POV PERCY
La ragazza si voltò, col viso pieno di terrore. La spada, Vortice, le cadde di mano e soffocò un urlo. Mi alzai -nonostante fossi vestito con un pigiama a fiori- e mi avvicinai lentamente, prendendole la mano. Lei la ritrasse, inorridita, come se fossi un mostro.
-Che... che cos'era quella?!- chiesi, con la voce rotta -Cioè, era solo una innocentissima penna!?
Io la guardai negli occhi, feci un bel respiro e le feci la domanda fondamentale: -I tuoi genitori sono vivi?-.
-Ma ti pare una cosa da chiedere?- esclamò, stavolta infuriata.
-Si, se è molto importante.- le risposi, con voce ferma.
Lei si voltò per guardarmi in viso; si sistemò una ciocca di capelli castani dietro all'orecchio, chiuse gli occhi verdi e cominciò a parlare: -Io avevo tre anni, stavamo facendo una gita in campagna, quando un uomo ubriaco, dissero i poliziotti, intimò ai miei di scendere. Non so cosa successe dopo, perché mia mamma mi disse di nascondermi sotto il sedile posteriore. So solo che dopo trovarono i corpi inermi. Senza testa. Da allora vivo con Jenna.-.
-Mi stai dicendo che hai visto tutti e due i tuoi genitori? Per tre anni consecutivi?!- le chiesi, sconcertato.
Lei annuì energicamente. Crollai a sedere sul letto e mi presi la testa fra le mani. Lei mi si avvicinò, preoccupata, come se avesse dimenticato di avere un taglio sulla mano.
Ma non se l'era dimenticato. Semplicemente, non c'era più.
-Percy, ti vado a prendere un bicchiere d'acqua.- mi disse lei, prima di dirigersi verso la porta.
Acqua... proprio quello che volevo vedere dopo quello che era successo con Annabeth.
Di colpo sentì un urlo soffocato provenire dall'atrio. Saltai subito giù dal letto e afferrai la spada. Camminai di soppiatto, finché non vidi un grasso omaccione.
Che, sfortunatamente, non vedevo per la prima volta: sette anni fa, mia mamma stava con un uomo di nome Gabe, che aveva cacciato un'estate. E di colpo, eccolo là, una bella sorpresina, per completare quella “bellissima” giornata.
Stava tenendo Annie per le braccia e l'aveva spinta verso il muro. Non leggo nel pensiero, ma direi che le sue intenzioni erano piuttosto chiare.
Misi via la spada, non sarebbe servita con quello stupido mortale.
-Gabe, lasciala stare.- eslamai, scandendo bene le parole.
L'idiota fischiò e disse, come una presa in giro: -Guarda chi si vede! Il piccolo Percy. Come sta la mammina?- strinsi forte la penna in tasca e mi avvicinai.
-Mollala, Gabe!- gli dissi, stavolta con fare più minaccioso.
Lui la lasciò andare e si avvicinò, con fare strafottente.
-Ragazzino- sibilò a denti stretti -Non ti conviene metterti contro di me.-.
Sorrisi e gli risposi: -Tu dici?- gli mollai un pugno in pancia, lui si piegò dal dolore e così io presi Annie per un braccio e cominciammo a correre.
A quanto pare Gabe era dimagrito, perché cominciò a rincorrerci.
Appena usciti dalla casa, lei mi prese la mano e disse: -Se vuoi andartene, ti conviene prendere una barca, visto che il porto è qua vicino.- indicando una stretta passerella di legno, con una barca attraccata.
Corremmo a perdifiato e saltammo nella barca; Gabe ci mancò per un soffio.
-Ti prenderò figlio di Poseidone!- urlò, raggelandomi il sangue nelle vene.
-Perché ti ha chiamato così?- mi chiese Annie.
E così cominciai a raccontarle ogni cosa: -Hai presente gli Dei della Grecia?-.
Lei annuì e chiese: -Vuoi dire Zeus, Ade, Apollo, Ares e compagnia bella?-.
-Esatto. Bene, devi sapere che sono veri! Io sono figlio di uno dei più importanti, Poseidone.-.
Devo ammettere che la prese abbastanza bene. Mi mollò uno schiaffo.
-Ti presenti a casa mia, con una spada, mi rapisci e la scusa più credibile che hai trovato è che sei figlio di uno stupido dio immaginario?!- mi urlò lei.
A quanto pare mio padre era in ascolto, visto che di colpo si sollevò un'onda che la prese in pieno, bagnandola dalla testa ai piedi.
Definirla ampiamente scocciata è dir poco.
Si alzò in piedi, facendo tremare tutta la barca, e cercò di buttarsi in acqua. La afferrai per la mano, lei me la lasciò e si tuffò.
-Oddio... ma questa è pazza!- mormorai. Dopo che lei ebbe fatto un paio di bracciate, chiamai a me il potere dell'acqua e feci creare un'onda che la riportò sulla barca.
Tutta gocciolante, incrociò le braccia al petto e disse, con aria diffidente: -E se anche lo fossi, dove mi stai portando?-.
Soffocai un sorriso e risposi: -La mia casa, il campo mezzo-sangue.-.
-Mezzo-sangue?- chiese lei.
-Semidio.- risposi io.