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Autore: KillingJoker    03/02/2014    1 recensioni
Un uomo con un passato misterioso, arrivato esausto in un villaggio pacifico ed isolato dopo un lunghissimo viaggio. Un cavaliere instancabile che viene fermato da un ponte. Un cavallo che sparisce lasciando a terra solo ossa.
-"Il loro dovere era di primaria importanza su tutto. Sulla carità, sul riposo, sul cibo e persino sulla stessa vita. Nulla avrebbe dovuto fermarli. Nulla avrebbe osato..."-
A metà tra il solito fantasy e una moderna visione della magia e delle ambientazioni, questa è una storia di misteri e di strani personaggi, di potenti magie e di antiche entità. Il classico dei classici? Forse. Ma spero che resti comunque interessante.
Buona lettura
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Cap. 7, “Dannati”-

 

 

“Così ci chiamano, almeno quei pochi che sanno della nostra esistenza. È un nome appropriato in fondo: quelli come me altro non sono che il risultato di una maledizione. Al tuo contrario, io sono nato e cresciuto nelle Pianure di Smeraldo, dove gli Elfi Rossi si rifugiarono centinaia di anni fa. Non è conoscenza comune, ma una persona bene istruita sa che quella regione permea di residui di magia elfica, che vengono assorbiti da ogni creatura viva al suo interno. In parole semplici: più si passa del tempo in presenza di questa magia stagnante, più essa si insinua all'interno del corpo e della mente.

Io non sapevo nulla di tutto questo, poiché due secoli fa queste conoscenze erano ben poco note, e non ebbi idea del cambiamento che avveniva in me finché non si palesò dinnanzi ai miei occhi. Sviluppai delle capacità magiche naturali, che col tempo divennero sempre più potenti. Mi allontanai dalla mia famiglia, vagai per il continente alla ricerca di istruzione e potere. Volevo imparare, diventare più forte. Non avevo cattive intenzioni, ma ero ambizioso. Troppo.

Un giorno mi avventurai in dei cunicoli sotterranei da solo. Avevo saputo di un'antica reliquia contenuta al loro interno, in grado di sprigionare una grandissima energia magica. Fui avido e non volli portare nessuno con me e questa fu la mia rovina: quei cunicoli erano nient'altro che la tana di una banda di briganti; la reliquia, una menzogna. Mi avevano attirato lì con l'inganno e ci ero caduto in pieno. Opposi resistenza, confidando nella mia magia; un altro errore. Una freccia mi colpì dritto al collo prima che riuscissi a pronunciare la formula del mio più potente incantesimo. Mi lasciarono lì, agonizzante, riprendendosi addirittura la freccia, con poca cortesia, e mi depredarono di tutti i miei averi. Purtroppo per loro, se non fossero stati a loro volta sufficientemente avidi da estrarre la freccia per recuperarla, adesso sarebbero ancora vivi ed io sarei ancora morto.

La condanna delle Pianure di Smeraldo mi colpì pochi giorni dopo, in piena notte. Mi svegliai sopra ad un mucchio di spazzatura, ammassata in un angolo per pigrizia, mentre tutti dormivano. Non sapevo cosa fosse successo, ero convinto di essere morto... e non ero poi così tanto in errore. Mi sentivo strano, avevo paura ed ero affamato ed assetato. Notai che degli avanzi di cena erano rimasti ancora nei piatti e con prudenza li presi e li mangiai, senza ottenere alcun giovamento; anzi, mi venne la nausea, non sopportavo la consistenza del cibo né la sensazione di qualcosa che scendesse nel mio stomaco. Smisi subito di mangiare e vidi che uno dei briganti si stava svegliando. Scattai lanciandomi su di lui, nel tentativo di tappargli la bocca prima che potesse svegliare gli altri, quando mi accorsi che al mio tocco la sua pelle raggrinziva... e la mia fame si placava. Assorbivo la sua vita, che diventava la mia. Feci lo stesso con gli altri, uno dopo l'altro, nel sonno; poi venne lei, l'unica donna che abitasse in quei cunicoli. Non volevo uccidere anche lei, me ne resi conto e subito dopo mi resi conto di aver realmente ucciso. Avevo ucciso 5 persone senza il minimo rimorso o senso di repulsione. La mia mano era ad un soffio dalla sua guancia. Potevo ucciderla con una semplice carezza... esitai.

Esitai abbastanza perché si svegliasse. Mi guardò in volto e fu terrorizzata dal mio aspetto, motivo per cui non permetto nemmeno a te che sei mio compagno di viaggio di guardare sotto questa maschera che indosso. Io feci qualche passo indietro cercando di farle capire che non volevo farle del male, con la stupida convinzione che non avrebbe avuto nulla da ridire con un mostro che aveva appena ucciso la sua unica 'famiglia' nel sonno. Lei impugnò una lama e corse verso di me. Prima che potessi dirle di fermarsi, poiché non volevo aggredirla, mi trafisse, passandomi a fil di spada da una parte all'altra. 'Ecco che muoio di nuovo come un povero idiota' pensai. Ma la vista non si appannò, e non uscì sangue dalla ferita. Non mi mancarono le forze e non sentii la mia mente allontanarsi dalla realtà. Lei estrasse la spada e tentò un nuovo colpo. Io le bloccai i polsi d'istinto e come era prevedibile la donna appassì tra le mie mani. Con stupore mi accorsi che, mentre la sua forza diventava mia, lo squarcio aperto dalla spada nel mio ventre si chiudeva.

Uscii correndo da quelle caverne, perdendomi tra i cunicoli più volte prima di trovare l'uscita, e tornai alla città coprendomi il volto come potevo. I miei conoscenti mi credevano morto, nessuno si era preoccupato per me durante quei giorni, mi resi conto di non avere dei veri amici. Così mi nascosi e costruii con le mie mani questa maschera, intagliandola nel legno. Vissi per anni vagando di città in città rubando la vita degli altri. Mi piaceva, adoravo la sensazione di tornare vivo; ma l'effetto durava troppo poco e tornavo subito dopo a cercare una nuova vittima. Lo facevo sempre più spesso, al punto che la gente iniziò a parlare di me.

Divenni il 'ladro di anime', ricercato in più di 10 feudi, senza essere mai visto. Ma, come mio solito, osai troppo. Presi come obbiettivo un mago che avevo visto in una taverna, per provare la sensazione di assorbire la vita da un corpo intriso di magia. Volevo provare la differenza, se ce n'era davvero una. Lo seguii fuori dalla taverna finché non svoltò in un vicolo poco in vista, dopo di che mi preparai ad aggredirlo. Non iniziai mai il mio assalto. La realtà è che mi stava aspettando. Sapeva cosa ero e mi aveva condotto lì di sua volontà. Per la prima volta in vita mia riflettei attentamente invece di avventarmi alla carica su quel 'testimone scomodo'. Conversai con lui per poco. Mi disse che sapeva cosa ero e che voleva aiutarmi. Mi parlò degli altri che avevano subito il mio stesso destino e della maledizione che mi aveva colpito.

Da lui appresi che la cosiddetta 'maledizione' delle Pianure di Smeraldo era in realtà una reazione magica di un corpo intriso di magia naturale che perde la vita. L'energia in esso contenuta tende a mantenerlo in vita, ma ha bisogno di essere costantemente nutrita con altra energia naturale, come ad esempio la linfa vitale di un altro essere vivente.

Quello che poi divenne per me 'il Sire' mi prese con se e mi portò in un luogo dove altri come me imparavano a controllare i loro bisogni, a mantenersi in vita grazie a fonti che non fossero altri esseri viventi e, in caso di estrema necessità, a nutrirsi senza uccidere. Non feci troppe domande riguardo al luogo, e ti prego di non farne a me, poiché presto lo vedrai con i tuoi occhi. Ciò che il Sire mi disse, però, era che ormai facevo parte di una famiglia e che le persone e gli esseri che avevo visto e conosciuto lì dentro erano miei fratelli e sorelle. Non capii da principio cosa intendeva, ma il suo concetto di 'famiglia' si rivelò più vicino a me di quanto potessi immaginare. Ed è così che io, il Sire ed i miei fratelli e sorelle formiamo la Coltre Rossa, mio caro compagno Agristan.”

 

“Devo dire che mi incuriosisci Parthon. A tratti sembri un freddo e calcolato gregario che esegue gli ordini, quando d'un tratto emani una umanità sconvolgente. Beh, portami dalla tua famiglia allora, siamo arrivati ad Alfertia.”

  
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