Ehm… Attacco di Wolfstar
in piena notte. Maledetta dipendenza… Ne è conseguita questa shot un po’ melassosa e non
del tutto soddisfacente su un momento pregnante. Me l’ha ispirata uno dei
disegni della bravissima Marta, che pubblicizzo intanto perché davvero
meritevoli. E’ questo qui, che in
teoria è perfettamente canon ma io ci vedo un
filo di altre cosette. Tra l’altro, il suo Sirius adolescente è
preciso spiccicato a quello che immagino io. Non so come fa.
Tra l'altro, ringrazio sentitamente FRA', che ha sopportato per più di quaranta minuti di stare a rileggermi via msn POA che io non avevo a portata di mano, per ricostruire esattamente la cronologia della scena. Tessoro, grazie di esserti prestato alle mie perversioni.
Buona lettura.
Mani, braccia
Era
un momento troppo confuso e dapprincipio non si rese nemmeno veramente conto
che fosse arrivato proprio lui. Sì, l’aveva visto e riconosciuto
ma per qualche istante la precarietà e la frenesia della situazione gli avevano
impedito di soffermarsi sulle implicazioni, o forse vederlo era uno shock tale
che per assimilarlo gli erano occorsi alcuni attimi, intorpidito com’era
dal contesto: c’era Harry che lo guardava con quell’odio, quella
rabbia che rendeva i suoi occhi così verdi, così diversi da
quelli di James, in un modo benefico e doloroso insieme; il ragazzino coi
capelli rossi che si stringeva la gamba e la bambina che sembrava terrorizzata
ma anche l’unica a mantenere il controllo di sé. E naturalmente
c’era il ratto, era difficile pensare a qualunque altra cosa.
Dopo
mesi di nascondini inutili e sfibranti la situazione era esplosa d’un
colpo, tanto che lui stesso aveva quasi faticato a credere in
quell’occasione che gli veniva fornita inaspettatamente, quando aveva
visto il figlio di Molly con quell’animale immondo nelle mani. E adesso
gli eventi avevano preso quella piega frenetica. Era arrivato il gatto e
c’era stata quella mezza zuffa, Harry l’aveva steso e si era
ripreso la bacchetta, puntandogliela contro ma senza risolversi ad usarla, e in
quell’attimo di catarsi in cui il ragazzino cominciava a credergli lui
non aveva badato ai passi in avvicinamento.
E
poi lui era lì. La bacchetta di Harry che gli schizzava nelle mani, il
viso tirato, deciso, controllo totale della situazione: Remus Lupin.
Forse
era perché sembrava talmente incredibile dopo tutto quel tempo averlo di
nuovo davanti per davvero, come un frutto dell’immaginazione, forse
perché non se l’era aspettato, o perché era troppo
concentrato su tutto il resto e troppo disorientato, in ogni caso quel che il
suo cervello del resto sconvolto era stato capace di mettere insieme suonava
più o meno come: toh, c’è
Remus. Bene, dove eravamo rimasti?
Tant’è che era tornato a guardare Harry, dimenticandosi quasi
dell’intruso come se la sua mente si fosse rifiutata di affrontare quello
sconvolgimento ulteriore. Non adesso,
abbiamo cose più urgenti a cui pensare, sembrava essere stato
l’ordine perentorio che aveva percorso tutti i suoi nervi per evitare che
il sistema centrale, già sovraccarico di sensazioni, andasse in
cortocircuito definitivamente. Remus si era messo a parlare, dov’è Sirius?, chiedeva, e
poi aggiungeva qualcosa sullo scambio. Senza
dirmelo, aveva sentito ancora a lui, e aveva annuito mentre qualcosa di
vergognoso gli bruciava dentro. E guardarlo era diventato ancora più
impossibile, così era tornato a voltarsi verso il figlioccio, anche se
gli era sembrato per qualche secondo di galleggiare in un’atmosfera
rarefatta che pure pochi secondi prima non percepiva,
Il
problema primario era che invece Harry non stava guardando lui, ma seguiva con
trepidazione i movimenti di quell’altro che si spostava nella stanza
lercia; nel frattempo quel miserabile ratto aveva lanciato uno squittio che
aveva colpito i suoi timpani come una lama gelida e gli aveva fatto digrignare
i denti con un’ odio viscerale, mefitico. Aveva fatto saettare gli occhi
verso il materasso, sul punto di espellere un ringhio minaccioso, ma qualcosa
era andato storto perché sulla traiettoria del suo sguardo feroce diretto
al miserabile traditore era comparsa una mano.
La
conosceva bene, quella mano, era chiara e abbastanza esile, più rovinata
di quanto ricordasse ma – curioso sobbalzo delle interiora –
macchiata d’inchiostro sulle dita esattamente come l’ultima volta
che l’aveva vista, milioni di anni prima. L’aveva afferrata
più che altro per impulso e mentre faceva forza per sollevarsi si era
reso conto che distingueva benissimo anche la sensazione al tatto: una
morbidezza un po’ ruvida, ma con quella delicatezza innata che non
possedeva nessun’altra mano che lui avesse mai
toccato.
Fu
solo a quel punto, sentendo la consistenza delle dita di Remus e della sua
pelle, di quella mano che stringeva la sua mentre si rimetteva dritto sulle
gambe, che realizzò chi gli stesse esattamente di fronte. I suoi occhi
si mossero da sé, febbrili, a cercare quelli ambrati dell’altro
per tuffarcisi dentro ma non ne ebbero il tempo, poté
solo intravedere la piega delle sue labbra arcuate in un sorriso – e sorrise
di rimando, senza che niente intorno a lui lo motivasse, ma aveva la mano in
quella di Moony e lui stava sorridendo – e la linea dei suoi zigomi,
segnati dalla cicatrice, poi il volto di Remus sparì dal suo campo
visivo e avvertì la sua tempia contro la propria, la sua guancia che gli
si sfregava contro il collo, il torace che planava contro il suo. Le gambe gli
cedettero per una frazione di secondo, il tempo necessario perché le sue
braccia si muovessero automaticamente a cercare un appiglio nel corpo
dell’altro. Ebbe un moto di dispiacere quando la sua mano e quella di
Remus si lasciarono, ma fu spazzato via dalla sensazione delle braccia che gli
si stringevano intorno.
E
respirò. Per la prima volta da quasi tredici anni sentì
l’aria penetrare nei polmoni e portare freschezza, ossigeno e refrigerio,
insieme a un calore che non si ricordava e che Azkaban
aveva coperto sotto una coltre di gelo, ma che esisteva ancora e proveniva da
dentro Remus, da sempre. Avrebbe voluto scoppiare a piangere, gridare o
mettersi a ridere, qualunque cosa tranne muoversi da lì, e soprattutto
non staccarsi più da quelle braccia: il pensiero più assurdo che
avrebbe potuto formulare ma anche il più spontaneo, il più vero.
Era esattamente nel posto in cui gli sembrava più naturale essere,
addosso a Remus.
Si
era quasi dimenticato dove fosse e perché, ma Remus si mosse e lui rivide
distintamente intorno a sé. Non erano passati più di tre secondi
ma parevano ore. Si allontanò da lui nello stesso momento ma le loro
braccia rimasero aggrappate ancora per qualche secondo, come se dopo essersi
finalmente ritrovate non potessero più allontanarsi. Mentre
l’altro socchiudeva le labbra per parlare ritrovò finalmente i
suoi occhi e dentro c’era tutto quel di cui aveva bisogno. Poteva andare
avanti e finire quel che aspettava di fare da tredici anni.
Di
fianco a Remus.
jomarch: bè…l’obiettivo era
commuovere quandi posso ritenermi soddisfatta ^__^-
Vale Lovegood: mi fa piacere che ti catturino, direi che è per
questo che li scrivo e fare centro mi dà una gioia indescrivibile. Alla prossima,
grazie mille.
Mixky: sì sì, l’allegria si
spreca, come sempre. Però dai, con l’Epica Tenzone mi sto
rifacendo su tutto l’angst accumulato. ^__^ Che
altro, grazie per il consueto apprezzamento e la fedeltà, mi fa piacere
che anche James sia stato credibile e che sia parso delicato. E Sis…bè, lui È un raggio di sole che
tutto illumina, Hihi.
puccalove90: non c’è bisogno
che ti sforzi, il tuo sbigottimento vale mille spiegazioni. È bellissimo
riuscire casualmente a trasmettere sensazioni forti a chi legge e non mi
spiegherò mai perché mi riesca in questi casi fortuiti, ma ne
sono grata. Grazie mille, quindi, a presto.
squizzz: te voilà. Oh, come mi allieti. Nemmeno io mi spiego perché
mai mi si legga, ma finché succede gioisco. Non so se ne vale la pena
davvero, ma se per te la mia storia è tutte quelle cose lì forse forse mi commuovo. E le tue recensioni non sono orrende! Tsk. Hehe, a presto.