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Autore: Y p s y    12/06/2008    1 recensioni
Alla classe di Nina è stato assegnato un compito difficile: un tema sul proprio paese. “Ma che cosa si potrebbe mai scrivere su questo noiosissimo sputo di terra?!” borbottò la ragazzina. Poi Nina comprenderà dopo un viaggio (forse) immaginario accompagnata da Cesare Pavese (scrittore e poeta, simbolo di Santo Stefano Belbo) il grande valore del proprio paese, legato ai ricordi che nessuno e niente potrà mai cancellare.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un paese vuol dire...





Ho scritto questo testo per un concorso dalla consegna "Un paese vuol dire...", e con mia grande sorpresa ho vinto il primo premo delle classi secondarie. Spero vi piaccia!


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“Bene, ragazzi, allora per lunedì fate il tema sul nostro paese!” concluse trionfalmente la professoressa.
Nina lo segnò distrattamente sul diario, sbuffando.
A casa, durante il pranzo, la mamma chiese a Nina: “Che compiti hai per Lunedì?”.
“Beh un tema su qualcosa...” rispose Nina, ipnotizzata dalla tv.
La mamma si alzò e prese il diario disordinato della figlia.
“Come qualcosa? E un tema sul nostro paese!” Esclamò. “Cosa intendi scrivere?” continuò la mamma, spegnendo la tv.
“Prenderò dei temi già fatti da internet..” rispose bruscamente Nina, ri-accendendo la tv e mettendosi cinque patatine fritte in bocca.
“Neanche per sogno! Tu scriverai tutto di tuo pugno la storia di Santo Stefano Belbo. Non esci dalla tua camera finchè non hai finito!” la rimproverò la mamma prendendola per un orecchio. Nina non potè ribattere per la bocca piena e salì lentamente le scale verso la sua camera, arrabbiata.
Mentre trangugiava le patatine, borbottò tra sé “Ma che cosa si potrebbe mai scrivere su questo noiosissimo sputo di terra?!”.
E battendo disinteressata due parole al computer, si addormentò (oppure, stava “riposando gli occhi” come diceva sempre a sua madre quando la beccava a ronfare sui libri).
Una voce poi le fece alzare la testa . Si guardò intorno: vide il solito disordine della sua cameretta. Si voltò e restò impietrita, sullo schermo del computer era comparso il tizio del suo libro di letteratura.
Come si chiamava...!? Ah.. Cesare Pavese?
Uscì da computer, si stiracchiò, materializzandosi davanti a lei. La ragazza incredula guardava quell'uomo occhialuto senza parlare.
“Sono Cesare Pavese, e faccio parte della storia del tuo paese, che tu trovi così noiosa!” Esclamò, guardando Nina con uno sguardo severo.
“Oh...m-mi scusi..” rispose arrossendo. “Ma non so davvero cosa scrivere.. non trovo nulla di interessante!”.
“Vieni con me” disse Cesare. “Prova a guardarlo attraverso i miei occhi!”
Nina era molto confusa, non fece in tempo ad esporre le numerose domande che le giravano in testa, che si trovarono improvvisamente in piazza Umberto I.
Si rese subito conto che si trovata in un'altra epoca: con l'albergo dell'Angelo che dominava sulla piazza insieme al monumento. Nina si guardò in torno e vide carrozze trainate da cavalli, bambini che giocavano allegramente, ma si accorse immediatamente che il palazzo del municipio invece non c'era.
La ragazzina che scrutava tutto, incominciò a correre verso il Belbo. Chissà com'era la sua scuola! Girato l'angolo, si fermò e si accorse con grande stupore che al posto dell'edificio scolastico c'era un piccolo campo da tennis.
Le scappò una risata. Tutto le sembrava tutto così strano, ma allo stesso tempo affascinante. Continuarono a passeggiare lungo la strada fino alla stazione ferroviaria, era la prima volta che Nina la vedeva mentre il treno con la locomotiva a vapore stava partendo verso Alba. Continuarono sulla strada verso Canelli e lo scrittore le fece vedere con grande commozione la palazzina del Nido, rossa in mezzo ai suoi platani. “La casa dei nobili e dei signori.” disse Pavese. E Nina si accorse che pur essendo passata diverse volte su quello stradone, non l'aveva mai notata.
Poco più in là, andarono alla casa di Nuto. “Qui il mio amico costruiva le bigonce” affermò lo scrittore. “E spesso mi suonava delle bellissime musiche con il suo clarino”.
All'improvviso si trovarono davanti ad una casa. “Io sono nato qui, e sarà forse per questo che amo questi posti, i suoi paesaggi, i suoi colori e il suo profumo”.
Nina ascoltava attentamente. Pavese continuò, mettendole una mano sulla spalla “Vedi, bambina, questo piccolo paese, anche se sono poi soltanto quattro case e uno stradone è il posto dove giocavo da bambino, eppure, dopo aver girato il mondo, mi sento fiero di dire -Ebbene, io vengo di là-”
E qui Nina comprese il grande valore del proprio paese, legato ai ricordi che nessuno e niente potrà mai cancellare.
A questo punto sentì dei rumori che la fecero sobbalzare.
Quel paesaggio e Cesare Pavese svanirono.
Si guardò in torno: si è ritrovata in camera sua mentre sua madre stava nervosamente bussando alla porta. “Nina, Nina! Mica ti sei addormentata?”.
“No, Mamma! Stavo solo riposando gli occhi!” rispose Nina, andando verso la finestra. Guardò il paesaggio e sorrise. Si avvicinò al computer e vide sullo schermo questa frase:

“Un paese vuol dire non essere soli. Sapere che nelle case, nella gente c'è sempre qualcuno che sta ad aspettarti.”

E sotto queste parole, incominciò a scrivere.

Dedicato a Santo Stefano Belbo.

Lo so che è un raccconto un po' diverso dagli altri ma mi farebbe piacere se mi lasciate qualche recensione ^_^
  
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