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Autore: Martina3    31/01/2014    4 recensioni
Becky Greene è una sedicenne di Holmes Chapel. Da un po' di tempo ha una cotta folgorante per un ragazzo della classe affianco alla sua. Harold Styles. Peccato che, però, egli non la degni di uno sguardo, perché attratto solo da una ragazza, Rachel Smith.
Passano tre anni e Harold diventa solo un ricordo, nonostante sia diventato una star. Becky ha anche un ragazzo, Jake. Ma un giorno, nonostante i suoi sforzi, la ormai diciannovenne non può sfuggire al destino e si trova a un palmo di naso nientemeno che Harry, Harry Styles.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DICIOTTESIMO
 
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Come ogni anno, da diciannove anni, il giorno del mio compleanno mi svegliavo prestissimo. Successe, come da manuale, anche quel 16 marzo. Regnava il silenzio e non c'era molta luce, perciò presumetti che dovessero essere all'incirca le cinque. Mi stiracchiai e stetti per qualche minuto a crogiolarmi tra le coperte, ancora col capo poggiato sul petto di Harry. Respirava profondamente e dormiva come un bimbo, avrei potuto guardarlo per ore. Mi alzai cercando di non fare rumore e scostai leggermente la tenda per guardare fuori. Una leggera sfumatura chiara dipingeva l'orizzonte di Los Angeles, mentre una falce di luna era ancora ben visibile nel cielo scuro. Andai in cucina a farmi un caffè, altrimenti non avrei retto per la lunga giornata che si prescriveva. Accesi la grande moca e preparai la mia colazione versando la bevanda calda in una grande tazza. Non potei resistere ad andare in terrazza, così aprii l'ampia vetrata dai vetri scorrevoli e provai un leggero brivido alla schiena. Mi appoggiai con i gomiti sul parapetto tenendo tra le mani la tazza. Il fumo dall'odore intenso mi portò alla mente quelle mattine a Holmes Chapel in cui mi svegliavo con il profumo del caffè che Harry aveva preparato. Ad essere sincera non sapevo se quei tempi sarebbero tornati, se avremmo potuto di nuovo godere di quei giorni senza problemi, passati a casa o in giro, ma sempre e comunque meravigliosi nella loro semplicità.
Quando tornai dentro feci un rapido calcolo del fuso orario e decisi di chiamare i miei genitori. Presi il mio iPhone e composi il numero, attendendo che rispondessero.
«Pronto?». Risentire la voce di mia madre mi fece sentire bene, stranamente.
«Ciao mamma, sono Becky.»
«Tesoro mio, buon compleanno!», esclamò dall'altro capo della cornetta.
«Grazie mille.», sorrisi giocherellando con il bordo della maglietta.
«Come stai?»
«Tutto a posto, grazie. Voi come state?»
«Noi bene. Il viaggio com'è andato?»
«Ho dormito.»
Rise: «Come il tuo solito. Ha una bella casa... Harry?»
«Magnifica. Un po' grande ma magnifica. Lui sta ancora dormendo.»
«E... com'è stato rivederlo?», sentivo che quando parlava di lui zoppicava ancora un po', ma se pensavo al punto da cui eravamo partiti non potevo essere più felice.
«Bellissimo.», mi limitai a dire. Perché non ero sicura che potesse capire... ciò che avevo provato era ineffabile.
«Oggi cosa fate di bello?»
«Harry mi porta a fare un giro a Los Angeles. La conosce molto bene.»
«Sono sicura che vi divertirete molto. Ti passo tuo padre che ti fa gli auguri. Un bacio grande, tesoro.»
«Un bacio anche a te, mamma.»
Sentii la calda voce di mio padre e mi venne un po' di nostalgia. E pensare che non li vedevo da un paio di giorni. «Auguri bambina mia.»
«Grazie papà. Mi fa piacere sentirvi.»
«Anche a noi, anche a noi. Come te la passi?»
«Direi da Dio.». Ridemmo entrambi.
«Salutami il tuo amico.»
Trattenni la risata: «Sì, papà, il mio amico
Sghignazzò: «Dai Becky, sai che non sono fatto per queste cose... gli affari di cuore li lascio a tua madre.»
«Te ne sono grata.»
Udii la voce di mia madre in lontananza e mio padre che faceva da portavoce: «La tua vecchia dice che ti fa gli auguri tutta la famiglia.»
«Grazie di nuovo. Manda un saluto a tutti da parte mia.»
«Spero che non ti dimenticherai di me mentre stai lì.»
«Sarai sempre tu l'uomo della mia vita, lo sai.»
Rise: «Un forte abbraccio, piccola. Divertiti.»
«Grazie papà. A presto.»
Riattaccai e risposi a qualche messaggio di auguri di amici e parenti, raggomitolata sul divano.

Si erano fatte le sei e mezza e il sole era ormai sorto. Non volevo perdere tempo stando chiusa in casa, perciò decisi di andare a svegliare Harry, mio malgrado mi disturbasse interrompere i suoi dolci sogni. Aprii la porta e mi misi in procinto di tendergli un agguato. Contai a mente fino al tre e presi la rincorsa per poi saltare di peso sul letto sopra di lui: «Buongiorno dormiglione! Alzati che il sole mangia le ore!»
In risposta ebbi una sorta di muggito.
Continuai a saltare, a cavalcioni sopra di lui: «Sveglia sveglia, su! Oggi devi farmi da Cicerone, lo sai questo, vero? E io sono una turista molto esigente.»
Harry prese il cuscino e se lo mise sopra la testa: «Lasciami dormire, Becky.», gemette.
«Okay...», dissi alzandomi dal letto, «Vorrà dire che adotterò il metodo killer.»
«Guai a te!», disse con uno sforzo palesemente immane.
«Mi dispiace, potevi pensarci prima.», dissi con tono malefico. Afferrai con forza le coperte nella parte superiore, sebbene Harry le avesse strette tra i pugni per non darmela vinta. Peccato che la forza che hai di prima mattina non sia la stessa. Così con un gesto secco gli tirai via le coperte scoprendolo e lui si mosse con rapidità: «Questa me la paghi.». Non fece a tempo a mettersi seduto che io mi avvolsi le coperte a mo di mantello e uscii dalla stanza correndo: «Non mi prenderai mai!»
Mentre percorrevo il lungo corridoio mi guardai indietro e me lo vidi barcollare per rincorrermi. «Sei ridicolo! Non stai neanche i piedi!», gridai ridendo e gli feci la linguaccia. A quel punto accelerò e non appena arrivai in soggiorno pestò la coperta afferrandomi e io caddi scivolando sul pavimento lucido. «Ti ho presa, canaglia.», disse avvolgendomi con essa e facendomi diventare un bozzolo umano, mentre io non smettevo di ridere. «A adesso?», chiese.
«Sei comunque scarso.», lo provocai.
«E tu sei solo una fragile bimba.». Mi prese in braccio, ancora avvolta come una mummia, e mi appoggiò sul divano. «Mi faccio un caffè. E me lo berrò in santa pace guardandoti mentre ti divincoli. Sono perfido oggi.», mi fece l'occhiolino dirigendosi verso la cucina.
«Credi davvero che ti possa prendere sul serio con quel ridicolo ciuffo che ti ritrovi?»
Si toccò i capelli e, tastando la folta chioma, si sistemò i capelli. Mi sbeffeggiò e tornò a farsi il caffè. Intanto cercai di liberarmi dalla trappola, ma a quanto pareva Harry era stato più bravo di quanto credessi. Mai e poi mai avrei potuto dargli la soddisfazione. Cercai in tutti i modi di divincolarmi, ma sembrava impossibile. Ad un certo punto persi l'equilibrio e caddi dal divano, sbattendo sul pavimento freddo: «Ahia...»
Harry tornò in soggiorno scrutandomi: «Non ci posso credere.». Iniziò a ridere fino ad accasciarsi per terra, cercando di tenere ferma la tazza. «Te l'avevo detto di non metterti contro di me, bimba.»
Mi appoggiai sui gomiti: «Non sei divertente.»
«Tu sì però.», mi prese in giro.
Misi il broncio.

Prima delle otto eravamo pronti. Non ero una a cui importava molto, ma avevo notato a malincuore che Harry non mi aveva ancora fatto gli auguri. Mi chiesi come mai... credetti che si fosse dimenticato e, siccome renderglielo noto mi sembrava poco carino, feci finta di nulla.
Scostò la tenda e mi fece vedere fuori dal cancello: «Li vedi quelli? Ricorda ciò che ti ho detto ieri. Tranquilla, mi raccomando.»
«Sì, capo.». Non era tanto numeroso come il giorno prima, il gruppo. Saranno state una ventina di persone, tra paparazzi, fan e tipi con telecamere e microfoni.
Mi accarezzò col pollice il labbro ancora un po' gonfio: «Pronta piccola?»
Annuii con un sorriso.
Fece un profondo respiro ed aprì la porta, delle grida provennero da fuori. Dopo aver chiuso casa, mi prese per mano e indossò gli occhiali da sole, camminando con passo svelto verso la macchina. Le ragazzine sventolavano fogli e gridavano piangendo. Per un attimo pensai che anche a me avrebbe fatto piacere che qualcuno provasse quel tipo di sentimento per me, sapere che qualcuno darebbe tutto pur di sfiorarti soltanto... non sapevo cosa si provasse, a dire il vero. Montammo in macchina ed Harry mise in moto: «Credo che dopo questa giornata dovrò portare la l'auto dal carrozziere.». Risi: «Credo anche io.»
Aprì il cancello automatico con il telecomando e si diresse verso di esso. La gente stava davanti ed era impossibile passare. Harry fece cenno di spostarsi e fece capire che si sarebbe fermato. Il gruppo gli fece largo e l'auto poté avanzare. Quando fummo fuori, Harry chiuse in fretta il cancello e abbassò il finestrino. La macchina si muoveva e le ragazzine battevano sui vetri. Io non sapevo che fare, così stetti immobile. Le urla si erano fatte più intense. Sentii una quindicenne che diceva ad Harry: «Harry io ti amo, sei la mia vita!». Lui sorrise: «Anche io vi amo.», rispose. Poi si lasciò fotografare con alcune di loro. Un'altra chiese: «Lei è la tua ragazza, vero?»
Esitò qualche istante: «Sì. Oggi è il suo compleanno, la porto a fare un giro.»
Le fan non risposero. Intanto i fotografi scattavano decine e decine di foto, mentre un giornalista di fece spazio riuscendo a comunicare con Harry: «Harry, allora possiamo considerarla la tua nuova fidanzata?!»
Fece un sorriso enigmatico e mi prese la mano: «Perché sei geloso? E' mia eh.»
Il giornalista rimase un po' interdetto ma continuò: «Ci puoi dire di più?»
«Mmm. Volete sapere troppo voi!». Salutò con la mano e chiuse il finestrino cercando di non far male a nessuno. Io intanto me ne stavo a testa bassa senza sapere che fare di fronte a tutti gli sguardi che erano un misto tra curiosità e ripugnanza. Mi sentii il mondo contro ed il problema è che era proprio così.

«E questa è fatta.», Harry mi diede una piccola pacca sulla coscia come per incoraggiarmi e io gli sorrisi.
Mentre percorrevamo una di quelle grandi strade che avevo sempre visto soltanto nei film me ne stavo con naso schiacciato al finestrino, come una bambina davanti ad una vetrina di un negozio di giocattoli. «Dove mi porti?»
«Sorpresa.»
Sbuffai. Col tempo avevo imparato a non discutere con lui. Dopo una mezz'oretta abbondante arrivammo in un grande parcheggio affianco ad una strana struttura sviluppata su più piani, con grandi insegne e decine di vetrine. «Mi vuoi spiegare dove diavolo siamo?», chiesi spazientita.
Tacque ancora, così mi arresi definitivamente. Parcheggiò ed entrambi scendemmo, guardandoci intorno: io cercavo invano di capire dove fossimo, lui per vedere se eravamo ancora tenuti sotto d'occhio, il che era molto probabile.
Quando fummo di fronte ad un'enorme entrata, Harry esordì: «Becky, questo è un mall
«Un che?»
«Un mall. E' un grande centro commerciale, dove la gente passa anche giornate intere. Qui non ci sono molti negozi ai lati delle strade, come avrai visto, ci sono questi spazi dove ci si può dare alla pazza gioia.»
«Un paradiso...», commentai senza smettere di scrutare ogni angolo di quel posto. Varcata la soglia, ci trovammo in una specie di grande sala circolare piena di scale mobili, bar, negozi di ogni genere. La gente girava tranquilla, con borse tra le mani e bicchieri di caffè americano pieni fino all'orlo. Mi avvicinai alla vetrina di un negozio vintage che aveva attirato la mia attenzione.
«Diamo un occhio?», mi propose.
Annuii entusiasta ed entrammo. C'erano vestiti singolari, occhiali mai visti prima, valigette anni '60 e manifesti pubblicitari ingialliti. Adocchiai, su un manichino, un abito di pizzo panna vecchio stile. Presi l'orlo della gonna e lo guardai per bene, per poi chiedere alla commessa se lo potevo provare. Mi porse l'abito ed andai in camerino a provarlo. Sistemai la sottogonna ed uscii per guardarmi meglio. Harry mi scrutò attentamente e si rivolse alla commessa: «Signorina, qualcosa per completare il tutto?»
«Certamente.», la donna fece un giretto per il negozio e tornò con una serie di accessori. Mi chiese cortesemente di legarmi i capelli, così mi feci uno chignon un po' spettinato. La donna prese una bandana blu notte e, dopo avermi chiesto il permesso, me la mise sui capelli stringendo un nodo appena sopra il capo. Mi fece poi indossare una collana di perle ed un paio di occhiali da sole anni 60; infine mi porse delle decollete e una borsetta a tracolla con una cinghia di cuoio, che misi sulla spalla. «Ecco qui.», disse alla fine con le mani intrecciate tra loro.
Mi divertii a vedermi in vesti di ragazza anni '60, lo trovavo estremamente sexy. «Mi piace da matti.», risi.
«Sei uno schianto.», commentò Harry, anch'egli divertito.
«Volete che scatti una foto?»
Esitai, ma Harry mi precedette: «Certo, grazie.», si mise in disparte con le mani in tasca mentre la commessa prese la sua polaroid e mi chiese di mettermi in posa per scattare.
Mi sfilai gli occhiali per vedere la fotografia che era magicamente uscita dalla macchina e che era ancora un po' sbiadita. «E' fantastico, non avrei mai creduto di star bene con questi abiti indosso.»
«Prendiamo tutto.», disse Harry entusiasta.
«Eh?! Io... io non so se le metterò queste cose, non so se ne avrò l'occasione.»
«Qualche cosa troveremo.», mi fece l'occhiolino, «Volevi guardare qualcos'altro?»
«Oh no, no... va benissimo così.», sorrisi.
«Su, va' a cambiarti.»
Aveva deciso di viziarmi per il giorno del mio compleanno. Ma non volevo che pensasse che io approfittavo del suo denaro. Avevo già insistito sul fatto di pagare con i miei soldi lo shopping ed eravamo finiti con il litigare. Decisi di lasciarmi coccolare soltanto per il giorno del mio compleanno.
Mi rimisi i miei abiti ed uscimmo dal negozio.

«Non riuscirai a viziarmi in questo modo ancora per molto.»
«Questo lo dici tu. Sono cresciuto con due donne in casa, credi che non io non sappia come prenderti? Perciò, oggi comando io e se decido che voglio viziarti ti vizio.», mi prese di nuovo per mano e io restai alquanto interdetta. Aver ragione con lui era una sfida.
Mentre passeggiavamo per le gallerie del mall, ad un tratto si sentirono dei passi pesanti alle nostre spalle ed un vociare confuso. Entrambi ci voltammo, trovandoci davanti a cinque o sei adolescenti scalpitanti. Mi feci da parte per lasciare spazio a foto ed autografi. Harry però mi prese per il polso e mi fece restare con lui; fu questione di un istante, ma in quel piccolissimo arco di tempo mi sentii così importante per lui, così sua. Le ragazzine mi guardarono dapprima con aria un po' infastidita, ma poi una di loro si avvicinò a me: «Ciao, tu sei Becky non è vero?»
«Sì.», sorrisi.
«Posso fare una foto con te?», mi chiese.
«Oh certo.»
La ragazza prese il suo iPhone e scattò una foto, dopo essersi accostata a me. «Grazie mille.»
«Di nulla.», risposi. Anche le sue amiche vollero fare lo stesso, sebbene io sapessi che non era tanto perché provavano simpatia verso di me, ma per dire “ho visto la fidanzata di Harry Styles”. Già, io non ero Becky Greene, ma semplicemente la ragazza di qualcun'altro.
Intanto guardavano Harry e scambiavano qualche parola con lui. «Il mio sogno è diventato realtà. Sei la mia ragione di vita, te lo giuro.», diceva una asciugandosi le lacrime. Harry la abbracciò: «Tesoro, non piangere, mi mette tristezza.».
Sciolsero l'abbraccio e arrivò il momento si salutarsi, anche se mi resi conto che per loro non fu facile.
«Mi dispiace.», Harry mi circondò le spalle con il braccio.
«Di che cosa?», lo guardai in viso.
«Che tu debba sopportare tutto questo.», lui evitò il mio sguardo.
«Smettila.»
«Di fare?»
«Di ripetere sempre le stesse cose. Come te lo devo dire che va bene così?»
«Sei testarda.»
«Tu sei testardo.»
Si arrese e sbuffò con un sorriso: «Donne.»
Gli tirai una pacca sulla nuca: «Zitto.»
Dopo essere saliti su una delle numerose scale mobili, arrivammo nell'area est. Il negozio di cosmetici della Mac attrasse la mia attenzione: «Addio.», accelerai il passo e mi fiondai dentro a quel paradiso. Come misi piede dentro, cinque commesse si avventarono su di me: «Ciao, come posso esserti utile?», «Stai cercando qualcosa in particolare?», «Accomodati pure!».
«Intanto do solo un'occhiata, grazie.», cercai di essere cortese. Feci un giro, fino ad avere il piccolo cestino apposito riempito per metà. Guardai Harry fuori dal negozio a braccia conserte e risi nel vedere la sua espressione. Non sarebbe mai entrato, a meno che... mi diressi alla cassa: «Prendo queste cose qui.»
«Certo.», disse la commessa. Poi con voce squillante, esclamò: «Possiamo proporti anche...»
La interruppi: «Va bene così, grazie.», mi stava togliendo l'anima.
«Sono settantatrè dollari e trentacinque centesimi.»
Non appena misi la mano in borsa per prendere il portafogli, mi trovai Harry affianco con la carta di credito in mano: «Tenga.», la porse alla ragazza.
Scoppiai a ridere: «Fregato.»
«Maledetta.»
Gli schioccai un bacio: «Sto imparando, eh?»
Fece finta di niente, poi, terminato il pagamento, rimise la carta nel portafogli e, dopo aver ringraziato, si voltò per uscire dall'inferno (o paradiso).

Vidi un negozio di scarpe che sembrava proprio fare al caso di Harry. «Amore guarda lì, che dici?»
Indicai la vetrina. Mi guardò truce nascondendo un sorriso: «Qualche riferimento alle mie scarpe?»
Guardai ai suoi piedi degli stivaletti del dopo guerra di sette numeri più grandi del suo: «Assolutamente no, tesoro.», cercai di non ridere.
«Non starai mica criticando le mie scarpe.»
Non riuscii a trattenermi e scoppiai in una fragorosa risata: «Figurarsi, cosa te lo fa pensare non lo so.»
Si unì anche lui: «Che fai, sfotti?», chiese stringendomi a sé entrando nel negozio.
«Non potrei mai capo.», gli presi il viso con una mano e gli schioccai un bacio sulla guancia.
Ci guardammo intorno: «Beh consigliami tu allora.», disse.
«Non credo tu condivida la mia idea.», storsi il naso.
«Tu dimmela.», si strinse nelle spalle.
Mi avvicinai con la bocca al suo orecchio e quasi sottovoce gli confidai: «Te le ricordi le tue vecchie amate Converse bianche?»
Annuì passandosi la lingua tra le labbra.
«Mi mancano da impazzire.»
Mi sorrise svelando le sue fossette mozzafiato: «Dici davvero?»
«Sì.»
Diede un occhio ai suoi piedi, poi alla parete sulla quale erano poste le sneakers. «Se desideri questo, ti farò felice.». Si rivolse alla commessa chiedendo di provare un 10,5 delle All Star bianche. Quando se le provò si mise davanti allo specchio e si guardò: «Mi fa un effetto strano.»
Lo abbracciai appoggiando la testa sulla sua spalla e mi vennero in mente quei giorni, a scuola, quando passavo le ore a pensare a lui, quando lo guardavo all'intervallo, persa, e quando andavo nella panetteria per vederlo. Pensai poi a quando se n'era andato via e la mia vita, come la sua, era cambiata. Era molto diverso da quando aveva sedici anni, il viso più paffuto, quei riccioli sulla fronte e il fisico ancora da bambino. Mi accorsi che una lacrima era scesa dalla mia guancia e me la asciugai in fretta. Anche Harry lo notò: «Ehi ehi...», sentii il suo petto vibrare in una tenera risata mentre mi stringeva a sé: «Che c'è, stellina?»
Sorrisi: «Niente, un attimo di nostalgia. Tutto qui.»
Mi accarezzò la guancia e si chinò per mettere gli stivaletti nella scatola delle Converse: «Le dispiace se le tengo già addosso?»
«Assolutamente. Mi dia pure la scatola.», rispose la donna.
Harry andò a pagare e io lo aspettai fuori dal negozio, quando lo vidi con le scarpe nuove sentii un espressione di gioia comparire sul mio viso: «E' incredibile.», mi portai le mani alle guance.
Mi premette un piccolo bacio sulla fronte: «Io sono sempre lo stesso Harry di Holmes Chapel. E non sarà di certo la fama a fare di me un uomo diverso.»
Si accorse che mi ero irrigidita alla parola 'uomo', come fece non lo so. «Uomo fuori, uomo per etica e principi. Ma ancora bambino dentro, Becky.»
Lo strinsi fortissimo: «Meno male.»

Continuammo a girare per il mall con sacchetti e sacchettini di ogni genere tra le mani. Incontrammo ancora qualche fan, ma ogni volta mi ci abituavo sempre di più. Non mi dava eccessivamente fastidio, dovevo soltanto prenderci la mano. Alcune mi guardavano con disprezzo, altre erano addirittura dolci e la cosa mi rincuorò. Si erano fatte quasi le undici, così decidemmo di lasciare il centro commerciale. «Allora ti è piaciuto?», mi chiese Harry mentre apriva il bagagliaio dell'auto per riporvi le buste.
Lo guardai sbigottita: «Piaciuto?! Questo è un paradiso.»
Rise: «Su, monta in macchina, che il paradiso te lo mostro io adesso.»
Lo guardai interdetta e dopo un attimo scoppiai a ridere.
Harry scrollò il capo sorridendo: «Sei pessima. Insomma, i bambini di tredici anni trovano doppisensi ovunque, non...!»
Non smettevo di ridere: «Scusami ma me l'hai servita sul piatto d'argento.»
Sospirò con un sorriso: «Sali, stupida. Ti porto in una meraviglia di posto, così chissà che ti distrai.»
Ubbidii e me ne stessi buona buona sul sedile dell'auto.

Attraversammo lunghe strade dalla linea convessa affiancate da palme sottili e slanciate, semafori e cartelli gialli. Nel cielo splendeva un sole caldo e non c'era una sola nuvola.
«Guarda lì.», Harry mi indicò la collina davanti a noi. Diedi un occhio e mi accorsi della famosa scritta bianca “Hollywood”. «Oddio non ci credo...», dissi con stupore.
«Ti porterò lì. Proprio vicina vicina.»
«Che cosa?!», lo guardai in viso.
«Te l'avevo detto che sarebbe stata una giornata speciale.», mi diede un piccolo buffetto sulla guancia con le dita. Harry sapeva sempre come sorprendermi. Mai nessuno aveva fatto tanto per me.
Ci volle un'ora buona perché arrivassimo nelle vicinanze della grande scritta e ad ogni chilometro diventava sempre più grande ai nostri occhi. Mi soffermai un attimo a pensare a come potevo aver avuto la fortuna di amare ed essere amata da una persona così sorprendente. Chi mai mi avrebbe potuto portare il quei posti e farmi vedere il mondo? Chi altro mi avrebbe potuta far sentire così importante come sapeva fare lui?
Harry parcheggiò l'auto su uno spiazzo sterrato e mi fece scendere. Appena misi piede per terra feci per guardarmi intorno, ma lui me lo impedì facendomi voltare verso la collina. «Ehi... siamo in paradiso e tu nemmeno mi fai guardare?», protestai.
«Quando ti sei fidata di me, ti ho mai delusa?»
«Ehm... no.»
«Benissimo, allora salta su.»
Non obbiettai, gli salii in groppa e chiusi gli occhi. «Tu sei tutto matto.»
Sentii la sua schiena vibrare in una lieve risata complice. I suoi passi pesanti scesero degli scalini udii un «Ciao Greg.», poi il cigolio di – presumetti – un cancello di ferro e un «A voi.» di una voce di uomo. «Grazie infinite.», disse Harry.
«Di nulla amico. Quando vuoi... basta solo che rimanga tra noi.», rise l'uomo.
Harry avanzò ancora di qualche metro verso il basso mi posò a terra. «Mi dispiace tesoro ma ond'evitare che precipiti giù devi guardare dove metti i piedi.»
Quando aprii gli occhi mi trovai davanti ad un'enorme impalcatura nella quale vi erano degli scalini. «Seguimi.», mi disse.
Annuii e iniziammo a salire gli scalini facendo ben attenzione. Dopo un po' giungemmo su una specie di piattaforma. Guardai prima davanti a me, poi in alto. Una sorta di finestra alta circa dieci metri ed ovale faceva da cornice allo splendido panorama di Los Angeles. «Su, siedi qui.», entrambi prendemmo posto con le gambe a penzoloni fuori dalla “finestra”, ma solo quando mi sporgetti un po' in avanti e guardai ai miei lati mi resi conto di dove fossimo. Eravamo seduti sulla “o” della scritta “Hollywood”. Mi portai la mano alla bocca e mi mancò il fiato, non smettendo di guardare la vasta pianura che man mano diventava più annebbiata, anche se erano ben visibili i grattacieli del centro di Los Angeles. Guardai poi Harry: «I-io non ci posso credere. D-davvero, non...», non sapevo che dire. Lui mi abbracciò: «Dici che sto riuscendo nel mio intento di rendere questo giorno indimenticabile?»
«Sta' zitto, presuntuoso che non sei altro.», gli presi il viso tra le mani e ci baciammo. Quante coppie avevano avuto l'occasione incredibile di baciarsi seduti su una lettera della scritta “Hollywood”? Non c'era davvero parola o gesto che potesse ricambiare quella sorpresa magnifica. Mi sentivo così debole sapendo che io mai e poi mai avrei potuto stupirlo come lui stupiva me in ogni cosa che faceva. Quell'ora che passammo stretti l'una con l'altro a parlare di noi, a ridere, a baciarci e a guardarci intorno fu la più bizzarra e bella che potesse regalarmi.

Fu difficile farmi venire via da quel posto, ma come sempre mi affidai ad Harry e ne valse la pena. Quel pomeriggio mi portò sulla spiaggia di Malibu a respirare un po' d'aria di mare e a prendere il sole. Tutto era così inconcepibilmente perfetto... La sabbia, il caldo, l'acqua... e lui. Lui, che amavo più di me stessa, che se fosse sparito avrei potuto anche morire. Quello fu il compleanno più speciale della mia vita e so che non posso spiegarlo con qualche parola, ma credo che chiunque pagherebbe per uno sfizio così.

Tornammo a casa non troppo tardi, sulle sei del pomeriggio. Harry aveva detto che mi doveva portare a cena in un posto magnifico, anche se io mi chiedevo come fosse possibile che fosse alla portata di ciò che avevo passato le ore prima.


Spazio Autore: scusatemi infinitamente per il ritardo ma ho avuto dei problemi e come vedete il capitolo è molto lungo. non so se ci sia ancora qualcuno che la voglia leggere.. in caso contrario vi invito a recensire! grazie xx
  
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