Film > Howl's moving castle
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Autore: Marge    02/02/2014    4 recensioni
Frozen Flowers è il seguito di Flowers Wall; dopo aver coronato il loro sogno d'amore sotto *diversi* punti di vista, Howl e Sophie si cacceranno di nuovo in qualche guaio. Di chi è la colpa, questa volta?
E dal momento che ne hanno già vissute molte in patria, mi sembra giunto il momento di esplorare un po’ i dintorni. Chi è Hilde, e che paese è mai il suo, perennemente immerso nei ghiacci? E cosa avrà a che fare con i nostri due eroi ed il loro demone del focolare?
Si consiglia la lettura solo dopo aver letto Flowers Wall e tutte le storie della stessa saga!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti | Coppie: Howl/Sophie
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Flowers Wall'
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FROZEN FLOWERS

III

In cui qualcuno si innamora di Howl


Per fortuna la bambina dimostrò più autonomia del previsto, e lasciata in bagno da sola, ne emerse soddisfatta. Tuttavia il vestito azzurro era definitivamente scivolato via, e lei per comodità aveva scalciato anche gli enormi mutandoni; e mentre Howl continuava a guardarla raccapricciato, si mise a rotolare sul pavimento della stanza del focolare, con indosso esclusivamente la sottoveste che le fungeva da ampia tunica.
“Non è possibile. Calcifer, dimmi che questo è un sogno.”
“Howl, prenderà freddo così. Dobbiamo coprirla.”
Le si avvicinò circospetto, si accucciò davanti a lei e provò nuovamente: “Ehi, bambina, come ti chiami?”
“Sophie!” esclamò lei sicura, e riprese a rotolare.
“E sai chi sono io?” tentò ancora il mago, che imperterrito cercava di convincersi che quella fosse una bimba qualsiasi, e la sua Sophie fosse da qualche parte. Certo, magari nelle mani di qualche spaventoso mostro assassino, da salvare e riportare a casa, ma pur sempre delle sue dimensioni originali.
La bimba di nome Sophie si fermò per scrutarlo attentamente. “Non lo so” mormorò chinando il capo, pur continuando a fissarlo da sotto in su.
“È lei, Howl, rassegnati. Guardala negli occhi.”
“Ma ha i capelli castani.”
“Sophie avrebbe i capelli castani, se solo la Strega non l’avesse maledetta.”
A quel punto la bambina fece una cosa strana: si prese le ciocche tra le mani e le fissò strabiliata. “Sono marroni!” esclamò stupita.
“Di che colore dovrebbero essere?” le chiese Howl, mentre la rassegnazione serpeggiava infida dentro di lui.
“Così” rispose la bambina, ed indicò la sottoveste candida.
“Vedi? È lei” concluse Calcifer.
“Sophie ha i capelli color delle stelle, argentati semmai, e non bianchi!” puntualizzò lui rialzandosi.
“Howl, è solo una bambina. Dimostra sì e no tre anni: lo sai che i bambini confondono quasi tutto. Piuttosto, sbrigati a coprirla prima che le venga una polmonite.”
Howl impiegò i minuti successivi a cercare di avvolgere Sophie in una coperta, combattendo con la bambina e il suo istinto di libertà.
“Adesso basta!” tuonò alla fine. “Ora te ne starai qui seduta, buona ed immobile, fino a nuovo ordine, è chiaro? Altrimenti il cattivissimo demone del fuoco Calcifer ti mangerà!”
Depose il fagotto sul divano e la fissò furente, senza lasciarsi intimidire dai lacrimoni che silenziosi le solcavano le guance.
“Non ci tirare in ballo” ribatté Calcifer diventando viola, “non abbiamo mai mangiato bambini, noi!”
“Neanche io, se è per questo.”
Howl si lasciò cadere su una sedia e si prese la testa fra le mani.
“Ed ora cosa facciamo?”
“C’è anche un altro problema: il Castello.”
Howl lo fissò con sguardo vacuo, immemore.
“Non si muove. È andato.”
Sophie scoppiò a ridere.


Howl sbraitava da circa mezzora, mentre infilava nella sua sacca magica tutto ciò che gli veniva in mente.
“Non posso crederci! Maledetto il giorno in cui mi è venuto in mente di partire per questo viaggio!”
Afferrò un paio di coperte in più e le accartocciò a forza nella sacca.
“Potevamo rimanere a Dengulls, un luogo così caldo ed accogliente! Ed invece ci troviamo abbarbicati su uno sperone di roccia in cima alle montagne più fredde ed inospitali di tutto il mondo, in un regno straniero, con un Castello totalmente inutile ed una bambina ancora più inutile alle calcagna.”
Tra le mani gli capitò la giacca foderata di pelliccia, e sbruffando ancora la infilò.
“Dove terrà secondo te i risparmi, quella tirchia di Sophie?”
“Noi non lo sappiamo” ribatté serafico il demone dal focolare. “Prova a chiederlo a lei.”
“Sophie!” urlò. La bimba rotolò davanti a lui.
“Howl, prova ad essere più dolce, o le farai paura e non ti risponderà.”
Il mago gli riservò un’occhiataccia, poi tornò a lei: “Allora, dimmi tesoro, dove tieni tutte le tue monetine? Te lo ricordi?”
La bimba lo guardò imbronciata, poi scosse la testa.
“Sophie, suvvia, prova a concentrarti. Ci servono veramente.”
“Posso dirlo a lui?” disse allora lei, indicando Calcifer con un ditino.
Howl alzò gli occhi al cielo e scosse le spalle. Sophie si avvicinò al focolare, si alzò in punta di piedi e mise le mani a coppa attorno alla bocca. Si assicurò con un’occhiata che Howl fosse abbastanza lontano, e mormorò qualcosa al demone attento.
“Possiamo andare a prenderli?” domandò lui. Sophie annuì.
“Possiamo dirlo a Howl?”
Annuì ancora.
“Sono di sopra, nella tua stanza” rivelò quindi Calcifer. “In un cassetto del comò, Sophie non ricorda quale, c’è un calzino arancione. Sono lì dentro.”
Howl si lanciò per le scale sbraitando qualcosa a proposito delle vecchie tirchie e sospettose.
“Dunque, il piano è questo” annunciò quando fu di ritorno, con il calzino arancione che spuntava fuori da una tasca. “Ci copriamo tutti per bene, e tu Calcifer farai attenzione al ghiaccio. Usciamo di qui e proteggiamo il Castello con un incantesimo che lo renda invisibile.”
Afferrò una corda ed un piumino, e fulminò Sophie con un’occhiata. La bambina non si mosse.
“Scendiamo al volo giù dalle montagne, attraversiamo la zona deserta fino al primo villaggio disponibile” continuò avvolgendola saldamente nella coperta. “È impensabile tornare ad Ingary, ora, perché abbiamo già valicato il passo: sarebbe un’impresa disperata.”
Prese la corda e cominciò ad arrotolarla attorno al fagotto.
“Lì troviamo un modo qualsiasi per giungere a Freedam. Una volta al sicuro nel Palazzo Reale, troverò un modo per sistemare questa faccenda” indicò il salame. “Ed anche per capire cosa è successo al Castello. Spero che Espen vorrà darmi una mano.”
Prese Sophie e se la legò al torso con la corda rimanente.
“Sono pronto” annunciò. Il demone annuì con aria seria, ed insieme uscirono dalla porta del Castello. La prima folata di vento gelido li investì, e Sophie nascose il viso contro il petto di Howl, impaurita.


Saltellarono abbastanza agilmente giù dalle montagne, fino a raggiungere l’infinita distesa di neve che all’orizzonte si perdeva in una nebbiolina grigia e bagnata, senza distinzione con il cielo plumbeo.
Howl si fermò pensieroso, ed anche piuttosto preoccupato: senza Castello attraversare quella zona deserta era un’impresa impossibile, nelle loro condizioni.
“Hai fame?” chiese alla bambina, che per tutto il tempo era rimasta silenziosa ed immobile. Sophie annuì spalancando gli occhi.
Calcifer era ridotto ad una fiammella azzurrina.
Al riparo dietro uno sperone di roccia Howl spezzò del pane tra loro e ne diede una parte ciascuno, infilandone pezzi in bocca alla bambina ancora avvolta nella coperta.
“Più piccoli, Howl, lei non ha una bocca grande come la nostra” lo rimbeccò il demone.
“Si può sapere come fai ad essere così esperto di bambini?”
“Si tratta solo di fare attenzione” ribatté Calcifer. “E poi ci hai lasciati soli con Markl un’infinità di volte.”
“Ma Markl era grande almeno il doppio di lei, quando è arrivato” si difese Howl. Osservò quindi Sophie aggrottando le sopracciglia. La bambina faticava a masticare, congelata ed insonnolita.
“Mettiti vicino a lei” ordinò a Calcifer. Poi le strofinò i palmi delle mani sulle guance, e Sophie si mise a ridacchiare. Con le guance rosse e gli occhi lucidi era evidente la sua somiglianza con la sua Sophie.
“Eri carina anche da piccola” mormorò Howl tra sé e sé, poi s’incupì.
“Non possiamo camminare fino ad un villaggio” disse. Si alzò in piedi e si sfilò la giacca.
“Sei ammattito?” chiese Calcifer quando Howl cominciò a sfilarsi anche la camicia. Ma l’altro si limitò a rabbrividire.
Una piuma nera svolazzò fino a terra, ai piedi di Sophie, che la prese con una manina infilata tra gli strati di lana e la portò al viso. Se la passò sulla guancia come una carezza, poi alzò gli occhi e disse solo: “Howl.”
“Non preoccuparti” disse lui raccogliendola da terra, “ti porterò al caldo quanto prima.”


Come ogni mattina, Vika uscì di casa più carica di un mulo: aveva un cesto sotto ogni ascella, uno per mano ed una grossa sacca appesa alle spalle.
“Milla, muoviti! Faremo tardi!” urlò rivolta verso la casa. Si udì una vocetta infantile rispondere, e poco dopo comparve una ragazzina, appesantita allo stesso modo. “Eccomi, eccomi!”
“Siamo già in ritardo! Vedrai, il carro ci starà già aspettando impaziente. O forse preferisci che compri le pelli da qualcun altro?”
“Arrivo!” brontolò ancora Milla, incamminandosi dietro la madre. “Sono sicura che sarà ancora lì ad aspettarci. Le nostre non sono forse le migliori?”
“Lo sono” sorrise Vika, piena d’orgoglio. “Però affrettiamo il passo. Dobbiamo anche comprare del burro.”
A quella parola lo stomaco della ragazzina brontolò, ricordandole che non aveva fatto in tempo neanche a fare colazione; la fame le mise energia, e marciò sicura fino al fianco dell’altra.
Ma qualcosa attirò ben presto la sua attenzione: a lato della strada, sopra un cumulo di neve sporca, stava un fagotto insolito. Lo vide da lontano e tenne gli occhi ben piantati, poi il fagotto sussultò e rotolò, e Milla quasi fece un salto per lo spavento.
“Mamma, lì c’è qualcosa!”
“Milla, faremo tardi.”
“Dico sul serio! Guarda!” Mollò le ceste in terra e corse dal fagotto. Rimase ad osservarlo, dubbiosa, finché quello non si voltò: tra le pelli e le coperte spuntava il visino di un bimbo, chiarissimo quasi più di un Ramepohl, ma gli occhi brillavano d’un marrone scuro e caldo.
“Oh!” esclamò allora Minna. “Mamma, è una bambino!”
Vika si avvicinò senza lasciare il carico prezioso.
“Un bambino?”
“Ma sì, guardalo!”
Milla prese in braccio il fagotto, e il bimbo sorrise.
“Come può essere finito fin qui? E di chi è?”
“Non sembra uno di noi.”
Vika la osservò attentamente. “No, è vero…”
In quel momento il bimbo aprì la bocca e disse qualcosa, ma Milla non capì.
“Cosa ha detto?”
“È la lingua del regno d’Ingary.”
“Il regno di…?”
“Milla, cosa vai a fare a scuola? Non hai studiato la geografia?”
La ragazzina corrugò un labbro, insieme colpevole e contrariata del rimprovero. “Sì, ho capito, quel regno che si estende al di là delle montagne ed arriva fino al mare… Ma a cosa serve saperlo, visto che non ci andrò mai?”
“Serve, per esempio, per cercare di capire cosa fa qui un bambino di quel posto.”
Nel frattempo il piccolo continuava a parlare, come se potessero capirlo. Ripeteva insistentemente una frase, e cercava di liberarsi dal salame di coperte e corde in cui era avvolta.
“Poggialo in terra e recupera le tue ceste, prima che le pelli si bagnino e si rovinino” ordinò la madre, ma quando la figlia si fu allontanata a sua volta posò le sue in terra e cominciò a svolgere i nodi. Non fece in tempo a fermare il bambino: mezzo nudo, avvolta solo in quella che sembrava una sottoveste da donna, gattonò sulla neve senza preoccuparsi del freddo; scavalcò il cumulo di neve e rotolò dall’altra parte, continuando a gridare la sua frase.
“Torna qui, ti ammalerai!” esclamò allora Vika, arrampicandosi a sua volta. Quasi cadde per la sorpresa quando, dall’altro lato dell’ammasso, vide un uomo riverso nella neve. “O mia dea!” esclamò. Corse da lui e lo voltò: il suo viso era bianco e freddo come se fosse morto, ma un flebile respiro ancora lo animava, trasformandosi in una nuvoletta bianca davanti alle sue labbra. Il bambino, tremando, gli afferrò una mano e se la portò al viso. Poi si girò verso la donna e disse ancora: “Howl sta male.”
A Vika sembrò di comprendere, se non le parole, almeno la grande preoccupazione.
“Mamma, dove sei?”
“Minna, corri qui, presto!”


“È una bambina” disse Vika rientrando nella stanza. La figlia si voltò a guardarla, mentre con una mano rimestava piano in un pentolone sopra il fuoco. “Femmina?”
“Sì. Ed ha la pelle chiarissima, ma non sembra una Ramepohl. L’uomo che fa?”
“Non ho udito alcun rumore di là, ma non mi fido ad entrarci da sola.”
Vika annuì, poi depositò Sophie, avvolta in un telo da bagno, su uno sgabello accanto al camino.
“Ecco, stai qui buona” disse con tono dolce. La bimba annuì.
“Ma ti capisce?” chiese Minna sorpresa.
“I bambini capiscono il tono con cui ci si rivolge loro, più che le parole. Non ricordi quando Remco era piccolo?”
“Ero piccola anche io” si difese Minna.
“Oh, eravate così carini insieme! Tu gli parlavi in una lingua tutta tua, fatta di versetti e gesti, e lui, anche se era appena nato, ti guardava con grande interesse, e sembrava capire ogni cosa!”
“Quando torneranno lui e papà?”
“Chi lo sa” Vika scosse le spalle, ed aprì un grande armadio. “Dovrei avere ancora qualche abito di quando eri piccola…”
Minna fissò con interesse la bambina, che se ne stava lì seduta, senza dare alcun problema, sorridente e tranquilla: davvero ben diversa da com’era lei a quell’età.
“È strana” disse allora. “Ha lo sguardo di una persona adulta. E poi è troppo calma, per essere così piccola.”
“Forse è solo bene educata” disse Vika, e sembrò quasi un rimprovero. “Trovato!” Tirò fuori dall’armadio un vestitino di pelli, bordato di pelliccia e decorato da un semplice ricamo sulla pettorina. “Ti starà benissimo, vedrai! Del resto, non capisco proprio come possano averti lasciata andare in giro conciata a quella maniera: una sottoveste e tante coperte come una salsiccia di foca…” “Posso pettinarla?” saltò su Minna quando la bimba fu vestita, e dedicò la mezzora successiva a districare i nodi dei capelli, così sottili e vaporosi che in poco tempo furono asciutti. Era impegnata nel farle una seconda treccina a lato della testa, quando la bimba saltò sul pavimento ed urlò: “Howl!”
Corse verso la figura comparsa d’improvviso sulla soglia della porta, a braccia tese; entrambe le donne, che non avevano sentito alcun rumore, sobbalzarono per lo spavento.
“Sophie!”
L’uomo si chinò a prendere la bambina e si abbracciarono come due disperati. Lei cominciò a parlare velocemente con la sua vocina all’orecchio dell’uomo. Lui annuì, poi si rivolse alle due donne: “Vi ringrazio” disse, e Vika notò sua figlia arrossire improvvisamente. “Grazie per esservi prese cura di Sophie” continuò, senza commettere alcun errore nella loro lingua ma con un forte accento.
“Vostra figlia si chiama Sophie?”
L’uomo annuì, senza aggiungere altro. Minna, immobile sul suo sgabello, era scarlatta in volto.
“Io mi chiamo Vika” disse quindi lei alzandosi in piedi. “E questa è mia figlia Minna. Vi abbiamo trovato mezzo morto, sepolto nella neve. Se non fosse stato per questa bambina, forse non vi avremmo neanche visto.”
L’uomo annuì ancora.
“C’è del minestrone caldo. Ne volete? Dovrete essere stanco.”
“Non vorrei disturbare.”
“Nessun disturbo!” esclamò a quel punto Minna, scattando in piedi. Corse in un angolo e ne riemerse con una pila di ciotole tra le mani. “Mio padre e mio fratello sono fuori per la caccia, in questi giorni! Potete rimanere, io posso dormire con la mamma e voi potete dormire nel mio letto. Nessun disturbo!”
L’uomo rise piano, poi si rivolse verso la donna, che guardava la figlia con un rimprovero inespresso negli occhi.
Lui, quindi, sfoggiò un sorriso abbagliante: “Stiamo invadendo la vostra casa. Una ruota della nostra carrozza si è sfracellata sulle montagne, e siamo stati costretti a camminare a lungo, ma andremo via al più presto, domattina.”
Vika, inebetita, si ritrovò ad annuire, senza riuscire a staccare gli occhi dal volto di quel bellissimo giovanotto. Sentì le guance diventarle calde, e si diede della stupida: non era certo un’adolescente come sua figlia!
“Nessun problema” borbottò, voltandosi per nascondere il rossore. “Potete rimanere anche più a lungo; come ha detto mia figlia, in questo momento c’è spazio a sufficienza. Dove siete diretti?” “Freedam” rispose l’uomo.
“È piuttosto lontano” rifletté lei. “Ma ogni settimana parte una slitta-diligenza dal nostro villaggio.” “Partirà fra due giorni” disse Milla, impegnata nel versare la minestra nelle ciotole. “Ecco qui.”
Si sedettero in circolo a terra, sopra le pelli davanti al fuoco.
“La nostra è una famiglia di cacciatori e conciatori; vendiamo sia la carne che le pelli ai mercanti che girano per tutto il paese. Voi, invece?”
“Sono un studioso” rispose lui, in maniera enigmatica.
“Capisco… e vostra moglie?”
Lui si prese il tempo di un boccone per rispondere. “Non è più con noi” disse poi. Tornò a guardare la compagnia: la ragazzina gli stava riservando uno sguardo adorante. Sospirò e spostò gli occhi su Sophie: appena finita la sua parte si era acciambellata contro di lui e già dormiva.
“Sarà meglio che ci ritiriamo” disse alzandosi. “Domattina farò delle provviste per il viaggio. Grazie per il vestito di Sophie.”
“Potete tenerlo” rispose Milla in un gran sospiro. Il suo umore era cambiato, nell’arco della cena, almeno cinque o sei volte, ma in quel momento svolazzava sicuro ben oltre le stelle: quel bellissimo uomo non aveva forse fatto intendere di essere senza moglie? E forse era anche in cerca di qualcuno che facesse da madre alla bimba: regalargli l’abito era un’ottima mossa.
“Vi accompagno” disse Vika, precedendo ogni ulteriore mossa della figlia. “Milla, vai a riempire la brocca d’acqua.”


Una volta solo nella stanza Howl depose con grande cura Sophie dormiente sul letto.
Si sedette pensieroso: aveva lasciato alle due interlocutrici molta libertà nell’immaginare ciò che non aveva rivelato, ma avrebbe dovuto inventare una storia più credibile per il lungo viaggio, senza Castello, fino alla capitale di Angelia.
Non si sorprese, ma fu contento, quando il fuoco in un secchio ai piedi del letto si avvolse su stesso ed esibì un paio di occhietti rotondi.
“State tutti bene?” chiese Calcifer.
“Sì. Per fortuna queste due donne ci hanno trovati… Sophie li ha condotti fino da me. Che tipetto intraprendente!”
“Sophie è rimasta Sophie” sentenziò il demone del fuoco. “Vi controllavamo da lontano, ma eravamo ridotti davvero male, dopo quel volo pazzo tra i ghiacci delle montagne. Howl, sei un incosciente!” “Che altro avrei potuto fare?”
“Portaci altra legna. Siamo troppo stanchi per uscire da queste braci accoglienti.”
Sorridendo Howl gli lanciò un ciocco, che Calcifer afferrò al volo e strinse a sé vorace.
“Come raggiungeremo Freedam? E come aggiusteremo il Castello, e scioglieremo l’incantesimo su Sophie?”
A quella sfilza di domande Howl si mise due dita sulla fronte, su una grande ruga che gliela attraversava completamente. “Espen mi aiuterà. Non ho idea di cosa sia accaduto al Castello, né tantomeno a Sophie.”
Si tolse la camicia e la gettò su una sedia. “Ora riposeremo tutti quanti. Domani penserò ad una soluzione per ogni cosa.”
“Rimandi solo il problema, come sempre.”
“Taci, maledetto demone!”
Offeso, Calcifer si acciambellò su se stesso e scomparve quasi tra i ciocchi di legna. Howl si infilò sotto le coperte e strinse a sé il corpo di Sophie. Ogni singolo muscolo del suo corpo era sfinito; aveva speso in quel volo disperato ogni energia, umana e magica. Il vento gelato gli aveva seccato il viso, e le labbra erano screpolate e spaccate. Preoccupato, passò le dita sul volto di Sophie, ma la bimba era rimasta al riparo contro di lui per tutto il tempo, ed era morbida e calda.
Nonostante la stanchezza, rimase a fissare il soffitto lungo, inquieto.
“Sei triste?” chiese lei dopo un po’, fissandolo con gli occhi spalancati.
“Mi manca la mia Sophie” rispose, e mentre lo diceva si accorse che era vero: se fossero stati insieme avrebbero trovato il modo di ridere anche di quella situazione assurda.
“Ma io sono qui” rispose la bimba, e gli mise una mano sul viso. Howl sorrise e chiuse gli occhi.


A Milla sembrava veramente di svenire: la testa le girava, ed il cuore le batteva forte nelle orecchie. Con la brocca tra le mani tremanti si accasciò a terra sotto la finestra, incurante della neve che le bagnava la gonna. Le gambe erano come vuote, e non le reggevano.
“Un demone del fuoco!” pensò, esterrefatta. “È uno stregone!”
Ripensò al suo sorriso, agli occhi azzurri come il cielo in primavera e le sue mani forti, strette intorno alla ciotola. Per la prima volta, immaginò le mani di un uomo attorno a sé, a stringerle un braccio, o magari a tenerle il volto, e un brivido l’attraversò da capo a piedi. “Che mi abbia fatto un incantesimo?” si chiese. “Se così fosse, mamma non potrebbe neanche arrabbiarsi, se io andassi via con lui.”
Strinse la brocca come se fosse una zattera per salvarsi, ed un’altra parte di lei pensò: “Fra due giorni se ne andrà, e questa febbre mi passerà.”
Poco dopo si alzò nuovamente a sbirciare: il fuoco si era assopito, e l’uomo era probabilmente nel letto.
“Il mio letto!” pensò Milla nuovamente, ed arrossì. Non avrebbe mai più lavato le lenzuola, per sentire il suo profumo per il resto della sua vita.
Ancora instabile sulle gambe, raccolse la brocca e corse in casa, dove Vika la stava sicuramente aspettando impaziente.


***
Perdonatemi per l’immenso ritardo, a volte la real life ci costringe a delle pause forzate contro cui nulla può. Ora sono tornata, viva e vegeta, con tantissime novità!

Innanzitutto, questo nuovo capitolo, che spero vi sia piaciuto. Io mi sono divertita molto a scriverlo! Fatemi avere i vostri commenti, ci conto!

In secondo luogo, ta-daaaàn: FACEBOOK! Ho fatto il grande passo anche io. Quindi mi trovate come Marge Pendragon se mi volete tra gli amici (vogliatemi!), oppure potete anche solo mipiaciare la pagina dedicata alla saga di Flowers Wall. Oppure entrambe le cose :)
Conto di utilizzare a pagina per tutte le informazioni relative alla scrittura di questa storia e le altre della saga, mentre il mio account… beh, ci sarà quello che mi passa per la testa :) Vi aspetto numerosi! See ya!
  
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