»
«A
volte sei così fastidiosa.. Azel!»
commentò prima di chiamare
un'elfa domestica con voce chiara e ferma che ricordò a Lily
la sua
educazione purosangue.
Un
sonoro pop precedette l'apparizione di un esserino dai grandi occhi
marroni e le orecchie a punta.
«Sì
padroncina?» aveva una voce dolce, anche se un po' troppo
stridula e
quando sorrideva si notava un canino mancante, sempre che gli elfi
domestici avessero gli stessi denti dei maghi.
«Potremmo
avere del pane tostato, pancetta, uova, marmellata e un po' di
the?»
si fermò per un attimo, poi aggiunse, come se se ne fosse
dimenticata. «Per favore.»
In
ogni caso l'elfa non parve farci caso e con un sorriso ampio
sparì
dopo aver annunciato che a breve avrebbero avuto tutto.
«A
volte mi spaventi.» commentò Lily dopo il pop
famigliare.
«In
che senso?» domandò distrattamente l'amica mentre
passava la
bacchetta con movimenti metodici lungo i capelli rossi dell'amica
mormorando ogni tanto qualche parola.
«Beh,
ti comporti da purosangue spocchiosa. Sembri abituata a dare
ordini.»
si passò una mano fra i capelli distrattamente.
«Stai
ferma.» le intimò l'amica tirandole qualche
ciocca. «Comunque sono
stata cresciuta così, lo sai.» il tono di voce era
neutro,
tranquillo e se non l'avesse conosciuta così bene avrebbe
detto
anche normale.
«Siamo
fortunate, non credi? A crescere in famiglie che ci hanno dato
tutto.» si raccolse le ginocchia contro il petto mentre
Kimberly
poggiava la bacchetta e passava una spazzola fra i capelli mossi, ma
districati.
«Non
me lo sono mai chiesta, ma immagino di sì.»
«Abbiamo
avuto tanto, davvero tanti— tanti ricordi felici non
trovi?»
«Dove
vuoi arrivare Lils?» cominciò a intrecciarle i
capelli con abilità.
«Mi
chiedevo.. secondo te perchè non ci basta mai quello che
abbiamo?»
avrebbe voluto passarsi una mano fra i capelli, come faceva ogni
volta che era nervosa o imbarazzata, ma si trattenne. Sentì
le dita
sottili fermarsi fra i suoi capelli, un sospiro.
«Io
credo che, anche se siamo in tempi di pace, abbiamo diritto anche noi
ad avere paura.» la voce sembrava un po' meno ferma, ma non
per
questo meno tranquilla.
«Lo
credi davvero?» il dubbio nella sua voce era appena udibile.
«Io
credo così, ma sai che a noi Serpeverde è
permesso più che agli
altri di essere egoisti.» quella risposta colpì
Lily come un pugno
allo stomaco.
«Tu
non lo sei, sei gentile. E buona.»
«Essere
una Slytherin non vuol dire essere per forza cattiva, lo
sai?»
riprese a intrecciare le ciocche rosse da dove si era interrotta.
«Sì,
lo so, ma—» sembrava proprio che tu
intendessi quello. Ma
la voce le morì in gola.
«Noi
-io e Scorpius- siamo, come dire? Cresciuti con valori diversi dai
tuoi. E probabilmente quello che nostro padre ha insegnato a noi
è
molto più all'avanguardia e vicino ai Grifondoro di quanto
qualunque
altro Malfoy o addirittura Serpeverde possa dire.» il suo
tono era
calmo, controllato, quello che usava quando cercava di aprirsi
sebbene avesse paura di farsi male.
«In
che senso?» domandò, rilassata dal movimento
ritmico dell'amica
dietro la sua schiena.
«Ci
è stato insegnato che a volte vale la pena rinunciare ai
propri
ideali per salvarsi la pelle, non che ci volesse proprio una spinta
in quel senso, credo che sia nei geni Malfoy scappare quando le cose
si mettono troppo male. È questo che mi ha fatto paura di
te, anche
di Al, ma soprattutto di te all'inizio.» si prese una breve
pausa,
ma non la interruppe aspettando che raccimolasse le parole giuste.
«La vostra passione per le cause perse, la testardaggine che
molto
spesso sfocia in autolesionismo inconsapevole. Siete assurdi, anzi lo
sei tu, immagino che Al sia finito in Slytherin perchè sa
dove
fermarsi, ma tu continui. Più le cose vanno male
più ti ci butti a
capofitto, sembra quasi che ti piaccia. E ho paura che tu abbia
attaccato un po' di questo vizio anche a me e mio fratello.»
Ci fu
un breve momento di pausa in cui Lily soppesò le parole
appena dette
dall'amica mentre sentiva che era arrivata ormai a più di
metà
schiena e stava allacciandole i capelli. «Fatto, ora tocca a
me,
voglio una treccia a lisca di pesce.»
Le
diede un leggero colpetto sulla spalla e lei si voltò con un
mezzo
sorriso, pensierosa.
«Grazie.»
incrociarono per un attimo lo sguardo, poi anche la bionda si
voltò
porgendole oltre la spalla spazzola e laccio che ovviamente si
intonava con le calze. A volte era così maniacale.
Cominciò
a pettinarle i capelli un po' pensierosa, in realtà c'era un
incantesimo con cui avrebbe potuto intrecciarsi da sola i capelli, ma
quello era uno dei piccoli contatti umani, uno dei primi, che
Kimberly si concedeva nella loro amicizia. Era sempre stata chiusa,
un po' restia. La prima volta che l'aveva abbracciata aveva
dichiarato che se l'avesse rifatto le avrebbe tranciato via le
braccia, lei odiava gli abbracci. In realtà aveva bisogno di
contatto umano più di quanto non volesse dare a vedere e
così aveva
iniziato dalle piccole cose, come intrecciarsi i capelli a vicenda,
lasciare far fare a Kim esperimenti col trucco sul suo viso. Pian
piano aveva cercato di spogliarla dalle sue barriere, con lentezza,
passando a prenderla per mano ogni tanto -spesso per correre a
perdifiato verso una lezione a cui erano irrimediabilmente in
ritardo- per poi abbracciarla negli scatti di gioia. Pian piano si
era abituata a far entrare qualcuno che non fosse Scorpius nella sua
sfera personale, non che i due fratelli avessero chissà
quali
contatti.
La
colazione arrivò con l'elfa che faceva lievitare un sacco di
piatti
e facendo apparire un tavolo li posò sopra. Dopo un breve
ringraziamento sparì.
«In
che senso la vostra educazione è più vicina a
quella dei Grifondoro
degli altri Serpeverde?» interruppe il silenzio ovattato
fatto solo
dei fruscii della spazzola fra i capelli biondi e già
ordinati
dell'amica.
«Nostro
padre durante la Seconda Guerra Magica ha imparato tanto, soprattutto
da nonna Narcissa, sai, con quello che li ha fatto per tuo
padre.»
Lily annuì anche se sapeva che l'amica non poteva vederla,
ricordando i racconti del padre su come la nonna dei fratelli Malfoy
l'avesse dichiarato morto mentendo a Voldemort solo per poter tornare
da suo figlio, dicendo addio a tutti gli ideali di una vita per il
signor Malfoy. Aveva sempre pensato che fosse uno dei gesti che
spiegava meglio l'amore di una madre, come il sacrificio della sua
omonima nonna. «Lui ha cercato di non farci compiere i suoi
stessi
errori, in qualche modo. Una volta mi disse che voleva fossimo
migliori di lui, che noi saremmo stati la sua ammenda per gli errori
passati, ma ero piccola, potrei anche sognarmelo. In ogni caso io e
Scorpius non siamo poi così intolleranti per i nati Babbani
e
quest'estate papà mi ha comprato un feletono,
ricordi? Certo,
ha storto il naso, ma un'altra famiglia purosangue mi avrebbe
diseredata probabilmente. Papà si sbaglia, è
sempre stato buono, ma
dopo Voldemort.. è come se alla parola Slytherin
corrispondesse
ancora solo oscurità.»
Anche
dopo anni Kim aveva paura delle persone, delle ferite che potevano
aprire con le sole parole. Era sempre stata fragile, sotto la
maschera di acido sarcasmo che indossava e aveva sempre suscitato in
Lily un istinto di protezione, come se fosse suo dovere frapporsi fra
lei e le altre persone. Anche se in quell'ultimo periodo era stata
così presa dai suoi problemi da non riuscire a fare un
discorso
serio nemmeno sulla sua recente relazione con Al.
Era
davvero una pessima amica.
«Certi
errori rimangono anche nei figli, però.. tu lo sai che per
me sei
non sei altro che la mia migliore amica vero?» si
sentì in dovere
di dire mentre incominciava a intrecciarle i capelli setosi, sottili
come quelli del fratello. Quel pensiero le diede un brivido,
ricordando come aveva affondato le mani nei suoi capelli appena il
giorno prima.
«Non
c'è bisogno che tu lo dica, tutto il tempo che passi qui
parla da
solo.» ridacchiò Kimberly. Già, dire
che ormai viveva nella tana
dei serpenti era un eufemismo. «Alla fine tutto il disprezzo
che
dici di avere per noi Slytherin lo sanno anche i muri che è
solo una
sceneggiata.»
«Ecco,
bene.» sorrise a sua volta la rossa.
«Vedi
di farmi la treccia come ti ho insegnato, eh.»
«Dopo
tutti questo tempo non ti fidi ancora?» si finse offesa.
«No,
decisamente.» ebbe la tentazione di strozzarla con i suoi
stessi
capelli.
«Senti
Kim..» iniziò con voce titubante.
«Mhm.»
rispose tranquilla. Una cosa che avevano in comune era il fatto che
piacesse a entrambe sentire delle mani nei capelli.
«Sei
felice, vero? Con Al e il resto..» ci fu un momento di
silenzio in
cui sapeva che le guance dell'amica si erano arrossate anche senza
guardarla.
«Cosa--?»
cercò di dissimulare la voce che era diventata ad un tratto
più
acuta. Vide le spalle sottili alzarsi mentre faceva un respiro
prondo. «Beh, sì.»
«Bene,
ne sono felice.» sorrise tranquilla Lily mentre ormai era
più della
metà della treccia.
«E
tu.. con mio fratello, cosa sta succedendo?» il sorriso le
sparì
dalle labbra e s'irrigidì fermando le dita per un attimo.
«Come
fai a saperlo?»
«La
domanda giusta è come fa Albus a non essersene ancora
accorto, ormai
anche Lumacorno sa che c'è qualcosa di strano.» il
tono tranquillo
della bionda la rilassò. Come all'inizio Lily non si era
intromessa
chiedendole di Albus anche lei accettava serenamente che avesse i
propri segreti.
«Sinceramente
non lo so ancora. Ti farò sapere.» fece un'alzata
di spalle,
ricominciando a intrecciarle i capelli con un movimento ritmico.
«Dovresti
parlargli, sai.»
«A
Lumacorno?» domandò disorientata.
«No
cretina, a Scorpius.» sbuffò scocciata mentre
giocherellava con una
mano col bordo del lenzuolo.
«Di
cosa?»
«Di
quello che ti confonde, mio fratello, per quanto sia diverso da mio
padre è pur sempre un Serpeverde e scapperà
sempre.»
«Perchè
dovrebbe farlo?» Da cosa poi? Ma quell'ultima domanda le
rimase
intrappolata fra le labbra.
«Ti
ricordi che all'inizio mi facevi paura? Io e lui siamo uguali, anche
se a volte non sembra.»
«Me
ne ricorderò.» disse solo mentre legava i capelli.
«Fatto, ora
mangiamo.»
«Va
bene, ho pensato che dopo potremmo giocare un po' a scacchi,
è da
una vita che non lo facciamo.» sorrise Kim scendendo da letto
e
recuperando dal baule il barattolo di Nutella da spalmare sui toast.
«Va
bene, basta che Zab non si intrometta, si mette sempre a dare
consigli e mi innervosisce.»
«Se
ci prova lo eviro, l'ultima volta mi hai battuta per colpa
sua.»
arricciò il naso.
«No,
tu perdi perchè sono più brava di te,
è diverso.» cominciò a
spalmarsi un po' di marmellata sul pane tiepido che si era
raffreddato nel frattempo.
«E
questo in quale universo parallelo scusa? Io sono una Malfoy, sono
migliore in tutto.»
Dopo
qualche ora passata con Kim e due perdite disastrose perchè
era
continuamente persa a pensare all'altro Malfoy, con una scusa a
metà
pomeriggio si era alzata e aveva deciso che bastava così.
Doveva
parlargli.
Voleva,
voleva, vol— lo voleva. Basta, era inutile fingere, scappare.
Aveva
così tanta paura da sentirsi la gola chiusa e il petto in
fiamme, ma
continuava a cercarlo, in biblioteca, per i corridoi, ovunque vedesse
una testa bionda sobbalzava, solo un istante, prima di vedere come
quella non fosse nemmeno vicina alla sua
tonalità di biondo.
L'avrebbe
persa, avrebbe potuta per perderla e questo lo tormentava ancora di
più dell'ignoto in cui si sarebbe buttato andandole
incontro. Lei
era come una fiamma ardente che ti prendeva e ti bruciava dal
profondo, mutandoti in cenere da cui rinasceva una fenice, ogni volta
più forte. Era capace di illuminare il mondo, di
appassionarsi alle
cose, di amare senza remore un libro, un cibo, una parola, una
persona e senza remore urlarlo al mondo, senza
paura. Lei non
aveva paura di amare.
Era
piena di difetti, di piccole incertezze che nascondeva sotto quella
fede cieca che i Potter ostentavano nel mondo, cambiava umore per un
nonnulla, la colpivano le piccole cose e potevi coglierla, se facevi
abbastanza silenzio, a guardare con occhi sognanti il vuoto, persa in
un mondo che non avrebbe mai potuto raggiungere. Lei era un essere
speciale, una delle poche persone che aveva desiderato proteggere
ancora e ancora, fino a distruggersi se avesse dovuto.
Forse
era un dono dei Potter, quello di scavarti dentro trovando il calore
anche in un iceberg, tirando fuori la parte più umana di te.
Albus
l'aveva cambiato, Lily senza nemmeno accorgersene, giorno dopo
giorno, l'aveva plasmato. Era qualcosa di profondo, come se mano a
mano che le stava vicino le depositasse addosso pezzi di sé
rimanendo incompleto e ora, come un uomo assetato nel deserto,
reclamava l'unica cosa che poteva farlo sentire completamente vivo. A
costo di attraversare un miraggio, avrebbe provato a raggiungerla,
toccarla e per la prima volta farsi vedere.
Merlino,
com'era possibile che ogni volta che voleva stare da sola lui
spuntava dal nulla e ora che lo cercava prima che il coraggio
scemasse fosse semplicemente sparito, com'era possibile che la scuola
sembrasse cento volte più grande del normale?
Si
era fermata nella Sala d'Ingresso, indecisa se andare a vedere al
Campo da Quidditch o aspettare nel corridoio che portava alla Sala
Comune Serpeverde tendendogli un agguato, sempre che non avesse
ceduto prima all'istinto di scappare a gambe levate.
Era
sempre stata sconsiderata, avventata, impulsiva magari chiedendosi
subito dopo chi diavolo le avesse gettato un Imperius addosso per
farle fare quell'immane stupidaggine, ma si conosceva e se avesse
lasciato bruciare il fuoco che aveva nelle vene senza farlo uscire
presto si sarebbe estinto come una candela sotto un bicchiere che
finiva l'ossigeno. E sarebbe scappata, ancora e ancora. Poi lui se ne
sarebbe andato da Hogwarts e che scusa avrebbe avuto per rivederlo?
Andare a casa di Kim per le vacanze, per andarla a trovare o
riportarle anche solo una piuma che le aveva prestato. Ma le sarebbe
bastato? Guardarlo dall'esterno mentre ognuno viveva la propria vita
e sapere quello che aveva provato per lui, senza poterci fare nulla?
Doveva
affrontarlo, farsi ridere in faccia, farsi dire che aveva solo
giocato con lei, che l'aveva stuzzicata in quel modo perchè
i soliti
litigi lo avevano annoiato. Doveva farsi fare a pezzi il cuore per
poterlo ricostruire, una volta svuotato da Lui.
Dal
portone aperto entrava l'aria fresca, c'era buio, il buio che sapeva
fare solo in Scozia quando pioveva a dirotto come in quel momento. Un
lampo rischiarò il cielo buio, e poco dopo si
sentì un tuono
fragoroso. Giù, nella Sala Comune, ci sarebbe stata
un'umidità da
far paura e molto probabilmente avrebbe trovato Kim rannicchiata
davanti al fuoco stretta ad Al, insofferente per il temporale. Non le
erano mai piaciuti, cos'è che le aveva detto una volta?
“Sembra
che cada giù il cielo, ogni tuono è come una
crepa. E i lampi
bagliori di luce che escono dalle crepe.” Allora lei l'aveva
guardata per un attimo dubbiosa. “Ma se dietro c'è
luce non
dovrebbe essere una cosa bella?” “Non se ci abitano
i morti.”
Diventava
sempre un po' lugubre, durante i temporali. A volte era successo che
durante l'estate, una delle tante notti che dormiva a Malfoy Manor,
scoppiasse un temporale estivo e si ritrovasse da sola nel letto la
mattina dopo. La prima volta si era preoccupata, ma quando aveva
scoperto che si era infilata nel letto del fratello come faceva da
quando dormiva da sola era stata la prima volta che aveva visto un
essere umano più complesso in lui, dietro la faccia da
sbruffone
inacidito. Col tempo Kimberly si era abituata a stringersi all'amica,
svegliarla con scuse stupide per parlare sotto le coperte mentre
fuori si sentivano tremare le finestre ogni tanto, ma era sicura che
quando era da sola tornasse lo stesso da lui e che nonostante
l'età
lui l'accogliesse sotto le coperte borbottando qualcosa sulla
pubertà
fingendosi contrariato. In realtà gli faceva piacere, essere
il suo
cavaliere bianco. Il suo punto di riferimento.
Dimostravano
l'affetto in modo strano, i Malfoy. Esprimevano affetto a forza di
mezze parole, frasi non dette e sguardi che sembravano trapassarti da
parte a parte. I Malfoy, aveva imparato da Kim, guardandola con
Scorpius, avevano una lingua loro, fatta di piccoli gesti fatti nel
buio, per non essere visti, erano animi nobili nascosti dietro la
paura di ciò che l'amore poteva farti. Lei e suo fratello
erano
cresciuti in modo diverso, l'amore era l'unico comandamento che
dovevano seguire, suo padre era vivo grazie a ciò che
l'Amore poteva
fare; per questo quando avevano cominciato a rapportarsi con i
fratelli Malfoy erano rimasti titubanti. Avevano vissuto credendo che
l'amore fosse l'unica cosa che contava, ma forse ne sapevano molto
più loro, che se lo tenevano dentro e lo nascondevano come
un
difetto. Una debolezza.
Albus
si era abituato in fretta, era di natura riservata e accomodante e
non gli era stato difficile avvicinarsi aprendosi pian piano
spingendo Scorpius a farlo spontaneamente a sua volta, con lui, solo
con lui. Lily tendeva più a travolgere le persone e se
all'inizio si
era subito affezionata alla Kim sarcastica che lanciava occhiatacce
raggelanti quando qualcosa la infastidiva aveva capito che avrebbe
potuto scavare tutta la vita e avrebbe trovato sempre una nuova Kim.
Tutte vere e finte allo stesso tempo, tutte parte di lei, come un
caleidoscopio. Le veniva naturale, modellarsi attorno all'amica, lei
che era sempre stata un libro aperto, un lago limpido di cui vedevi
il fondo di pietre lisce. E mentre le si adattava allo stesso tempo
la obbligava ad avvicinarsi, creando quello strano legame che le
avrebbe tolto la parte più importante di lei perderlo. Non
erano la
stessa anima in due corpi, per quanto fossero profondamente simili e
diverse allo stesso tempo erano due anime ben definite che avevano
trovato una musica, un accordo nell'altra. Entrambe potevano
risuonare della propria musica senza sovrastare l'altra, senza
coprirla o rovinarla, ma esaltando le parti migliori delle note
dell'altra.
Stava
iniziando a piovere dentro e decise che il custode non si fosse
deciso a farlo lui avrebbe chiuso lei stessa la porta. Stava quasi
tirando fuori la bacchetta quando notò la sagoma che
avanzava sotto
la pioggia. Un lungo mantello svolazzante, una figura nera e alta, il
freddo.. spalanco gli occhi mentre la paura le dilata le pupille
facendo diventare le iridi dei semplici anelli sottili blu attorno al
nero. Si ficcò le unghie nei palmi, imponendosi di rimanere
calma,
di respirare invece che martoriare il labbro inferiore con i denti.
Pensa
Lily. Pensa.
Il
sorriso di Scorpius le guizzo dietro gli occhi per un istante,
ricordandole che aveva il suo ricordo felice e rallentando un po' la
corsa impazzita del suo cuore.
Ora
che la figura si avvicinava si diede della sciocca, perchè
il freddo
era semplice freddo e quell'ombra era decisamente umana, sebbene non
capisse quale essere umano avesse voglia di uscire con quel tempo nel
Parco fangoso dove in alcuni punti si affondava con quasi tutte le
scarpe.
Aspettò
sulla porta, non sapendo bene cosa fare, mentre cercava di respirare
con tranquillità e far passare i brividi che non avevano
niente a
che fare con il freddo. L'unico rumore oltre alla pioggia era il suo
respiro, era tardi, forse di lì a poco sarebbe scattato il
coprifuoco e la gente preferiva le scorciatoie dietro gli arazzi
piuttosto che passare in piena vista col rischio di beccarsi una
punizione.
Finalmente
la figura che l'aveva tanto allarmata arrivò agli scalini,
salendoli
in fretta, evidentemente pensava anche lei che non fosse stata
un'idea esattamente geniale uscire con quel tempaccio. Si
fermò
sulla porta, come impetrita e alla luce delle torce tremolanti
riconobbe il biondo, l'esatta sfumatura scurita dalla pioggia, che
aveva cercato ovunque. Gli occhi grigi la fissavano sorpresi, mentre
rimaneva lì immobile a fissarla.
Lily,
ormai quasi del tutto calma avrebbe voluto avvicinarglisi, scostargli
la ciocca bagnata nonostante il mantello appiccicata sulla fronte da
cui colavano piccole goccioline. Avrebbe voluto sfiorargli le ciglia
umide con le labbra, avrebbe voluto sentirgli l'odore di pioggia che
ormai si doveva essere infiltrato sotto la pelle, avrebbe
voluto—
Un
tuono la risvegliò dalle sue fantasticherie, facendoli
sobbalzare
leggermente entrambi.
«Malfoy,
entra che chiudiamo la porta o domani nei sotterranei potremo farci
una piscina coperta.» le parole le uscirono dalle labbra
senza una
particolare intonazione, come se non fossero sue. Lui si limito a
fare qualche passo avanti lasciandosi dietro impronte fangose. Con un
piccolo gesto della bacchetta e un incantesimo appena mormorate il
portone cigolò e si richiuse, lasciando che la pioggia
rimanesse
solo un rumore lontano, di sottofondo e immergendo nel silenzio la
Sala dal Soffitto alto.
Si
era rigirata dopo avergli dato le spalle, e ora lo guardava come se
fosse tutto normale, come se non fosse cambiato nulla e lui invece
scoppiava.
«Che
ci facevi lì fuori con questo tempaccio?» la voce
morbida era come
una carezza, si sentiva il gelo nelle ossa e il fuoco nelle vene. Era
quello l'effetto dell'amore? O era solo il risultato della
consapevolezza che lei avrebbe potuto non volerlo? Che aveva tutte le
ragioni per farlo?
Stavo
cercando te -avrebbe voluto dire- per dirti che ti
amo.
«Quando
sono uscito non pioveva così tanto e avevo dimenticato
qualcosa
negli spogliatoi al Campo.» improvvisò.
«Piove
da stamattina, hai giocato a solitario nel frattempo?» si
accigliò,
come se le desse fastidio quello che aveva detto, ma non capiva cosa
potesse esserci di poco plausibile nella sua scusa.
«Ormai
ero uscito.» fece un'alzata di spalle, il mantello gli pesava
sulle
spalle fradicio e si sentiva i vestiti e i capelli appiccicati alla
pelle. Con una mano si riavviò le ciocche bionde
troppò lunghe che
gli gocciolavano sugli occhi.
«Dovresti
asciugarti, sai? Fra poco ci sono i M.A.G.O. e non sarebbe il massimo
farli con il raffreddore.»
«Non
mi ammalerò.»
«È
lo stesso.» lo fissò intensamente per qualche
istante e notò che
aveva le pupille dilatate e il labbro spaccato da cui spuntava il
rosso del sangue. «Andiamo, stavo andando da Kim
io.»
Avrebbe
voluto baciarla, morderle quel labbro, farle male, essere l'unico a
farle male. Ma forse lo era già.
«Andiamo.»
Stupida.
Idiota. Cogliona. Testa di Troll. Imbecille.
Porca
Rowena, dove si era andato a nascondere il suo cervello?
Era
lui, l'aveva cercato come una dannata per tutta la scuola e poi
quando se lo era ritrovata davanti non era riuscita a dirgli niente.
Beh, il fatto che venisse da fuori, dopo essere sparito per un
pomeriggio non poteva che averla innervosita, magari era stato a
rotolare negli spogliatoi scopando come un riccio. Era probabile, ma
questo cosa cambiava? Cosa si aspettava davvero? Non era forse andata
a farsi spaccare il cuore, per guarire?
«Non
ho cenato, devo passare un attimo dalle cucine.» la voce di
lui, la
tirò fuori dalla sua seduta di autocommiserazione solo per
darle
altro materiale per torturarsi.
«Vengo
anche io, devo prendere lo spuntino per la seduta di studio notturno
con Kim.»
Lui
annuì solamente, stranamente taciturno -più del
solito- e proseguì
al suo fianco, entrambi silenziosi. Sicuramente lui si chiedeva cosa
avesse fatto di male per ritrovarsela fra i piedi.
Quando
si fermò di colpo fece qualche passo prima di accorgersi che
Scorpius, col cappuccio abbassato si era fermato. Lo guardò
per un
istante accigliata.
«Malfoy?»
provò a richiarlo, mentre lui la fissava con
un'intensità che
faceva quasi paura, come se la tempesta che imperversava fuori dalle
mura provenisse da dentro di lui e premesse per uscire. Gli occhi
dello stesso colore delle nuvole, acquosi, scuriti dalla poca luce
che illuminava l'umido corridoio di pietra. Era uno spettacolo
bellissimo e terrificante allo stesso tempo, bello da togliere il
fiato.
«Dobbiamo
parlare, vieni.» e scattò, afferandola
delicatamente per il polso
con le mani fredde, gettandosi nella prima classe vuota e -a
giudicare dal numero di ragnatele- inutilizzata da molto tempo che
trovò.
«Dimmi.»
sfilò dalla presa leggera di lui il polso quando la porta si
richiuse alle loro spalle. Non aveva protestato o si era dibattuta
quando l'aveva afferrata, ma aveva bisogno di spazio fra loro due per
ragionare lucidamente.
La
punta della bacchetta di Scorpius si illuminò, rilasciando
nell'aria
piccole sfere luccicanti che si andarono a depositare sulle torce
spente da anni. Era il fuoco magico che aveva visto fare anche a sua
zia Hermione.
Si
appoggiò ad un banco aspettando che lui rompesse il
silenzio, troppo
impaurita per farlo lei stessa.
«Qual'era
il tuo pensiero felice?» domandò infine, quasi con
casualità
ostentata, come se si fossero incrociati in un corridoio per caso e
non l'avesse trascinata lì lui stesso.
«Perchè?»
ebbe un brivido lungo tutta la schiena, irrigidendosi immediatamente.
L'aveva forse capito? Era arrabbiato? Poi per cosa, mica l'aveva
molestato, era solo un ricordo, non poteva infastirlo, Porco Salazar!
Che razza di diva era?
«Vorrei
saperlo.» con un movimento fluido si tolse il mantello
gocciolante
che ormai doveva pesare una tonnellata per com'era zuppo, poggiandolo
noncurante su un banco impolverato.
«E
io vorrei tenermelo per me.» finì
irrimedibialmente sulla
difensiva. Aveva progettato di non dirglielo, di evitare di esporsi
così tanto, ma solo accennare ai sentimentimenti che la
stavano
scuotendo come un arbusto.
Le
si avvicinò facendo cigolare le scarpe da ginnastica bagnate
per
terra, era vestito alla babbana, la camicia zuppa e semitrasparente
appiccicata addosso, i jeans tanto scuri da sembrare neri e la pelle
che sembrava ancora un più chiara sotto le luci dei fuochi
freddi
che guizzavano dalle lanterne. Era così vicino che Lily
avrebbe
potuto intuire la forma dei muscoli appena accennati sotto la
camicia, tanto da sentire il suo profumo invaderle le narici. Sapeva
di pioggia, di bagnoschiuma o shampoo alla menta, fumo e Lui. Era
come una droga e allo stesso tempo tornare a casa. Come faceva a
farla stare così bene -a farla sentire così
tranquilla quando non
era per niente al sicuro- qualcuno che di lì a pochi minuti
le
avrebbe stretto il cuore fra le mani sbriciolandolo.
«Perfavore.»
la voce morbida la acarezzo facendole quasi trattenere il respiro. Da
quando chiedeva perfavore? A lei per giunta? Forse,
realizzò
con una fitta al cuore che di poco non la fece ritrarre di scatto
contro al banco dov'era già aggrappata, si comportava
così con le
ragazze che voleva affascinare.
«Da
quando conosci le buone maniere?» sbattè gli occhi
per schiarire la
vista offuscata e rimanere lucida, leccandosi le labbra secche e
screpolate sentendo chiaramente il sapore metallico del sangue.
«Rispondimi,
è solo una domanda di cui devo sapere la risposta.»
«Parli
troppo, fai troppe domande, ma il peggio e che dici cose sbagliate,
fai tutte le domande sbagliate.»
Faceva
sempre cose incomprensibili, gesti assurdi che andavano al di fuori
di ogni logica e si accorse con una fitta al cuore, che più
la
faceva arrabbiare e sconcertare più la rendeva sua.
«Forse
per certe domande non c'è una risposta.»
riuscì solo a sussurrare,
col cuore che le batteva all'impazzata e le parole che si
accartocciavano una contro l'altra nella testa. Voleva dirglielo,
dirgli ciò che provava. Doveva farlo e allo stesso tempo ne
era
terrorizzata.
«Impossibile,
ogni domanda ha una risposta.» affermò con tale
sicurezza da
sconcertarla.
«No,
il problema è che fai le domande sbagliate, devi farmi le
domande
giuste, diamine Potter, lo saprai te, sei una Corvonero!»
No,
non lo sapeva, non sapeva quale domanda fosse quella che voleva
davvero sentirsi porre. Forse, per quanto agghiacciante quella che
ancora aleggiava nell'aria polverosa era davvero quella giusta.
«Qual'era
il tuo pensiero felice?»
Il
sorriso di Scorpius era..
Ma
la risposta faceva troppa paura per accettarlo.
Ci
speravo davvero, sai Lily, che tu avessi la domanda giusta.
«Un
sorriso.» disse infine lapidaria, sentendo la scure che si
abbassava
sul suo collo. Si sentiva leggera, come priva di peso, profondamente
cosciente della presenza di Scorpius, ma non della propria. Il suo
sguardo grigio indagò sul suo viso e si chiese se glielo si
potesse
leggere in faccia quel sentimento che le rodeva l'anima e le toglieva
il sonno. Che l'aveva cambiata, troppo per tornare indietro, per
tornare alla Lily prima di Scorpius.
«Un
sorriso..?» una luce scura gli attraverso il viso,
evidentemente la
risposta non gli era piaciuta. «E qual-»
«Il
tuo.» buttò fuori la risposta tutto d'un fiato,
senza il coraggio
di aggiungere le giustificazioni o le battutine acide che le
vorticavano in testa, per migliorare la situazione disastrosa in cui
si era cacciata con quelle quattro parole.
Un
sorriso.
Studiò i suoi
lineamenti come non avrebbe più potuto fare, la mascella
squadrata
tesa dal nervosismo che si rilassava improvvisamente dalla sorpresa,
le pupille che si dilatavano nascondendo il grigio che conosceva
così
bene da sapere che col sole diventava quasi azzurro. Quasi.
Sembrava pietrificato
in uno stato di muta sorpresa, o forse era lei che sentiva i secondi
passare come se fossero infiniti. I capelli biondi ancora umidi, ma
un po' più asciutti, scompigliati e assolutamente lisci
emanavano
quasi luce tanto erano chiari.
Il
tuo.
Le
spalle larghe leggermente incurvate, il profilo alto teso come pronto
a scattarle alla gola, leggermente piegato verso di lei, forse
inconsciamente. Le mani dalle dita lunghe come aveva sempre
immaginato quelle di un pianista o un violinista, leggermente
più
grosse sulle nocche, nascoste nelle tasche.
«Il..?»
sembrò non avere il coraggio di finire la frase, Lily si
limitò ad
annuire completamente ammutolita. Pronta a cadere.
Il
sorriso di Scorpius era il suo pensiero felice.
Le
prese il viso fra le mani, passandole delicatamente col pollice sulle
lentiggini che le coprivano le guance , così come le spalle,
le
gambe, le braccia pallide, tutto il corpo. Come lui erano ovunque
sulla sua pelle.
Sembrava
a metà fra il tormentato e un uomo a cui era stato tolto il
peso del
mondo dalle spalle, non sapeva come potessero coesistere le due cose,
ma era così che appariva. La sua vita era un eterno
controsenso,
come poteva non esserlo anche quella parte di lui che ne faceva parte
da così tanto tempo?
«Lily..»
il suo nome soffiato fra le sue labbra suonava quasi come una
preghiera, le crepe nella maschera che aveva creduto di vedere il
giorno prima ora erano voragini che mostravano un volto che non
credeva di conoscere, quello del vero Scorpius, dei suoi pensieri e
che invece scoprì le era famigliare come il palmo della sua
mano.
Perchè lui era sempre stato vero, dietro a quella maschera
di cui
nessuno dei due si era mai accorto di quanto in realtà fosse
trasparente. Perchè quando stava con lui era la vera Lily,
quella un
po' sgorbutica e stizzosa, quella che poteva permettersi di non
sorridere sempre quando era felice. Perchè con lei lui era
sempre
stato solo Scorpius, quello che l'aveva vista crescere prendendola in
giro, litigandoci fino allo sfinimento solo per finire a fare assurde
lotte lanciandosi cibo, palle di neve o semplici frecciatine stanche.
Perchè
assieme, per quanto sembrasse surreale non avevano mai mentito che a
loro stessi.
Lily
non sapeva se lui l'avrebbe semplicemente presa in giro o se quella
intuizione era vera, ma sapeva per certo che quelle mani fredde, il
suo nome sulle sue labbra avevano il potere di farla sentire a casa.
«Sì?»
sussurrò tremante alzando le mani lentamente e dopo una
breve
esitazione le posò sul suo petto, sentendo sotto la camicia
fradicia
il cuore palpitargli allo stesso ritmo precipitoso del proprio.
«Resta.»
Sentì il proprio respiro tremare a quella semplice parola.
«Perchè?»
«Perchè
stavi scappando, lo fai ogni volta.»
Annuì
senza aggiungere altro, mentre le pareva quasi sentire il rumore
della maschera che cadeva a terra con un leggero tonfo. Davanti a lei
rimaneva solo Scorpius e lei voleva credergli con tutte le sue forze,
perchè averlo vicino aveva fatto andare a puttane tutti i
suoi buoni
propositi sul non farsi spezzare il cuore, semplicemente
perchè
voleva correre il rischio. Per i momenti come quello.
«Ah,
Malfoy, eccoti qui.»
«Mi
stavi aspettando?»
«Mah,
non so.. forse incosciamente.»
«Capisco.»
«Che
c'è ora?»
«Niente,
solo che non riesco a vederti.»
«Non
mi sembra che ci sia così buio, io ti vedo
benissimo.»
«Non
intendo in quel senso, solo non riesco a vedere Scorpius, mi fermo
sempre a Malfoy.»
«E
questo è un problema?»
«Beh,
come dire.. prima non lo era, mi bastava, ma ora hai complicato
tutto, ora voglio capire.»
La
spaventava, la spaventava da morire, perchè oltre a non
vedere lui,
non aveva mai visto nemmeno davvero dentro sé stessa. Si era
fermata
troppe volte a pensare a loro come Potter e Malfoy, invece non lo
erano, non lo erano mai stati anche se si erano sempre ostinati a
convincersi. Loro erano Lily e Scorpius, e basta.
Era
spaventata perchè ora capiva.
«Hai una così
cattiva opinione di me?»
«Me lo stai
chiedendo davvero? Tu, a me?»
«Perchè no? In
fondo siamo qui e non so se l'hai notato, ma ultimante riusciamo a
stare nella stanza senza lanciarci nessun oggetto
contundente.»
Troppe
maschere, troppe convinzioni sbagliate, troppe paure che aveva
soppresso tutto ciò che era essenziale. Ciò che
la faceva
respirare.
«In
fondo non mi stupisce nemmeno, si vede che ci tiene a te.»
«E
da cosa? Dagli insulti e gli scherzi di pessimo gusto?»
«No,
da come ti guarda.»
«Ti
sbagli, io e lui ci destestiamo cordialmente dal primo anno.»
«No,
non mi sbaglio, sei tu che sei distratta. Quando non pranzi al tavolo
Serpeverde capita spesso che ti lanci occhiate strane, ti fissa, ti
fissa e basta. Tu non te ne accorgi perchè sei convinta che
ti
detesti e questo ti basta, ma davvero. Ti guarda in continuazione,
con uno sguardo strano.»
«A
volte.. ci chiudiamo troppo nelle nostre convinzioni e rischiamo di
commettere terribili sbagli, solo perchè ci ostianiamo a non
voler
vedere come stanno davvero le cose.»
In
quanti l'avevano capito prima che la sua cocciutaggine si facesse da
parte per lasciare spazio al cuore? Si chiese distrattamente mentre
contemplava il viso del ragazzo davanti a lei perfettamente immobile,
come sospeso ad aspettare una risposta. Sorrise lieve afferrando la
camicia con le mani piccole e tirandolo leggermente verso il basso,
verso di sé.
«Ma
non posso
rispondere ad una domanda senza senso come questa, insomma Zab,
Malfoy, fai sul serio?»
«E
perchè no?»
E
se potevano crederci gli altri, perchè non poteva farlo
anche lei?
Perchè non poteva semplicemente credere che anche lui
provasse
qualcosa per lei, che anche lui fosse confuso quanto lei e che tutto
sarebbe potuto andare bene? In fondo un “perchè
no?” era sempre
meglio di un “mai”. Lasciava spazio ad almeno un
milione di
possibilità.
Scorpius
si lasciò trascinare verso di lei, sentiva il cuore
esplodergli nel
petto che si alzava e abbassava sotto le sue mani piccole e
leggermente tremanti. Sentiva le sue mani fredde sul viso ustionarla,
non avrebbe mai pensato che un tocco così semplice potesse
dare
scosse elettriche così intense in tutto il corpo. O forse
erano solo
i ricordi, i ricordi che sapevano di un vecchio libro consunto che
non ti stanchi mai di rileggere a darle quella sensazione di
pienezza.
«Ultimamente
ci incontriamo un po' troppo spesso Malfoy, per caso sei uno
stalker?»
«Potrebbe
essere Potter, a questo punto tutto e possibile.»
Si
alzò un po' sulle punte raggiungendo il ragazzo a
metà strada,
sfiorandogli le labbra con le proprie su cui era ancora impresso un
piccolo sorriso. Più che un bacio era uno sfioramento quasi
casuale,
ad occhi chiusi si beò sentendo il respiro caldo di Scorpius
uscire
tutto d'un fiato e andarle sul viso. Sentirsi avvolta da lui, dal suo
profumo, dal suo calore, la sua sola presenza era come essere di un
passo più vicina al paradiso e due all'inferno, ma non le
importava.
Stava
bene, finalmente stava bene.
Finalmente
era Lily.
Note.
Sono
un'autrice piuttosto
volubile, ne sono consapevole. Passano mesi fra alcuni capitoli e
nemmeno un giorno fra altri, ma sono così. Ecco qua, non so
cosa
commentare se non che il precedente era in preparazione a questo e
che amo scrivere di Lily e Kim. E Scor e Lils mi fanno fangirlare.
Okay, la smetto.
Probabilmente
terminerà tutto con il prossimo capitolo, ormai tutti nodi
sono
venuti al pettine. Ci sarà un epilogo abbastanza lungo e
forse
qualche storiella riguardande il post-fine anno. Lil e Scor ed eventi
significativi o meno della loro vita.
Bene
vi lascio e spero di trovare tante recensioni, perchè i miei
bimbi
sono stati bravi e coraggiosi.
(Se
non si notasse le citazioni del capitolo precedente e questo sono
state scelte apposta in sequenza.)
With
love. :)