Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Swindle    01/02/2014    4 recensioni
Sherlock è sparito e nessuno sa che fine abbia fatto. Quando ricompare, non è più lo stesso di prima, e John, Mycroft e tutte le persone che tengono a lui dovranno inoltrarsi nel suo Mind Palace per ricostruire l'enorme caso degli ultimi cinque mesi, quello che iniziò con Moriarty e il suo "miss me?", per capire cosa gli sia successo, chi ci sia dietro a tutti quei crimini e al redivivo Moriarty, e poter così salvare Sherlock... anche da se stesso.
[Dal cap. 4]: "The truth hurts, my deary, but this truth... Verity will burn you whole."
Post 3^ series.
Genere: Azione, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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Eccoci!

Innanzitutto, grazie mille a chi ha letto, commentato, inserito nelle seguite/ricordate/preferite *.*

Questo è il primo vero capitolo. Doveva essere mooolto più lungo, ma alla fine ho deciso di dividerlo, non voglio avere i problemi di vista di nessuno sulla coscienza. u.u

E poi ci sono già un bel po’ di informazioni da assimilare, qui. Vi avverto, ci sono anche molte note.

Ho interrotto proprio dove sarebbe iniziato un altro POV, che quindi comincerà dal prossimo capitolo (ma ho lasciato lo stesso i *** al fondo).

Fatemi sapere se i flashback vi fanno venire troppo il mal di mare!

See you soon. ;)

 













 

A Case of Identity [1] - I parte

 

 

 

« No, Mary, tu non capisci. Non hai visto, non hai sentito. »

John è sul divano di casa, i gomiti sulle ginocchia e la testa nascosta fra le mani. È pomeriggio inoltrato, ormai, ma al dottore sembrano passati giorni e giorni da quando solo quella mattina era teso per la scomparsa di Sherlock.

« Aiutami a capire, allora. » dice Mary dolcemente, prendendo una mano dell'uomo fra le sue.

John si lascia sfuggire un gemito sconfortato. "Come posso farti capire, se non comprendo nemmeno io?" si chiede.

Le sue orecchie sono colme di quella voce profonda e baritonale, un suono che mai John avrebbe creduto di poter sentire uscire da quella bocca, quell'urlo di pura paura, il gemito di un animale braccato. E il suo sguardo è ancora pieno della figura fragile del suo amico che serrava gli occhi, si metteva le mani sulle orecchie, e cominciava a dondolarsi avanti e indietro, le labbra tremanti in un sussurro che il dottore aveva faticato a sentire, ma che ora preferirebbe non conoscere "Vai via" aveva ripetuto in una lunga litania, "Va' via".

Era stato uno shock: aveva già visto Sherlock spaventato, pieno di dubbi, quella volta a Baskerville, o distrutto, su quel cornicione del Barts [2]. Ma quello… quello non era il suo migliore amico, non era lo Sherlock Holmes che aveva imparato a conoscere, e questa volta non c'era alcuna speranza che stesse fingendo.

John all'inizio aveva cercato di avvicinarsi, confuso, cercando di rassicurarlo, di dirgli "Sono io, Sherlock. Sono John." Ma il detective non aveva accennato a smettere, e quando il medico gli era arrivato tanto vicino da poterlo sfiorare, Sherlock aveva sussultato e si era ritratto ancora di più, urlando un più forte "Va' via, vattene!"

John si era gelato sul posto, mentre la sua mente registrava quel comportamento, e una vocina da qualche angolo recesso della sua mente lo sbeffeggiava "Ecco, John, cos'è che dicevi? Qualunque cosa sarebbe andata bene, purchè lui fosse vivo? Sarai contento, ora."

E quella voce, per quanto ironica, aveva ragione: si era aspettato di tutto, tranne quello. Aveva continuato a fissarlo, completamente inebetito, impotente, ferito, finché non aveva sentito una mano sulla spalla, e si era lasciato condurre via da Mycroft.

« Andiamo, raccontami dall'inizio. » la voce di Mary è calda e piena di rassicurazione, mentre gli fa una leggera carezza sul viso.

E John, con quella sensazione di gelo nel petto che non vuole abbandonarlo, comincia a parlare.


 

Mycroft aveva chiuso la porta della camera dietro di loro, e aveva portato John in un'altra stanza. John si era reso conto che l'uomo non aveva lasciato la stretta sulla sua spalla fin quando non aveva fatto sedere il medico su una sedia.

« Un bicchiere d'acqua? » aveva chiesto pacato.

John aveva alzato occhi vacui su di lui, aveva dato un'occhiata intorno, mentre il cervello registrava di trovarsi in una cucina ben arredata, priva della ricercatezza propria di quel palazzo, nonostante anche lì fosse tutto candido, un bianco che stava iniziando ad abbacinare John e a metterlo a disagio.

« Credo mi ci voglia qualcosa di più forte. » era riuscito a dire, dopo aver deglutito un paio di volte.

« Scotch, allora? » aveva proposto, senza scomporsi.

John aveva annuito, sorpreso che l'altro non avesse fatto qualche commento ironico, dopotutto non erano nemmeno le nove di mattina. Ma poi aveva visto che Mycroft aveva lasciato il suo fido ombrello in un angolo della cucina, e aveva capito che nessuno di loro due era in vena di scherzare.

La faccenda era seria.

Mycroft gli aveva passato il bicchiere pieno del liquore ambrato, e si era seduto stancamente davanti a lui. Per un breve attimo John aveva potuto intravedere l'uomo, il fratello, dietro la scorza di ghiaccio.

John aveva preso un sorso, sentendo la gola riarsa infiammarsi al passaggio della bevanda.

« Cosa…? » le parole gli erano morte in bocca. John non sapeva cosa chiedere. Cosa fosse successo a Sherlock? Perché avesse reagito così? I pensieri gli vorticavano nel cervello, senza che potesse guidarli verso una risoluzione.

Mycroft aveva scosso la testa. « Non lo so. » aveva risposto, senza tuttavia dargli una spiegazione.

John era sbottato in una risata bassa e senza calore, colma di ironia.

« Mycroft, andiamo. Tu, il Governo Inglese fatto uomo, più intelligente persino di Sherlock, che non ha nessuna idea? Non vuoi mica farmi credere di non aver dedotto nulla? »

Mycroft si era mosso impercettibilmente sulla sedia, le mani intorno sul bicchiere intarsiato. Aveva preso tempo, come se stesse valutando quanto e cosa dire, concedendosi un sorso di scotch, prima di rispondere.

« Non l'ho trovato io, John. È stato Wiggins. »

« Wiggins? » lo aveva interrotto perplesso, per poi collegare: Billy, il ragazzotto a cui John aveva quasi rotto un braccio, con quelle spiccate capacità di deduzione che avevano subito incuriosito Sherlock, e che poi aveva preso a seguire il detective come un cagnolino.

« A quanto pare mio fratello ha trovato qualcuno in cui rivedere se stesso. » aveva seccamente replicato Mycroft, allontanando lo sgradevole pensiero con un gesto stizzito della mano.

« L'ha trovato in quello stesso luogo dove hai conosciuto il ragazzo mesi fa, John. » aveva continuato con uno sguardo penetrante. John aveva spalancato gli occhi. Il fabbricato disabitato, se non dai tossici. Non l'avevano cercato lì.

« Vuoi dire che è…? » non aveva trovato la forza di finire la domanda.

« Sotto effetto di stupefacenti? » Mycroft aveva alzato un sopracciglio, lanciandogli un'eloquente occhiata.

« Oh dio. » era solo riuscito a mormorare il dottore, passandosi una mano sul volto. Era stato in quel buco dimenticato da qualunque divinità per tutto il tempo?

« No, John, non credo. » Mycroft aveva risposto alla sua silenziosa domanda.

Poi aveva sospirato: « Vieni. »

Il medico aveva appoggiato sul tavolo il bicchiere ormai vuoto e aveva seguito il maggiore degli Holmes fuori dalla cucina, poi di nuovo nell'ampio corridoio, e infine verso una porta sulla destra di quella oltre la quale stava Sherlock.

La nuova stanza era vuota e perfettamente normale, se non fosse stato per la parete sinistra, una grande vetrata che dava sulla camera di Sherlock. John poteva vederlo, ancora sdraiato sul suo letto, così come l'aveva lasciato diversi minuti prima. L'ex militare non aveva notato nessun vetro quando era entrato da Sherlock, quindi doveva essere una parete-specchio, come quelle usate per gli interrogatori.

John si era voltato a fissare l'altro con la bocca spalancata.

« Seriamente, Mycroft. Cosa diavolo combini in questa casa? »

L'interpellato aveva sbuffato, ignorando la domanda.

« Se ne accorgerà. » aveva continuato John « Voglio dire, Sherlock capirà che lo spii in questo modo. »

« Mio fratello non è in grado di fare molte deduzioni, per lo meno non adesso. » Mycroft aveva esitato per qualche secondo, « Osservalo, John. »

John aveva obbedito e si era avvicinato al vetro, deglutendo. Poteva vederlo bene, la testa reclinata all'indietro, le mani che tremavano, il petto che si alzava e si abbassava velocemente, la figura magra, le guance scavate. "Da quanto tempo non mangia?" si era chiesto. Era così strano, su quel letto, senza il suo solito cappotto, l'inseparabile sciarpa blu e il sorrisetto strafottente.

« Non appena Wiggins l'ha trovato mi ha fatto chiamare. Ho messo subito insieme un'equipe di medici che gli hanno prestato le prime cure. Non era in quel luogo di sua spontanea volontà, di questo sono sicuro. Qualcuno l'ha portato lì. »

John aveva sentito la voce di Mycroft affievolirsi, mentre l'uomo si avvicinava a lui, fino a fermarsi alle sue spalle. Mycroft aveva quindi iniziato a snocciolare frasi e deduzioni sempre più veloci in quel modo così tipicamente Holmes da far nascere un nodo alla gola al medico.

« Spasmi involontari; impossibilità a prendere sonno; svariate ustioni in tutto il corpo, alcune chiaramente provocate da scariche elettriche piuttosto che da diretto contatto con il fuoco; respirazione accelerata; difficoltà a creare pensieri logici; confusione; cicatrici di diverse entità, la maggior parte vecchie ferite riaperte di recente. Capitano John Watson, del Quinto Fucilieri Northumberland [3], immagino lei sappia di cosa stia parlando quando dico SERE [4], è esatto? » John si era voltato sorpreso, ma l'altro non gli aveva dato il tempo di ribattere, continuando con la sua filippica « Ora, è chiaro che mio fratello non si farebbe mettere in difficoltà da quisquilie come isolamento e dolore fisico, che di certo ha già provato in vita sua [5], quanto alla deprivazione del sonno, è già abituato ad auto-infliggersela quando ha la mente occupata da un caso, nonostante io creda che tredici giorni di insonnia possano piegare persino lui. Ma cosa mi dice della deprivazione sensoriale? Aggiunta anche alle fratture alle gambe, non curate, e ad altri tipi di supplizi che non credo di dover nominare. » "Ah, gambe rotte." aveva pensato stupidamente, mentre Mycroft faceva una pausa "Ecco perché Sherlock non si è ranicchiato tirandole a sé per allontanarsi da me." « Per un uomo come lui, per cui la mente, i sensi, e lo stare sempre in movimento sono tutto… crede che avrebbero potuto spezzarlo? » aveva finito con la domanda retorica.

Gli occhi di Mycroft fiammeggiavano, John non l'aveva mai visto uscire tanto dal suo rigido controllo, e per un attimo si era fatto piccolo sotto il suo sguardo.

« Sta- » aveva balbettato, la lingua impastata « Stai supponendo che sia stato torturato? »

« La mia non è affatto una supposizione. » aveva affermato « Ne sono certo. E non sono state solo torture fisiche. »

« Le droghe… » aveva provato a dire John; non riusciva a pensare in modo lucido.

« Certamente. Quelle che già non aveva in circolo prima, s'intende. Stupefacenti, allucinogeni, e chissà quali altri veleni. Non abbiamo potuto sedarlo per timore che qualcosa facesse reazione. Appena arriveranno i risultati degli esami del sangue, comunque, dovrebbero riuscire a trovare una soluzione. Tuttavia non credo che si potrà individuare, tra tutte le altre, qualche sostanza sospetta che ci potrebbe dare informazioni utili. »

John aveva lanciato un'altra occhiata a Sherlock, per poi distogliere subito lo sguardo, dando le spalle alla vetrata.

« Dolore e droghe sono state solo un mezzo per arrivare all'obiettivo, John. » aveva ripreso Mycroft, implacabile.

« Cosa vuoi dire? » aveva chiesto, aggrottando le sopracciglia.

« La sua mente, miravano alla sua mente. » aveva spiegato.

Qualcosa si era acceso nella mente di John.

« Vuoi dire che… il trauma… ha perso la memoria? »

Il volto di Mycroft si era aperto in un sorriso triste, e John aveva temuto la risposta. "Sto davvero sperando che Sherlock non abbia più i suoi ricordi e non sia in grado di riconoscermi?" si era rimproverato.

« No, John. Sarebbe stato più semplice, molto di più in effetti, invece… »

L'uomo aveva chiuso per un attimo gli occhi, le dita che correvano a massaggiare la radice del naso, mentre l'uomo rifletteva.

« La prima cosa che ho cercato di fare è stato valutare la sua attività mentale. Nonostante le sue condizioni fisiche e lo stato confusionale in cui versava, ha avuto precise reazioni a ogni domanda che gli ho posto, a ogni nome che ho pronunciato. E non ha agito affatto come mi aspettavo. »

Mycroft aveva alzato gli occhi su John, e il medico non avrebbe saputo dire se la sua espressione compassionevole fosse solo indirizzata a Sherlock.

« John, è inutile mentire a noi stessi. Sherlock mi ha riconosciuto perfettamente, e mi ha guardato come… non come sempre, con quella semplice rivalità fra fratelli, il suo astio andava ben al di là di questo. E con te, poco fa, quello non era il comportamento che si riserva a uno sconosciuto. Mio fratello aveva paura di te, anzi di più, un terrore profondo. »

Mycroft si era fermato, ma oramai era troppo tardi per non capire cosa gli volesse dire. John però aveva ugualmente bisogno di sentirlo pronunciare quelle parole.

« Cosa stai cercando di dirmi, Mycroft? » aveva dunque posto la domanda, in un sussurro strozzato.

« Che l'effetto che hai avuto su di lui ha confermato i miei sospetti. Chiunque l'abbia rapito è riuscito a entrare nella sua mente, a stravolgere il suo Mind Palace, a fargli dimenticare il mondo come lo conosceva, e a mettergli in testa idee e ricordi diversi, su di noi, su se stesso. Non è più il medesimo Sherlock Holmes. »

Quelle parole erano rimbombate nella sua testa come una condanna. Aveva chiuso gli occhi, deglutendo, e aveva allungato una mano per sostenersi alla parete, le gambe incapaci di reggerlo.

Pensare a uno Sherlock senza ricordi, o meglio, con memorie modificate, non reali, e senza più controllo sulla sua geniale mente era terribile. Assurdo. Impossibile.

Aveva sentito un leggero peso su una spalla, e aveva aperto gli occhi, trovandosi piegato in avanti, le mani appoggiate alle ginocchia, e Mycroft davanti a sé, sporto verso di lui. Aveva sbattuto un paio di volte le palpebre: le sue reminescenze da soldato avevano impedito al suo corpo di scivolare lungo il muro, nonostante sentisse che la sua mente aveva ormai perso l'equilibrio.

« Non sarò legato a mio fratello quanto te, John, ma lo conosco da tutta la sua vita. E avevo notato quanto questo caso lo stesse sopraffacendo, ma non ho fatto nulla. Ancora una volta. Finirà mai la mia lista di errori? »

Il sorriso che aveva fatto voleva essere di scherno, ma John aveva potuto vedere il dolore dietro al tentativo di alleggerire l'atmosfera. Mycroft si stava colpevolizzando, ma il medico non era da meno. Anche lui non era riuscito ad aiutarlo, anzi, non aveva fatto proprio nulla.

L'uomo davanti a lui si era raddrizzato all'improvviso, si era scosso e lisciato l'abito, ed era tornato a riassumere la sua espressione glaciale. John aveva sentito infrangere in mille pezzi l'intimità che avevano condiviso in quei momenti di sconforto.

« Bene. » aveva commentato il maggiore degli Holmes « Ho un piano da mettere a punto, e non si realizzerà di certo da solo. Inoltre devo prepararmi il discorso per mia madre. Non sarà per nulla felice di tutta questa situazione. Chissà se il film di 'Les Misérables' [6] la rabbonirà. »

John era riuscito a rivolgergli un mezzo sorriso stanco, ma quando l'uomo era quasi giunto alla porta della stanza, l'aveva fermato, chiamandolo.

« Sì? » si era voltato appena.

« Posso… posso rimanere ancora un po' qui? »

Mycroft l'aveva fissato, e questa volta la pietà che aveva visto sul suo viso era tutta per lui.

« Certo. Ma… non entrare nella sua camera. Non sarebbe un bene. Per nessuno dei due. »

Detto questo, il maggiore degli Holmes era sparito in un fruscio di vestiti.

John aveva sentito spezzarsi qualcosa in lui, come in tutte le volte in cui Sherlock era stato in pericolo di vita. Ora non lo era, ma il medico non poteva fare a meno di sentirsi allo stesso modo. Come un peso sullo stomaco, una nebbia nel cervello.

Sherlock aveva subito qualcosa di tremendo, come avrebbero potuto riportarlo indietro?

« Oh, my God [7]. » aveva mormorato, distrutto, massaggiandosi le tempie.

Poi aveva preso un respiro profondo, si era rialzato, e aveva percorso la stanza in lunghe falcate, cercando di ritornare in sé, nel composto ex capitano dalla camminata rigida.

Quando era stato sicuro di essere di nuovo se stesso, si era seduto davanti alla vetrata, passando le successive ore a guardare il via vai del team di medici intorno al letto di Sherlock, senza tuttavia vederlo davvero.


 

Non appena John finisce di parlare, si accorge di avere bocca e gola completamente secche, e di aver raccontato in tono atono, distante. A volte il suo animo da militare guida il suo corpo senza che se ne renda conto, a volte pensa di essere lui la macchina, piuttosto che Sherlock.

Mary gli prende la tazza vuota di tè dalle mani - quando l'ha bevuto? - per poi stringerle fra le sue. La donna ha gli occhi lucidi, e il medico la guarda perplesso, come se si fosse dimenticato della sua presenza lì.

« Tesoro, mi dispiace tanto… » sussurra « Deve essere stato orrendo. »

« Orrendo? » chiede, stupendosi di come la sua stessa voce suoni vuota, « Orrendo è stato vedere le lacrime di Sherlock e il mio migliore amico suicidarsi davanti ai miei occhi senza che potessi fare nulla; orrendo è stato essere sotto quel falò e sentire il fumo e le fiamme farsi sempre più vicine; orrendo è stato scoprire che mia moglie mi aveva sempre mentito ed aveva sparato al mio amico più caro, ma questo… i suoi occhi, Mary, quei maledetti occhi chiari accesi da un'angoscia e un orrore che… e io - io… » si interrompe, balbetta, passa la lingua sulle labbra « Lui guardava me con quell'espressione, era colpa mia, aveva paura di me. Paura, Mary. »

Si fissano, e Mary capisce quanto John sia angosciato, quanto gli abbia fatto male vedere il suo migliore amico in quelle condizioni. "Perché, perché ha paura di me?" sembrano chiederle i suoi occhi.

Lo abbraccia di slancio, e John si lascia accarezzare i capelli castani, si appoggia al suo petto, il respiro accelerato, anche se la moglie sa che non verserà una lacrima, né null'altro di simile.

« Andiamo a letto, ti va? » gli propone dopo lunghi minuti.

John gira lo sguardo verso la finestra. È buio fuori, non è ancora notte, ma deve aver parlato a lungo.

« Emy? » chiede con voce fiacca.

« È di là nella sua culla. Dorme per ora, anche se si sveglierà per la poppata. Ma possiamo stare sul letto a riposare anche con lei… »

Improvvisamente John sente tutta la stanchezza accumulata in quella giornata, e ancora prima, riversarglisi addosso, e spandersi per ogni muscolo, in ogni vena. Ed è talmente pesante che quasi boccheggia per lo stordimento.

« Sì. » riesce a mormorare « Sì, andiamo. »


 

John apre gli occhi, volta la testa e individua il suono che l'ha svegliato: il cellulare. Un messaggio, per la precisione, perché questa volta ha messo la suoneria al massimo. Sa già di chi si tratti.

Lo afferra e legge la frase: MyFair, sai dove, entrambi, ora. MH

Sbuffa, cominciando a schiacciare la risposta sui tasti. Mary si sveglia in quel momento, stropicciandosi gli occhi.

« È Mycroft? » chiede.

« Yep. »

La donna si sporge per vedere lo scambio di messaggi, e legge ciò che il marito ha appena scritto: Arriviamo.

« Meno male che è domenica. » commenta ironica, prima di scostare le coperte e alzarsi.


 

Otto persone in una stanza, intorno allo stesso tavolo: Mrs. Hudson, il volto preoccupato, a stringere la borsetta tenuta in grembo; Greg Lestrade, le mani sullo schienale della sedia davanti a lui e il capo incassato fra le spalle; Molly Hooper, seduta a braccia conserte, gli occhi che saettano per la stanza e i denti a torturare il labbro inferiore; Anderson, svaccato sulla propria sedia, lo sguardo rivolto al soffitto; Bill Wiggins, appoggiato a un muro, con le mani affondate nelle tasche e l'espressione svogliata; Anthea, sullo stipite della porta, l'attenzione rivolta inevitabilmente al suo Blackberry; Mary Morstan, le gambe accavallate e una mano a correre nervosa tra i capelli; e infine John Watson, rigido sull'attenti, i pugni stretti lungo i fianchi, a chiedersi che diavolo ci faccia lì.

Sono stati gli ultimi ad arrivare, lui e Mary - hanno dovuto aspettare la baby sitter per Emily - e a giudicare dai volti tesi dei presenti, devono essere passati a trovare Sherlock, e nessuno di loro sembra aver avuto molta più fortuna di Jhon.

In meno di ventiquattro ore l'appartamento sembra completamente rivoluzionato: entrando, si sono imbattuti in dozzine tra medici, infermieri, scienziati, ricercatori, informatici, agenti del governo e dei servizi segreti, e chissà cos'altro. John è riuscito a sbirciare in alcune delle stanze, trovandole piene o di apparecchi ospedalieri o di computer e grossi schermi.

Sembra che Mycroft abbia traslocato lì dentro i propri uffici e interi reparti del Barts. E meno male che non voleva rendere la cosa pubblica. Ma pensandoci devono essere uomini di Mycroft, e aver tutti firmato un accordo di segretezza o qualcosa del genere.

Le uniche stanze a essere state lasciate a grandi linee com'erano sono quella in cui riposa Sherlock, e le due ai suoi lati: quella sulla destra con la grande vetrata e quella sulla sinistra, dove si trovano loro in quel momento, del tutto spoglia ad eccezione del tavolo e delle sedie al centro, e di un'enorme bacheca a occupare una delle pareti.

In quel momento entra Mycroft, solito ombrello alla mano, interrompendo le elucubrazioni del dottore.

Anthea chiude la porta dietro di lui e per una volta posa il cellulare nella tasca, con gran sorpresa di John.

Mycroft invita tutti con un sorriso a sedersi, e John, Greg e Billy, le uniche persone in piedi a parte Anthea, prendono posto intorno al tavolo. Il maggiore degli Holmes si pone a capotavola, accomodandosi con eleganza.

« Credo sappiate tutti il motivo per cui siete qui. » esordisce serio « Perciò andrò subito al sodo. »

E John, mentalmente, lo ringrazia: non crede di poter sopportare un'altra conversazione come quella del giorno precedente.

« Sherlock è stato ritrovato ieri, in condizioni di scarsa lucidità e notevole malessere fisico. Sono giunto alla conclusione che abbia subito torture, fisiche e psicologiche, ma soprattutto è stato sottoposto a un trattamento di manipolazione e controllo mentale, ovvero - »

« Aspetti un attimo. » lo interrompe stupefatto Anderson, tirandosi più su sulla sedia « Non vorrà farci credere che gli è stato fatto il lavaggio del cervello?! »

Mycroft gli scocca un'occhiata sotto la quale John si sarebbe sentito incenerito all'istante.

« Non esistono queste stupidaggini, sono robe da film e favolette! » rincara la dose il capo della scientifica.

John lo guarda alzando un sopracciglio, chiedendosi quanto davvero possa essere idiota quell'uomo.

« Dottor Anderson. » replica Mycroft, la voce pacata ma tagliente, « Sta per caso cercando di mettere in dubbio la mia autorevolezza? Lei è qui solo per mia intercessione, per provare una teoria e fare da contrappeso alle persone di cui veramente mio fratello si interessa. Non vorrei doverle ricordare le promesse » e qui John capisce dal suo tono che per "promesse" intende "minacce" « che le ho fatto non molto tempo fa, e che sono preparato a mettere in atto in qualsiasi momento [8]. »

Mycroft finisce con un sorriso fintamente cordiale, mentre Anderson si agita a disagio, pallido in volto.

« Posso contare sul fatto di non essere più interrotto? » chiede il maggiore degli Holmes.

Anderson fa un cenno con la testa, con l'espressione di chi non parlerà più per il resto della vita.

« Molto bene. Come stavo dicendo, per quanto mi riguarda potete chiamarlo come volete: lavaggio del cervello, controllo mentale; la realtà è che qualcuno è riuscito a entrare nel Mind Palace di mio fratello e a modificarlo a suo piacimento. E non ci sono dubbi in proposito, se consideriamo il fatto che Sherlock non ricordi più Mrs. Hudson, che eppure aveva quasi più a cuore di nostra madre stessa, » l'anziana signora ha lo sguardo affranto e sembra sul punto di scoppiare a piangere, « o se prendiamo in esame la strana reazione che ha avuto con la signorina Hooper, con la quale non ho ben compreso quali trascorsi creda di aver avuto, » la patologa arrosisce all'istante, abbassando gli occhi, « o il comportamento assurdo verso John, e il discorso di mio fratello come suo testimone di nozze è una prova più che sufficiente ad attestare quanto tenga a lui. »

Mycroft si interrompe, facendo schioccare lievemente la lingua tra le labbra, mentre il silenzio è ormai assoluto intorno a lui. Poi sospira e riprende.

« Ciò che voglio dire è che in questo momento non è lo Sherlock che noi tutti conosciamo. E anche se mio fratello è un narcisista egocentrico e idiota, » e John sobbalza, sentendo Mycroft descriverlo in questo modo « non sono affatto certo che questa sua nuova versione sia migliore della precedente. Inoltre, la mia supposizione è che la persona che l'ha rapito e gli ha fatto questo sia la stessa dietro al redivivo Moriarty, la stessa che ha tenuto in scacco Londra negli ultimi mesi, e in tutta sincerità non vedo come potrebbe essere altrimenti, visto che solo una mente superiore sarebbe stata in grado di stravolgere il Mind Palace di Sherlock Holmes. »

Mycroft finisce, appoggiandosi indietro sullo schienale e intrecciando le dita delle mani davanti a sé. Nessuno fiata, tutti troppo concentrati ad assimilare le parole.

« Lei ha già un piano, non è vero signor Holmes? » alla fine è Lestrade a spezzare il silenzio.

Mycroft si esibisce in un sorrisetto compiaciuto.

« Non posso dire di conoscere con esattezza la mente di mio fratello, ma fui io a spiegargli le basi della tecnica da cui poi ha tratto il suo Mind Palace personale. Il mio parere è che stimolandolo nel modo corretto potremmo essere in grado di avviare un processo di autoguarigione, tramite il quale Sherlock potrebbe tornare al suo stato precedente. »

« E allo stesso tempo portarci dal colpevole della sua condizione nonché del caso degli ultimi mesi. » completa per lui Greg.

« Esatto. » annuisce soddisfatto il maggiore degli Holmes.

Anderson apre la bocca per dire la sua, ma si ferma a metà, come ricordandosi all'improvviso del suo proposito di mutismo. Aggrotta le sopracciglia e tace, mentre Mycroft lo guarda compiaciuto.

« E quale dovrebbe essere il nostro ruolo in tutto questo? » chiede Mary, dando voce alla domanda che sta frullando nelle teste di tutti i presenti.

« La ragione per cui vi ho convocati qui: ricostruire insieme il caso a causa del quale Sherlock è finito in questo problema. »

« Come? » chiede Molly, gli occhi grandi come palline da golf.

« Attraverso gli impulsi giusti. Innanzitutto, raccontandogli gli eventi in ordine cronologico, dove ognuno di voi interverrà nel momento in cui è stato partecipe o spettatore di qualche situazione inerente al caso. Voi siete le persone con cui ha più contatti e che più gli stanno a cuore, e questo potrebbe già essere sufficiente a guidare il suo cervello verso la giusta via. Anche se ovviamente il dottor Watson avrà l'onere più grande, essendo sempre stato al fianco di Sherlock. »

John prende un respiro profondo, evitando di incrociare lo sguardo con gli altri.

« E io che c'entro? » si inserisce nella discussione Billy.

Mycroft porta l'attenzione sul giovane.

« Tu sei quello che lo ha trovato, inoltre sei l'unico con il quale mio fratello non abbia avuto un comportamento diverso dal solito. Probabilmente il nostro caro Moriarty, o chi per lui, ha pensato non fossi rilevante. E questo è oltremodo interessante, perché tu nel corso di questi mesi hai aiutato mio fratello; scoprire come e quanto si ricordi di te potrebbe essere utile. »

Billy scrolla le spalle. « Come vuoi. » commenta.

« Posso dunque presumere di avere la vostra totale collaborazione? »

Diverse paia di occhi si scambiano sguardi perplessi o intimoriti, ma sembra che nessuno abbia intenzione di tirarsi indietro. Mycroft lo prende come una risposta affermativa, alzandosi.

« Ottimo. Ho programmato di iniziare fra tre giorni esatti. La mia assistente vi illustrerà i dettagli del piano e della tabella di marcia, potete rivolgervi a lei per qualsiasi cosa. »

Anthea si avvicina al tavolo, estraendo il Blackberry dalla tasca, mentre Mycroft saluta e fa per uscire dalla stanza. John scatta in piedi, seguendolo. È rimasto calmo per tutta la durata della conferenza, ma ora deve proprio dire la sua.

« Mycroft. » lo chiama « Aspetta, avrei bisogno di parlarti un attimo. »

Mycroft lo soppesa per un secondo con lo sguardo, prima di indicargli con un cenno la stanza con il vetro-specchio. John chiude la porta dietro di sé e si lascia sfuggire un sospiro, scompigliandosi i capelli con una mano.

« C'è una cosa che ti devo riferire. Normalmente non lo farei, ma… there is no usual in this case. [9] »

« Ti ascolto. » replica Mycroft, e John inizia il racconto.


 

Era stato all'incirca qualche giorno [10] dopo che Sherlock fu frettolosamente fatto rientrare dal suo esilio - non era nemmeno partito, in realtà - a causa del trambusto che aveva creato la faccia di Moriarty apparsa su tutti gli schermi della City.

John era passato al 221B, preoccupato che l'amico potesse fare qualcosa di stupido, durante l'attesa.

E infatti trovò Sherlock davanti alla finestra, con una sigaretta in mano.

« E-ehm. » si schiarì la gola, avvisandolo della sua presenza, nonostante non dubitasse che l'amico, seppur di spalle, ne fosse perfettamente consapevole.

« Accomodati pure, John. » disse solo, senza voltarsi e con un gesto incurante della mano.

« Si era detto niente più sigarette. » lo rimproverò il medico, andando a sedersi sul divano, visto che Sherlock doveva aver di nuovo buttato la sua poltrona da qualche parte.

« Si dicono tante cose. » replicò inespressivo.

« Moriarty? » chiese John con un sospiro, tentando di capire il motivo di quello sgarro.

Sherlock appoggiò la sigaretta alle labbra, aspirando una lunga boccata, prima di soffiare lentamente il fumo fuori dalla bocca, in eleganti volute che andarono a creare strani disegni sul soffitto.

Dio, era assurdo quanto potesse darsi delle arie anche solo con un semplice gesto come quello.

« Non esattamente. » replicò, andando a sedersi accanto a John.

E per qualche motivo quell'azione disse al medico che qualcosa di grave doveva star girando nella testa dell'amico. Erano rimasti in silenzio, solo seduti accanto, le spalle a sfiorarsi, fin quando la sigaretta si consumò del tutto.

« Ho fallito, John. » disse alla fine, in un sussurro.

John si voltò a guardarlo, e si ritrovò davanti occhi magnetici, oscurati da un'ombra di tormento.

« Cosa vuoi dire? » riuscì a chiedere, l'inquietudine che si faceva strada in lui.

« Con Magnussen. È l'uomo peggiore che io abbia mai conosciuto, e sono stato peggio di lui. »

John aggrottò le sopracciglia, senza riuscire a capire.

« È morto, Sherlock, non può più farci del male. » cercò di rassicurarlo.

« Hai ragione, l'ho ucciso io. Ma lui mi ha sconfitto. Non avevo mai ucciso qualcuno, John. »

"Oh. Quindi si tratta di questo." pensò il medico.

« Non sto dicendo che non lo rifarei. » si affrettò ad aggiungere il detective, interrompendo sul nascere l'obiezione di John, « Era l'unico modo per liberarci di lui, per salvarti… È solo che mi sono abbassato ad annientare il mio avversario fisicamente, perché sul piano mentale sono stato battuto su tutti i fronti. »

« Ma eri già stato superato, prima. » tentò di ironizzare il dottore « Con Irene Adler, con Moriarty… »

« Questa volta è stato diverso. » disse Sherlock, scuotendo i suoi riccioli scuri « Il mio cervello non ha potuto nulla, la mia intelligenza non è bastata, le mie abilità non mi hanno aiutato. Questo è stato peggio di dubitare nelle mie capacità. Io ho perso. »

John non seppe cosa dire per consolarlo, non riusciva nemmeno a capire del tutto quel discorso. Sherlock lo fissò, e John poté leggere nei suoi occhi grigioverdi tutto lo smarrimento, e forse anche qualcosa di più.

Poi Sherlock distolse lo sguardo e si alzò di scatto, allontanandosi da lui. Prese un'altra sigaretta e l'accese.

« Lascia stare, ignorami. Fai come se non avessi detto nulla. » dichiarò, e la questione fu chiusa.


 

« Allora non avevo capito, Mycroft, ma adesso mi è tutto chiaro. » commenta John, finito il resoconto.

« Sherlock stava cominciando a non credere più in se stesso. » chiarisce Mycroft, dopo un attimo di silenzio.

John non ha bisogno di dirgli di essere arrivato alla stessa conclusione.

« Che dici, è il caso di iniziare il racconto da questo avvenimento? » ironizza.

« No. Decisamente no. Non lo accetterebbe, nel migliore dei casi. »

E il medico non desidera per nulla sapere cosa succederebbe in quello peggiore.

« Credi davvero che funzionerà, Mycroft? » chiede invece dopo qualche secondo, in tono preoccupato.

« È la nostra unica opzione. »

John annuisce, determinato, poi gli porge la mano. Mycroft la osserva per un secondo, infine la stringe nella sua.

« Per Sherlock. » dice.

« Per Sherlock. » ripete.

 

***

 













 

Note:

 

[1] A case of identity: "Un caso di identità" è il titolo di un racconto di Doyle, presente nella raccolta "Le avventure di Sherlock Holmes", in cui il patrigno di una ricca ereditiera si traveste e cambia voce per trarre in inganno la ragazza, farla innamorare e poi lasciarla all'altare, così che per la delusione rimanga in casa. Episodio per altro già ripreso nella serie, durante "The Empty Hearse" (il patrigno scrive mail alla ragazza, fingendosi un giovane innamorato). Io ho preso solo il titolo, particolarmente adatto alla situazione di Sherlock nella ff e anche al… uhm… caso.

 

[2] A Baskerville: nella 2x02, quando Sherlock e John sono davanti al camino della locanda, e Sherlock è sconvolto perché crede di aver visto il mastino. Sul Barts: 2x03, ovviamente, non c'è bisogno che spieghi. xD

 

[3] Capitano del Quinto Fucilieri Northumberland: sono i gradi di John, che vengono nominati nella 2x02 prima di entrare nei laboratori di Baskerville, e ancora nella 3x02, durante il caso della giovane guardia reale.

 

[4] SERE: acronimo di "Survive, Evade, Resist, Extract", un programma usato dall'arma inglese per preparare i propri militari. Si tratta di tecniche volte ad insegnare le basi della sopravvivenza e del combattimento anche in territori ostili. È un addestramento molto duro, che contiene anche, fra le altre cose, pratiche non molto ortodosse per ottenere confessioni e estorcere informazioni al nemico. In una parola: moderne torture. Quelle che nomina subito dopo Mycroft sono alcuni degli esempi. Il programma ha un suo corrispettivo statunitense (Survival, Evasion, Resistance and Escape) che venne usato soprattutto durante la guerra in Vietnam. Sembra che intorno agli anni '90 questi programmi vennero abbandonati, o per lo meno la parte riguardante le torture, ma le informazioni sono discordi, e in ogni caso nessuna nazione ammetterà mai di addestrare i propri militari a tecniche tanto controverse. Qui ho supposto che, se anche John non sia stato addestrato in questo modo, abbia una conoscenza per lo meno teorica degli argomenti.

 

[5] Isolamento e dolore fisico: quando nella 3x01 ricompare Sherlock, lo troviamo legato e mezzo nudo con un tizio molto poco raccomandabile a prenderlo a pugni. Si intravedono ferite e cicatrici, e comunque non posso pensare che in due anni passati a smantellare l'enorme organizzazione criminale di Moriarty, Sherlock non sia finito in qualche situazione pericolosa e sia stato trattato come un prigioniero, o peggio.

 

[6] Les Misérables: in "The Empty Hearse", Mycroft è costretto a guardare l'opera de Les Mis, che lui odia, con i genitori. Se non ho capito male si tratta della sua versione teatrale. Da qui la sua battuta sul film (uscito nel 2012).

 

[7] O mio Dio: immaginatevela con l'intonazione e lo sguardo di John, quando nella 2x03 vede che Mrs. Hudson sta bene e non ha subito una ferita da arma da fuoco e capisce che Sherlock gli ha mentito per allontanarlo, e che qualcosa di brutto sta per accadere. Io lo immagino così.

 

[8] Minacce: Mycroft si riferisce alla scena della puntata 3x03, quando Anderson e altri volontari raccolti dal maggiore Holmes si recano a casa in Baker Street in cerca di droghe. Sherlock nomina Magnussen, e Mycroft minaccia sostanzialmente di scavare nelle loro vite e distruggerli se solo avessero riportato a qualcuno di aver sentito il nome dell'uomo in quella casa.

 

[9] "There is no usuale in this case": non c'è niente di usuale in questo caso. Citazione di John da "A Scandal in Belgravia" (scena in cui Irene rivela di essere ancora viva a Jhon).

 

[10] Ecco, aprirei un secondo una partentesi sulle tempistiche. Nella 3x03, Sherlock uccide Magnussen intorno a Natale, siccome sono a casa dei genitori Holmes a festeggiarlo, quindi ho supposto che il suo breve esilio e il video "miss me?" siano da collocare agli inizi di gennaio. Il matrimonio di John e Mary è stato a inizio agosto, come ci rivela il blog di John Watson (quello reale xD ), e Mary era già incinta nel primo trimeste. Perciò ho contato che la bambina nascerà in marzo, e ha più o meno due mesi nel presente della narrazione di questa fic, ambientata cinque mesi dopo l'inizio del caso del redivivo Moriarty, quindi diciamo in maggio.

  
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