Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Jo_The Ripper    02/02/2014    4 recensioni
La storia di come è nato e come è andato evolvendosi il rapporto tra Johanna e Finnick, prima e durante i 74esimi Hunger Games, attraverso una raccolta di one shot. Contiene spoiler per chi non avesse ancora letto "Il canto della rivolta".
1. Narciso e l'Amazzone: "In quel momento decise che mai e poi mai un tipo del genere sarebbe potuto diventare suo amico."
2. Imprevedibilità: "Perché lei era Johanna Mason, ed imprevedibilità era il suo secondo nome."
3. Ottone: "Capitol City…quella città era come un ingannevole bagliore dorato, visto da lontano."
4. Lacrime: "Era selvaggia e terribile come una delle dee della vendetta di cui aveva letto in passato."
5. Nome maledetto: "Per lei gli occhi di Finnick non avevano il colore del mare."
6. E se: "Quindi se fossimo venuti dallo stesso Distretto anche noi saremmo stati degli Sfortunati Innamorati?"
7. Il principio delle cose: "Felici Hunger Games, Johanna Mason." - "E possa la fortuna essere sempre a nostro favore, Finnick Odair."
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair, Johanna Mason
Note: Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nda: si consiglia la lettura della one shot precedente, dato che gli eventi di entrambe sono collegati.

Lacrime

Da quando aveva fatto ritorno al suo Distretto, dopo l’episodio dell’aggressione, Johanna viveva in uno stato di insicurezza costante. I suoi genitori non comprendevano la causa di quella paranoia nei loro confronti. La sua maniacalità li rendeva nervosi e quando a sua volta veniva interrogata sulle motivazioni, rispondeva con un ostinato silenzio.
Quando Johanna era fuori durante i suoi turni di lavoro, il tempo sembrava non scorrere mai: osservava compulsivamente l’orologio e qualsiasi rumore era capace di farla sobbalzare. Divenne molto più irritabile del solito e cominciò ad allontanare da sé anche coloro che, un tempo, erano stati suoi amici. Questi, alla stregua dei genitori, non se ne spiegavano la ragione, ma lei decise che era meglio così, nonostante la dolorosa solitudine a cui sarebbe andata incontro: il presidente non avrebbe fatto loro del male, se avesse saputo che la odiavano. E lei era bravissima a scatenare nelle persone questo tipo di reazione.
Al Distretto le malelingue cominciarono ben presto la loro opera di divulgazione di voci infondate. La definirono fredda, altezzosa, orgogliosa, snob, una che si era montata la testa dopo aver vinto i giochi e scoperto le ricchezze della capitale. I più gentili ritenevano, invece, che soffrisse di una qualche forma di stress post traumatico che la rendeva emotivamente instabile.
Solo Finnick era a conoscenza della verità sulle sue paure più profonde; in fin dei conti era stato lui a smascherare definitivamente le reali intenzioni di Capitol City nei riguardi di tutti i vincitori.
Nei momenti in cui l’ansia prendeva il sopravvento, Johanna si autoimponeva di resistere all’impulso di chiamarlo. Sapeva di essere spiata e controllata, anche se le cose sembravano procedere come sempre. Era a conoscenza dell’oscura presenza che aleggiava intorno a lei e le teneva il fiato sul collo.
I suoi incubi diventavano sempre più frequenti e violenti; incubi in cui sua madre e suo padre venivano barbaramente massacrati e lei era paralizzata di fronte allo spettacolo dei loro corpi smembrati. Si svegliava di soprassalto ed le riusciva impossibile continuare a dormire.
I sedativi come la morfamina iniziarono ad esercitare una forte attrattiva sulla sua mente provata. Avrebbe sicuramente cominciato a farne uso, se non fosse stato per il fatto che, quei medicinali, le avrebbero obnubilato il cervello, mentre lei doveva rimanere vigile e lucida.
Quell’attesa la stava distruggendo, la divorava come un tarlo dall’interno e la cosa peggiore era che alternava degli stati di angoscia profonda, ad altri in cui nasceva in lei una flebile speranza che il Presidente avesse dimenticato. Sapeva bene che quella era solo una vana illusione, ma non poteva frenarsi dal pensare che avrebbe potuto lasciarla in pace.

*

Una mattina, dopo due mesi dall’accaduto, Johanna si recò in montagna per il lavoro giornaliero. Aveva dormito circa due ore, dopodiché si era svegliata, con un angosciante senso di smarrimento e di gelo instillato nelle ossa. L’ansia che provava cresceva sempre di più ad ogni colpo inferto dalla sua ascia contro corteccia di un albero e si sentiva soffocare dalla paura che qualcosa di terribile stesse per accadere.
L’eco di una roboante esplosione le fece cadere l’ascia dalle mani e finì sul tappeto di rami e foglie. Il suo cervello ignorò l’ordine del caposquadra di restare concentrati sul proprio lavoro e le diede l’input di scendere lungo le pendici della montagna, per avere una visuale migliore del Distretto.
Aguzzò la vista ed il cuore le si fermò nel petto quando vide un fumo denso alzarsi in spire nere verso l’alto. La cosa peggiore era che il punto da quale proveniva il fumo era proprio il villaggio dei vincitori.
“No…” mormorò, per poi cominciare a correre di volata attraverso la foresta, inciampando nelle radici e rialzandosi subito dopo, incurante del dolore e dei tagli che si era procurata.
Quando arrivò all’ingresso del viale del villaggio dei vincitori, non era rimasto nulla della sua casa. La gola le raschiava a causa delle ceneri che galleggiavano ancora nell’aria come neve velenosa, ed i polmoni bruciavano per via dell’odore acre e pungente del fuoco che aveva divorato ogni cosa. Tutto era ridotto ad un ammasso fumante di macerie.
Si avvicinò, esitante; gli occhi non volevano ancora arrendersi a quell’orrendo spettacolo della sua casa sventrata dalla deflagrazione. I pompieri si davano un gran da fare per spegnere le rimanenti fiamme, mentre i pacificatori badavano a tenere lontani i curiosi. Il giardino antistante era tutto ingombro di ogni genere di residuo: calcinacci, mobili bruciati, schegge affilate di vetro delle finestre. Persino le case adiacenti, fortunatamente disabitate, avevano subìto danni.
“Signorina, non può restare qui.” Un pacificatore le sbarrò la strada, ma lei lo spintonò con forza.
“Questa è casa mia e lì dentro c’è la mia famiglia! Lasciami passare, idiota!”
Si avviò a passo svelto, ma altri arrivarono a fermarla.
“Signorina Mason, sono spiacente di doverla informare che la sua famiglia è rimasta vittima di uno sfortunato incidente…”
Ma Johanna non lo ascoltava. Il suo sguardo era stato attirato da un gruppo di uomini che posavano qualcosa su una portantina di metallo. La scena si svolse al rallentatore: vide uno degli uomini spingere la lettiga lungo la strada, ed il terreno instabile la faceva sferragliare. Un braccio, completamente carbonizzato, scivolò fuori dal lenzuolo, penzolando ed oscillando sinistramente ad ogni movimento della barella.
Gli occhi le si riempirono di lacrime ed emise un singulto strozzato.
“…causato da una fuga di gas. E il governo ha stabilito che, in quanto vincitrice, potrà trasferirsi in una nuova abitazione.”
Johanna mosse il capo lentamente ed il pacificatore tacque, impaurito. Doveva avere un’espressione davvero folle se quell’uomo indietreggiava di fronte a lei. Era arrabbiata, frustrata, furente.
“Ho appena perso la mia famiglia e tu vieni a parlarmi di una casa nuova? Lui li ha uccisi, li ha uccisi tutti!” con una mossa veloce gli fu alla gola e strinse con tutte le sue forze. L’uomo cadde sulla schiena e cominciò a dimenarsi alla ricerca di aria.
I pacificatori le furono addosso e liberarono il loro compagno dalla presa salda di Johanna.
“Assassini, non siete altro che assassini!”
“Signorina, si calmi, è stato un inciden…”
“Incidente! Vuoi che me la beva? Vi auguro di crepare nella maniera più atroce che esiste, capito!! Mi hai sentita, Snow? Dovrai morire, maledetto bastardo!” gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Dopodiché scappò. Fuggì senza voltarsi indietro, verso le montagne, passando per la sua zona di lavoro e recuperando la sua ascia, sotto lo sguardo allibito di tutti i colleghi. Nessuno osò rivolgerle qualche domanda e nessuno la seguì quando si addentrò tra gli alberi.

Una volta arrivata abbastanza lontano, sicura che nessuno potesse sentirla, urlò.
Urlò di disperazione e dolore fino a che la gola non cominciò a bruciare.
Pianse lacrime di vendetta e pena.
Non voleva fare ritorno al villaggio dei vincitori: ogni volta che sarebbe passata da lì la sua memoria sarebbe tornata a quando la vita era tranquilla, a quando non aveva vinto gli Hunger Games. Avrebbe ricordato i piacevoli silenzi che condivideva con suo padre e le brevi chiacchiere con sua madre, che storceva il naso quando lei scappava via da qualche “discorso da donne”.
Cosa avrebbe fatto adesso?
Non le rimaneva più nessuno. I suoi ricordi, la sua vita e le persone che amava erano ormai cenere, distrutte dal fuoco di Capitol City.
Si sedette contro la corteccia di un vecchio pino, portò le ginocchia al petto e continuò a singhiozzare.

*

Le voci circolavano con facilità e velocità nel tessuto di intrighi di cui era costituita Capitol City. Quando la notizia della morte della famiglia di Johanna Mason, sussurrata con timore e sbigottimento, arrivò a Finnick questi decise che sarebbe andato nel Distretto 7 il prima possibile, anche solo per scontrarsi contro il muro di silenzio che Johanna gli avrebbe riservato. Era suo amico, non poteva lasciarla sola ora che aveva bisogno di qualcuno che le stesse accanto.
Tre giorni dopo l’accaduto, con un permesso speciale che era riuscito ad ottenere, arrivò lì. Vide la casa distrutta al villaggio dei vincitori ma di Johanna non c’era la minima traccia. Chiese in giro, e tutti gli indicarono la montagna, dicendo che la ragazza non si faceva viva in città dal giorno dell’incidente.
“Probabilmente sarà andata ad impiccarsi. Tanto meglio! Nessuno sentirà la mancanza di quella pazza.” Asserì uno dei Pacificatori e a Finnick venne una gran voglia di piantargli un coltello nel cuore.
Nonostante questo, si incamminò lungo la montagna, con la sola indicazione del campo di lavoro di Johanna. Finnick non era preoccupato: sapeva che prima o poi l’avrebbe trovata e l’avrebbe convinta a tornare tra gli esseri umani. Aveva un asso nella manica, qualcosa che sicuramente l’avrebbe smossa e l’avrebbe spinta a combattere ancora una volta.

Il sentiero della montagna era impervio, ma non si scoraggiò. I segni della vicinanza di Johanna parlavano chiaro: rami tranciati di netto, sangue secco e segni lasciati da un oggetto affilato contro gli alberi. Finnick non era un cacciatore, ma aveva imparato a seguire le tracce di qualcuno durante l’addestramento dei suoi Hunger Games. Probabilmente quella era l’unica cosa utile che i giochi gli avessero insegnato.
Finalmente, dopo aver camminato a lungo, riuscì a scorgerla.
La vide in piedi, con l’ascia stretta in mano, che assestava l’ennesimo colpo contro il tronco di un albero.
“Johanna.” La chiamò e lei si voltò piano.
Aveva gli occhi rossi, gonfi ma asciutti dopo aver pianto tutte le sue lacrime, il respiro affannoso e la bocca dischiusa per catturare più aria a causa dello sforzo, i capelli scarmigliati e i vestiti strappati in più punti. Attorno a lei dominava lo sterminio seminato con la scure. Aveva distrutto tutti gli alberi, creando un vuoto spazio circolare attorno a sé.
Era selvaggia e terribile come una delle dee della vendetta di cui aveva letto in passato.
“Finnick.” La sua voce era roca, come se avesse gridato fino a consumarla. E probabilmente era così. “Cosa ci fai qui?” gli chiese stupita.
“Sono venuto per te.”
La risposta la sorprese: lui era stato il primo ad andarla a cercare. Non pensava che gli importasse qualcosa di lei, anzi, credeva che le avrebbe sbattuto in faccia un “Te l’avevo detto” alla prima occasione.
“Perché?”
“Mi dispiace per la tua famiglia, Jo.” Rispose rammaricato.
Lei gli lesse la tristezza e la pietà sul bel viso e si sentì ancora più inutile e stupida.
Si rivolse a Finnick, eruttando tutta la rabbia, l’impotenza, la frustrazione in un’unica, iraconda esplosione.
“Non so cosa farmene del tuo dispiacere, sei arrivato troppo tardi. Sai cosa mi hanno detto? Che è stato un fottuto incidente, una maledetta fuga di gas! Ma noi sappiamo che non è così, vero Finnick?”
Lui non cedette, ma la fissò con fermezza.
“No, non lo è. Ma io sono venuto qui perchè volevo sincerarmi di come stessi. Francamente non pensavo che avresti avuto voglia di parlarmi.”
“In effetti è così, ma come vedi sto benissimo!” fece una giravolta su se stessa. “Talmente bene che avrei persino la forza necessaria per decapitarti.”
“Se può farti sentire meglio, fallo.” La incitò e lei strinse le labbra in una linea sottile. “Ma ricordati che non sono io il tuo nemico.”
“No, tu sei la puttana di Capitol City, Finnick Odair!” sputò acida. “Sarebbe troppo facile ucciderti qui e adesso, ma devo dartene atto, non sei tu che meriti quest’ascia conficcata nel cranio.” Soppesò l’arma con ghigno inquietante. Lui le si avvicinò di più e le pose una mano sulla spalla, con delicatezza.
“Non sei l’unica che vuole vendetta, Johanna. Ci sono persone a Capitol City e negli altri distretti che non vogliono più essere delle pedine nelle sue mani.”
A quell’affermazione la ragazza scoppiò in una risata isterica, allontanandosi da lui.
“Sai, ho addirittura pensato che sarebbe stato meglio suicidarmi per evitare che loro soffrissero, ma chi li avrebbe protetti dopo la mia morte? Sangue chiama sangue. E tu hai davvero fatto tutta questa strada per dirmi questo? Dopo quello che è successo ti fidi delle parole degli altri?”
“È la verità e posso provartelo. Abbassa l’ascia e parliamone.” Le fece un cenno e le parlò gentilmente per calmarla. Johanna si accorse di star brandendo lo strumento in maniera minacciosa e lo abbassò. Il ragazzo non stava mentendo, era sincero ed era l’unica persona rimasta in vita di cui si fidasse un po’. Ma non gliel’avrebbe mai detto, non avrebbe corso quel rischio.
“Perché fai tutto questo, Finnick? Dimmelo una buona volta e facciamola finita. Sono stanca di questi giochetti.” Il ragazzo abbassò lo sguardo al suolo e strinse i pugni. Prese un respiro e annuì.
“Lo faccio per Annie. Perché odio quello che l’hanno costretta a diventare e perché odio quello che hanno fatto a me.”
Johanna fece un passo indietro, stupita dalla rivelazione.
“Intendi Annie Cresta, la ragazza che ha vinto l’edizione precedente alla mia? Quella che è…”
Finnick stirò un sorriso amaro.
“Sì, quella che è impazzita.”
“Capisco.” Affermò e comprese a fondo quel che Finnick le aveva detto tempo addietro, ossia che erano più simili di quel che volevano sembrare. Erano animati entrambi da sentimenti forti ed intensi, ma mentre Finnick agiva per istinto di protezione e rivincita, Johanna, che era ormai sola al mondo, avrebbe puntato tutto sulla vendetta.
“Voglio la vendetta, Finnick, e non mi accontenterò delle briciole, sappilo. Voglio Snow e voglio vedere la vita abbandonare i suoi occhi personalmente.” La voce era pericolosamente ferma e decisa e Finnick le fece un cenno di assenso. Constatò che ormai nel cuore di Johanna si allargava a macchia d’olio solo una vuota oscurità.
“Possiamo farlo. Possiamo fare in modo che nessuno debba più soffrire quello che abbiamo sofferto noi.” Affermò lui.
“Nessuno.” Prese l’ascia e la lanciò. Questa si conficcò nel tronco dell’albero con uno schianto. Guardò di nuovo Finnick e decise che avrebbe combattuto. Se quello era il gioco di Capitol City, allora avrebbe partecipato. Aveva vinto una volta, poteva farlo ancora.
“Nessuno.” Ripeté, ed insieme si lasciarono la foresta alle spalle.

***
Salve! Oggi propongo la mia personale visione di cosa sia successo alla famiglia di Johanna, giusto per ricollegarmi al famoso: "Non mi è rimasto nessuno a cui volere bene". -ma è una bugia perchè c'è sempre Finnick-.
Come sempre ringrazio darkronin per la cura che ha nel betaggio e tutti voi che leggete e recensite; fate felice una povera autrice continuando così :D
Assai copioso amore scenda su di voi e buon inizio di settimana!
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Jo_The Ripper