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Autore: Alcione    02/02/2014    2 recensioni
“Vedo che ti sei ripresa completamente” disse Thor sorridendomi bonario
“Si Altezza. E vi ringrazio infinitamente per la vostra gentilezza.” Loki mi guarḍ storto,
“Non sei stata cosi gentile con me” mi sillaḅ mentre dava le spalle al fratello
“Non l’hai meritato, se non erro” sillabai a mia volta, facendogli una linguaccia dispettosa
Cosa succederebbe ad Asgard se i suoi principi si vedessero improvvisamente piombare tra capo e collo, un guerriero proveniente da un mondo a loro sconosciuto?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cronaca del viaggio ad Asgard, dalle Memorie del Comandante della Stella.

Un dolore acuto alla testa, come se centinaia di lame infuocate s’ infilassero di prepotenza tutte insieme nel cranio. Un esplosione di miliardi di colori prima del buio totale. La sensazione di essere infilati di forza in uno stretto tubo di gomma ed essere risucchiati via, venendo strattonati per il collo, il respiro che veniva portato via, e l’ impressione di non riuscire a far arrivare aria nei polmoni. Un interminabile minuto di intenso dolore, dove l’intero corpo pareva sbriciolarsi e ricomporsi miliardi di volte all’infinito. Volare a velocità elevatissima attraverso qualcosa che non distinguevo chiaramente. Quando pensai davvero di non farcela, quando tutto mi pareva davvero troppo, ed ero pronta a lasciarmi andare tra le braccia della Nera Signora, piombai a peso morto sulla nuda terra. Il corpo e la mente di comune accordo, non mi concessero nemmeno il privilegio di svenire. Tutto lo strazio delle  membra martoriate, dovevo sentirlo  tutto, fino all’ultima goccia. Dopo un tempo che mi  parve infinito, quando lentamente il dolore permise ai sensi di riprendersi il corpo, ancor più lentamente aprii gli occhi. L’accecante luce del sole, mi abbagliò, tentai di schermare la vista con una mano, ma quella non era per nulla collaborativa, richiusi le palpebre e ascoltai ciò che mi circondava. Il contatto della fresca e morbida erba sotto il corpo.

Odore. L’odore di erba tagliata, la morbidezza di un giardino sotto le dita inermi.

Sapore. Il sapore di ferro e ossa, della bocca impastata di sangue.

Suono. L’allegro cinguettare degli uccelli in un giardino, e lo stormire delle foglie in primavera.

L’intero corpo era tutt’un pulsare doloroso, un dolore tale da non riuscire a muovermi, anche il semplice gesto di respirare mi risultava doloroso. Potevo avvertire il sangue caldo scorrermi sulla fronte, e il taglio sul viso pulsare. Mi toccai la coscia destra, la freccia era ancora li. Cercai di riprendere fiato e soprattutto il pieno controllo del corpo, l’urto mi aveva dato il colpo di grazia. Lentamente cercai di muovere braccia e gambe, a parte la freccia, pareva che non avessi, miracolosamente niente di rotto. Una buona notizia. Tentai di alzarmi a sedere, ma non appena sollevai il capo, la testa mi girò talmente tanto da farmi gettare su un lato e vomitare. Vomitare dal dolore, era la cosa che più detestavo. Più delle ferite, più del sangue che non si lavava via, più delle sconfitte, e io, naturalmente, puntualmente, vomitavo. Sapore di sangue e vomito, “Questa si che è vita!” pensai rotolando di nuovo sulla schiena. Quando finalmente mi abituai alla luce, il cielo sopra di me era di un azzurro stupefacente, era cosi diverso dal cielo sotto la quale era cominciato lo scontro. Un cielo grigio e pesante come la guerra che da anni ci sfiniva. La botta alla testa doveva essere stata tremenda per tramortirmi cosi, “Che strano, non ricordavo che ci fosse un prato sul campo. Non vedo un prato cosi verde da..da..”  Un angoscia che avevo provato solo un’altra volta nella vita, mi inghiottì, dimentica del dolore lancinante che mi attraversava il corpo mi alzai barcollando, non riconoscevo nulla di ciò che era attorno a me “Non sono a Goronwye” sussurrai “Non sono aGoronwye.” Ripetei sempre più atterrita. Mi tastai il corpo, il volto sfregiato, i capelli lunghi impastati di fango, i seni piccoli e sodi, gli addominali scolpiti, i fianchi, le braccia, le gambe, la freccia nella mia carne. No, pareva esserci tutto, tutto al proprio posto e soprattutto, cosa più importante, era tutto mio. Nessun volto sconosciuto, nessun corpo estraneo, niente che non riconoscevo. Cercai di respirare e calmarmi. Dovevo pensare, dovevo ragionare.  Possibile che ci fossi cascata ancora? Dopo tutto quello che avevo passato era ancora cosi facile scagliarmi addosso quel maledetto incantesimo? Sentii delle voci che davano l’allarme, dovevo nascondermi, non dovevo farmi vedere, cercai di scappare all’ombra dell’alto muro alle mie spalle, ma la gamba non me lo permise e crollai a terra di nuovo “Maledizione!” gridai sbattendo i pugni a terra, le guardie mi furono addosso nel giro di venti secondi “Oh buongiorno …” borbottai quando li vidi puntare le loro lance contro di me. La luce del sole mi abbagliava, ma riuscii a distinguere delle meravigliose e lavoratissime armature dorate, lunghi mantelli blu e armi pregiate. Di certo quelli non dovevano essere dei soldati comuni, guardie reali più probabilmente. Mi presero di forza e con molta poca grazia, sia per una donna, sia per un ferito, mi misero in piedi. La testa vorticò ancora, serrai le labbra per non vomitare di nuovo, ma sentivo gli occhi schizzare fuori dalle orbite. Pensai a come liberarmi delle guardie, ma erano decisamente troppi per me in quelle condizioni. Avevo la sensazione di perdere sangue da ogni poro della pelle, la carne urlava dal dolore, ma cercavo di non darlo a vedere. D’un tratto il drappello si aprì per far entrare nel mio campo visivo, quello che pensavo fosse il comandante delle guardie: era una bella ragazza alta e mora, avrebbe potuto avere al’incirca la mia stessa età, lo sguardo di chi è abituato a farsi obbedire senza troppe domande,

 “Chi sei? Come sei entrata qui?”, sorrisi beffarda

“Mi creda Milady, vorrei tanto saperlo anche io!” non apprezzò l’ironia. Il suo sguardo  si spostò sui miei stivali logori, sulle gambe nude ricoperte di polvere e sangue, la vidi indugiare sulla freccia che spuntava dalla gamba, alla quale io fingevo di non aver fatto caso, risalì sull’addome quasi completamente nudo e livido, sulle braccia lunghe e tatuate,e fissò per un lungo attimo l’anello che portavo al collo. Istintivamente lo strinsi nella mano, lei si accorse di quell’attimo di nervosismo, e mi puntò quegli occhi freddi  in faccia, ma come accadeva di solito, quando qualcuno mi guardava negli occhi per la prima volta, li vidi sgranarsi quando notò il loro bizzarro colore: uno verde come i prati primaverili, l’altro quasi bianco, come se fosse cieco. Arricciai le labbra soddisfatta, ora era lei ad avere un attimo di nervosismo. La vidi spostare lo sguardo sulla ferita del volto, se ci pensavo, mi faceva un male da morire, e ormai doveva essere già bella gonfia.

“Mettetela ai ferri!” ordinò senza aggiungere altro. Bè almeno non mi avevano fatto fuori su due piedi.

Forse era gente civile.

Ne avevo viste di prigioni. Prigioni fisiche, prigioni mentali, ed erano tutte più o meno uguali: buie, fredde, umide, dove l’odore di umori umani impregnavano l’aria e la rendevano nauseabonda. La mia più lunga detenzione, durata ventidue anni. Quella era stata decisamente la peggiore. Impossibilitata a muovere anche il più piccolo dei mie muscoli, impossibilitata ad agire, anche solo a pensare. Una prigionia che non auguro a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico.

Quella nuova prigione invece, era qualcosa che non avevo mai visto. Potrei quasi definirla una prigione d’alta classe. Niente sbarre. Niente catene. Niente ruote della tortura, nessuno che urlava, gemeva o moriva, almeno non apparentemente. Le celle, erano, oserei chiamarle addirittura stanze, abbastanza grandi, bianche e luminose, al posto delle sbarre c’erano degli spessi vetri trasparenti che permettevano di vedere all’interno e all’esterno. Le guardie che mi aiutarono ad entrare furono più gentili di chi mi aveva alzato da terra. All’interno della cella c’era veramente poco, una piccola branda e una brocca di acqua. Mi avviai lentamente verso il letto, quando la gamba ferita cedette sotto il mio seppur esiguo peso. Crollai a terra come uno straccio bagnato, tenendomi la gamba, cercai di non urlare dal dolore, strisciai verso la branda lasciando una scia di sangue e terra dietro di me. Presi le lenzuola e cominciai a stracciarle in tante strisce, mi allungai e afferrai anche la brocca, poggiai le spalle al letto e stesi le gambe, legai velocemente i capelli, e mi sciacquai le mani, dovevo fare attenzione a non consumarla tutta, mi bastavano poche gocce per rimboccare la brocca, ma era meglio non rischiare. Mi guardai la gamba, stava cominciando a fare infezione,

 “Quei bastardi potevano almeno togliermela prima di buttarmi qui dentro!” dissi. Afferrai saldamente la freccia con una mano, mentre con l’altra strinsi forte il piede del letto. Trassi un profondo respiro e tirai via con tutta la forza che avevo, “Aaahhh che dolore” mugugnai. Presi la brocca con le due mani e ci soffiai dentro, uno sbuffo di fumo bollente si librò nell’aria, versai l’acqua calda sulla ferita che bruciò non poco,  alla fine fasciai il tutto con i brandelli di lenzuola. Mi disinfettai anche il viso che a giudicare dal dolore che andava scemando non doveva essere poi eccessivamente grave. Nel tamponarmi il taglio notai il mio riflesso nel vetro: profonde occhiaie scure si stavano formando alla velocità della luce, avevo un piccolo taglietto sul labbro, e il taglio sulla guancia destra che andava dalla mascella fin sulla fronte, mi dava un aria da bella e maledetta, “Come se non lo fossi già abbastanza” pensai, i capelli lunghi fino alla vita erano talmente scompigliati e sporchi che a stento se ne riconosceva il colore

 “Ah Kan aveva ragione, non troverò mai marito cosi!” dissi issandomi sul letto, e avvolgendomi nella coperta attesi la febbre che sarebbe giunta da li a pochissime ore.

 









Buonasera a tutti, questa è la mia prima FF sul mondo di Thor, è più un piccolo esercizio diciamo cosi. Vorrei fare una premessa, il personaggio di Sanna,e nei capitoli successivi, tutto ciò che sarà a lei strettamente collegato, sono personaggi, luoghi e situazioni di un mio racconto originale, che molto probabilmente non vedrà mai la luce, vi prego però di avere comunque cura di loro! Detto questo, ditemi le vostre impressioni, le critiche costruttive, sono sempre ben accette. Saluti a tutti
  
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