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Autore: Akilendra    02/02/2014    3 recensioni
Gli Hunger Games sono giochi senza un vincitore, ventitrè ragazzi perdono la vita, l'ultimo che rimane perde sè stesso in quell'arena, non c'è nulla da vincere, solo da perdere. Nell'arena si è soli, soli col proprio destino, Jenna però non è sola...
Cosa sei disposto a fare per non perdere te stesso? E se fossi costretto a rinunciare alla tua vita prima ancora di entrare nell'arena?
Gli Hunger Games saranno solo l'inizio...
(dal Capitolo 1):
"Un solo rumore e so che lei è qui...l'altra faccia della medaglia, il mio pezzo mancante, la mia immagine riflessa allo specchio, una copia così perfetta che forse potrebbe ingannare anche me, se non fosse che io sono la copia originale dalla quale è stata creata. Dopotutto sono uscita per prima dalla pancia di nostra madre, quindi io sono l'originale e lei la copia."
(dal Capitolo 29):
"'Che fai Jenna?'
Mi libero della menzogna.
'Che fai Jenna?'
Abbraccio la verità.
'Che fai Jenna?'
Mostro l'altra faccia della medaglia."
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Angoletto dell'autrice in ritardo: Scusate, sono in ritardo, di nuovo...Cosa posso dire a mia discolpa? Sono innocente, Vostro Onore, lo giuro! *sospira* è un capitolo lungo, anche per i miei standard, ed è stato un osso duro da scrivere. In più per giorni ho aspettato che un'illuminazione divina mi arrivasse dal cielo e me lo facesse riscrivere in modo migliore, ma non è successo, perciò eccolo quà, spero che non faccia completamente schifo. 
Vi ringrazio perchè avete aperto la mia storia, perchè state leggendo questo angolo dell'autrice, perchè state per leggere questo capitolo e perchè quando avrete finito sarete così gentili da lasciarmi una piccola recensione...Veeero?       Sognare un po' non fa mai male... ahahahahah






Capitolo 30



La televisione si accende da sola dandomi il segnale che stavo aspettando. Sullo schermo appare il volto incipriato eppure ancora paonazzo di Snow, dice che hanno subito un attacco dai ribelli e che hanno rapito Peeta, Johanna ed Annie Cresta, vincitori ospiti di Capitol City. Sento il sangue salirmi al cervello quando sento le parole "rapito" e "ospiti" ma mi impongo di calmarmi. Ricomincio a contare i miei respiri ad occhi chiusi. La voce di Snow continua dicendo che tuttavia la capitale è riuscita a non subire gravi perdite e che lui stesso assieme alle forze militari della città rimarrà sul posto dell'attacco a sincerarsi dei danni subiti.
Non aspettavo altro. Ottima mossa lasciare sguarnita la sua residenza, presidente, i miei complimenti.
Velocemente esco dall'armadio, se prima aspettavo e cercavo di perdere tempo, ora cerco di recuperarne quanto più possibile. Veloce, devo essere veloce, più veloce di quanto sia mai stata, tutto dipende da quanto riesco ad essere veloce.
Nascosta dietro la vicinissima abitazione sbircio in direzione della villa. Due uomini sono fermi davanti al muro eretto intorno alla casa, sono armati. Anch'io sono armata, sfioro con la punta delle dita le due pistole ai lati della mia cintura, gli occhi fissi sulle due figure con i fucili in mano. Potrei sparare, prima ad uno e poi all'altro, ma farei rumore, sicuramente all'interno della villa c'è qualcuno che fa la guardia, i miei spari si sentirebbero. Poco male, il tempo di sentire gli spari che si ritrovano una pallottola in testa anche loro. Quante persone ci saranno là dentro? Sicuramente meno di quante ce ne sono di solito, l'attenzione è focalizzata sulle prigioni in cui il presidente "ospitava" Peeta, Johanna ed Annie, la villa è rimasta sguarnita, ma non abbastanza da farmi passeggiare liberamente nei corridoi della casa del presidente. Ritorno a fissare i due uomini, non c'è tempo, veloce, devo essere veloce. Devo sparare, non importa se chi è dentro all'edificio mi sente, non ho tempo.
'Sei pronta ad ucciderli, Jenna?'
Forse potrei trovare un altro modo. Ma velocemente, conto fino a dieci, se non trovo un altro modo sparo.
Uno. Devo distrarli.
Due. Sono sola, non ho un diversivo.
Tre. Devo cercarlo.
Quattro. Non c'è.
Cinque. Mi sa che devo sparargli,magari ad una gamba.
Sei. Troppo rischioso, potrebbero dare l'allarme. O gli sparo in testa o non gli sparo per niente.
Sette. Devo sparargli in testa.
Otto. Non voglio sparargli.
Nove. Concentrati, guardati attorno. Case. Finestre. Porte. Edifici. Non c'è nient'altro, dannazione! Case, finestre...finestre.
Dieci. Finestre. Case, finestre... Finestre!




Torno dentro il palazzo in cui mi ero nascosta. Veloce, devo essere veloce. Aver scelto di risparmiare la vita di quei due uomini mi farà perdere tempo, perciò devo essere veloce, più veloce.
Salgo le scale saltano i gradini. È l'edificio più vicino alla residenza del presidente, il più vicino e il più alto nelle vicinanze. Così alto che le sue finestre coincidono in linea d'aria con quelle della villa. Così vicino che è l'unica possibilità che ho per arrivarci. Arrivo all'ultimo piano, l'adrenalina che scorre nelle mie vene smorza perfino il fiatone per la corsa sulle scale, fisso la finestra davanti a me. Finestra. Devo trovare qualcosa di abbastanza lungo da arrivare fino alla finestra dell'altro edificio, una superficie liscia, piatta, devo poterci camminare sopra, deve reggere il mio peso. Veloce, devo essere veloce. Metto a soqquadro la casa, tra tutte queste cose inutili ci sarà qualcosa che fa al caso mio! Eppure tra lo sfarzo e l'eccesso in questa casa l'unica cosa che manca è quello che serve a me. Poi la vedo. Dentro quello che penso sia uno sgabuzzino, è una scala ed è la mia unica possibilità. La trascino vicino alla finestra, è pesante, la sollevo quel tanto che basta per arrivare al davanzale, poi la spingo fino a quando non raggiunge la finestra della villa. Riempio i polmoni d'aria e salgo sul davanzale. Con movimenti veloci ma non bruschi comincio a trascinarmi da un gradino a quello successivo della scala, quando sono a metà strada mi concedo una rapida occhiata a quello che succede sotto di me. I due uomini sono ancora davanti al cancello, all'improvviso ho paura che alzino lo sguardo e mi vedano. Impongo ai miei polmoni di respirare normalmente ma mi tremano le mani e il movimento successivo è incerto, le mie dita vanno a vuoto facendomi sbilanciare e la scala sul davanzale che ho davanti si sposta pericolosamente verso il bordo.
No.
'Stai calma, Jenna. Manca poco'



Ce l'ho quasi fatta, mancano pochi gradini che percorro più velocemente che posso. La scala è si avvicina sempre di più al bordo del davanzale, quando salto dentro la finestra sta per cadere, mi volto subito per impedirglielo. Farebbe rumore, i due uomini davanti al cancello se ne accorgerebbero e tutti i miei sforzi non sarebbero serviti a nulla. L'afferro, è molto pesante ma con una forza che non sapevo di possedere, riesco a recuperarla, la poggio sul pavimento, ora non mi serve più.
Solo ora mi rendo conto che ce l'ho fatta, sono dentro la villa di Snow, mi concedo non più di un attimo per alzare la testa e rendermi conto di dove mi trovo. La stanza non è molto grande e la maggior parte dello spazio è occupata da un tavolo bianco, assomiglia vagamente alla sala dove si tenevano le riunioni nel distretto 13. Raggiungo la porta ed esco cercando di non fare rumore. Non ho la minima idea di dove dovrei cercare, di dove dovrei andare, questo posto è come un labirinto e dopo qualche minuto mi rendo conto che sono stata una stupida ad entrare nella tana del lupo senza nemmeno conoscerla.
I miei pensieri vengono interrotti da alcune voci, mi appiattisco più che posso dietro un angolo e aspetto, ma le voci non si interrompono e presto a quelle si aggiunge il rumore di passi. Mi rannicchio ancora di più alla parete che ho alle spalle e mi tappo la bocca con una mano, per paura persino di respirare troppo forte.
È finita, penso. Si stanno avvicinando, mi scopriranno, sarà stato tutto inutile e non sarò riuscita a liberare Anna. Dannazione, non può andare così!
Ma proprio quando mi sono rassegnata al peggio i passi si fermano e le voci si fanno più chiare.
- E allora cosa pensi di fare? - è la voce di una donna - Non lo so, so solo che sono arrivati ordini e che gli ordini vanno rispettati. Manderemo altri uomini. - risponde questa volta una voce maschile. Devono essersi fermati appena prima dell'angolo dietro al quale sono nascosta, perché le loro voci mi sembrano vicinissime. - E... L'ospite del presidente? - la voce della donna si fa incerta, quando l'uomo non le risponde il suo tono si fa più deciso, ma bisbiglia - Oh insomma, cosa ne facciamo della ragazza? - chiede spazientita. Ci metto meno di un secondo a capire chi è "l'ospite", la ragazza di cui stanno parlando.
- Assolutamente niente. È nei sotterranei, questo basta per tenerla al sicuro. Invieremo altri uomini come ci è stato ordinato, entro domani mattina saranno di nuovo qui - afferma risoluto l'uomo e le voci tacciono, sento i loro passi qualche secondo dopo lungo il corridoio, poi il suono di una porta che si chiude e torna il silenzio.
Tolgo la mano dalla bocca e mi accorgo solo ora che da qualche secondo stavo trattenendo il respiro. Sento le gambe intorpidite, le orecchie piene d'ovatta, eppure contemporaneamente è come se avessi dentro al petto una fiamma che arde.
Anna.
Anna! Sotterranei...dove sono i sotterranei?



Sgattaiolo fuori dall'angolo in fretta, devo trovare questi maledetti sotterranei e in fretta. La prima cosa che devo fare è scendere al piano terra, lì cercherò il modo di raggiungerli, proprio là vicino ci sono le scale, ma è troppo pericolo, sarei troppo esposta, se sentissi arrivare qualcuno come poco fa, dove potrei nascondermi sui gradini? No, le scale no. E non se ne parla nemmeno di usare il lussuoso ascensore infondo al corridoio, ancora peggio delle scale, se devo scendere con quell'ascensore che suona ogni piano che raggiunge, tanto varrebbe appendersi un cartello lampeggiante al collo con scritto "Sono qui. Prendetemi".
Sbuffo seccata mentre faccio marcia indietro e ritorno alla finestra dalla quale sono entrata, questo mi farà perdere altro tempo, ma non riesco a trovare altro modo. Mi calo giù con agilità appendendomi al cornicione, poi inizio la mia discesa, ogni finestra che raggiungo mi fermo quel secondo che serve per prendere fiato, né un attimo in più né un attimo in meno. Alla fine riesco ad arrivare all'ultima finestra, quella del piano terra, ma dannazione, è chiusa! Impreco a denti stretti, mentre striscio contro la facciata della villa, quando raggiungo la finestra adiacente a quella chiusa mi tuffo all'interno con un salto molto poco aggraziato, ma cosa ben più grave, rumoroso.
'Tanto valeva scendere in ascensore, Jenna'
Taci.



La sala nella quale mi sono tuffata, è molto diversa da quella all'ultimo piano, più ricca, più lussuosa, le pareti tappezzate di quadri, il pavimento ornato da un lungo tappeto.
'Smettila di guardare la tappezzeria e muoviti. Non sei qui per fare l'arredatrice'
Fuori dalla stanza si apre un lungo corridoio i cui lati sono pieni di porte. Magnifico, ed ora come faccio a sapere qual'è quella giusta?
'C'è solo un modo ed è il più semplice che esiste'
Ed è anche quello che mi farà perdere più tempo.
Ma è l'unico, così silenziosa e sempre all'erta comincio a controllarle una per una. Prima di aprirle ci appoggio un orecchio sopra per sentire se da dentro provengono delle voci, ma finora erano tutte vuote. Ora capisco la perplessità della donna che ho sentito parlare nel corridoio all'ultimo piano, sembra che questa villa sia praticamente deserta. In ogni stanza c'è qualcosa di diverso: quadri, libri, una sauna, quello che mi è sembrato un tavolo da pranzo, una collezione di porcellana, fiori, una piccola cascata artificiale che versava l'acqua in una gigantesca vasca da bagno, bottiglie di liquori, una... scala... una scala? Una scala che scende... La scala!
Mi precipito giù per i gradini, sono di uno strano materiale lucido e bianco, man mano che scendo mi rendo conto che tutto diventa bianco, le pareti, il soffitto, le scale, il pavimento, bianco ovunque. Non mi piace questo bianco, è troppo carico, accecante, innaturale. E ci sono così tanti gradini, non finiscono più, non faccio altro che scendere, ma c'è sempre un altro gradino ad aspettarmi. Quando finalmente arrivo in una stanza, anch'essa tutta bianca, per poco non caso a faccia avanti trasportata dal riflesso di scendere le scale a cui ormai ero abituata. Sulla parete davanti a me ci sono due porte, bianche, identiche.
Ed ora che faccio? Non c'è tempo. Guardo le due porte, prima quella di destra, poi quella di sinistra. Sinistra è il lato del cuore, entro in quella di sinistra.



Sento il rumore della porta che si chiude alle mie spalle, è tutto buio, poi un tonfo sordo e arriva la luce. Mi volto per capire da cosa proveniva il rumore e trovo solo una parete completamente bianca a rispondermi, che non so da dove sia uscita, della porta di prima nemmeno l'ombra. Sento il sangue gelarsi. Sono in trappola.
Mi volto di nuovo ho davanti un piccolo tavolino, le zampe sono fissate al pavimento e sopra di questo c'è una specie di calice che è un tutt'uno con la superficie del tavolo. Affianco al calice c'è un coltello. Alzo gli occhi, dietro al tavolino c'è una porta, mi avvicino e cerco di aprirla, è chiusa, ovviamente. Ritorno al tavolino, lo fisso, come potesse darmi lui le risposte che cerco.
Un calice. Un coltello.
'È un pegno. Devi pagare'
Un calice. Un coltello.
Afferro il coltello, è unito al tavolo con un sottilissimo filo che ha l'aria di essere indistruttibile, a che diavolo serve legarlo con un filo? Ehi Snow, sta' tranquillo, non me lo rubo il tuo coltello!
Stringo forte la lama nella mano, il sangue comincia a gocciolare nel calice. Cosa dovrebbe succedere adesso? Non succede niente. Sbuffo infastidita, ma certo, non basta qualche goccia di sangue, devo riempire il calice e allora potrò andare avanti, sempre che non sia morta dissanguata nel frattempo.
Devo pagare, pagare per cosa poi? Mi chiedo se ogni volta che qualcuno deve accedere ai sotterranei deve dissanguarsi una mano.
'Evidentemente questa non è l'unica entrata'
Ma certo, questa è l'entrata per i ficcanaso come me che non si fanno mai gli affari loro e vanno a curiosare nelle case degli altri.
Il rumore di cardini che proviene dalla porta mi informa che ora è aperta, abbasso gli occhi, il calice è pieno. Per un attimo penso di portare con me il coltello, poi mi ricordo del filo, provo a spezzarlo, ma è indistruttibile proprio come sembrava. Dannato filo, ecco a cosa serviva!
Oltrepasso la porta e appena mi si chiude alle spalle sento un rumore sordo, poi dal muro esce scorrendo una parete bianca proprio come l'altra. Scorre lentamente, se volessi avrei tutto il tempo di tornare indietro. Ma non voglio, devo trovare mia sorella.
Mi guardo intorno, stavolta niente calice e niente coltello, sul piccolo tavolino al centro del pavimento c'è una pistola.
Non ho il tempo necessario per studiarla o capire che modello sia, perché un piccolo rivolo di fumo candido comincia ad uscire da un tubicino attaccato al soffitto, che noto solo ora, si irradia per tutta la stanza. Guardo verso il fumo che nel frattempo si è fatto più consistente, cos'è? Vogliono addormentarmi? Stordirmi? Uccidermi? Mi chiudo naso e bocca con le mani e mi impongo di non respirare. No, questo fumo non mi ucciderà, Snow non vuole uccidermi, vuole farmi soffrire, questo fumo mi farà soffrire. Ma che tipo di dolore? Fisico? Troppo facile. Psicologico. Questo fumo attaccherà la mia mente, il mio cuore. C'è sempre la pistola, la guardo, "prendimi" sembra che mi dica. Per un attimo ci penso, ci penso sul serio, sono davvero pronta a quello che succederà? Cosa succederà? Basterebbe un colpo. Solo un colpo.
Solo un colpo e niente di quello che farà Snow potrà più toccarmi.
Solo un colpo e sarò libera.
Guardo ancora la pistola. Non ho mai chiesto di essere libera. Preferisco essere prigioniera di una vita in cui so che le persone che amo sono al sicuro.
Solo un colpo, quel colpo che non sparerò mai.
Mi bruciano i polmoni, non ce la faccio più a non respirare e non ho intenzione di morire soffocata, le mie mani cedono e il fumo bianco mi entra dentro.
Cado per un attimo in uno stato di dolce incoscienza, poi vengo ributtata nella realtà, quando apro gli occhi niente è come dovrebbe essere.
Niente è al suo posto. Non c'è un pavimento, non c'è un soffitto, non c'è un sopra, non c'è un sotto e non ci sono neanche io. Non percepisco il mio corpo, non sento niente. Non vedo niente, nemmeno il buio, non c'è buio, non c'è nemmeno luce però, non c'è niente. Sono circondata dal niente, niente ovunque. Io stessa sono niente.
Penso che potrebbe scoppiarmi la testa da un momento all'altro. Quale testa? Ho una testa? Non la sento. Dovrei andarmene di qui, ma con quali gambe? E poi, qui dove? Cos'è qui? Non c'è un qui.
Poi come un miraggio tra il nulla fluttua una pistola. L'ho già vista, penso, ma dove? Non mi ricordo. Se solo riuscissi ad afferrarla, ma non ho mani, come potrei afferrarla? Ma è lei che si avvicina, come dotata di vita propria danza allegra nella sua bella cromatura nera. Sento che vorrei afferrarla, ma per fare cosa? Non me lo ricordo. Cosa si fa con una pistola? Si spara. Voglio spararmi? Sparare a cosa? Io sono niente.
Vorrei urlare, ma non ho voce, vorrei prendere a pugni...cosa? Mi circonda il niente. Non ho mani, niente pugni.
Non posso neanche chiudere gli occhi, non ho occhi e non c'è niente che sto vedendo, non sto vedendo niente. Non sto facendo niente. Niente. Sono niente. Penso di avere paura, ma non mi ricordo bene cos'è la paura, sa di qualcosa di troppo vivo perché possa provarla in questo momento. Sono viva? Sono morta? Qual'è la differenza? C'è differenza?
Non riesco a concentrarmi, vorrei ricordarmi qualcosa, ma non ricordo cosa. Cerco di afferrare quel pensiero, ma il mio corpo non ha mani e neanche la mia mente. Non ho un corpo, non ho una mente.
E non è un pensiero quello che sto cercando di ricordare, galleggia tra il niente, riesco quasi a percepirlo, ma non riesco a ricordare cosa sia. È come una stretta al cuore. Quale cuore?
Questo.
Batte, fa male, fa bene, batte.
Forse riesco a riconoscere cos'è che galleggia nel niente...cuore, penso sia mio.
No, non è un cuore, è un volto. Volto, volto, volto. Devo sforzarmi di ricordare. Chi è?
Cuore. No, non è un cuore, è un volto. Chi è? Fili neri, capelli. Punti neri, occhi. Capelli neri, occhi neri.
Cuore. No, non è un cuore, è un volto. Chi è? Anna. Chi è? Anna, mia sorella.
Cuore, penso sia mio. Anna, cuore.



È questo il motivo per cui mi sento così? È per il mio cuore? È per Anna? Non c'è niente che non farei per lei.



Riconosco le pareti bianche quando apro gli occhi. Gli occhi. Ho di nuovo degli occhi. Abbasso lo sguardo sulle mie mani, ho di nuovo anche delle mani. Lascio che le mie dita esplorino la mia pelle, come vecchie amiche separate da troppo tempo si riabbracciano felici. È bello riavere il controllo su me stessa, credevo di essere impazzita, non so cosa sia successo, cosa permetta a Snow di esercitare un controllo tanto potente sulla mente di qualcuno. Perché si tratta di qualcosa che ho immaginato vero? Eppure era tutto così reale, mi sembra di non sapere più niente. L'unica certezza che ho è che è finita.
'E invece ti sbagli, Jenna, non hai neanche quella'
Senza alcun preavviso iniziano a spuntare dal nulla figure incappucciate. Si aggirano per la stanza spinti da una forza invisibile e all'improvviso non sono più in una stanza. C'è un prato, è pieno di fiori, sono colorati, sono belli, li ho già visti. Mi guardo intorno, c'è un bosco, sento in lontananza il suono dell'acqua che si infrange sulle rocce, dev'esserci una cascata. Ricordo con orrore questo posto, come potrei non farlo? Ogni notte lo rivedo nei miei incubi. È l'arena. Le figure incappucciate si dispongono a cerchio intorno a me, uno alla volta portano dietro i cappucci e mostrano i loro visi, purtroppo riconosco anche loro. I loro sguardi mi scrutano nel profondo, ogni paio di occhi che riconosco sono una coltellata al cuore.
Quelli marrone corteccia del ragazzo del 3. I grandi nocciola del tributo del 5 e della sua compagna di distretto. I bellissimi occhi verdi chiaro di Lisa. Quelli marroni e dallo sguardo freddo di Luke. Gli occhi azzurri di Alexandra, che ho ucciso senza pietà. Quelli gialli e scrutatori del ragazzo del 6 che uscì di proposito fuori dalla pedana prima del tempo. I due fari verde smeraldo della ragazza dell'8. Le belle iridi turchesi del tributo del 9. Quelli verde scuro della sua compagna. Quattro paia di occhi marroni dal distretto 10 e 11. I due fari grigi di Lucy Shadow, la ragazzina del 12, quegli occhi luminosi come la luce stessa, quella luce che ho spento io. Una coltellata più forte delle altre. Se puoi, scusami Lucy.
L'ultima figura ha ancora il cappuccio tirato sulla testa, si stacca dal cerchio e si avvicina, quando mi ha raggiungo anche il suo mantello si apre per farmi vedere il suo viso. E un paio di occhi color ghiaccio mi trafiggono come lame.
Ares mi guarda a lungo ed io non posso non abbassare gli occhi, ha uno sguardo gelido, pesa troppo sul mio cuore quello sguardo da estraneo. Penso che non potrebbe farmi più male di così, poi parla e capisco che può farlo e lo fa.
- é colpa tua - dice - è tutta colpa tua - e alla sua voce si uniscono quelle degli altri tributi, al suo sguardo si uniscono i loro occhi carichi d'odio - è colpa tua - dicono e io gli credo - è colpa mia - dico perché non potrei dire altro.
Ares tira fuori da sotto il mantello una pistola, la riconosco, ma non mi ricordo dove l'ho già vista, me la mette in mano - Non meriti di vivere più di noi - sputa le parole quasi disgustato, il suo sguardo è quello di un estraneo. Ma Ares, la sua voce, il suo sguardo, mai mi è stato estraneo, tutto di lui mi è familiare. Questi occhi che ora mi scrutano sono i suoi, ma lo sguardo no. L'Ares che conoscevo, l'Ares a cui volevo bene, non mi avrebbe mai guardata in questo modo. Mai mi avrebbe messo in mano una pistola, mai mi avrebbe detto di uccidermi, mai mi avrebbe dato la colpa della sua morte. L'Ares che conoscevo ha deciso di morire per darmi una possibilità di vivere e l'ha deciso da solo, mi ha lasciata qui a piangere la sua morte senza chiedermi il permesso. Di quell'Ares la persona che ho davanti, non ha proprio niente.
- Tu non sei Ares - sibilo, quando trovo la forza di alzare lo sguardo lui non c'è già più e con lui sono spariti anche tutti gli altri, non sono più nell'arena. Sto percorrendo un sentiero, sono in un bosco, no, non un bosco, il mio bosco, sono a casa. La mia mano è stretta attorno ad un'altra, dalle dita lunghe e fine, le mie si perdono in quel palmo enorme. Alzo lo sguardo e sento un tuffo al cuore. Mamma. Non è la sua mano ad essere enorme, è la mia ad essere piccola, sono tutta piccola, avrò quattro anni al massimo. La mamma si ferma ai piedi di un grande albero e comincia a raccogliere da un cespuglio le more, mi fa vedere come si fa, la aiuto volentieri. Le sto vicina, la mamma dice sempre che quando andiamo nel bosco devo starle vicino e non mi devo allontanare, dice anche che devo fare la brava e io lo faccio perché ho paura di stare da sola nel bosco. Alla mamma però non lo dico, non serve dirle che ho paura ed anche se tengo la manina stretta ad un lembo della sua gonna, fingo che lo faccio per lei. Credo che anche la mamma abbia paura di stare sola nel bosco, neanche lei dice niente però io lo capisco da sola, mi dispiace, perché lei non ha nessuna gonna da stringere nella mano. Io non le porto mai le gonne, ma prometto che la prossima volta che veniamo nel bosco a raccogliere le more me la metto, per la mamma, anche se so che lei non stringerà nel pugno la mia gonna, anche se ha paura. Anna invece le porta sempre le gonne, ma scommetto che la mamma non stringerebbe nel pugno neanche le sue. Anna è piccola, lo dice sempre la mamma. Io questa cosa non la capisco, perché siamo gemelle e lei ha la mia stessa età ma quando cerco di dirlo la mamma mi dice sempre che Anna è piccola e che io devo proteggerla, da cosa non lo so.
Quando abbiamo riempito il cestino la mamma si alza ed inizia a camminare, ma dalla parte opposta rispetto alla nostra casa, glielo dico, ma lei non mi sente, le vado dietro, ma non riesco a raggiungerla. Devo correre più veloce, più veloce, più veloce. E corro più veloce, ma sono sempre troppo lenta. Inizio a piangere, ho paura, lo urlo alla mamma, la sua schiena davanti ai miei occhi abbastanza vicina per sentirmi, non abbastanza per toccarla, ma a lei sembra che non mi senta, forse non le importa che ho paura. Forse ho fatto la cattiva, le chiedo scusa, le prometto che non farò più i dispetti ad Anna. Ma lei non torna in dietro ed io non riesco a raggiungerla, non riuscirò a raggiungerla più, nella testa mi rimbombano le parole di papà "la mamma è volata in cielo". Non lo sapevo che la mamma sapesse volare, forse anche la mamma aveva le ali, come gli angeli, forse la mamma era un angelo.
Un attimo dopo non sono più nei boschi, sono nella mia casa al distretto, quella al villaggio dei vincitori e non sono più una bambina, sono grande. Sono in cucina e sto preparando uno stufato, ha l'aria di essere commestibile, mi meraviglio di me stessa,so anche cucinare. All'improvviso sento un rumore tremendo, come tante urla acutissime, viene dal piano di sopra. Abbandono lo stufato e salgo le scale col cuore in gola. Spalanco la porta della camera da letto, seduto sul letto c'è Sam, mi sorride dolce - Cosa diavolo è questo rumore? - gli chiedo, lui continua a sorridere - Amore, si sono svegliati - risponde con voce di miele - Chi si è svegliato? - sento una nota di allarme nella mia voce , chi dorme in casa mia? Lui si alza dal letto e prendendomi per mano mi porta in un'altra stanza, mi accorgo che è da qui che proviene il rumore. Le pareti sono pitturate con colori pastello, attaccate al muro file su file di culle. Sento crescermi dentro il panico, sono tantissime, decine, mi avvicino con cautela, sono piene - Sono bambini - sussurro scioccata, una mano mi copre la bocca - I nostri bambini - mi corregge abbracciandomi da dietro. Mi divincolo dalla sua presa - Che stai dicendo? Noi non abbiamo figli! - mi si forma un nodo all'altezza dello stomaco, deglutisco a fatica - Si invece. Guardali, Jenna - Sam ha dipinta sul viso l'espressione più dolce e calma del mondo, io invece sono il ritratto dell'ansia e del terrore. Mi avvicino tremante alle culle, piccole goccioline mi scendono lungo la schiena, mi sporgo in avanti quel tanto che basta per vedere il viso del primo bambino. Ma non è un bambino, è un ibrido e all'improvviso salta fuori dalla culla e con un latrato tremendo chiama tutti gli altri ibridi nelle culle. In poco tempo siamo circondati, grido a Sam di fare qualcosa, ma lui sembra non vederli. Col panico crescente scendo giù in cucina, gli ibridi stanno già scendendo le scale, afferro tutti i coltelli che ho nella credenza e li lancio su quei mostri e non c'è un bersaglio che non prenda. Ma sono troppi e i coltelli sono finiti. Mi uccideranno, penso, ma nel frattempo un pensiero più importante mi preme tra le pareti della mente: devo salvare Sam.
E all'improvviso la paura di morire non conta più. Afferro l'accendino poggiato sul piano di cottura, l'unico oggetto che in questo momento potrei usare come arma e con la fiammella cerco di tenere lontano gli esseri. Ma so fin troppo bene che è inutile, sono troppi e in un attimo mi sono tutti addosso. In un barlume di lucidità so qual'è la cosa giusta da fare, apro la credenza e prendo la bottiglia piena del liquido trasparente che tanto piace ad Haymitch, la butto a terra frantumandola in mille pezzi e lascio cadere l'accendino, le fiamme mi avvolgono bruciando con me gli ibridi. Per Sam, mi ripeto mentre le lingue di fuoco mi lambiscono la pelle, per Sam, penso mentre chiudo gli occhi e non ho più paura.
Con mia sorpresa sollevo di nuovo le palpebre, sono viva. Ma ancora per poco, penso mentre voltandomi trovo un muro di fuoco che mi viene incontro, inghiotte alberi, rami e cespugli di un bosco a me troppo familiare. C'è qualcosa che non va, penso mentre comincio a correre. Il mio bosco è già bruciato, è questo che dicono i miei ricordi, è questo che dice il cuore. Non è reale, urla la mia mente. Non è reale, mi ripeto mentre mi fermo e lascio che il fuoco avanzi verso di me. Eppure sembra così reale il dolore che attacca ogni centimetro del mio corpo a contatto con le fiamme e devo lottare contro me stessa, non è reale, non è reale, non è reale - Non è reale - sussurro mentre chiudo gli occhi.
E non li riapro stavolta, ma questo non basta a salvarmi dalla tortura che va avanti da quelli che mi sembrano giorni. Dal buio compare una mano smaltata, le unghie lunghe e pitturate di colori sgargianti. Non è reale, penso con quanta più convinzione posso mentre la mano capitolina posa le sue dita su di me, ancora, ancora e ancora. Mille dita smaltate spuntano dal nulla affamate della mia pelle mi si appiccicano addosso, mentre bui ricordi ritornano a galla nella mia mente. Lotto per allontanarle dal mio corpo finché non capisco che è inutile e allora raggomitolata su me stessa aspetto solo che finisca.
Dopo quella che mi pare un'eternità sono tornata nella sala dalle pareti bianche. Per lunghi momenti rimango rannicchiata in un angolo, le ginocchia strette al petto, gli occhi serrati, aspettando che la prossima tortura venga a prendermi. Ma non succede.
L'unica cosa che si sente è il tonfo sordo che anticipa lo stridere della parete che struscia sul pavimento lasciando via libera ad una nuova stanza.
È finita, penso esausta, è finita, grazie a Dio.
'Grazie a te, Jenna. Hai superato le tue paure'
Le mie paure. Da piccola avevo paura di rimanere da sola nel bosco. Mia madre che mi lascia sola nel bosco, Ares che mi dice che mi incolpa della sua morte, Sam che mi parla di bambini, il mio bosco che va in fiamme, non avere più il controllo di niente, le mani dei capitolini sul mio corpo...tutte cose di cui ho paura.
Quindi era questo che faceva il vapore uscito da quel tubicino sul soffitto, materializzava le paura di chi era nella stanza. Sembrava tutto così reale, ma non lo ora, niente era reale di quello che ho provato, sono rimasta tutto il tempo in questa stanza.
Mi alzo, le gambe malferme tremano un po', mi avvicino al tavolino sul quale è poggiata la pistola, la soppeso sul palmo della mano, la punto verso il pavimento e premo il grilletto, ma non esce nessun proiettile, solo il suono metallico che mi dice che la pistola è scarica. Quel bastardo di Snow non mi ha lasciato nemmeno un proiettile, nemmeno il lusso di scegliere di morire. Quando il falso Ares mi ha messo in mano la pistola, anche se io avessi ceduto, anche se avessi desiderato di morire, non avrei comunque potuto, neanche questo mi sarebbe stato concesso.
- Che bastardo - ringhio mentre oltrepasso l'apertura del muro, prima coperta dalla parete bianca. Questa volta non c'è una stanza ma un lunghissimo corridoio, lo attraverso con passi malfermi mi ci vuole un po', ma alla fine giungo in una nuova stanza. Attaccato alla parete di questa c'è uno specchio, a cosa diavolo serve uno specchio? Per un attimo rimango incantata ad osservare l'immagine del terrore stampata sul mio viso, ma solo un attimo, perché poi capisco che non è uno specchio ma un vetro e che quello che credevo essere il mio riflesso è in realtà mia sorella.
Anna.
Ogni fibra del mio essere viene attratta verso di lei. Anna, sorella mia. Cado in ginocchio ai piedi della parete di vetro, poggio una mano sulla superficie trasparente, lei fa lo stesso mettendo la sua sopra la mia. Un attimo dopo con calci e pugni sto cercando di rompere quest'ultimo muro trasparente che ci divide. È duro, ma io sono più dura e non c'è niente che possa fermarmi, non i lividi, non le nocche sbucciate, esulto quando la mia mano si ferisce per la crepa creata nel vetro. Qualche minuto e qualche livido dopo il vetro cede frantumandosi in mille schegge dalle quali non mi prendo neanche la briga di ripararmi, c'è solo una cosa al mondo che mi importa in questo momento ed è finalmente davanti a me - Anna - la mia voce esce come un lamento mentre crollo ai suoi in ginocchio e la stringo fra le braccia.
- Anna - la chiamo ancora - Jenna - la sua voce è un sussurro debole - Sono venuta a portarti via - le dico accarezzandole i capelli - Sei venuta - mugugna tra le lacrime, ha l'aria distrutta - Shh, sono qui - la tranquillizzo asciugando le sue guance, si stringe al mio petto e io la lascio fare mentre chiudo gli occhi beandomi di quella stretta che negli ultimi mesi ho sognato tante volte.
Ad interrompere il nostro abbraccio è il tonfo sordo che preannuncia lo scorrimento della parete bianca. L'ultima che ho oltrepassato è quella infondo al corridoio e quando sono passata si era appena aperta, questo vuol dire che ora si sta chiudendo. Sento crescermi dentro il panico ma mi impongo di stare calma - Alzati, dobbiamo andare - le dico, quando vedo che ha qualche difficoltà ad alzarsi la sollevo di peso, non mi ero resa conto prima delle sue condizioni, deve avere una caviglia slogata, forse rotta - Ora devi correre Anna, capito? Corri! - le dico prendendola per mano e trascinandola per il lunghissimo corridoio - Corri! - urlo stringendo più forte la sua mano. Sento il cuore martellarmi nel petto, più veloce, penso, più veloce Anna, un ultimo sforzo e il corridoio è finito, la parete bianca avanza lentamente chiudendosi centimetro dopo centimetro davanti a noi. È fatta, ce l'abbiamo fatta, ora usciamo da questo schifo di posto e l'hovercraft ci porta al distretto 13. Ed è con questi pensieri che mi tocco il polso e scopro che l'orologio non c'è più - Anna, ascolta, devi tornare indietro, devi prendere il mio orologio. Deve essermi caduto mentre cercavo di rompere il vetro, devi andare a prenderlo mentre io cerco di rallentare questa parete - dico indicando la fine del corridoio, lei mi guarda smarrita - Un orologio? - chiede - Senza di quello non andiamo da nessuna parte, vallo a prendere dannazione! - urlo spingendola via mentre cerco di bloccare la parete bianca, lei sulle gambe malferme inizia a correre indietro. I secondi passano e la parete avanza nonostante i miei sforzi - Anna! - urlo distrutta, mi risponde un mugolio, qualche secondo dopo la vedo arrancare verso di me con l'orologio in mano, le gambe le tremano, ma lei continua a correre come può. Mi lancia l'orologio, lo afferro con una mano e torni a spingere sulla parete che nel frattempo si chiude sempre di più, comincia a nascere in me una cieca paura - Anna! - urlo disperata, lei è caduta e mi guarda da terra con quel suo sguardo smarrito - Non ce la faccio - piagnucola - Si che ce la fai! - grido. Ma Anna non ce la fa davvero, la caviglia rotta le impedisce di alzarsi e all'improvviso capisco con amarezza che mi trovo davanti ad un bivio, devo scegliere. Posso andare ad aiutarla ad alzarsi e caricarmela in spalla, guardo il sottile spazio che manca prima che la parete bianca chiuda il passaggio e se non ce la facessimo? Rimarremmo entrambe intrappolate qua dentro. Oppure posso uscire di qui, tornare al 13, prepararmi sul serio e tornare a prenderla con una squadra di soldati, ora che so dove la tiene Snow.
Guardo nei suoi occhi neri uguali eppure diversi dai miei. Non dirlo Anna, non dirlo - Non ce la faremo entrambe, Jenna, può passarne solo una - l'ha detto.
Non ho il coraggio di lasciarla qui.
'Sii coraggiosa, Jenna'
  
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